La Chiesa e la storia

L'articolo è stato scritto per il periodico Una Voce dicentes, organo della sezione di Firenze di Una Voce italia,
e offerto in anteprima al sito Riscossa Cristiana da cui lo abbiamo tratto



di Mons. Brunero Gherardini

Credo opportuno far notare che alla storia ho abbinato non il Cristianesimo, bensì la Chiesa. Questa è una specificazione di quello e se di quello intendessi parlare, dovrei far un discorso non solo più generico, ma anche molto più vasto. Mi limito alla Chiesa, anche per un motivo contingente, ch’emerge da una recente pubblicazione dello storico G. Miccoli. Questi, non so a quale titolo e con quale competenza, le rivolge le seguenti parole:
La questione centrale, sottesa alle scelte da compiere, sta ancora una volta nel tipo di rapporto che la Chiesa di Roma intende stabilire con la storia: sta, per dire più precisamente, nel suo modo di pensarsi nella storia: riconosce di farne pienamente parte, come ne fa parte il Vangelo cui si  e la storiarichiama, o se ne sottrae perché portatrice intangibile delle contingenze umane, di un messaggio che ha saputo mantenere inviolato e inalterato nel corso di due mila anni?”(1).

Confesso apertamente la mia incapacità di dar un senso logico – su quello teologico svilupperò il mio intero discorso – alle parole surriferite. Stando ad esse, la Chiesa dovrebbe aver un “suo modo di pensarsi nella storia” ed il lettore s’aspetterebbe di conoscere quale. Inutilmente, perché invece d’una diretta indicazione, segue una domanda in forma alternativa, secondo la quale la Chiesa dovrebbe riconoscere di far parte della storia, così come ne fa parte l’evangelo, anziché estraniarsene in quanto “portatrice intangibile delle contingenze umane, di un messaggio che ha saputo mantenere inviolato e inalterato per due mila anni”. Un tale aut aut non dice, però, della Chiesa quale sia “il modo di pensarsi nella storia”, fermi restando due dati di fatto che lo stesso Miccoli dà per incontestabili, sempre che si tratti veramente di due e non d’uno soltanto (2): la Chiesa “portatrice intangibile (?) delle contingenze umane” oltre che d’un messaggio “mantenuto inviolato e inalterato nel corso di due mila anni”. Se i due fatti hanno un significato, essi dicono incontestabilmente che la Chiesa ha nella storia un posto ed un ruolo ben definiti, anche senza scomodarla con la richiesta sul suo modo di pensarsi nella storia. Se poi invece di due si trattasse d’un unico fatto, alle intelligenze corte come la mia risulterebbe assai ostico il riconoscimento dell’identità fra l’esser “portatrice delle contingenze umane” ed “messaggio inviolato e inalterato nel corso di due mila anni”.

Se da quello logico passo al piano teologico, mi sento indirettamente ma personalmente interpellato nella mia sia pur irrilevante qualità d’ecclesiologo. E sott’il profilo ecclesiologico intendo sviluppar alcune riflessioni sul testo sopra citato.

1 – “Sott’il profilo ecclesiologico”, ho detto, perché non ho alcun’intenzione di seguir i giudizi di questo rinomato storico, e d’altri come lui, protesi nel titanico sforzo di scoprire la fantomatica Chiesa dell’anticoncilio, di metterla alla berlina ricoprendola di vituperi e marchiando a fuoco i tradizionalisti alla riconquista di Roma, come se Roma fosse stata invasa da nuove orde di Unni, senza che un nuovo Leone Magno fronteggiasse e neutralizzasse con il solo prestigio della sua presenza l’oltracotanza dei nuovi Attila (3). Ancor meno lo seguo nella sua requisitoria antiratzingheriana, perché tutto di Benedetto XVI potrà dirsi tranne che sia un patito della Chiesa preconciliare ed un affossatore del Vaticano II, solo perché parla frequentemente di Tradizione, dichiarandola addirittura presente nei documenti conciliari. In realtà egli ha fatto capir a destra e a sinistra, in decine e decine di circostanze ed ultimamente con la stampa dei suoi interventi da perito conciliare (4), che del Vaticano II è uno dei più convinti e strenui difensori.

