L'insolita lezione di
Mons. Fernando Ocariz
 
di Don Philippe Toulza

L'articolo è stato pubblicato sul n° 206 (marzo-aprile 2012) della rivista Fideliter
e riprodotto da La Porte Latine, sito ufficiale della Fraternità San Pio X in Francia



  
Un prelato ha recentemente riaffermato che il Vaticano II era un passaggio obbligato, fornendo una lezione di obbedienza insolita. Quanto a noi, amabili come lui, ci rifiutiamo di ricevere questo Concilio, che non ha la qualifica per obbligarci e rimane disastroso e catastrofico.

Mons. Ocariz, vicario generale dell’Opus Dei, nell’Osservatore Romano del 5 dicembre scorso, ha pubblicato un articolo per esortare ad accettare gli insegnamenti del Vaticano II: secondo lui ogni cattolico deve accettare questo Concilio.
Se egli cerca di persuaderci è perché, dopo il rifiuto opposto a questo Concilio da Mons. Lefebvre e dalla Fraternità San Pio X, altre voci si sono levate recentemente, perfino in seno alla «parte ufficiale» del clero.
Che dice questo articolo? Che gli insegnamenti del Concilio esigono da parte dei cattolici attitudini differenti, a seconda dell’autorità di tali insegnamenti, e che, per ciò che riguarda gli insegnamenti che attengono alla religione, si è tenuti ad aderirvi.
Riprendiamo questi tre punti.

Un Concilio dottrinale?
Mons. Ocariz non è d’accordo con l’idea diffusa, e di cui si lamenta, secondo la quale, essendo il Vaticano II un Concilio pastorale, esso non intenderebbe insegnare alcunché sulla dottrina cattolica. No! Protesta il vicario generale dell’Opus Dei, e spiega: il Concilio è pastorale, è vero, ma non per questo non ha voluto insegnare alcunché sulla dottrina; pastorale non si oppone a dottrinale. Mons. Ocariz qui ha ragione.
Ma chi avrebbe capito le cose in modo diverso? Le forze della Tradizione?
Certo che no!
In effetti è indubbio che il Vaticano II si è voluto pastorale, Giovanni XXIII lo ha ripetuto più volte: il Concilio corrisponde ad un magistero «a carattere prevalentemente pastorale (1)». D’altra parte, è certo che il Vaticano II ha voluto insegnare dei punti della dottrina cattolica, quando per esempio ha ricordato che Cristo inviò da parte del Padre lo Spirito Santo (2).
Infine è indubbio, come dice Mons. Ocariz, che l’insegnamento della dottrina «è parte integrante della pastorale». La cosa è facile da comprendere: ciò che è pastorale attiene al compito del pastore. Ora, cosa significa essere pastore, nel Nuovo Testamento? Significa essere sacerdote per la cura delle anime, quindi, pastorale è sinonimo di sacerdotale (3). Ora, il sacerdozio, nella Chiesa cattolica, si esercita in tre direzioni al servizio delle anime: l’insegnamento della dottrina, la direzione delle coscienze, la santificazione con i sacramenti.
L’insegnamento della dottrina è dunque il primo compito del pastore! Non è dunque la Fraternità che può sentirsi presa di mira dalla critica di Mons. Ocariz.
Chi allora?
I padri conciliari, pensiamo noi. Poiché essi hanno orientato gli spiriti verso la confusione, dichiarando, il 6 marzo del 1964: «Visto il carattere pastorale del Concilio, esso ha evitato di pronunciare in maniera straordinaria dei dogmi aventi la nota dell’infallibilità (4)».
Il Concilio è stato pastorale, sia; ha evitato di definire dei dogmi, sia (5), ma in che il fatto di essere pastorale può condurre a non pronunciare dei dogmi? Se essere pastorale significa essere orientato verso il gregge e se è utile al gregge mostrare ciò che bisogna credere, ecco che possiamo dire il contrario: essere pastorale esige talvolta che si definiscano dei dogmi!

Divisione nel Concilio…
Mons. Ocariz continua dividendo il contenuto del Concilio in tre categorie. Innanzi tutto vi sono gli insegnamenti derivanti dalla dottrina cattolica:
1) insegnamenti già definiti prima come dogmi dal Magistero infallibile della Chiesa: il Vaticano II non fa che richiamarli, come quando dichiara che i vescovi cattolici sono i successori degli Apostoli (6). Il cattolico deve far suoi questi insegnamenti, in virtù della fede. Punto, questo, che non pone alcuna difficoltà (7).
2) Insegnamenti che non sono stati definiti prima e che non sono definiti neanche dal Concilio (che non usa l’infallibilità).
E infine una terza categoria:
3) Considerazioni che non derivano dalla dottrina, per esempio le «descrizioni dello stato della società, suggestioni, esortazioni, ecc.», come quando il Concilio osserva che «Le condizioni di vita dell'uomo moderno, sotto l'aspetto sociale e culturale, sono profondamente cambiate (8)». Mons. Ocariz confessa che non si è obbligati ad aderirvi.

