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DIRE
E NON DIRE
Ovvero, come accontentare tutti. di L. P.
Se dovessimo fermarci a commentare ogni uscita ‘ufficiale’ o ‘a braccio’ del nostro felicemente regnante Bergoglio, Papa e Vescovo di Roma, dovremmo star inchiodati alla scrivanìa in perenne battere i tasti del nostro PC. E non per una ansiosa pignoleria tesa a cercarne, per anatomizzarla, la benché minuscola imprecisione, stranezza concettuale o linguistica, e tanto meno per preconcetta ostilità. Gli è, piuttosto, che il Vescovo di Roma non formula e sparge il suo pensiero alla buona, senza valutarne il peso e la lega, perché ad onta di quanti lo ritengono non sufficientemente provvisto di scienza e di tempistica egli, con un forte senso di strategìa, sa dire e non dire tale che, anche quando sembra assumere un volto severo e fortemente censorio contro la cultura del mondo, riesce sottilmente a collocarsi come uomo di ‘medio limite’, direbbe Ovidio (Met. VIII, 21), un centrocampista, così da essere approvato dalla schiera progressista - è sempre dei nostri - e lodato da quella che si denomina ‘tradizionalista’ - finalmente un parlar tosto!. Ne è prova l’intervento svolto, il 5 ottobre c. a., in apertura della XXIII Assemblea Generale dei membri della ‘Pontificia Accademia per la Vita’ le cui sorti sono rette dall’arcivescovo Vincenzo Paglia che già dirige, in qualità di Gran Cancelliere, il Pontificio Istituto G. P. II, e figura come protettore della benemerita Comunità Egidiana specialista in servizio-ristorazione nelle venerande e sacre navate delle chiese, deturpate in trattorìe dove al chiasso e all’euforìa dei convitati si accompagnano le poco improbabili turbolenze gastro – intestinali. Dunque: la stampa nazionale ed internazionale ha riportato stralci del discorso papale sottolineandovi l’elogio, dicevamo, e del modernista ‘cristiano adulto riccardiano’ e del tradizionalista alla ‘Vetus Ordo’ il quale ultimo ha visto, nelle parole del Papa, un ‘pensiero forte’ che avrà certamente scosso il buon Gianni Vattimo, astenico filosofo-profeta del ‘pensiero debole’, e acceso le speranze in un cambio di direzione della pastorale nel senso preconciliare. Ma quale il passaggio che ha fatto tanto sussultare di entusiasmo il petto della schiera tradizionalista? Per rispondere dobbiamo riportare il relativo stralcio. Ed ecco: «Poi ha aggiunto qualche frase, doverosa,
sulle “forme di subordinazione che hanno tristemente segnato la storia
delle donne” e che “vanno definitivamente abbandonate”. Infine ha
sganciato il carico, spiegando che è necessaria “una rinnovata
cultura dell’identità e della differenza”. Eccola, la parolina
che farà rizzare (!) i capelli a molti. “differenza”. Tra uomo e
donna, tra maschio e femmina, sostiene il Papa, c’è una
differenza che va preservata. “L’utopìa del neutro rimuove a un
tempo sia la dignità umana della costituzione sessualmente
differente, sia la qualità personale della trasmissione
generativa della vita… Difficile trovare un modo più diretto per
sbriciolare la gigantesca bugìa della neutralità… il
discorso di Francesco non solo è tra i più efficaci che
abbia pronunciato di recente, ma è di un’attualità feroce».
(La Verità, Francesco
Borgonovo, 6 ottobre 2017).