La tesi di Miccoli è che, con il Vaticano II, la Chiesa si sarebbe dato un posto ben definito nella storia e si sarebbe messa al suo stesso passo, ovviamente in direzione dell’uomo e della sua promozione. Per lui “la scelta del tipo di rapporto che la Chiesa di Roma intende stabilire con la storia” sarebbe “la questione centrale”. Egli dice “Chiesa di Roma” perché non ci si perda nel dedalo di quelle che oggi si dicono chiese. Egli punta il dito proprio sulla Chiesa una santa cattolica apostolica romana, dove “romana” o “di Roma” spazza via ogni equivoco e la sua stessa possibilità. Pertanto, la scelta che proprio con il Concilio la Chiesa romana avrebbe operato come soluzione del suo problema di fondo, la pone in linea accanto ed insieme con altri soggetti, in atteggiamento di riverente obbedienza alla Storia. Questa, allora, diventa il valore che tutti gli altri trascende e con il cui passo occorre misurar ed uniformar il proprio. Storia ovviamente con la S maiuscola, come un’entità superiore: una forza al di là e al di sopra delle contingenze, un “necessarium”, lo Spirito assoluto, l’Io trascendentale che s’oggettiva in forme sempre nuove di realtà spazio-temporali e le risolve in se stesso. Per questo motivo sarebbe “centrale” per la Chiesa l’individuazione del ruolo e del posto che le competono nell’insieme delle dette forme spazio-temporali al servizio di quel “numen tremendum et fascinosum” che una storia così intesa pretenderebbe di essere.
Ma una posizione come questa, parente non alla lontana d’una cultura idealistico-illuminista, non ha nulla a che fare con quella cristiano-cattolica, per la quale l’unica scelta da compiere è quella della “salus animarum” come “suprema lex”e l’unico rapporto da stabilire con la storia è quello che s’inizia e termina con la storia dei singoli soggetti da salvare.

Non ha senso, per la Chiesa, il problema del posto da darsi all’interno della storia. Quel posto non dipende dalle sue scelte e non cambia in base alle medesime; le fu indicato e conferito una volta per sempre dal suo stesso Fondatore, il quale la inviò “in tutt’il mondo” perché fosse ad esso presente “fin alla sua consumazione”, “presso tutte le genti, e tutte evangelizzasse e battezzasse nel nome del Padre del Figlio e dello Spirito Santo”, assicurando che solo “chi avrà creduto e sarà stato battezzato si salverà, ma non chi non avrà creduto” (Mt 28,18-20; Mc 16,15-16; Gv 14,23).
Se per un verso tutto ciò non pone la Chiesa al rimorchio della storia, per un altro non comporta per la Chiesa stessa un deficit di storicità. Era, questa, una delle tematiche di base con le quali davo inizio alle mie lezioni d’ecclesiologia, rilevando non soltanto il dasein della Chiesa, la sua appartenenza anche alla città terrena, la sua immanente storicità perfino come fattore di cultura progresso e civiltà, ma anche e soprattutto la sua trascendenza: il fatto cioè in base al quale, nel tempo e nello spazio, è la Città di Dio, il teatro dei “mirabilia Dei”, il principio ed il centro della storia salvifica, la continuazione sacramentale del Verbo incarnato in mezzo a noi.

