LEV  TROTSKIJ

La vita e le opere


Parti terza, quarta e quinta


di Don Curzio Nitoglia



Parti prima e seconda
Parti terza, quarta e quinta
Parti sesta e settima






Nel cuore della guerra civile (1919-1920)

Se Lenin fu il capo della Rivoluzione bolscevica, Trotskij fu l’organizzatore e il comandante dell’Armata Rossa, che assicurò la vittoria ai bolscevichi. Si può dire, quindi, che come Marx ha teorizzato il Socialismo scientifico, Lenin lo ha calato in pratica in Russia, aiutato dall’Esercito di Trotskij, che - dopo la morte di Lenin - fu eliminato da Stalin.

Già nell’agosto del 1917 (un solo mese dopo la Rivoluzione di Kerenskij) le Guardie bianche (anticomuniste) apparvero sulla scena per contrastare sia Kerenskij che un’eventuale presa di potere da parte dei bolscevichi. Il loro comandante in capo era il generale Kornilov (coadiuvato dai generali Kaledin, Alexejev e Denikin). Le prime loro azioni belliche si svolsero sul Don e man mano, soprattutto a partire dal 1919, si estesero un po’ dappertutto. Il loro fine era la restaurazione della monarchia o almeno di un governo autoritario. Tuttavia inizialmente le loro truppe erano sparute e mal organizzate. Quindi non rappresentavano un pericolo reale per i Sovietici (cfr. PIERRE BRUAT, Histoire de l’Urss, Parigi, Presses Universitaires de France, 1949). 

L’Armata Bianca era composta da volontari, che venivano mal pagati ed erano sprovvisti di ogni cosa: armi, munizioni, divise, bagaglio, cucine da campo, viveri, indumenti caldi, stivali, ma nonostante ciò essa mantenne integro il suo ideale nazionale (cfr. GENERALE DENIKIN, The White Army, Londra, 1930).

Trotskij capì che occorreva rimpiazzare Kerenskij e creare immediatamente un Esercito bolscevico per prendere e mantenere il potere, che sarebbe stato insidiato dalle Guardie bianche con l’eventuale aiuto delle Nazioni europee, le quali temevano l’espandersi del bolscevismo anche nel Vecchio Continente. 

Per far ciò, secondo la dialettica marxista (tesi/antitesi e sintesi), Trotskij contraddisse tranquillamente i primi proclami della Rivoluzione bolscevica: adesso occorreva restaurare lo spirito di disciplina nell’esercito e un’autorità centralizzata.
Attenzione! Trotskij contraddisse, ma non rinnegò - senza nessun problema, data la sua formazione marxista - le prime conquiste della Rivoluzione rossa: soprattutto il diritto dei soldati di eleggere i propri comandanti. Infatti ora che i comandanti avrebbero dovuto combattere per il bolscevismo e non per lo Zar, se fossero stati scelti democraticamente dai soldati, non avrebbero potuto né saputo condurre una valida azione bellica. Quindi, molto astutamente, andò a scegliere i migliori specialisti dell’arte della guerra, là dove si trovavano fosse pure tra gli ex ufficiali zaristi.

Tutto ciò non significa che Trotskij rinnegasse ciò che aveva detto e fatto sino ad allora, ma secondo il materialismo dialettico, egli fece seguire alla prima fase distruttiva (tesi) della Rivoluzione bolscevica, che aveva liberato gli uomini dalla oppressione zarista, una seconda fase costruttiva (antitesi), che addestrava l’uomo oramai liberato dallo zarismo ad una nuova disciplina sociale comunista in vista del futuro “paradiso” socialista in terra (sintesi).

Molto prudentemente, realisticamente e abilmente Trotskij, da vero organizzatore o tattico, andò per gradi. Innanzitutto cercò di raccogliere e formare un nucleo forte e compatto del futuro Esercito Rosso, che avrebbe fatto da cemento e da calamita per attrarre e unificare le future reclute. Egli sapeva che era irrealistico pensare di costituire immediatamente un intero esercito senza prima aver formato una élite solida e fidata. Quindi puntò inizialmente sui volontari ideologizzati e determinati. Poi per controllare gli ufficiali ex-zaristi, ben addestrati ma non affidabili, affiancò loro la figura del Commissario politico, che doveva vigilare sulla lealtà del comandante militare e che gli era superiore.

«Nel Partito bolscevico molti dirigenti erano spaventati all’idea di servirsi di ufficiali zaristi per comandare l’esercito comunista. La vecchia guardia nel marzo del 1919 in occasione dell’VIII Congresso del Partito voleva attaccare Trotskij. Lenin era ancora titubante anche se non sfavorevole a Trotskij, ma quando seppe da quest’ultimo che nell’Armata Rossa combattevano circa 30 mila ufficiali ex-zaristi e che i casi di tradimento erano relativamente pochi in rapporto all’alto numero degli ufficiali (ex-zaristi) convenne che era impossibile congedare gli ufficiali e vincere la guerra civile e dichiarò soddisfatto: “Trotskij costruisce il nuovo coi mattoni del vecchio ordine”» (ISAAC DEUTSCHER, Il profeta armato, Milano, Longanesi, 1956).

L’Armata Rossa nell’ottobre del 1918 contava 350 mila uomini, alla fine del dicembre 1918, 790 mila e nel maggio del 1919, 1 milione e 500 mila.

Tuttavia la prima grande minaccia per la Rivoluzione bolscevica venne non dai Russi bianchi, ma dalla Legione cecoslovacca.

La Legione cecoslovacca

Essa era composta da prigionieri di guerra che erano cecoslovacchi e che avevano iniziato la Prima Guerra Mondiale con gli Imperi Centrali (Austria/Ungheria e Germania) contro la Russia zarista, ma che durante la prigionia avevano chiesto di combattere contro l’Austria/Ungheria in cambio della libertà ed erano stati accontentati. Inoltre in quel momento essa era l’unità di combattimento più forte che si trovasse in Russia.

