Aperto il Sinodo sui giovani

all’insegna della blasfemia portata in trionfo
da papa Bergoglio




di Giovanni Servodio






Non ci sforziamo neanche un po’ per minimizzare le azioni, i gesti e le parole del signore argentino che siede al posto del Papa; ma certo lui non perde occasione per ribadire la sua manifesta volontà di voler distruggere la Chiesa… Dio permettendo!

L’ultima mala impresa del tanghéro vescovo di Roma la si è vista il 3 ottobre scorso, nel corso della Messa celebrata sul sagrato di San Pietro per l’apertura del XV Sinodo dei Vescovi sul tema “I giovani, la Fede e il discernimento vocazionale”.

Bergoglio si è presentato alla Messa brandendo un “pastorale”, un vincastro del tutto inedito composto da un’asta in legno sormontata da una forcella; che ricorda il bastone in salice da vimini che in genere usano i pastori per stimolare o indirizzare le pecore e per bastonare i cani randagi e i lupi che si avvicinano al gregge.




E Bergoglio benedice pure con la forca in mano

Fin qui niente di strano, salvo il fatto che Bergoglio non è un pastore che porta le sue pecore al pascolo o le guida per la transumanza. Bergoglio, anche se lui si rifiuta di esercitarla, ha la funzione di guidare in terra le pecore di Gesù Cristo, per conto di Gesù Cristo e in nome di Gesù Cristo… qualcosa di chiaramente diverso dalla funzione del pastore che conduce il gregge di pecore.

La cosa che invece suscita curiosità e, dopo attenta riflessione, indignazione, è la forma di questo vincastro.
In genere, il bastone del pecoraio è un’asta che in cima finisce con una mezza voluta, utile per agganciare qualcosa che sta in alto o per tirare per i piedi le pecore riottose o i cani randagi insistenti o i lupi aggressivi, utile anche per appendervi una “sporta” con le vettovaglie.
Tenendo conto dell’accostamento che Gesù Cristo stesso fa (cfr. Gv. 10, 1-16) tra il pastore di pecore e il pastore di anime, tale bastone con la mezza voluta è diventato il pastorale dei vescovi cattolici, dove è presente il ricciolo che sormonta ancora oggi i pastorali dei vescovi e che ha sormontato quasi sempre i pastorali dei papi, in questo caso talvolta sostituito con una croce. Sia il ricciolo, a volte arricchito con scene del Vangelo, sia la croce indicano la funzione spirituale del pastore cattolico che guida le anime dalla terra – l’asta – al cielo – il ricciolo -  o a Gesù Cristo – la croce.



Bastone del pastore di pecore


Pastorale del pastore d'anime


Ebbene, di tutto questo non v’è traccia in questo vincastro brandito da Bergoglio il 3 ottobre, anzi, una traccia c’è ma invertita… lo vedremo tra poco.

La prima cosa che salta all’occhio è la sostituzione del ricciolo o della croce con una forca… e subito viene in mente che mentre i due primi simboli indicavano l’unità – del Cielo o di Cristo – questa forca indica chiaramente la divisione, e proprio sul punto del vincastro che dovrebbe portare il segno della funzione della Chiesa in terra: raccogliere ciò che è sparso e ricondurlo all’unità di Gesù Cristo, che è Dio.






Ma se si guarda attentamente il culmine di questo vincastro, ecco che esplodono l’inversione dei simboli, la blasfemia e la satanicità espresse da questo vincastro bergogliano.

In cima al bastone, alla base della forca, si nota una figura umana, presumibilmente scolpita.




