Non si può crescere senza figli

di Ettore Gotti Tedeschi


Pubblicato su La Verità del 3 novembre 2017







Il New York Times del 29 ottobre ha pubblicato un «curioso» articolo firmato da Bryce Covert, dal titolo «L’economia non può crescere senza il controllo delle nascite».
L’autore sostanzialmente rimprovera all’amministrazione Trump di privare la donna lavoratrice delle prestazioni assicurative alla contraccezione, che invece tutelano la salute femminile, permettono alla donna di lavorare quando e come vuole e, soprattutto, aiutano l’economia.
Entrambe le considerazioni sono errate, in particolar modo la seconda: l’economia infatti non può crescere col controllo delle nascite auspicato.
Dall’altro lato, l’ambiente medico non ideologizzato sostiene da tempo che la contraccezione può pregiudicare la salute femminile, porta con sé vari effetti collaterali e rende la donna dipendente da farmaci che potrebbero alterarla a livello chimico e psichico. Su questo però non mi spingo oltre perché non ho le competenze adeguate.

Torno alla tesi centrale di Covert, ovvero che il controllo delle nascite, grazie alla contraccezione, faccia bene all’economia. Questa idea è stata smentita negli ultimi tre decenni in modo talmente evidente che dover leggere ancora il contrario, solo per la volontà di promuovere una nuova antinatalità neomalthusiana che mette a rischio la donna, la famiglia e la società, mi sorprende molto.
Non solo, perché mai lo Stato dovrebbe finanziare delle politiche antinatalità che lo indebolirebbero economicamente?
Come potrebbe infatti crescere il Pil di una nazione (e di conseguenza il volume delle tasse pagate) se non nascono figli (almeno a un tasso di sostituzione pari a due figli a coppia) e la popolazione decresce?

PROGETTO SCELLERATO

Pensiamo al ciclo perverso che si metterebbe in moto se si realizzasse l’ipotesi sostenuta dal quotidiano newyorkese. Grazie alla scelta della donna di non fare figli per lavorare, aumenterebbe di certo l’offerta di lavoro femminile. Non crescendo il Pil però la domanda dello stesso scenderebbe, facendo aumentare allo stesso tempo la competizione con quello maschile. Esattamente come è successo e sta accadendo nel mondo, che ha visto la diminuzione della natalità, la crescita del lavoro femminile, ma anche la decrescita dei redditi e del potere di acquisto dei lavoratori, causata dal crollo delle nascite e dal conseguente crollo del Pil. Un problema che si è cercato di risolvere con la crescita esasperata dei consumi individuali e con la delocalizzazione produttiva in paesi a basso costo, con due soli risultati: deindustrializzazione e crescita della disoccupazione,
E così, ignorando il problema e il costo dell’invecchiamento della popolazione, si è arrivati alla crisi economica scoppiata proprio negli Usa nel 2008 che si è poi estesa a tutto il resto del pianeta.

Ora, è talmente evidente la base ideologica di queste considerazioni che, come dicevo, mi è venuto un sospetto tremendo. Vuoi vedere – mi son chiesto con una forte dose di autoironia – che dopo millenni i maschietti sono riusciti a farsi sostituire dalla donna nel duro lavoro, facendo leva su una certa confusione delle aspirazioni?
E’ dall’età della pietra che l’uomo, stanco di uscire dalla grotta per andare a caccia di dinosauri e di portare a casa la pappa a moglie e figli, protetti e al calduccio, sogna di mandare fuori la donna e di dedicarsi ai figli, a tenere acceso il fuoco e a cucinare.

ORDINE STRAVOLTO

Dopo tutto questo tempo il genio umano sembra esserci riuscito: ha inventato la pillola, la fecondazione in vitro e riesce addirittura ad auto ingravidarsi… Nello stesso tempo ha cambiato il modello culturale, i ruoli, il diritto, il concetto di salute e di benessere.
Chissà che un giorno i maschietti casalinghi, stanchi di stare in cucina e di accudire cagnolini (non più figli, naturalmente) non pretenderanno di affermarsi in carriere professionali e pretenderanno quote rosse, bianche o blu. Temo però che sarà troppo tardi. Non ci saranno bambini ad aspettarli a casa dopo il lavoro.

Considerazioni ironiche e amare a parte, la nostra civiltà, perdendo il senso del valore della vita e della famiglia, non sa più riconoscere l’affare più grande e importante di cui dispone la coppia: allevare un figlio, la cui soddisfazione non è paragonabile a null’altro al mondo. E’ un problema di cultura e di razionalità.

Spesso ci domandiamo: nasce prima l’uovo o la gallina? Dovremmo fare lo stesso riflettendo sul valore della maternità, della vita, della famiglia: si deve aver successo per avere figli o si ottiene successo facendo figli?
La maggior perdita, sociale ed economica, della nostra spenta civiltà sta proprio in questa confusione. E forse è troppo tardi per rimediare.




novembre 2017
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