Cessate le ostilità, gli anglo/francesi d’accordo con i Sovietici avevano deciso di  far ritornare in Patria la Legione cecoslovacca via mare, ma non avevano alcuna fretta di fornire le navi. Tuttavia la Legione aveva iniziato una lunga e faticosa marcia di trasferimento verso i porti, attraverso gli Urali e la Siberia, ma dopo lo  sbarco giapponese a Vladivostok la Legione era stata fermata. Fu allora (autunno del 1918)  che  scoppiò l’insurrezione dei Cecoslovacchi, i quali - per timore di essere riconsegnati agli antichi alleati: i Tedeschi - volsero le armi contro i Sovietici, occuparono una bella fetta della Repubblica asiatica, si allearono con le Guardie bianche del generale Kolciac, si spinsero sino al Volga, e, se avessero potuto attraversare il fiume sarebbero giunti a Mosca. La Repubblica sovietica era in grave pericolo.

Trotskij ebbe la brillante idea di far preparare un treno che fungesse da abitazione, da quartier generale (mobile) e si diresse verso il fronte. Arrivato sotto le postazioni nemiche rianimò i soldati bolscevichi che si erano sbandati, con la sua abile arte oratoria, li infiammò e li spinse a combattere. Partecipò anche ad una pericolosa incursione notturna dentro una città occupata dai bianchi. Unì il bastone alla carota, non solo infiammava i soldati, ma infliggeva anche pene severe e crudeli. Per esempio fece passare per le armi l’intero comando della piazza di Pietrogrado per impedire al generale Judenic di occupare la città. Tra settembre e ottobre la zona del Volga fu rioccupata dai Sovietici. Trotskij continuò ad agire in questo modo eroico su tutti gli altri fronti portatovi dal suo famoso treno rosso. L’Armata Rossa nacque così plasmata soprattutto da Lev Trotskij.

Nel novembre del 1918, dopo il crollo dell’Impero austro-ungarico e di quello tedesco, la pace di Brest-Litovsk fu annullata; l’esercito germanico lasciò l’Ucraina e i territori della Russia che aveva occupato. La Francia e l’Inghilterra (alleate della Russia zarista) poterono essere presenti in Russia sino a che essa era occupata in parte dai Tedeschi (loro nemici), ma con la disfatta germanica la loro permanenza non era più giustificabile. L’opinione pubblica era contraria ad un intervento massiccio in Russia. Quindi gli anglo/francesi decisero di sostenere l’Armata Bianca con pochi uomini e molto denaro, ma ciò non bastò a darle la vittoria.

Occorre specificare che in Russia durante la Grande Guerra erano presenti circa 27 mila soldati britannici, 70 mila giapponesi, 8 mila americani. Inoltre, secondo Churchill, la GB spese circa 100 milioni di sterline per aiutare l’Esercito Bianco, mentre i Giapponesi ammisero di avere speso circa 900 milioni di yen.

Il colonnello Raymond Robins della Croce Rossa americana, nelle sue Memorie, dichiarò che gli aiuti dati dall’occidente ai bianchi costrinsero i rossi sotto Trotskij a diventare un’armata di 1 milione di veri combattenti. “Il Capitalismo per mezzo dell’aiuto dato ai bianchi ha insegnato al socialismo l’arte della guerra. Gli ha fornito un’armata grossa e potente” (Raymond Robins’ Own Story, Harpers & Brothers, 1920).
 
Nel marzo del 1919 il generale bianco Kolciak scatenò una nuova offensiva dalla Siberia verso Mosca e la regione del Volga, i rossi ripiegarono precipitosamente. Fu, ancora una volta, Trotskij a salvare la situazione. Infatti riuscì a organizzare una ritirata ordinata e, dopo  2 mesi impiegati a consolidare l’esercito, preparò il contrattacco, portando l’Armata Rossa alla vittoria verso la fine di aprile, grazie ad un’abile manovra di aggiramento dell’Armata Bianca. Infine l’inseguimento, oltre gli Urali, di Kolciak portò al suo annientamento. 

Il 1919 fu l’anno decisivo della guerra civile russa. Si ebbero altre due offensive dei bianchi: quella del generale Denikin, in estate, che mirava a conquistare Mosca, e, quella del generale Judenic, in autunno, che mirava a Pietrogrado. Trotskij affrontò innanzitutto Denikin, ma gli uomini dell’Armata Rossa in quel frangente erano mal equipaggiati e mancavano di organizzazione. Lev chiese aiuto a Mosca, ma se Lenin gli era amico molti dirigenti del Politburo (l’Organo direttivo supremo del Partito Comunista Sovietico) gli erano nemici e non fecero nulla per aiutarlo, anzi si schierarono con Kamenev (il Commissario della guerra) contro di lui (il Comandante in capo) nella formulazione della strategia di attacco contro Denikin. L’Armata Rossa subì diversi rovesci per tutta l’estate. All’inizio dell’autunno i bianchi si trovavano davanti a Mosca, che oramai sembrava seriamente compromessa. Nel medesimo tempo il generale Judenic avanzava verso Pietroburgo con l’appoggio esterno dell’Inghilterra, che lo aveva rifornito di armi moderne ed efficaci. Anch’egli arrivò alla periferia della città. Lenin suggerì di abbandonare Pietrogrado per asserragliarsi a Mosca e se pure Mosca fosse caduta si sarebbe fuggiti sugli Urali, ma Trotskij e Stalin (una volta tanto d’accordo) si opposero al progetto di Lenin. Trotskij fu inviato a difendere disperatamente Pietrogrado. I carri armati britannici, in dotazione all’Armata Bianca, apparvero alla periferia della città. Il terrore invase i rossi. Trotskij decise di portare la guerriglia dentro la città, difendendola strada per strada. Il coraggio dei soldati rossi si rianimò e tutti (anche le donne, i vecchi e i bambini) combatterono. Una settimana dopo l’Armata Rossa passava al contrattacco e aveva la meglio su Judenic (MARISA PALTRINIERI, Trotskij, Milano, Mondadori, 1973, p. 98). Anche a Mosca la situazione fu ribaltata e Denikin venne sconfitto.

