DE MINIMIS NON CURAT PRAETOR

di L. P.


Questa anonima massima giuridica medievale significa che un magistrato – il praetor – deve trascurare particolari di poco o punto rilievo per occuparsi delle questioni veramente cogenti. Essa è di uso comune, per lo più con valenza generica e non prettamente giuridica: significa, infatti, che non bisogna perdersi dietro alle piccolezze. Questo si legge, a un dipresso, ad locum 1137, in “Dizionario delle sentenze latine e greche”, di Renzo Tosi, ed. Bur.
A fianco di tale brocardo può collocarsi, per corrispondenza inversa,  altra espressione di analogo messaggio, passata in sentenza, che dice: “Majora premunt” (Lucano, I, 673), cioè, urgono cose più importanti di cui è necessario stilare una graduatoria, una scala delle priorità, come amano recitare i grandi soloni della politica quando discettano delle problematiche sociali assai spesso concludendo col porre le questioni minori in cima alla scala.




Pilato se ne lava le mani, Fredrich Overbeck - Musei Vaticani

Una delle più note applicazioni comportamentali di dette massime è il gesto di Pilato che, invece, ritenne più importante lavarsi le mani – de minimis - che sentenziare sul caso del Cristo di Galilea – de maximis. Un gesto di significato olistico, polisemantico, dacché nel ritenere superfluo interessarsi del Galileo si infilò nella nassa della viltà paludata da scelta razionale rendendosi, così, complice del deicidio con buona pace di quanti sostengono essere stata, la sua decisione, in perfetta consonanza col diritto romano.
A Pilato, infatti, premeva maggiormente starsene in buona con Caifa che rendersi giusto col Re dei Giudei.




  
Ci vien da scrivere queste note riflettendo sul caso del piccolo Charlie Gard – di cui piene son le odierne cronache – un bimbetto affetto da rara patologìa genetica degenerativa che non lascia, umanamente, scampo. Su questa creatura di Dio, sul suo diritto di vita e di cura, si sta esercitando il massone Moloch europeo che stabilisce chi deve vivere e chi deve morire.
La scienza umana, dicono i Minosse della Corte Europea dei Diritti Umani, non ha al momento conoscenze e strumenti idonei ad assicurare un’esistenza dignitosa al piccino che, pertanto, deve morire, in ciò violando il suo diritto personale a vivere, quello genitoriale e, soprattutto, ignorando con scherno e supponenza i comandi di Dio, padrone della vita e della morte: “Non uccidere” (Es. 20, 13), “Io volgerò la mia faccia contro costui e lo farò sparire di mezzo al suo popolo, perché avendo egli sacrificato uno dei suoi bambini a Moloch, ha contaminato il mio Santuario e profanato il mio santo nome” (Lev. 20, 3), “Son Io che faccio morire e resuscito, son Io che ferisco e risano, e non c’è chi possa liberare dal mio potere” (Deut. 32, 39).

Ma non è questo l’aspetto che vorremo evidenziare né tanto meno soffermarcisi per polemizzare contro una diffusa, dominante cultura che “considera indegne di essere vissute le vite degli uomini che non producono e non consumano. Le vite che non possono ardere nella passione faustiana, che sola sembra aver senso per i moderni” (Piero Vassallo: Ritratto di una cultura di morte – i pensatori neognostici. D’auria Ed. 1994, pag. 16) per cui “mentre una schiera di scienziati si impegnava efficacemente nella difesa della vita, un’altra, non meno folta, ma più agguerrita, lavorava per una logica di segno opposto e produceva instancabilmente metodi sempre più sofisticati per la contraccezione, l’aborto cruento e l’aborto chimico” (op. cit. pag. 15) e l’eutanasìa infantile, come in questo caso.
  
Non ci interessano, al momento, le dichiarazioni, ad esempio, del genetista Edoardo Boncinelli che, dopo un ampio giro di parole, sul valore della vita, sul dovere di tutelarla conclude che, davanti a una via senza uscita “lo scienziato accetta”, (Il Giornale, 1 luglio 2017), vale a dire: sì alla soppressione. Parola di ex Direttore del Laboratorio di biologia molecolare al San Raffaele.
   