‘Utopìa del neutro’: definizione neutra, infatti, che non somiglia per niente a una legnata, a un carico, semmai a un’obiezione fatta rispettosamente a bassa voce. E, poi: perché utopìa e non abominio, peccato mortale, aberrazione, crimine? Il vocabolo, nato dalla penna di Tommaso Moro (1516) definisce un ideale, una speranza, un’aspirazione che non può avere attuazione; un modello di assetto politico – religioso – economico che non troverà riscontro e compimento nella realtà. Utopìa, cioè, che, prescindendo dal poi, connota un alcunché di bello, di giusto, di risolutivo. Noi contestiamo al Papa l’uso di un lessico che non caratterizza la portata criminale della dilagante e orrida teorìa del ‘genere’ (gender), coacervo di tutte le devianze libertine, ma la rimuove nell’impalpabilità terminologica di un’idealità astratta. Un giudizio niente affatto feroce, come scrive l’articolista, ma soltanto un sentenziar pacato che si accompagna alla precedente affermazione secondo cui si ritiene ‘necessaria una rinnovata cultura dell’identità e della differenza’ e nel cui costrutto semantico non si capisce che cosa voglia significare quel ‘rinnovata’ quasi che l’anatomìa non sappia più narrare con esattezza la differenza sessuale e l’identità ontologica dell’uomo e della donna; quasi che la Chiesa debba rinnovarsi col rivedere il proprio corredo dottrinario in merito al tema in esame. Ma a riflettere lo si capisce bene, così come l’ha capito, a rovescio, l’articolista quando l’ha definito un ‘carico’ che, al postutto, si rivela essere una misera e bischera scartina. Con tale espressione Bergoglio non ha fatto altro che ribadire, con neutra astuzia dialettica, il suo impegno a rivoluzionare la Chiesa così come confessò all’altro papa laico, Eugenio Scalfari: “Il Vaticano II, ispirato da Papa Giovanni XXIII e da Paolo VI, decise di guardare al futuro con spirito moderno e di aprire alla cultura moderna. I padri conciliari sapevano che aprire alla cultura moderna significava ecumenismo religioso e dialogo con i non credenti. Dopo di allora fu fatto molto poco in quella direzione. Io ho l’umiltà e l’ambizione di volerlo fare” (La Repubblica, 01 ottobre 2013), riuscendoci egregiamente. Se avesse avuto l’intenzione di ‘sbriciolare la gigantesca bugìa della neutralità’, il Papa avrebbe preso, e manovrato a mo’ di clava, le parole bibliche “Dio lo creò, maschio e femmina li creò” (Gen. 1, 27). E se gli fossero parse poco incisive e probanti e di mero tipo narrativo, avrebbe potuto brandire quelle di Cristo con cui è detto che “All’inizio della creazione Dio li creò maschio e femmina” (Mc. 10, 6) o avrebbe intessuto un commento all’episodio di Cana (Gv. 2, 1/11) dove, secondo il grande Magistero della Chiesa, Gesù istituì il sacramento del matrimonio uomo/donna, concludendo con San Paolo che, al riguardo la cantò chiara, papale papale quando scrisse: “Dio li ha abbandonati a delle turpi passioni. Le loro donne hanno cambiato l’uso naturale in quello che è contro natura; e gli uomini pure, abbandonato l’uso naturale della donna, si sono accesi di perversi desiderî gli uni per gli altri, commettendo turpitudini maschi con maschi” (Rom., 1, 26/28) ribadendo col dire: “Attenti a non illudervi: né fornicatori, né idolatri, né adulteri, né effeminati, né sodomiti, né ladri, né avari, né ubriaconi, né maldicenti, né rapitori saranno eredi del regno di Dio” (I Cor., 6, 9/10). Ben altro che un’utopìa! Parole che sono frustate, colpi di martello, parole ben perimetrate nel proprio intimo e inequivocabile significato. Con tale supporto avrebbe dovuto bollare la ‘neutralità, quale violazione dell’ordine divino, attentato all’ontologìa della persona, smaccata operazione satanica, e non riparandosi dietro la vaporosa cortina semantica della ‘utopìa’ . Cosicché è riuscito a tranquillizzare i ‘pro gender’, sicuri che la loro utopìa farà passi in avanti, inarrestabile sull’autostrada del libertinismo, ed entusiasmato gli ingenui