Le ostilità tra Trotskij e Stalin si apersero durante la guerra civile e continuarono sino alla morte di Trotskij (21 agosto 1940) anche se, durante la guerra civile Trotskij era all’apogeo del prestigio e Stalin solo uno dei tanti membri del comando bolscevico, né troppo oscuro né troppo in auge, ma col passar del tempo e soprattutto con la malattia (marzo 1923) e la morte (21 gennaio 1924) di Lenin, Stalin riuscì a rimpiazzare Trotskij (1925) come vedremo in séguito.

Nell’ottobre del 1919 la guerra civile si concluse con la disfatta dei tre eserciti più importanti dell’Armata Bianca: quello di Kolciak, di Judenic e di Denikin. Trotskij appena quarantenne venne acclamato “padre della vittoria” e insignito dell’Ordine della Bandiera Rossa. 

Nel marzo del 1920 vi fu un ultimo strascico della guerra civile. La Polonia di Pilsudski (1) reclamò con insistenza e si irrigidì eccessivamente per i confini orientali con l’Urss per i quali i sovietici si dimostrarono concilianti, ma si scontrarono con l’ostinazione di Pilsudski, che era spinto dalle Nazioni occidentali le quali consideravano la Polonia un avamposto nella guerra, che avrebbero potuto scatenare contro l’Urss temendo la penetrazione delle sue idee e opere in Europa. Trotskij e Lenin non si trovarono d’accordo riguardo alla guerra russo/polacca. Infatti Trotskij, dopo avere respinto i Polacchi fuori dei confini sovietici ben difesi dall’Esercito Rosso, avrebbe voluto trattare la pace con la Polonia, non volendo condurre una guerra offensiva contro di essa. Lenin invece non si faceva scrupolo di passare da una guerra difensiva ad una offensiva. Trotskij non voleva esportare la rivoluzione con le baionette, ma si adeguò al parere di Lenin e della maggioranza del Partito, portando la guerra in terra polacca. Tuttavia sotto Varsavia l’Armata Rossa fu battuta clamorosamente il 17 agosto del 1920. Viste le difficoltà dei Sovietici l’Armata Bianca si risollevò al comando del generale Wrangel. Il Politburo decise di abbandonare la Polonia per dedicarsi alla eradicazione definitiva dei bianchi, che fu compiuta da Stalin (cfr. ISAAC DEUTSCHER, Il profeta armato, Milano, Longanesi, 1956).

Finita la guerra civile Trotskij poté iniziare ad occuparsi per cercare di risolvere la grave crisi economica che attanagliava l’Urss. Ma questo è il tema che studieremo nel prossimo articolo.      
  

(continua)
NOTA

1 -  Joseph Pilsudski  (1867-1935) fu un uomo politico polacco. Nazionalista, deportato in Siberia (1887-1892), nella Prima Guerra Mondiale capeggiò le “Legioni polacche”, che combatterono nell’Esercito Austro-Ungarico per la ricostruzione dello Stato polacco indipendente dalla Russia degli Zar. Capo del nuovo Stato polacco (1919-1923), nel 1926 fece un colpo di Stato e instaurò una dittatura sino al 1935, di cui fu Ministro della Guerra e Presidente del Consiglio.




Parte quarta
https://doncurzionitoglia.wordpress.com/2018/06/04/trotskij-vita-opere-4/


Al timone della Russia comunista sino alla morte di Lenin (1920-1924)

Come risolvere la crisi economica?


Finita la guerra civile Trotskij cercò di risolvere la grave crisi economica che attanagliava l’Urss. La sua vita di uomo di Governo può essere divisa in due parti, la prima: dal 1920 al 1923, l’epoca dello splendore in sintonia con Lenin e destinato a diventare capo dell’Urss come suo delfino; la seconda: dal 1924 al 1940, l’epoca dell’abiezione, vinto da  Stalin, espulso dal Partito Comunista sovietico e scacciato dalla Russia in esilio per il mondo. In quest’articolo parlerò della prima e nel prossimo della seconda ed ultima fase della sua vita.

Trotskij iniziò a militarizzare il lavoro, a riformare i sindacati, a liberalizzare parzialmente il mercato, fece di tutto per uscire dal forte crack economico.

z“Il cervello di Trotskij nel ’20, quando cerca di risolvere il problema economico, è come un vulcano in eruzione. Il suo difetto – come rivela Joffe, suo grande amico – è quello di non persistere nel portare avanti un’idea, ma di abbandonarla per passare da una tesi all’altra con eccessiva disinvoltura. Così, la prima soluzione  che Trotskij suggerisce è quella della militarizzazione del lavoro. Come non si è esitato, quando la Rivoluzione era in pericolo, ad armare i lavoratori e a gettarli sotto il fuoco nemico, così è giusto, quando la Rivoluzione è in pericolo altrettanto grave per cause economiche invece che belliche, inquadrare i soldati e lanciarli nelle fabbriche, a lavorare invece che a sparare. Lenin appoggia Trotskij con entusiasmo, ma l’assemblea dei sindacati respinge la proposta” (MARISA PALTRINIERI, Trotskij, Milano, Mondadori, 1973, p. 100).

Trotskij fu disposto allora (1920) anche a fare un passo indietro sulla via del comunismo, e a tornare, pian piano, alla libertà di mercato, da concedersi soprattutto ai contadini. È quel che farà Lenin un anno dopo, mentre la proposta di Trotskij nel 1920 venne respinta…

Per quanto riguarda i sindacati, che si opposero alla militarizzazione del lavoro, Trotskij li attaccò poiché allora l’imprenditore era lo Stato socialista e lo Stato apparteneva ai lavoratori. Quindi non aveva più senso per i sindacati difendere i lavoratori da se stessi. Se i sindacalisti non volevano capire bastava sostituirli e nominarne altri più recettivi.