Di queste tre categorie, ci soffermeremo sulla seconda, quella su cui il prelato si dilunga e che dunque fa discutere.

Le «novità».
È chiaro che nel dominio religioso il Concilio insegna numerosi punti che non sono mai stati definiti dal Magistero infallibile anteriore al Vaticano II. Ve ne sono di due tipi:
1) quelli che senza essere stati definiti sono stati tuttavia insegnati prima del Concilio.
2) quelli che non sono stati né definiti né insegnati prima del Vaticano II e che Mons. Fernando Ocariz chiama «novità di ordine dottrinale» (9). La libertà religiosa appartiene a questo gruppo.

A proposito di quegli insegnamenti che appartengono a ciò che si chiama Magistero non infallibile, ma autentico, Mons. Ocariz si chiede quale dev’essere l’attitudine dei fedeli. Devono crederci in virtù della fede? No, poiché l’adesione della fede esige che si sia assolutamente certi della verità di ciò che è insegnato, e questa assoluta certezza può esserci solo se il Magistero è infallibile, appunto.
Allora, come ci si deve comportare?
Li si deve accogliere con un «ossequio religioso della volontà e dell’intelletto», come lo descrive Mons. Ocariz: «Tale adesione non si configura come un atto di fede, quanto piuttosto di obbedienza (…)».
Questo punto è esatto: se la Chiesa insegna qualcosa senza esercitare il suo privilegio dell’infallibilità, non per questo i fedeli devono considerare questo insegnamento come fosse poca cosa! Le anime devono ricevere questo insegnamento come sicuramente vero, ma non di una certezza assoluta: di una certezza solo condizionata, nel senso che, come dice Joachim Salaverri (10), si deve aderire a quest’insegnamento «a condizione che la Chiesa non decreti qualcosa d’altro con un’autorità uguale o superiore».

Ora, secondo Mons. Ocariz – e su questo punto egli non dice tutto quello che bisognerebbe dire – si deve aderire a quest’insegnamento in ogni caso e lo si deve considerare come vero. Secondo lui, quanto tali punti insegnati in maniera non infallibile sembrano causare delle difficoltà circa la loro continuità con la Tradizione, è opportuno «respingere» ogni tentativo di interpretazione che porterebbe ad una incompatibilità con la Tradizione.

Vediamo: se, per esempio, il Vaticano II insegna che ogni uomo ha diritto alla libertà di culto, qualunque sia la sua religione (foss’anche l’islam), i cattolici, anche se non sono tenuti a crederci di fede divina (caspita!) e anche se questo insegnamento sembra loro inconciliabile con gli insegnamenti di Pio IX, Leone XIII o Pio XII, devono respingere ogni tentazione interiore che li porti a giudicare questa teoria della libertà religiosa come falsa. Dal momento che Roma, interprete «autentico» del Concilio, ha interpretato questo elemento come conforme alla Tradizione, allora è opportuno scacciare ogni idea contraria.

L’errore non può essere imposto
L’esigenza che ci impone così Mons. Ocariz è ingiusta.
I teologi che prima di lui hanno approfondito la questione di questo famoso «assenso interno» dell’animo, hanno considerato l’ipotesi di un errore nei decreti del Magistero autentico in maniera del tutto diversa.
Secondo Forget, per esempio: «È principio generale che si deve obbedienza agli ordini di un superiore, a meno che, in un caso concreto, l’ordine non appaia manifestamente ingiusto; parimenti, un cattolico è tenuto ad aderire interiormente agli insegnamenti dell’autorità legittima, fino a quando non gli è evidente che una asserzione particolare sia erronea (11)».
Edmond Dublanchy spiega: «Se in un caso particolare dei dubbi che appaiono fondati bloccano l’intelligenza e impediscono la sua adesione all’insegnamento proposto, per porre fine a quest’attitudine dell’animo si devono sottoporre questi dubbi a delle guide in grado di illuminare l’intelligenza o li si devono sottoporre all’autorità stessa (12)».
Secondo Antoine Straub, al cospetto di questi decreti non infallibili, il «figlio della Chiesa che sa che questo decreto non è perentorio» deve «disporsi in maniera tale che può non prestare il suo assenso se la Chiesa, con una sentenza infallibile, ha giudicato diversamente su ciò che afferma il decreto, oppure se lui stesso si accorge che la cosa affermata dal decreto ripugna alla verità. Infatti è possibile che, per accidenti, il decreto appaia a qualcuno [1°] o certamente falso [2°] o del tutto opposto alla fondata ragione, tale che la forza della ragione non venga minimamente schiacciata sotto il peso dell’autorità sacra [della Chiesa]. Ebbene, poiché quello che si chiede è un’obbedienza ragionevole, se si verifica la prima ipotesi [1°], sarà lecito non assentire al decreto, se si verifica la seconda [2°] sarà lecito dubitare o anche ritenere che la tesi che allontana dal sacro decreto sia anche probabile, e che pertanto non è permesso contraddirla pubblicamente in ragione del rispetto che è dovuto all’autorità sacra… ma bisognerà mantenere il silenzio che si chiama «ossequioso» o esporre con umiltà la difficoltà al sacro tribunale o ricorrere al giudizio infallibile di un tribunale superiore (13)».