tradizionalisti a cui è parso, quel discorso, uno dei più suoi feroci ed efficaci pronunciati di recente. Che il fronte della resistenza stia sgretolandosi sotto i colpi di un’ambigua pastorale – uno al cerchio e uno alla botte – lo dimostra un ulteriore stralcio, tratto da un servizio della nota Costanza Miriano, accreditata sentinella tradizionalista, ove, nei varî passaggi polemici riferiti al giornale CEI, Avvenire, così scrive: “Mai e poi mai (il Papa) si è sognato di definire famiglia un’unione civile… Non scrive benediciamo le unioni civili, ma accompagniamo le persone che vivono questa tendenza alla ricerca di Dio” (La Verità, 22 agosto 2017). Un bel soffietto al Vescovo di Roma che, purtroppo per la Miriano, gestisce la pastorale del doppio binario, smentendo, come vedremo con gli esempî prossimi, la candida precisazione della signora a cui domandiamo: 1) se Bergoglio sogna o è desto quando afferma: “A livello educativo, le coppie gay oggi pongono sfide nuove che, a volte, sona persino difficili da comprendere. Bisogna stare attenti a non somministrare ai loro figli un vaccino che ostacoli la fede” (Il Messaggero, 4 gennaio 2014); 2) se Bergoglio sognava o era desto quando, arcivescovo a Buenos Aires, nel dicembre 2012, stando alle dichiarazioni dell’ex frate Leonardo Boff, approvò l’adozione di un bambino a una coppia sodomitica; 3) se Bergoglio sognava o era desto quando, il 23 settembre 2015, presso la Nunziatura di Washington, riceveva un suo ex- alunno ed ex- prete argentino, Yayo Grassi, unitamente al suo ‘compagno’ Iwan (La Stampa – Andrea Tornielli, 2 ottobre 2015). Feste, baci, abbracci ma niente che inducesse a pensare a una vigorosa, salutare tirata d’orecchi se non proprio a un biasimo tagliente. No! cameratismo e attestato di amicizia che - ad onta di quanto il portavoce della Sala Stampa Vaticana, il tappabuchi padre Federico Lombardi, spiegava non essere questa circostanza un’approvazione della condotta sconcia e sacrilega del Grassi – era una vera e propria benedizione ‘matrimoniale’. 4) se Bergoglio sognava o era desto quando, nell’hotel di Santa Marta, il 24 gennaio 2015 ricevette in udienza privata, sollecitata dallo stesso Papa con una telefonata, un transessuale spagnolo , il 48nne Diego Lejarraga unitamente alla sua ‘fidanzata’ (Avvenire, 26 gennaio 2015). Ora, se qualcuno pensa che questa sia opportuna gestione della correzione, rammenti che Giovanni il Battista che, per testimoniare l’obbedienza al comando divino rimproverò ad Erode lo stato di concubinato, ci rimise la testa, e che Gesù non si degnò di rispondere alle domande dello stesso turpe re. Bergoglio non ha ottemperato al suo ufficio ma si è comportato da compare ed amicone di sodomiti e transessuali. E qui, a proposito cade tagliente e a perpendicolo la parola di Dio: “Se tu non parli perché l’empio si corregga della sua condotta, egli morrà per colpa sua, ma del sangue suo chiederò conto a te. Se invece tu hai ammonito l’empio a riguardo della sua condotta affinché se ne correggesse e tuttavìa non si ritrasse dalla sua via, egli morrà per sua colpa, ma tu salverai la tua vita” (Ez. 33, 8/9). L’atmosfera di festa, che caratterizzò l’incontro di Washington e l’udienza privata di Santa Marta, non pare proprio un monito di tipo biblico, ed allora vien da chiederci se Bergoglio ritenga la sodomia uno stile di vita virtuoso o creda che il Signore sia stato troppo severo quando parlò ad Ezechiele. Ecco, allora, la sua strategìa: dire e non dire o, meglio, non affermare l’aberrazione come verità ma metterla in pratica sotto l‘usbergo della misericordia. Ipocrisìa, soltanto ipocrisìa che, come teredine, sta corrodendo lo scafo della barca di Pietro. Ma il Signore è a bordo e, quando si sveglierà, comanderà al vento e alle onde minacciose dell’apostasìa di scomparire. Sveglia, Miriano e Borgonovo! (torna
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ottobre 2017 AL PONTIFICATO DI PAPA FRANCESCO |