Lev volle sviluppare l’industria pesante, che fornisse all’Urss tutti i grandi macchinari di cui avesse bisogno, altrimenti essa non avrebbe mai potuto progredire e tentare di stare al passo con le potenze occidentali. Per fare ciò era necessario, secondo Trotskij, accumulare una forte quantità di capitale, che avrebbe consentito di costruire una economia socialista. Infatti, secondo Marx, il comunismo avrebbe dovuto essere preceduto da una forte industrializzazione e da un sistema liberal/capitalistico avanzato. In quel caso le scorte di capitale, accumulate dai borghesi, sarebbero state requisite dal proletariato ed avrebbero costituito la base su cui costruire il nuovo sistema economico socialista. Siccome in Russia ciò non si era verificato, lo Stato comunista avrebbe dovuto fare ciò che il capitalismo non-nato non aveva fatto. Lenin in questi momenti non gli fu vicino, ma il loro legame era destinato a rafforzarsi sempre di più col passar del tempo.

Invece Stalin sin dall’inizio si scagliò contro queste idee di Trotskij, che chiamava le “eresie trotskiste”, pure quando negli anni Trenta Stalin stesso attuò l’industrializzazione a marce forzate, mediante i “piani quinquennali”, che erano stati escogitati da Trotskij.

Anche riguardo alla repressione di contadini Trotskij fu un antesignano di Stalin. Infatti, mentre Lenin avrebbe voluto edificare la società socialista grazie alla dittatura coordinata del proletariato industriale e agricolo. Trotskij (seguìto poi da Stalin) impostò tutta la sua politica sulla classe operaia urbana e industriale, industrializzando forzatamente i contadini, che essendo arretrati rispetto ai cittadini non erano pienamente disponibili verso la rivoluzione socialista.  

Di nuovo in guerra contro Kronstadt

Ma non appena deposte le armi Lev dovette riprenderle sùbito. Infatti Kronstadt (la rossa cittadella della Rivoluzione) si ribellò ai bolscevichi. Per i marinai della base navale di Kronstadt Trotskij era stato un idolo nel 1917 e combatterono con lui apparentemente per Kerenskij, ma sostanzialmente contro il generale Kornilov. Nell’ottobre del 1917 i marinai di Kronstadt stavano sull’incrociatore Aurora a cannoneggiare il Palazzo d’Inverno.

Ora (1920) il vento era cambiato e i marinai di Kronstadt si rivoltarono contro i bolscevichi. Trotskij dovette intervenire e reprimere ferocemente la rivolta dei suoi ex compagni. Inoltre ciò che chiedevano i marinai nel 1920 “non era diverso da ciò che Trotskij aveva tante volte promesso nelle sue arringhe passate, non differiva molto dal primitivo programma della Rivoluzione bolscevica. Nei comizi di Kronstadt si chiedevano libertà per i lavoratori, libere elezioni per i Soviet indipendenti, un nuovo programma sociale per i contadini” (MARISA PALTRINIERI, Trotskij, Milano, Mondadori, 1973, p. 102).

“Nel marzo del 1921 il regime sovietico corse il rischio di venir spazzato via da un’ondata crescente di insurrezioni contadine, operaie e militari, che toccò il suo apice con la rivolta di Kronstadt. Gli operai infuriati chiesero la fine del comunismo di guerra in favore di un sistema di lavoro libero” (P. AVRICH, Kronstadt 1921, Milano, Mondadori, 1971).

Tuttavia i marinai aggiunsero, andando oltre la zona proibita, che “La tirannia bolscevica si era sostituita alla democrazia sovietica, perciò una terza rivoluzione doveva spazzar via i bolscevichi e instaurare finalmente il Governo dei Soviet” (Ibidem, p. 103). I bolscevichi risposero, mentendo, che la rivolta dei marinai era stata organizzata dai Bianchi ed era un tentativo di controrivoluzione. Invece il dissenso espresso dai marinai denunciava la tragica realtà dei fatti: la frattura tra il Partito e la massa dei lavoratori a soli 3 anni dallo scoppiar della Rivoluzione. Trotskij nei tempi passati aveva previsto candidamente che la dittatura del proletariato si sarebbe trasformata - grazie al centralismo democratico - in dittatura sul proletariato, ma ora aveva perso il candore del giovane, ingenuo rivoluzionario ed era diventato un perfetto discepolo di Lenin, freddo, calcolatore, spietato.

In quei frangenti occorreva usare la forza, altrimenti significava perdere il potere e compromettere quanto la Rivoluzione bolscevica aveva fatto dal 1917, rinunciando all’edificazione del “paradiso”  socialista-sovietico in terra.

La repressione scattò immediata e terribile. La benevolenza sarebbe sembrata debolezza, occorreva usare il pugno di ferro. “La sommossa fu fulmineamente soffocata nel sangue. Trotskij e Tukacevskij ne furono gli artefici” (Ibidem, p. 105). 

La fortezza di Kronstadt si preparò alla resistenza. Prenderla era difficilissimo, essa era la fortezza più munita e difesa della Russia. Non essedo cominciato ancora il disgelo Kronstadt era collegata alla terraferma dal ghiaccio. Gli assedianti dovevano avanzare allo scoperto, sul ghiaccio, sotto il fuoco dell’artiglieria della fortezza. Gli attaccanti furono spinti al massacro, vi fu un bagno di sangue degli assalitori, che se retrocedevano erano mitragliati dalle truppe speciali poste alle loro spalle. L’assalto finale fu sferrato il 17 marzo e terminò con una vittoria tanto audace quanto cruenta.

La Nuova Politica Economica (NEP)

La Nuova Politica Economica instaurata da Lenin dopo la rivolta di Kronstadt non entusiasmò Trotskij, che avrebbe insistito piuttosto sul potenziamento dell’industria pesante.

Invece quando Lenin propose – al Congresso del Partito del 1921 – di proibire le fazioni all’interno del Partito Comunista Trotskij fu totalmente d’accordo. Non è ancora la proibizione assoluta di ogni opposizione interna, ma i dissidenti, se possono manifestare singolarmente la loro opinione, non possono unirsi tra di loro per formare una corrente. Chi sbaglia sarà espulso dal Partito. Trotskij approvò il primo passo verso la soppressione della democrazia interna al Partito, che nel 1917 aveva difeso, ma poi – in dissidio con Stalin – la rivendicherà sino alla fine.