No, non è questo che interessa al nostro intervento. C’è qualcosa di molto più grave e imperdonabile. C’è, appunto, la logica della massima messa a titolo, quella che stabilisce di trascurare le cose ‘trascurabili’.
  
Noi vogliamo, infatti, sottolineare e stigmatizzare la debole e disinteressata voce  di chi, da una elevatissima posizione, ha il dovere e il potere assoluto di intervenire con parole e atti di forte richiamo.
Diciamo di Papa Bergoglio, di colui che si è prodotto nella difesa dell’ambiente, addirittura con un’enciclica, la torrentizia Laudato Si’ che, per  246 paragrafi, trascorre su lavoro, industria, flora, fauna, raccolta differenziata, politica, capitalismo, corruzione, riscaldamento globale, niente trascurando delle tematiche care alla dirigenza ONU;
diciamo di colui che ha minacciato, con voce stentorea, di comminare la scomunica a mafiosi e corrotti;
diciamo di colui che ha definito la disoccupazione giovanile il più grave problema della Chiesa;
diciamo di colui che ha, recentemente, discettato di pensioni e turni di lavoro;
diciamo di colui che ha accettato la nomina dell’abortista Nigel Biggar – paraninfo mons. V. Paglia - a membro della Pontificia Accademia Per La Vita (una faina nel pollaio – un lupo nell’ovile!);
diciamo di colui che s’è profuso in sperticati quanto vergognosi elogî nei confronti di noti atei, nemici di Dio, id est: Scalfari, Pannella, Bonino, Napolitano;
diciamo di colui che tanto stima, ricambiato, i gruppi di potere NOM, quali il Bilderberg, il Davos Forum, il B’naï B’erith;
diciamo di colui che sceglie e adotta – si fa per dire! – famiglie islamiche, rifiutando quelle cristiane perché “ non in regola coi documenti”.





Insomma, diciamo di colui che, a proposito di un bimbo, prossima e certa vittima degli erodiani di Bruxelles, se ne esce con un flebile quanto codardo cinguettìo, un  querulo tweet, in cui, con parole stereotipate, anodine e per niente fulminanti come il caso richiede, dichiara che “Difendere la vita umana, soprattutto quando è ferita, è un impegno di amore che Dio affida ad ogni uomo”. Capirai che pensiero forte! Già il termine ‘impegno’ non è ‘dovere’ così come depistante è il mescolare l’amore che, in questo caso, diluisce il concetto di difesa rendendolo semplice morbido moto affettivo.

Se al mafioso, che uccide e scioglie nell’acido i bambini, per niente più disumano dei giudici e dei medici che uccideranno Charlie; se al corrotto, che ruba il bene pubblico o sottrae la mercede all’operaio rendendosi così  imperdonabile davanti allo Spirito Santo, se a costoro Bergoglio  minaccia la scomunica, che cosa dovrebbe dire e fare,  in simile frangente, contro arroganti  giudici, contro sedicenti medici? Ci saremmo aspettati che brandisse come spada il monito “Amate la giustizia, voi che giudicate i popoli” che campeggia ad apertura del libro della Sapienza. Ci saremmo aspettati che ricordasse di “non affliggere il misero in tribunale, perché il Signore difenderà la sua causa e spoglierà della vita coloro che lo hanno spogliato” (Prov. 22, 23).
Invece no! non grida, non inveisce, non giudica – figuriamoci! Uno che si schermisce domandandosi : “chi sono io per giudicare?” -  non lancia interdetti a difesa dell’innocente figlio della biblica Rachele (Mt. 2, 28) ma twitta anodino, flebile e indolente tanto per dire la sua. Perché, diamine! “non si può sempre parlare di aborto e di autanasìa”. E come dicevamo all’inizio: “De minimis non curat praetor”.
La lacrimevole e pietosa vita di Charlie è, per il pretore di Santa Marta, una quisquilia, un’inezia, una cosa minima così come minimo è un  bambino ed anche perché, nelle sacre stanze, premono questioni maggiori.





luglio 2017

Ritorna al Sommario articoli diversi
AL PONTIFICATO DI PAPA FRANCESCO