Non è difficile considerare che debba trattarsi di un richiamo a Gesù Cristo posto in cima alla croce. Ma, come si vede, della croce non v’è traccia e quindi ciò che rimane, in superba evidenza, è questa debole immagine di Gesù Cristo sormontata dalla forca; il che equivale inevitabilmente – e c’è da pensare  volutamente – a Gesù Cristo portatore di divisione – la forca – e, ancor peggio, a Gesù Cristo sormontato da due corna.
L’inversione dei simboli è chiara e inequivocabile, come è manifesta la blasfemia, dal momento che questo culmine del “pastorale” di Bergoglio non rappresenta altro che il demonio… cornuto e portatore di divisione.
Uno scandalo, si dirà, se non fosse che Bergoglio non è nuovo a scandali del genere, al punto che sono diventati la cifra del suo abusivo pontificato. Questa volta Bergoglio ha voluto essere più esplicito e, in occasione del Sinodo per i giovani, ha voluto mostrare a questi e a tutti i fedeli – urbi et orbi – di che pasta è impastato.
Una pasta preternaturale, di fattura diabolica, approntata appositamente per provare a condurre la Chiesa di Cristo alla distruzione… Dio permettendo.

Ci siamo chiesti: ma chi è che ha anche solo immaginato una diavoleria del genere?
Evidentemente non lo sappiamo, almeno per ora, ma sappiamo che tale inedito attrezzo è stato offerto in dono a Bergoglio, l’11 agosto scorso, dai giovani radunati dalla CEI al Circo Massimo in preparazione del Sinodo di ottobre, e in quella occasione la ragazza che ha offerto il dono avrebbe detto a Bergoglio – come riportano i giornali cattolici – “Come sarebbe bello se questo bastone pastorale l’accompagnasse durante il Sinodo dei Giovani!”





Quindi, non potendosi pensare che gli ideatori e gli artifici del bastone con la forca siano stati i giovani, si è obbligati a ritenere che il tutto è sorto in seno alla CEI e in particolare tra i preti che dirigono il “Servizio Nazionale per la Pastorale Giovanile”, organizzatore dell’evento.
Ora, ben sapendo che la cosa non poteva essere presentata a Bergoglio come una sorpresa, è chiaro che il tutto dev’essersi svolto col suo consenso, tale che in realtà la responsabilità ricade interamente su di lui. Non a caso vediamo Bergoglio che si reca tranquillamente a celebrare la Messa brandendo il vincastro demoniaco: che Messa avrà celebrato? E non a caso vediamo Bergoglio brandire imperterrito e gongolante l’attrezzo stregonesco in quello stesso luogo in cui venne martirizzato il primo Papa, San Pietro.

Ma continuiamo a parlare di “demoniaco” e di “stregonesco”, perché?
Perché sono fin troppi gli elementi che obbligano a parlare in questo modo, vediamoli.

Come premessa consideriamo che Bergoglio ha dimostrato di avere una particolare predilezione per il pastorale in legno: in questi cinque anni l’ha usato 14 volte su 20, e con questa volta si arriva a 15 volte su 21.





La giustificazione apparente sarebbe la ricerca della semplicità e della povertà, ma in realtà Bergoglio si rifiuta di considerare i simboli pontificali come espressione della magnificenza morale e spirituale della sua funzione, che è riconducibile a Dio. Questo supposto papa non perde occasione per sminuire la figura e l’importanza del Papato, tranne esercitare una sorta di dispotismo in forza della sua posizione di potere come uomo. Il Papato va ridimensionato – ha già detto espressamente Bergoglio - e la dottrina della Chiesa va cambiata – ha dimostrato a più riprese nei suoi interventi – e la sacralità soprannaturale della Chiesa va ridotta a mera ordinarietà naturale – come dimostrano appunto i suoi pastorali preferiti. E’ la stessa concezione che lo ha portato a rigettare l’anello pontificale e la croce pettorale in oro, per sostituirli da subito con un anello e una croce in ferro.
Semplicità? In verità, nell’uso del ferro al posto dell’oro vi è molto di più della pretesa semplicità, vi è uno scadimento dal superiore all’inferiore… dal celeste all’infero, come vedremo di seguito.