Tra Lenin e Trotskij - nonostante qualche divergenza di vedute, non di princìpi -  regnò sempre una sostanziale convergenza di fondo. Il fine che perseguirono è lo stesso, poterono divergere quanto alla scelta dei mezzi. “Agli occhi di tutta la Russia e del mondo, Lenin e Trotskij in questi anni costituirono quasi un binomio inscindibile. Le altre personalità sovietiche (compreso Stalin) furono assai distanti da Trotskij e non glielo perdonarono mai.

Quando Lenin si ammalò (nel 1922/23) si rese perfettamente conto dei pericoli costituiti dalla burocrazia del Partito, controllata da Stalin. Si rivolse a Trotskij come al suo migliore alleato e lo scoprì totalmente dalla sua parte, ma di lì a poco (la seconda metà del dicembre 1922) Lenin fu colpito da una paralisi, che gli impedì di scrivere e i medici gli vietarono anche di sforzarsi a dettare. La malattia portò Lenin sempre più vicino a Trotskij. Addirittura Lenin chiese a Trotskij di formare un “blocco” contro la burocrazia statale (che era tenuta saldamente in pugno da Stalin) e ciò accese la gelosia di Stalin. Lenin subì un secondo attacco del suo male che gli impedì di lavorare al piano di battaglia contro i burocrati. Tuttavia nei primi giorni del febbraio 1923 Lenin riuscì a dettare una forte requisitoria contro il Rabkrin (Ispettorato degli Operai e dei Contadini) e contro il suo responsabile (che era Josif Stalin); poco dopo fece presentare uno schema per riorganizzare radicalmente il Comitato centrale del Partito. Intanto esamina la questione della Georgia, che era vessata da Stalin con la sua politica verso le nazionalità non-russe, e il 5 marzo 1923 incaricò Trotskij di difendere i Georgiani dai soprusi di Stalin, mandandogli una copia di un suo dettato, che condannava esplicitamente la politica di Stalin in Georgia. I segretari di Lenin confermarono che egli era intenzionato a sferrare il colpo di grazia contro Stalin.

L’ex Impero zarista era costituito dalla Russia propriamente detta o Grande-Russia e da molti nuclei nazionali, ognuno con una sua lingua e cultura, che erano stati russificati dai Romanov. Con le nuove leggi sovietiche queste Nazioni erano diventate Repubbliche autonome e avrebbero dovuto scegliere liberamente se aggregarsi all’Urss o meno. Ora la Georgia era filo-menscevica e non voleva essere parte della Russia bolscevica. Lenin avrebbe tollerato il fatto, mentre Stalin con la sua abituale durezza fece intervenire l’Esercito. Da qui il dissidio tra i due leader sovietici e la nascita del “blocco” Lenin-Trotskij contro la burocrazia di Stalin. 

Tuttavia Trotskij perse del tempo prezioso durante il periodo della malattia di Lenin, chiamato dagli storici “inter-regno” (tra Trotskij o Stalin). Egli fu assalito dai suoi vecchi scrupoli morali. Non volle farsi avanti per non dare l’impressione di voler prendere il posto di Lenin. Ma quest’indugiare andò a tutto favore di Stalin, che privo di ogni scrupolo, essendo Segretario generale, diresse la macchina statale, nel periodo di “inter-regno”, a tutto suo favore. Inoltre Stalin era l’eminenza grigia della burocrazia del Partito e si adattava perfettamente all’ambiente ambiguo e melmoso dei burocrati. Invece Trotskij, superdotato intellettualmente, oratoriamente e organizzativamente, giocava troppo a carte scoperte e non era l’uomo adatto per combattere contro Stalin, senza l’appoggio di Lenin oramai malato e moribondo (cfr. ISAAC DEUTSCHER, Il profeta armato, Milano, Longanesi, 1956).   



Parte quinta


Dalla sconfitta alla destituzione

La malattia e la morte di Lenin favoriscono Stalin

Lenin, a causa della sua malattia, a partire dall’autunno del 1922 non poté assistere a nessuna riunione del Politburo. Quindi Stalin ne approfittò per poter plasmare l’Ufficio politico a suo piacimento. Trotskij vi si trovò completamente isolato con la sola amicizia di un Lenin oramai dimezzato e di Bucharin, che poi lo abbandonò. Stalin si alleò con Kamenev e Zinoviev e i tre assieme fecero tutto il possibile per impedire che Trotskij succedesse a Lenin come questi avrebbe voluto.

«Lenin morì il 21 gennaio del 1924. Però praticamente uscì di scena un anno prima, a causa della sua malattia, e, nel 1923 il Partito era oramai “fuori tutela”. Altre personalità si fecero avanti: Zinoviev, Kamenev e Stalin, ma al principio dell’anno, un uomo si distinse tra tutti gli altri: Trotskij. Non vi fu occasione in cui non fosse alla ribalta; scrisse sui giornali articoli di grande vigore su qualsiasi argomento, che spiccarono rispetto alle piatte dissertazioni degli altri uomini politici. La “Pravda” ha sempre spazio per lui» (SORLIN, Lénine-Trotski-Staline 1921-1927, Parigi, Armand Colin, 1972).

Stalin, tuttavia, pur scendendo in campo scelse la linea del silenzio e non fu quasi mai nominato da nessuna parte. La nomina a Segretario generale, nell’aprile del 1922, passò sotto silenzio e quasi inosservata sulla stampa. La “Pravda” del 4 aprile gli dedicò solo uno scarno trafiletto anonimo. Ma questo silenzio non fu casuale; Stalin scelse volontariamente il ruolo dell’eminenza grigia (cfr. SORLIN, cit.).

L’ingenuità e il silenzio di Trotskij

Trotskij chiese che la critica fatta da Lenin del Rabkrin (Ispettorato degli Operai e dei Contadini) diretto da Stalin venisse pubblicata, ma il Politburò oppose un netto rifiuto. Inoltre lo Schema di riorganizzazione del Comitato centrale redatto da Lenin e presentato da Trotskij fu bocciato, prendendo a pretesto alcune lievi divergenze tra lo Schema originale di Lenin e l’esposizione tracciata da Trotskij. Anzi, gonfiando il caso, si accusò Trotskij di aver travisato il pensiero di Lenin.