Per riassumere le parole di questi teologi, se il cattolico si accorge che un insegnamento non infallibile della Chiesa è chiaramente falso:
1) È lecito «sospendere l’assenso». È la scelta della Fraternità.
2) Bisogna rivolgersi all’autorità presentando i propri dubbi. È quello in cui s’è impegnata la Fraternità ancora recentemente.
3) Questo ricorso all’autorità deve farsi in privato e con rispetto. Il ricorso è iniziato già nel corso delle sessioni del Concilio (il cui carattere è privato), nel corso delle quali Mons. Lefebvre si è impegnato senza sosta per far valere, presso il Papa, l’ispirazione liberale dei testi conciliari. Ma da momento che l’autorità si è rifiutata di giustificarsi circa l’incompatibilità del Concilio col Magistero anteriore (appellandosi solo all’ubbidienza), la nostra resistenza è divenuta pubblica e se, in tale o tal’altra occasione, il rispetto non è stato perfettamente praticato, questo lascia immutato il diritto di non assentire agli esotismi del Concilio. E dopo tutto, che si onori anche il merito della contestazione!
4) Il Magistero attuale, ogni volta che ha affermato il carattere tradizionale di tutto il Concilio, non l’ha mai fatto in condizione di infallibilità: quindi, appoggiandoci al Magistero tradizionale e infallibile precedente il Vaticano II, noi continuiamo a rifiutare le novità.

Mons. Fernando Ocariz, escludendo la possibilità che il Magistero autentico, quando si esprime sulla Rivelazione o quando interpreta degli insegnamenti da esso stesso proposti altrove, possa sbagliarsi, fa di questo Magistero autentico un Magistero infallibile e chiede una obbedienza cieca che è sinonimo di peccato.
Poiché il Magistero non infallibile può errare, non è impossibile che dica che la società debba essere non confessionale oppure che dica che Dio benedice l’Islam. Allora noi abbiamo, non solo il diritto di non riceverlo, ma ci è «fisicamente» impossibile fare diversamente!

Abbé Philippe Toulza, Direttore delle Editions Clovis-Fideliter

NOTE
1 - Allocuzione al Sacro Collegio, del 23 dicembre 1962 (sito Vaticano)
2 - Ad Gentes, § 4.
3 - Dunque tutti i Concilii della Chiesa sono pastorali.
4 - Documentation Catholique n° 1466 (6 marzo 1966), coll 418-420.
5 - Qui non è nostra intenzione criticare il rifiuto di definire.
6 - Lumen gentium, § 20.
7 - Certe analisi anticonciliari molto recenti sostengono che il Vaticano II non deriva affatto dal Magistero della Chiesa (né infallibile, né autentico). È una tesi. Ma anche senza aderire ad essa, il rifiuto delle novità è giustificabile, come si sforza di dimostrare questo articolo.
8 - Gaudium et spes, § 54.
9 - È legittimo, ricordando che il Magistero non fa che ripetere la Rivelazione, ma che ha anche la facoltà di approfondirne la conoscenza con lo sviluppo omogeneo. Dal momento che si approfondisce, si scoprono delle profondità fino ad allora nascoste. Ecco perché l'autore parla di novità. Ma, diciamo noi, questa operazione consiste nel rendere più chiaro ciò che era confuso, o più esplicito ciò che era implicito, o più attuale ciò che era virtuale. Ma, propriamente parlando, queste cose non costituiscono delle «novità». il termine «novità», di per sé esprime una «cosa nuova», e non l'aspetto sconosciuto di una «cosa vecchia».
10 - De Ecclesia Christi, BAC, Madrid, 1962, § 666 (traduzione dell'autore)
11 - «Congregazioni romane», Dictionnaire de théologie catholique, col. 1108. Citiamo volentieri quest'opera, più accessibile ai lettori più di altre.
12 - «Infallibilità del Papa», DTC, 1709-1714. Si veda anche Louis Billot, De Ecclesia Christi, Pontificia Università Gregoriana, 1827, p. 448, in particolare la fine della nota 1.
13 - In Salaverri, op. cit. Lucien Choupin e Salaverri ammettono che vi possano essere delle «ragioni assolutamente evidenti contro il decreto» e chiedono di riferirsi «con la dovuta deferenza alla Sacra Congregazione». Choupin ammette che in tal caso si sospenda il proprio assenso e si mantenga un «silenzio ossequioso».   




marzo 2012

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