La Chiesa, dunque, dentro la storia, come strumento degl’interventi di Dio che fanno la storia della salvezza, vale a dire come sacramento d’una divina ed attuosa Presenza all’uomo, al suo destino, agli avvenimenti del suo esserci, con lo svolgimento dei quali rivela ed attua un originario progetto non per sovrapporre alla vicenda delle epoche e dei periodi una superstoria, ma per dar alla storia come tale il carattere di quella sacralità che ne fa la vera ed unica storia. La storia cioè del compiersi, mediante l’azione della Chiesa, del regno di Dio fra gli uomini di tutt’i tempi. E’ una storia contrassegnata, fin dagl’inizi del Cristianesimo, da una forte componente escatologica, sempre più tesa verso la parousia in corrispondenza al progressivo allontanarsi del suo avvento, creduto imminente dai primi cristiani. Di conseguenza il carattere escatologico, di cui l’attesa caricava e carica il senso cristiano della storia, conferisce alla Chiesa un valore di storia globale, in netta opposizione al particolarismo della concezione giudaica. La Chiesa, infatti, non solo coestende al mondo le vibrazioni del suo senso escatologico, ma ingloba se stessa nel divenire del mondo, pur senza mai appartenergli e sempre trascendendolo, inculturandosi in esso ma non ad esso acculturandosi. Ciò tenendo nel debito conto, non sarebbe fuori della realtà chi definisse la Chiesa non solo con le parole d’Origene: “ bellezza del mondo” (5), ma anche e semplicemente come la storia del mondo: del mondo che diviene, si plasma e si realizza secondo il divino progetto.

2 – La tesi di Miccoli non è soltanto quella del posto che la Chiesa, con il Vaticano II, si sarebbe ritagliato all’interno della “Storia”, ma anche quella dell’anticoncilio e dei tradizionalisti alla riconquista di Roma. La tesi non appartiene solamente a lui; direi ch’è il caval di battaglia di quel progressismo ormai un po’ logoro che da un cinquantennio vede ad ogni angolo la reazione in agguato, la presenza cieca ostinata ed antistorica dei nostalgici che s’oppongono al Concilio, ne cancellano la natura d’evento e di nuovo inizio, ne misconoscono o non ne comprendon il messaggio e vorrebbero neutralizzarne la benefica incidenza nella storia della Chiesa. A tal fine, risuona anzi un grido d’intimidazione e d’allarme: giù le mani dal Concilio, il Concilio non si tocca. A toccarlo sarebbero, con i soliti lefebvriani e qualche teologo incapace di batter il passo con i tempi, gli stessi vertici vaticani, non tanto perché teologicamente convinti delle idee che sostengono, quanto perché preoccupati di mantener i propri privilegi di casta e perché braccati dai fanatici del Vaticano II e delle sue innovazioni.
Alla riconquista di Roma sarebbe in prima fila, oggi, Benedetto XVI così come ieri Giovanni Paolo II. Può darsi che i miei occhi sian davvero stanchi ed obnubilati, perché proprio con essi vedo scorgo constato quotidianamente il fenomeno contrario. L’attuale vicenda dei rapporti tra lefebvriani e Santa Sede lo dimostra: quando sembrava che la composizione dell’annoso dissidio fosse imminente, tutto è ritornato in alto mare. La ragione? il Vaticano II: o prendere o lasciare. Questo manda a dire, da “L’Osservatore Romano” del 2 dic. 2011, uno dei quattro esperti vaticani che, con altrettanti di parte lefebvriana, avevan tentato la soluzione del caso.