Il punto decisivo divenne la questione della Georgia. Lenin pur essendo ammalato, esortò Trotskij ad attaccare duramente Stalin, leggendo le note dettate da lui stesso non davanti al Politburo, ma davanti al Comitato centrale, che era più numeroso per poi renderle pubbliche durante il XII Congresso del Partito. Sembrava che per Stalin fosse arrivata la fine. Se Trotskij avesse letto le note di Lenin al Congresso lo avrebbe stritolato. Nonostante il suo isolamento nel Politburo Trotskij manteneva integra la sua fama in tutta la Russia agli occhi della quale appariva il degno successore di Lenin.

Sennonché Kamenev andò, falsamente, a trattare la resa con Trotskij, spacciandosi per vinto. Ingenuamente Trotskij fece il magnanimo. Non volle stravincere e umiliare i suoi avversari. In lui forse rimase sempre una certa traccia del vecchio romanticismo e sentimentalismo. Può darsi “orgoglio e senso di superiorità gli impediscono di impegnarsi sino in fondo contro un rivale che non giudica alla sua altezza? Buon gusto gli impedisce di assicurarsi la successione a Lenin, quando Lenin è ancora in vita?” (MARISA PALTRINIERI, Trotskij, Milano, Mondadori, 1973, p. 117).

Trotskij si accontentò delle scuse che Stalin proferì tramite Kamenev, non denunciò Stalin, non ne chiese la deposizione dalla carica di Segretario generale, come invece gli aveva suggerito Lenin. Si lasciò invischiare da Stalin in un compromesso contro il quale Lenin lo aveva messo in guardia.

Lenin, proprio in quel frangente, subì il secondo grave attacco che gli tolse ogni capacità di agire. Kamenev, Zinoviev e Stalin (chiamati allora “la troika”) rialzarono la testa, ripresero forza. Quel che stupisce di più è che Trotskij non cambiò atteggiamento. Continuò a sperare nella guarigione di Lenin senza contrattaccare. Il 21 gennaio 1924 Lenin morì, ma lasciò un’ultima “bomba” da far scoppiare, dopo la sua morte, contro Stalin: il suo Testamento, in cui dette giudizi precisi e chiari su tutti i principali dirigenti bolscevichi. Scrisse chiaramente che Stalin non era adatto alla carica di Segretario generale.

Stalin assesta il colpo di grazia a Trotskij

Quando la lettera esplosiva fu letta al Comitato centrale, Zinoviev perorò la causa di Stalin, dicendo che essa era frutto di un malinteso, che Lenin era malato e male informato (lasciando sottintendere da Trotskij) e quindi si era fatto un’idea falsa di chissà quale colpa di Stalin. Il Comitato centrale decise di tener segreta la lettera e di non leggerla al Congresso del Partito, come invece aveva disposto Lenin. Troskij inspiegabilmente tacque.

Dopo la morte di Lenin anche l’idillio  tra la stampa e Trotskij si guastò. Il 23 febbraio 1924, VI anniversario della creazione dell’Armata Rossa da parte di Trotskij, sulla “Pravda” non apparve nessuna notizia celebrativa di Lev, anzi il giornale affermò che solo Lenin fosse stato il capo e l’organizzatore dell’Armata Rossa.

Trotskij dal lato suo giudicava Stalin un “uomo mediocre, quasi nullo”. Questo giudizio di Trotskij influenzò molte persone, data la sua grande capacità di scrivere bene e chiaramente, ma lo storico americano R. C. Tucker  osservò: “Stalin fu ben più di questo, fu un politico abilissimo che si identificò con la burocrazia a ragion veduta, perché aveva capito che quello era il mezzo per giungere al potere” (The Soviet Political Mind, Norton & C., 1971). Invece Trotskij non aveva nessun alleato nell’ambiente dei burocrati del Partito e ciò gli fu  fatale.

I 2 punti del trotskismo criticati da Stalin

La critica di Stalin al trotskismo si fondò principalmente su due punti: 1°) la Rivoluzione permanente e universale, alla quale Stalin opponeva la Rivoluzione in un solo Paese: la Russia; 2°) la svalutazione dei contadini o kulaki, che poi anche Stalin perseguitò con ferocia, data la loro scarsa propensione mentale verso le idee bolsceviche e il loro attaccamento alla proprietà privata terriera (cfr. ISAAC DEUTSCHER, Il profeta armato, Milano, Longanesi, 1956).

1)    La Rivoluzione permanente

La teoria della Rivoluzione permanente, esecrata come “eresia” del bolscevismo, fu la tematica principale sulla quale batté Stalin per eliminare Trotskij, anche se nessun comunista aveva messo in dubbio, sino ad allora, il principio secondo cui il successo completo della Rivoluzione in Russia dipendesse pure dall’aiuto che le potesse venire dallo scoppiar delle rivoluzioni in altre Nazioni e soprattutto in quelle europee maggiormente avanzate economicamente e industrialmente. Lenin l’aveva spiegato sin dal 1917 e vi contava molto, ma le speranze di altre rivoluzioni simili a quella russa erano cadute, soprattutto negli anni Venti/Trenta (che segnarono l’avvento del fascismo in Italia, del nazionalsocialismo in Germania e di altri Regimi autoritari in Spagna, Portogallo, Austria…), e perciò si sentiva fortemente il desiderio di una revisione della dottrina della Rivoluzione universale e permanente a favore di un’altra, la quale facesse sentire alla Russia che doveva contare solo su se stessa per poter restare al potere. Stalin, polemizzando con Trotskij, realizzò questa revisione della dottrina leninista e non solo trotskista e ne fece il suo cavallo di battaglia, senza – naturalmente – prendersela con Lenin (cfr. LEONARD SCHAPIRO, Storia del Partito Comunista Sovietico, Schwarz Editore, 1962).

Pertanto la nuova dottrina stalinista divenne quella ufficiale del comunismo sovietico e quella sostenuta in passato da Lenin e ancora successivamente da Trotskij venne classificata come “eretica” e attribuita al solo trotskismo senza nominare il leninismo.

