Magistero o tradizione vivente ?
 

di Don Jean-Michel Gleize

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(i neretti sono nostri)



Nel corso di una conferenza tenuta a Sion (Svizzera) il 25 gennaio del 2012, intitolata Magistero o tradizione vivente?, don Jean-Michel Gleize, professore di ecclesiologia presso il Seminario di Ecône, ha fatto alcune precisazioni riguardo al suo studio Una questione cruciale, apparso nell’ultimo numero del Courrier de Rome del dicembre 2011, studio che è stato inviato come complemento alla risposta di Mons. Bernard Fellay sul Preambolo dottrinale.

Ecco i passi più significativi di questa conferenza.

Ci si obietta insomma che il solo magistero vivente degno di questo nome sia il magistero di oggi, non quello di ieri. Solo il magistero odierno è in grado di dire ciò che è conforme alla Tradizione e ciò che le è contrario, poiché solo esso rappresenta il magistero vivente, interprete della Tradizione. Quindi, delle due l’una: o noi rifiutiamo il Vaticano II giudicando che è contrario alla Tradizione e quindi contraddicendo il solo magistero possibile, il magistero vivente, che è quello di oggi (quello di Benedetto XVI), e allora non saremmo cattolici, ma protestanti; o noi decidiamo di non essere protestanti e allora saremmo obbligati ad accettare il Vaticano II, obbedendo così al magistero vivente, che è quello odierno, e dichiarando che il Concilio è conforme alla Tradizione.
Si tratta di un dilemma, cioè di un problema senza soluzione apparente, salvo le due indicate: se si vuole sfuggire ad uno dei due corni, si incappa nell’altro.
Ma in realtà questo dilemma è falso. Perché in effetti vi sono dei falsi dilemmi…

Le due alternative sono evitabili, entrambe contemporaneamente, poiché vi è una soluzione terza. È possibile rifiutare il Vaticano II senza essere protestanti ed obbedendo al magistero; è possibile non essere protestante ed obbedire al magistero senza accettare il Vaticano II. (…) il dilemma è falso perché si omette una distinzione indispensabile.
Se si distingue, si trova il modo di venir fuori dal dilemma, perché si dimostra che esiste una terza alternativa. La nostra risposta consiste nell’effettuare la distinzione.

(…) il magistero vivente non è tale per opposizione al magistero passato, ma solo per opposizione al magistero postumo. Questo magistero vivente è quello del presente, ma è anche quello del passato. L’obiezione che ci viene rivolta è basata sulla assimilazione del magistero vivente col magistero presente, opponendolo al magistero passato. Questa assimilazione si determina perché ci si pone dal punto di vista esclusivo del soggetto. Non si distingue più tra i due punti di vista: quello della funzione (o del magistero vivente che è ad un tempo presente e passato) e quello del soggetto (dove il magistero vivente è solo quello presente). Si confondono i due, riducendo così il magistero vivente al magistero presente.

Il sofisma che ci si oppone consiste nel confondere i due significati dell’aggettivo “vivente” attribuito al magistero. Noi diciamo che il magistero vivente comprende tutto il magistero, passato e presente, ponendoci in tal modo dal punto di vista corretto, che è quello della costanza di una funzione sempre in vigore, il cui atto è definito dal soggetto.
L’obiettante si pone dal punto di vista del soggetto e pretende che il magistero vivente coincida esclusivamente col magistero di un individuo presentemente in vita.

Perché questa confusione? Perché ridurre il magistero vivente al magistero del presente?
Perché da dopo il Vaticano II si è voluto inventare un nuovo magistero. Il magistero è stato ridefinito come avente il compito di esprimere la continuità di un soggetto e non più quella di un oggetto. Continuità di un soggetto, ci dice Benedetto XVI nel discorso alla Curia del 22 dicembre 2005, che cresce nel tempo e che si sviluppa, rimanendo tuttavia sempre lo stesso: l’unico soggetto del Popolo di Dio in cammino.
Per Roma, il magistero vivente è precisamente il magistero di Benedetto XVI, in opposizione al magistero di San Pio X o di Pio XII. E questo magistero è attuale perché è soggettivo, perché esprime la continuità di un soggetto. È questo uno dei presupposti della tradizione vivente, nel discorso del 2005.

Il magistero non si definisce più in funzione della verità eterna e atemporale della Rivelazione (che rimane la stessa, che sia passata, presente o futura). Questo nuovo magistero si ridefinisce in funzione del soggetto presente dell’autorità, egli stesso organo di un altro soggetto più fondamentale che è l’unico Popolo di Dio in cammino attraverso il tempo. Il magistero vivente è sempre quello di questo tempo presente, poiché si pone in relazione col Popolo di Dio così com’esso vive in questo tempo presente. Il ruolo del magistero è di assicurare la continuità di un’esperienza, esso è lo strumento dello Spirito che alimenta la comunione assicurando «il collegamento tra l’esperienza della fede apostolica, vissuta nella comunità originale dei discepoli, e l’esperienza attuale di Cristo nella sua Chiesa» (Benedetto XVI, La comunione nel tempo: la tradizione, udienza del 26 aprile 2006, in L’Osservatore Romano n° 18 dell’ed. francese del 2 maggio 2006, p. 12)




febbraio 2012

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