![]() |
![]() |
Il sedevacantismo: soluzione o
diversione?
Intervista a Dominicus 1 marzo 2018 ![]() Dominicus, Le Sédévacantisme
(opuscolo che raggruppa diversi studi sull’argomento: in particolare il
Piccolo catechismo del
sedevacantismo e la traduzione dell’importante studio di
Giovanni di San Tommaso sulla questione del Papa eretico),
Avrillé, éditions du Sel, 2015, pagine 80
http://www.seldelaterre.fr/A-197715-le-sedevacantisme.aspx pubblicato sul sito Medias Catholique Info (si veda l'opuscolo tradotto in italiano da noi nel dicembre 2012 - come pubblicato nel n° 79 de Le Sel de la terre, inverno 2011-2012) Innanzi tutto, Reverendo Padre, io penso di non tradire un segreto rivelando che lei è un Padre domenicano di Avrillé. – Che cos’è il sedevacantismo? E’ la teoria, o piuttosto un
insieme di teorie (contraddittorie) che vogliono che la Chiesa oggi sia
senza Papa. La sede del vescovo di Roma sarebbe vacante da una
cinquantina d’anni, a causa degli errori insegnati o favoriti da Paolo
VI e dai suoi successori.
E questo le sembra insostenibile? Il Vaticano II ha aperto una
crisi terribile in cui il nostro primo obiettivo dev’essere quello di
conservare la Fede. Ora, il gran mezzo per conservare la fede in tempi
di crisi è stato enunciato da San Vincenzo di Lerino nel IV
secolo: aggrapparsi alla Tradizione. La dottrina, la morale e i
sacramenti tradizionali non possono ingannarci. Di contro, quando si
lascia questo terreno per elaborare delle teorie che cercano di
spiegare la crisi, non si ha più la stessa sicurezza,
poiché si entra nel dominio delle opinioni private. E’ questo il
caso del sedevacantismo.
Si ha almeno il diritto di riflettere? Si ha soprattutto il dovere
di essere prudenti! La crisi attuale è inedita e quindi non
può essere regolata con due o tre «copia-incolla».
Ora, non ci si improvvisa teologi, né canonisti. Noi dobbiamo
conservare la Fede – aggrappandoci alla Tradizione e allontanandoci dai
novatori -, ma nessuno ci ha incaricato di istruire dei processi contro
le autorità che difettano. La legittima difesa ci dà il
diritto di proteggerci dai prelati pericolosi, ma non ci conferisce
l’autorità per dichiararli esclusi dalla Chiesa e decaduti dal
loro potere. E’ la parabola del farmacista raccontata da Mons.
Lefebvre: se io constato che il mio farmacista mi fornisce un veleno,
evidentemente devo rifiutarlo. E’ una certezza assoluta, perché
non ho il diritto di avvelenarmi. Quanto alla esatta
responsabilità del farmacista, non è cosa che mi competa.
Era distratto? Miope? Incompetente? E’ stato ingannato da un altro? E’
un imbroglione che non ha effettivamente una laurea? E’ un assassino
volontario? E’ improvvisamente impazzito? Io posso avere la mia
opinione, ma questo rimane secondario, perché io non sono il suo
giudice. Al mio livello, io devo rifiutare il veleno e mettere in
guardia contro l’avvelenatore, ma non posso dichiarare, sulla base
della mia autorità, che egli non appartiene più
all’ordine dei farmacisti. Non è di mia competenza.
Sfortunatamente, molti sedevacantisti invertono il problema. Essi
vogliono ad ogni costo risolvere la questione che non dipende da loro e
farne il primo dovere di ogni cattolico. Essi dichiarano sulla base
della loro autorità che Paolo VI e Giovanni Paolo II non erano
papi, e ne fanno un dogma, gettando l’ingiuria e l’anatema su tutti
coloro che esistano a seguirli. Si tratta di un’imprudenza che non
risolve alcunché, causando di contro molto disordine.
Tuttavia, i sedevacantisti, presentano delle prove? Non hanno delle prove, ma alcuni
argomenti di cui nessuno è decisivo. E’ quello che mostra il Piccolo catechismo del sedevacantismo.
Per la verità, l’ultimo numero del bollettino La Voix des Francs accusa il suo Piccolo catechismo di «sofismi» e di «divagazioni». Cosa risponde? Bisogna davvero rispondere?
Questo bollettino pretende di demolire «magistralmente»
(è il termine usato) le nostre «divagazioni»
(termine che è nel titolo). Ma chiunque può constatare
che esso non affronta realmente le nostre obiezioni. Vi passa accanto
facendo finta di non vederle! Invece di esporle così come sono e
di provare a rispondere, li ignora. Si limita a riempire intere pagine
di citazioni (generalmente fuori argomento), aggiungendo un po’ di
ingiurie ed una serie di grida di vittoria, ma non affronta mai
francamente la nostra confutazione (se non in alcuni dettagli
secondari). Chi legge la Voix des
Francs si farà un’idea molto deformata delle nostre
posizioni. Non è un vero dibattito!