In cima alla forca si vede un chiodo di ferro, appunto, che passa da un ramo della forca all’altro. Che vorrà significare?
Il primo richiamo che viene in mente è quello dei chiodi con cui Gesù Cristo venne inchiodato sulla croce. Quei chiodi, oltre a ferire gravemente Nostro Signore, fecero della croce e di Gesù Cristo una cosa sola, e così l’ha sempre raffigurato l’iconografia cristiana.
Ma i chiodi della crocifissione sono tre, non a caso, e simboleggiano la SS. Trinità. Non solo, ma i tre chiodi trovano la loro sublimazione e il loro coronamento simbolico nella testa di Gesù Cristo, ricordando così la riconduzione all’unità di ciò che è sparso.
I tre chiodi corrispondono ai tre bracci della croce: i due orizzontali e il verticale inferiore, completati e ricapitolati dal braccio verticale superiore ove si trova la testa di Gesù Cristo. Il tutto richiamato magistralmente dallo stesso San Paolo:
«Che il Cristo abiti per la fede nei vostri cuori e così, radicati e fondati nella carità, siate in grado di comprendere con tutti i santi quale sia l’ampiezza, la lunghezza, l’altezza e la profondità, e conoscere l’amore di Cristo che sorpassa ogni conoscenza, perché siate ricolmi di tutta la pienezza di Dio.» (Efesini 3, 17-19)

Dove l’ampiezza e la lunghezza si riferiscono ai due bracci orizzontali della Croce, la profondità al braccio verticale inferiore e l’altezza al braccio verticale superiore… mentre il cuore di Gesù Cristo è posto al centro della croce a ricordare “l’amore di Cristo che sorpassa ogni conoscenza”.




Ebbene, in questo vincastro di Bergoglio non v’è traccia di tutto questo, si evidenzia solo un chiodo che trafigge e insieme unisce i due rami della forca, non più a rappresentare l’unità della croce, ma a raffigurare i due bracci che, già di per sé non riconducibili all’unità, sono dominati dal chiodo di ferro. E tale chiodo di ferro, come ferì e trafisse le carni di Gesù Cristo, così trafigge ogni e qualsivoglia parte volesse anche solo tendere all’unità… infatti il chiodo, che apparentemente sembrerebbe unire, in realtà tiene forzamento divisi i due rami della forca.
Il simbolo è quindi chiaramente divisivo, chiaramente diabolico, chiaramente espressivo del dominio di Satana su questo mondo… e tale simbolo è portato bellamente in mostra da Bergoglio fino alla celebrazione della Messa.

Ma c’è di più. Questa forca, così inusuale e impropria per il culmine del pastorale pontificio (ma anche di quello dei semplici pastori), è invece usuale e propria del mondo variegato e variamente articolato dei culti inferi: dalla stregoneria al satanismo. Qui la forca, quale simbolo divisivo, è espressione del demonio, portato così in mostra e utilizzato per indicare il dominio di Satana e la sottomissione degli adepti al Principe delle Tenebre.




Streghe che impugnano la forca
con al centro la forca quale simbolo del demonio




Altarino satanico che oltre a raccogliere in alto oggetti rituali dei culti pagani orientali,
contiene in basso l'emblema del demonio,
con a sinistra le scope delle streghe e a destra la forca


La natura di questa simbologia è confermata dalla contestuale presenza del chiodo di ferro che, oltre a quello che abbiamo detto prima, nei rituali satanici simboleggia il culto fallico e il coito, espresso qui dalla penetrazione del chiodo da un ramo all’altro della forca.

Qualcuno potrebbe pensare che noi forziamo la mano, e forse è anche possibile, ma è un fatto che tale simbologia sia ben nota ed usata negli ambienti occultisti; e come se non bastasse, siamo rimasti colpiti da un altro particolare in qualche modo concordante che si riscontra nella foto che mostra la ragazza che consegna questo supposto pastorale a Bergoglio.
L’inquadratura della foto sembra proprio che voglia mettere in risalto tale particolare.






La ragazza porta al polso sinistro un filo rosso intrecciato e annodato che termina con un’appendice; ed è proprio con la sinistra che offre a Bergoglio il bastone con la forca.





Di che si tratta?