Certamente Trotskij non si sbagliava nel prevedere che l’edificazione del comunismo in un solo Paese e l’allineamento di tutti i Partiti Comunisti del mondo a quello russo avrebbe comportato 1°) una dittatura di ferro per imporre alla Russia (arretrata e isolata) i sacrifici sovrumani per l’industrializzazione forzata; 2°) il conformismo ideologico dei “Paesi satelliti” al modello sovietico e 3°) il dispotismo.

Altrettanto certo è che la teoria trotskista della Rivoluzione permanente era diventata avventurosa (date le circostanze storico/politiche, in cui il socialismo si era venuto a trovare dopo gli anni Venti specialmente in Europa) ed avrebbe rotto quell’equilibrio mondiale, che si era formato tra l’Urss con gli Usa e la GB (liberal/capitaliste) da una parte e l’Europa (in gran parte nazionalista e filofascista) dall’altra parte. Avrebbero tollerato queste altre Potenze l’espansione massiccia del comunismo sovietico sul loro territorio? Oppure avrebbero dovuto intervenire alla radice, cercando di estirpare il virus bolscevico sin dentro l’Unione Sovietica, attaccandola? Per preservare l’equilibrio mondiale e la permanenza del comunismo in Russia il prezzo da pagare, realisticamente, era quello di non spargere, sùbito e per principio, il comunismo al di fuori dell’Urss in modo tale da non infastidire le Potenze atlantiche ed europee.  

2)    La questione contadina

Sin dal 1905 Trotskij aveva sostenuto che i contadini erano per loro natura borghesi e attaccati alla proprietà privata. Quindi avrebbero dovuto essere guidati dal proletariato e industrializzati, affinché perdessero la loro vecchia mentalità rurale. Anche Lenin era del medesimo avviso, ma nonostante ciò vi era stata tra loro una certa divergenza quanto al modo di applicare tale teoria. Stalin riportò alla luce questa vecchia polemica e se ne servì per screditare Trotskij.

Nel giro di poco  tempo Trotskij politicamente era un cadavere. Quel che colpisce di più è il fatto che restò inerte di fronte all’attacco stalinista. Alcuni storici lo spiegano asserendo che l’intrigo era estraneo alla personalità di Trotskij, mentre era congeniale a Stalin. Tuttavia allora in Urss l’intrigo divenne questione di vita o di morte e conseguentemente la morte (governativo/politica e poi anche fisica) toccò a Trotskij.

I funerali di Lenin

Alla vigilia della morte di Lenin Trotskij si ostinava a credere nella sua guarigione, mentre Stalin già si muoveva per rovinare Trotskij e questi “in preda ad una misteriosa malattia debilitante, partì per il Caucaso” (“Encountrer”, maggio 1972). Per strada venne informato della morte di Lenin proprio da Stalin, che gli dette un’indicazione falsa sull’ora del funerale, dicendogli che avrebbe potuto continuare tranquillamente il suo viaggio perché non avrebbe fatto in tempo a ritornare. Il bello fu che Trotskij credette a Stalin senza preoccuparsi di verificare la veridicità dell’informazione. “Funerali o no, è evidente quanto fosse vitale per lui in quel momento, tornare indietro, farsi vedere di persona nella capitale. E invece Lev indugiò in Caucaso sino alla primavera, abulico e febbricitante” (“Encountrer”, maggio 1972).

Riassumendo si può dire che la causa prima di tutte le difficoltà di Trotskij in quel frangente fu che non aveva un club o una lobby che lo difendesse. Prima del 1917 era famoso per la sua incapacità di formare una stretta cerchia di persone potenti intorno a sé; dopo, continuò a restare isolato allo stesso modo… era assolutamente incapace di comunicare e legare con i suoi pari, negato al rapporto faccia a faccia tra eguali. Questa incapacità nei rapporti personali costituiva il rovescio di una brillante medaglia: il suo virtuosismo pubblico, il dono di avvincere magneticamente le masse anonime con il talento oratorio e con la penna. Come portavoce delle idee, Trotskij, poteva sommergere le moltitudini con la sua voce possente; parlando direttamente e faccia a faccia agli individui dava soltanto l’impressione di un forte ego opprimente, di vanità, di superbia... quando uno sciocco parlava con Trotskij, inevitabilmente si rendeva conto di essere stato giudicato come tale. Ma se quello sciocco andava invece da Lenin, se ne tornava soddisfatto, pensando che Lenin lo stimava e che era una persona alla mano, felice di poter sottometterglisi” (“Encountrer”, maggio 1972).

La democrazia all’interno del Partito

Pur avendo commesso questo sbaglio imperdonabile, Trotskij non rinunciò a combattere. Ma fu una battaglia condotta per conto suo (con accanto pochissimi amici fidati e politicamente non influenti), senza alleati di peso e burocrati importanti e la imperniò sulla questione della “democrazia all’interno del Partito”. 

Secondo lui il bolscevico non era un disciplinato obbediente passivamente, ma un uomo capace di formarsi una sua opinione personale e di difendere il proprio punto di vista. Il Partito doveva ammettere al suo interno delle correnti di pensiero, purché compatibili col suo programma. Quindi bisognava combattere i burocrati mummificati (leggi Stalin), che avevano soffocato il Partito con un “centralismo” esagerato.

Con la formula “democrazia interna al Partito” Trotskij attaccava la “troika” (Stalin, Kamenev e Zinoviev). Secondo lui tra tutti i pericoli il più grave era quello di un “Regime interno al Partito”. Sennonché la sua boria e arroganza erano proverbiali anche tra i pochi amici che gli erano rimasti e che gli stavano ancora accanto. Questa difesa ad oltranza della “democrazia interna”, ora che era caduto in disgrazia, sapeva di demagogia. Il suo sistema di lavoro autoritario era notorio quando era ancora vivo Lenin e qualcuno afferma che egli stesse instaurando il culto della sua personalità tra i suoi partigiani (cfr. ROY MEDVEDEV, Lo stalinismo, Milano, Mondadori, 1972). Tuttavia resta il fatto che egli seppe cogliere al centro del cuore i sintomi del male che avvolse il Partito Comunista Sovietico specialmente sotto Stalin, il che non vuol dire che fossero assenti sotto Lenin.