Guardiamo da più vicino. Il suo contraddittore pretende di provare il sedevacantismo con l’argomento del «magistero ordinario universale»? Per «rispondere»
alle poche righe che abbiamo dedicato a questo argomento, egli mette
insieme più di venti pagine e tuttavia trova il modo per passare
sotto silenzio l’essenziale della nostra obiezione!
Ricordiamo che il «magistero ordinario universale» è l’insegnamento proposto da tutti i vescovi del mondo. Quando essi sono unanimi su un punto del dogma o della morale, sono coperti dall’infallibilità, perché lo Spirito Santo non può permettere che tutta la Chiesa docente si sbagli su una verità di fede (se no, le porte dell’inferno avrebbero prevalso). Resterà sempre almeno un vescovo per difendere la fede. Questa infallibilità del «magistero ordinario universale» è necessaria alla sopravvivenza della Chiesa. Molto curiosamente, i sedevacantisti pretendono di servirsene per provare che non ci sarebbe più il Papa. In effetti, storicamente, il loro primo argomento era diverso. Essi si interessarono inizialmente non al magistero ordinario, ma al magistero straordinario. Essi volevano far rientrare l’insegnamento del Vaticano II nel magistero straordinario infallibile (come le definizioni solenni di un Concilio dogmatico). Di conseguenza – dicevano – si può negare l’infallibilità del Vaticano II solo negando l’autorità del Papa che l’ha approvato. Ma l’argomento non ha potuto resistere a lungo, perché lo stesso Paolo VI aveva dichiarato che il Vaticano II – concilio pastorale – non appartiene al magistero straordinario infallibile! Per poter dichiarare che non vi è più il Papa, bisognava dunque ricorrere a qualcos’altro. E allora, i sedevacantisti hanno ripiegato sul magistero ordinario universale. Essi dicono: gli insegnamenti del Vaticano II non godono forse dell’autorità di un Concilio infallibile, ma devono quanto meno diventare infallibili perché sono insegnati da tutti i vescovi del mondo. Quindi, per negare questa infallibilità bisogna di nuovo negare che vi sia un papa. E lei che risponde? Se l’argomento fosse valido,
bisognerebbe concludere, non solo che non v’è più il
Papa, ma che non v’è più la Chiesa docente! Questo
è quello che dice il Piccolo catechismo:
«In realtà, se si accettasse questo
argomento, bisognerebbe dire che a quel punto tutta la Chiesa cattolica
è sparita e che le porte dell’inferno hanno prevalso contro di
essa. Poiché l’insegnamento del magistero ordinario universale
è quello di tutti i vescovi, di tutta la Chiesa docente»
(p. 11).
L’argomento del magistero
ordinario universale non può servire a provare il
sedevacantismo, poiché esso vale solo se tutti i vescovi del
mondo insegnano la stessa cosa. Ora, se tutti i vescovi del mondo
insegnano un errore, non basta sopprimere il Papa per sopprimere il
problema! Si è obbligati a concludere che tutta la Chiesa
docente è nell’errore, il che è impossibile; o che non vi
è più Chiesa docente, il che è parimenti
impossibile. In questo modo, l’argomento del «magistero ordinario
universale» è in ogni modo un vicolo cieco.
E cosa risponde il suo contraddittore? Niente. Egli non dice una
parola su questa obiezione e per venti pagine parla d’altro. Egli ci
rimprovera di non aver sufficientemente specificato, nelle poche righe
che abbiamo dedicato all’argomento, i diversi aspetti del magistero
ordinario universale. E quindi specifica lui, alla sua maniera, tutto
questo e ripete senza posa che manchiamo di onestà
intellettuale, che prendiamo i nostri lettori «per ignoranti e
imbecilli», che li prendiamo in giro, che occultiamo la natura
delle cose, ecc. Ci sarebbe molto da dire su queste venti pagine, ma a
che scopo, visto che l’autore non ha neanche sfiorato la nostra
obiezione?
Tuttavia, egli avanza un secondo argomento: quello del Papa eretico. In effetti, egli propone un
secondo argomento. A sentire lui la cosa è molto semplice: il
Papa che cade nell’eresia è immediatamente decaduto dalla sua
autorità, senza alcun avviso, alcun processo, alcuna sentenza
dichiaratoria. Il problema sta nel fatto che questa questione è
dibattuta da diversi secoli nella Chiesa e che i più grandi
teologi insegnano tutto il contrario! Tutti i rappresentanti della
scuola tomista: Cajetano, Giovanni di San Tommaso, Bañez,
Billuart, Garrigou-Lagrange, ecc., spiegano che non si può
abbandonare l’autorità papale al libero esame individuale di
qualcuno. Se dunque un papa cade nell’eresia, egli perderebbe realmente
la sua autorità solo nel momento in cui questa eresia verrebbe
denunciata pubblicamente da altri membri della Chiesa docente. Su
questo argomento, noi abbiamo riempito 24 pagine di citazioni di
eminenti teologi (pp. 54-78). Era difficile non vederle! Ma anche qui,
il nostro contraddittore non ne tiene minimamente conto! Dopo aver
annunciato a gran voce che avrebbe confutato le nostre
«divagazioni», egli sviluppa la sua tesi come se fosse la
sola esistente e conclude denunciando la nostra
«ostinazione» e il nostro «scisma lefebvrista«.