Ci asteniamo volutamente, a giusta ragione, dal proporre ipotesi che possono derivare dall’accostamento tra questo filo rosso e quello che si ritrova al polso di certe streghe adoratrici del demonio, ma indubbiamente tale ninnolo, col suo colore, non è qualcosa di semplicemente ornamentale e di innocuo, bensì è un oggetto scaramantico che in questo mondo moderno dimentico di Dio è ormai diffuso ovunque, una sorta di “foramalocchio” al pari del vecchio cornetto rosso.
Non v’è dubbio, comunque, che non si tratti di un oggetto cattolico, ma di roba da fattucchiere, ed è sorprendente che sia stata scelta proprio quella ragazza per consegnare il pastorale-forca a Bergoglio: e questi l’abbia accettato da quella mano sinistra così ornata.

Decisamente anche questo ricorrere della sinistra in concomitanza con queste cose sinistre non sembra proprio casuale.

Che succede, dunque? Succede che ci sono troppe coincidenze per poter evitare di pensare al peggio; e nel dire questo ci viene in mente il passo della lettera di San Paolo agli Efesini, cap. 5, vv. 5 e 7-12, in cui l’Apostolo delle Genti ricorda che bisogna fuggire ogni tipo di rapporto con chi segue le opere delle tenebre:
«Perché, sappiatelo bene, nessun fornicatore, o impuro, o avaro - che è roba da idolàtri - avrà parte al regno di Cristo e di Dio. … Non abbiate quindi niente in comune con loro. Se un tempo eravate tenebra, ora siete luce nel Signore. Comportatevi perciò come i figli della luce; il frutto della luce consiste in ogni bontà, giustizia e verità. Cercate ciò che è gradito al Signore, e non partecipate alle opere infruttuose delle tenebre, ma piuttosto condannatele apertamente, poiché di quanto viene fatto da costoro in segreto è vergognoso perfino parlare.»


E Bergoglio? Due sono le cose: o è completamente all’oscuro di tutto questo, dimostrando di essere in balia di quello che il diavolo gli impone; o ne è consapevole, dimostrando di essere in qualche modo connivente con le mire del diavolo, al punto da utilizzarne i simboli e gli strumenti.
Con questo non ci permettiamo di esprimere alcun convincimento in proposito, avanziamo solo delle ipotesi verosimili e facciamo notare che in entrambi i casi questo argentino venuto dalla fine del mondo può essere solo colpevole: nel primo caso per mancanza di discernimento, di prudenza e di fede salda; nel secondo caso per inammissibile connivenza col Principe delle Tenebre.

Per concludere, facciamo notare che questa asta blasfema, che raccoglie quattro simboli diabolici, può solo rappresentare il “pastorale” del vicario del Principe di questo Mondo, sconfitto una volta per tutte da Nostro Signore Gesù Cristo eppure irriducibile nel percorrere ancora il mondo in cerca di anime da divorare.
Il dio Satana di cui Bergoglio, consapevolmente o no, si è fatto profeta.






Sancte Michaël Arcángele, defende nos in proélio, contra nequítiam et insídias diáboli esto presídium; ímperet illi Deus, súpplices deprecámur; tuque, prínceps milítiae coeléstis, sátanam aliosque spíritus malignos, qui ad perditiónem animárum pervagántur in mundo, divina virtute, in ínfernum detrude. Amen.

San Michele Arcangelo, diféndici nella battaglia: sii tu nostro sostegno contro la perfidia e le insidie del diavolo. Che Dio eserciti il suo dominio su di lui, te ne preghiamo supplichevoli. E tu, o principe della milizia celeste, con la potenza divina, ricaccia nell’Inferno satana e gli altri spiriti maligni i quali errano nel mondo per perdere le anime. Amen.

(Preghiera composta da S. S. Leone XIII dopo aver udito alla fine della celebrazione della S. Messa, il 13 ottobre 1884, una voce cavernosa che diceva: “Posso distruggere la tua Chiesa: per far questo ho bisogno di più tempo e di più potere”.
Il Papa compose egli stesso la preghiera di invocazione a San Michele Arcangelo e dispose che venisse recitata al termine della celebrazione della S. Messa.
Nel 1964, quale frutto del Vaticano II, la recitazione della preghiera venne soppressa.)

 


ottobre 2018
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