Tuttavia, come ha notato Deutscher, in Trotskij si notano degli atteggiamenti contraddittori tra loro, che però trovano una loro spiegazione logica a seconda del periodo in cui sono stati vissuti. Per esempio, nella prima metà del 1922 egli parlava come uomo d’ordine, centralista, “disciplinarista” e autoritario, quando denunciò davanti al Partito uno dei primi Movimenti di dissenso dalla “disciplina di Partito” che si chiamava “Opposizione operaia”; nella seconda metà del ’22 entrò in conflitto con i “disciplinaristi” del Partito. Infatti le sue teorie di quel periodo erano sostanzialmente vicine a quelle del Movimento “Opposizione operaia”, che lui stesso aveva denunciato poco tempo prima. Deutscher vi vede più che una contraddizione o un parteggiare egoistico per la posizione più favorevole a quel che succedeva a lui (in auge o in disgrazia), un contrasto intimo dello spirito di Trotskij, combattuto tra autorità e libertà, un Trotskij statista per l’autorità e un Trotskij rivoluzionario per la libertà. Un Trotskij bolscevico e un Trotskij quasi anarchico; non tanto per sua convenienza, ma soprattutto per quella della Rivoluzione. Infatti, secondo Deutscher, quando la giovane Repubblica sovietica rischiava di perire, Trotskij era per l’autorità ferrea. Invece quando la Repubblica sovietica aveva sorpassato il pericolo di morte, prevalse in Trotskij il principio libertario (cfr. ISAAC DEUTSCHER, Il profeta armato, Milano, Longanesi, 1956). Infine, può darsi anche che fosse una questione di carattere, che in Trotskij come in ogni altro uomo ha spesso le sue sfaccettature e contraddizioni.

Stalin e il Politburo ribattevano, accusando Trotskij di deviazionismo individualistico, che il Partito monolitico era il fondamento del leninismo e del bolscevismo. Forse Trotskij era rimasto in cuor suo un menscevico? Il suo individualismo esasperato lo dimostrava pienamente. Perciò, concludevano, Trotskij era responsabile di “deviazionismo piccolo borghese dal leninismo”.

Con questa etichetta infamante Trotskij fu “scomunicato” il 16 gennaio 1924 nel corso della XIII Conferenza convocata per l’occasione. La condanna fu ratificata a maggio durante il XIII Congresso del Partito russo e a giugno durante il V Congresso internazionale.

Trotskij, isolato dagli uomini, continuò a battersi rivolgendosi alla storia, alle idee, approfittando della pubblicazione delle proprie opere che era già in corso, inserì una Prefazione al III volume, raccogliente gli scritti del 1917. La Prefazione è rimasta celebre e s’intitolava Le lezioni d’Ottobre in cui difendeva il suo operato e attaccava quello della “troika” (Stalin, Kamenev e Zinoviev).

L’opera venne messa al bando e ritirata dalle librerie. Vi furono delle controaccuse massicce. In breve: la Rivoluzione d’Ottobre assieme a Lenin l’aveva fatta Stalin e non Trotskij. Inoltre il dibattito uscì dai confini della controversia ideologica per passare a quello dell’indignazione popolare contro la persona di Trotskij additato come un traditore della Rivoluzione, che avrebbe voluto distruggere il Partito, sostituendo il leninismo con il trotskismo, il  quale non è altro che una variante del menscevismo.

Nella sua opera Le lezioni d’Ottobre Trotskij cercò di trovare un perché al fallimento dell’espandersi della rivoluzione comunista anche in Europa.  Dopo aver osservato che soprattutto in Germania la situazione era matura perché scoppiasse una rivoluzione socialista, Trotskij concluse che, se il focolaio rivoluzionario si era spento era stata colpa in gran parte dell’atteggiamento esitante dei capi dell’Internazionale comunista, qualificandoli come conservatori più che come rivoluzionari, capaci solo di attendere eternamente, opponendosi all’azione per irresolutezza.

Ma la campagna contro Trotskij continuò e fu un fuoco incrociato, diretto da Stalin, di tutti i burocrati del Partito contro Trotskij. Tutti i vecchi documenti giacenti negli archivi vennero riesumati e vennero rispolverate le polemiche tra Trotskij e Lenin del tempo passato (anche se poi erano state superate dai due compagni di Partito). Pubblicate al di fuori del loro contesto, le frasi più taglienti divennero esplosive. Per esempio, Lenin chiamò “porco” Trotskij, mentre quest’ultimo confidava i propri dubi su Lenin al menscevico Cheidze. Tutte queste citazioni estrapolate, messe assieme dettero l’impressione che Trotskij fosse veramente un menscevico in aperto contrasto con Lenin.  Nella polemica finirono anche i personaggi della “troika” (Kamenev, Zinoviev e Stalin), ma Stalin, che astutamente aveva sempre giocato il ruolo del personaggio occulto o dell’eminenza grigia, venne appena sfiorato dalle citazioni riprese e la polemica finì a tutto suo vantaggio.

La polemica iniziata da Trotskij col suo libro Le lezioni d’Ottobre si rivoltò contro di lui come un boomerang. Egli venne destituito dalla carica di Commissario per la guerra il 17 gennaio del 1925 e assegnato al Comitato delle concessioni per il commercio estero. Durante tutto il 1925 sino all’estate del 1926 la lotta tra Stalin e Trotskij sembrò essersi arrestata. Invece si riaccese ancor più violenta quando Zinoviev e Kamenev, essendosi separati da Stalin, andarono all’opposizione e cercarono Trotskij per allearsi con lui e riprendere la lotta questa volta in tre contro Stalin (cfr. P. NAVILLE, Trotskij vivant, Parigi, Juliard, 1962). 

(continua)

 

Parti prima e seconda
Parti terza, quarta e quinta
Parti sesta e settima

giugno 2018
AL SOMMARIO ARTICOLI DIVERSI