Tra l’altro, egli non si è nemmeno degnato di esporre la nostra
opinione ai suoi lettori, e nemmeno di citare il nome di uno solo dei
teologi di cui riprendiamo le spiegazioni! Una cosa del genere,
può dirsi una «risposta»?
Tuttavia, egli si appoggia ad un eminente canonista (Naz), che afferma che un papa eretico è immediatamente decaduto dalla sua autorità – senza alcun giudizio, né dichiarazione – e che questa è la dottrina comune dei teologi. Alcuni autori, fra cui Naz,
difendono questa tesi, ma questo non costituisce «dottrina
comune». Naz impiega questa espressione solo per precisare che
«secondo la dottrina più comune» è
«teologicamente possibile» che un papa cada nell’eresia. Su
questo, infatti, la maggior parte dei teologi sono d’accordo. Le
difficoltà e i dibattiti vengono dopo: come si può essere
sicuri che il Papa è formalmente (e cioè colpevolmente)
eretico? E quando esattamente perde la sua autorità? In altre
parole: si può lasciare a chiunque di giudicare, secondo i suoi
lumi personali, che il Pontefice è eretico e che così ha
perduto automaticamente la sua autorità, senza la minima
formalità giuridica? La maggior parte dei teologi dicono di no,
perché questo equivarrebbe alla rovina di ogni autorità!
Se una questione così grave come la vacanza della sede
apostolica fosse lasciata al giudizio privato di ogni individuo, le
conseguenze sarebbero disastrose: nessun conflitto dottrinale
potrebbe essere risolto per via d’autorità, perché i
condannati potrebbero sempre pretendere che il Papa sia eretico e
dunque decaduto nel momento in cui pronuncia la sua sentenza!
L’infallibilità del Papa, che Gesù ha voluto dare come
una garanzia assoluta alla Sua Chiesa, non servirebbe più a
niente, poiché potrebbe sempre essere aggirata da questo
argomento che il Papa sarebbe già automaticamente decaduto dal
suo incarico per eresia. Non ci sarebbe più autorità
incontestabile e si scadrebbe nel libero esame. Cosa che rifiutano,
indubbiamente, Cajetano, Giovanni di San Tommaso, Bañez, ecc.
Tutti questi teologi sono domenicani, non è che lei sta cercando di imporre una tesi propria al vostro Ordine? Quando i Carmelitani di
Salamanca e Sant’Alfonso de’ Liguori si uniscono ai teologi domenicani
sulla questione del Papa eretico, è evidente che non lo fanno
perché questa tesi sarebbe domenicana, ma perché è
ragionevole e fondata sulla Tradizione. E’ questo che bisogna tenere
presente. La tesi di Cajetano e di Giovanni di San Tommaso, ecc.,
è stata pubblicamente insegnata nelle più grandi
Università cattoliche, per dei secoli, dai più grandi
teologi ed anche sotto gli occhi del Papa. Essa era allora presentata
come la sentenza «comune» o «più
comune». Quindi, essa, ancora oggi, può essere tenuta in
tutta sicurezza e coscienza. Certo, essa può anche essere
discussa, non si tratta di farne un dogma; ma nessuno può
negarne la liceità e anatemizzare quelli che la difendono. E
tuttavia, è questo che fanno i sedevacantisti, che vogliono ad
ogni costo imporre la loro opinione come un dogma.
Ma in questo caso, anche la tesi sedevacantista potrebbe essere lecita. Il sedevacantismo è
spesso innanzitutto un sentimento. I papi conciliari fanno soffrire, la
crisi della Chiesa è angosciante e l’emozione può turbare
il giudizio. Certi reagiscono come quel figlio che scopre
improvvisamente che suo padre ha commesso un crimine e che può
superare lo choc solo gridando bruscamente: «No, è
orribile, quest’uomo non è mio padre!». E’ un mezzo per
attenuare il dolore, ma in definitiva questo non regola
alcunché. Fintanto che il sedevacantismo rimane al livello del
sentimento personale o dell’opinione privata, non ha niente di
illecito, tenuto conto delle circostanze presenti. Ma esso non è
provato. E’ solo un’ipotesi tra le tante e non la più probabile.
E’ indebito farne un dogma e pericoloso farne una bandiera. Bisogna
aspettare pacificamente che un giorno la Chiesa risolva queste
questioni che ci superano. Piuttosto, mobilitiamo le nostre forze per
conservare la Fede, la Speranza e la Carità.
(torna
su)
marzo 2018 |