C’è evidentemente una concezione della storia asservita all’ideologia, di cui lo stesso Miccoli si rivela un assertore. Il parlare di riconquista di Roma, da parte dei tradizionalisti e soprattutto dei vertici vaticani mossi da meschini interessi non solo è privo del minimo fondamento (6), ma ignora la situazione che, da cinquant’anni a questa parte, si è spaventosamente ridotta ad una piaga:
1 - il dissenso è pubblicamente ostentato dagli stessi vescovi, come dimostra, per es., la vicenda dell’enciclica “Humanæ vitæ” e del motuproprio “Summorum Pontificum”;
2 - il Vaticano II è ufficialmente invocato com’elemento pacificatore all’interno della Chiesa, dilaniata, guarda caso, dalla cosiddetta ermeneutica del Concilio, nonché dai problemi della sua ricezione ed applicazione;
3 - la sirena ammaliatrice del mondo moderno e della sua cultura ha portato e porta la Chiesa in rotta di collisione con la fonte della sua sopravvivenza nel tempo e nello spazio, la Tradizione, con la conseguenza che i suoi connotati non son più quelli della Chiesa una santa cattolica apostolica romana, ma la nuova Chiesa in cerca del suo domani;
4 - la Liturgia, che dovrebbe sintetizzare la ragione del credere e del pregare, ha conosciuto e tuttora conosce il fenomeno d’una selvaggia creatività che neutralizza l’unità della Chiesa;
5 - l’associazionismo spontaneo ed incontrollato, nelle sue espressioni più macroscopiche come quelle del cammino neocatecumenale, strangola la comunione e la lascia in brandelli;
6 - la libertà scatenata e sfrenata ha colmato l’ambiente ecclesiale dei miasmi irrespirabili del peccato in genere ed in particolare di quello più purulento e vergognoso, la pedofilia;
7 - intere cristianità, nel nuovo mondo e nella vecchia Europa, son in preda in via di diritto ed in via di fatto a vere e proprie apostasie e scismi;
8 - già Paolo VI nel 1968 (7) e Giovanni Paolo II nel 1981 (8) avevan parlato con accenti impressionanti d’autodemolizione della Chiesa e d’una sua crisi dirompente tanto quanto imprevista là dove, in conseguenza del Vaticano II, nelle attese comuni c’era una nuova Pentecoste; da parte sua l’attuale Pontefice, anche da cardinale e non una volta sola, ha messo il dito sull’evidenza paradossale d’una Chiesa che lacera sé stessa;

E di fronte a quest’opera di così sistematica autodemolizione e lacerazione, dovuta non soltanto a teologi d’avanguardia, ma anche – almeno in alcuni casi – ai vertici stessi ed a coloro nelle cui mani il Signore pose la Chiesa, ad essi affidando il compito di pascerla e governarla, c’è chi grida all’untore e mette in guardia contro i tradizionalisti alla riconquista di Roma. Mancanza di senso critico, indubbiamente, ma non certo di fantasia.
 
NOTE

1) MICCOLI G., La Chiesa dell’anticoncilio. I tradizionalisti alla riconquista di Roma, ed. Laterza, Bari 2011, p. 401.
2) La virgola dopo “portatrice”, in effetti, introduce più che un nuovo periodo, un’epesegesi del precedente.
3) Mi riferisco ad un a nota vicenda del 452, un po’ romanzata ma reale, di cui in SABA A., Storia dei Papi, primo volume, U.T.ET. Torino 1939, p. 122-125.
4) RATZINGER J., Mon Concile Vatican II – Enjeux et perspectives, Ed. Artège, Parigi 2011.
5) ORIGENE, In Joannem commentarii, VI,301: “kosmos tou cosmou”, cf. LOSADA J., La Iglesia kosmos en Orígenes, in “Miscellanea Comillas” 51 (1969) 33-112.
6) Non dico con ciò che i “meschini interessi” sian assenti dietro il portone di bronzo. So bene che esistono e che, almeno parzialmente, pongon in una zona d’ombra gran parte di quello che di bello di buono e di santo caratterizza il Vaticano. Dico soltanto che se qualcosa di “meschino” può qui rilevarsi, è nel tentativo di far debordar il ragionamento, per mancanza d’argomenti, dal piano storico e teologico a quello morale. Tanto, si sa, qualcuno abbocca sempre.
7) PAOLO VI, Insegnamenti, Tipografia Poliglotta Vaticana, sesto volume 1969, p. 1187-1189.
8) GIOVANNI PAOLO II, Insegnamenti, Tipografia Poliglotta Vaticana , quarto volume 1981, p. 233-237.

 



gennaio 2012

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