Paolo VI: un nuovo santo?


di Don Thierry Gaudray, FSSPX


Pubblicato nel n° 306 - ottobre 2018 - del  bollettino Le Sainte Anne, del priorato omonimo della Fraternità San pio X di Lanvallay, Francia.


Lo scorso 5 agosto, Francesco, rivolgendosi alla folla riunita in piazza San Pietro, all’Angelus, ha detto:
«Quarant’anni fa, il beato Papa Paolo VI viveva le sue ultime ore su questa terra. Egli morì infatti la sera del 6 agosto 1978. Noi lo ricordiamo con una grande venerazione e gratitudine, nell’attesa della sua canonizzazione il prossimo 14 ottobre… Salutiamo tutti con un applauso questo grande papa della modernità!»

Non v’è dubbio che canonizzando Paolo VI, dopo Giovanni XXIII e Giovanni Paolo II, Francesco abbia l’intenzione di confermare i cattolici nei nuovi orientamenti presi dalla Chiesa dopo il Concilio e di dare nuovo lustro alla liturgia riformata (1). D’altronde, Paolo VI fu il primo papa ad usare la canonizzazione per avallare il Concilio, annunciando, il 18 novembre 1965, quindi prima della chiusura del Concilio, l’introduzione della causa di beatificazione di Pio XII, ma anche di Giovanni XXIII (2).

Eppure i giudizi di questi due papi su Mons. Montini furono ben opposti! Se Montini fu per numerosi anni il più vicino collaboratore del cardinale Pacelli, fu proprio per volontà di Pio XII che venne allontanato da Roma nel 1954. Il nipote di Paolo VI testimoniò che lo zio non si fece mai la minima illusione: «fu per lui un dramma nel vero senso della parola» (3). Anche se Pio XII ritenne che non fosse il caso di allontanare un Sostituto agli Affari Ordinari della Segreteria di Stato senza accordargli un’apparente promozione, il biasimo fu ugualmente generale. Infatti, la sede di Milano veniva occupata tradizionalmente da un cardinale, ma «Pio XII non creò più cardinali» e questo «per non dover designare Mons. Montini» (4).
Al contrario, Giovanni XXIII, il 4 novembre 1958, poco prima della cerimonia della sua incoronazione, scrisse un biglietto a Mons. Montini per annunciargli che il cardinalato gli sarebbe stato conferito prossimamente (5), e sette anni più tardi, sul letto di morte, disse: «Il mio successore sarà il cardinale Montini».

Com’è possibile che Francesco usi nuovamente le sacre parole della canonizzazione per proporre come esempio un affossatore della Tradizione? Lasceremo che siano i teologi a rispondere a questa domanda. Per il momento, il buon senso e la fede ci bastano per rifiutarci di rendere culto a Paolo VI. I grandi cedimenti nella difesa della fede, la promulgazione della nuova Messa, l’abbandono dello zelo missionario per il Regno di Nostro Signore, provano che Paolo VI era liberale e non potrebbe essere un modello per i cattolici.


Difesa della fede

«Succede che vengano pubblicati dei libri in cui la fede è diminuita su dei punti importati, che l’episcopato taccia, che tali libri non appaiano strani… e questo che ai miei occhi è strano» (6).
Ma fu lo stesso Papa che soppresse l’indice, che paralizzò il Sant’Uffizio, che non inflisse alcuna sanzione ai negatori della fede, come per esempio i vescovi olandesi che pubblicarono un catechismo scandaloso che negava sia gli Angeli, sia il sacerdozio, sia l’Incarnazione e la Presenza Reale.
Se il 30 giugno 1968 professò un Credo ortodosso, egli non difese questa fede condannando gli eretici.
A Roma, rimise in cattedra i professori che erano stati precedentemente espulsi dal Sant’Uffizio.
«Paolo VI permise che la Santa Chiesa di Dio fosse invasa dalle acque paludose dell’imminente apostasia» (7).
Non si trattava di debolezza (cosa che sarebbe già grave per un Sommo Pontefice), ma di un’attitudine irenica e irrealistica che gli era abituale. L’enciclica Mysterium Fidei (8) può essere citata come esempio. Infatti, ancor prima della fine del Concilio si moltiplicavano le innovazioni liturgiche (9) e si diffondevano delle dottrine che, come detto da lui stesso, turbavano le anime dei fedeli e procuravano una gran confusione.
Ora, non solo il Papa non condannò alcuno, ma non si impedì di ammirare le buone intenzioni dei fautori dell’eresia: «Non neghiamo a coloro che diffondono queste sorprendenti opinioni la lodevole preoccupazione di approfondire un così grande mistero» (10).

In effetti, Paolo VI si dimostrò severo solo con i difensori della Tradizione; mentre immancabilmente cedeva agli altri e li lasciava fare (11). E’ per questo che il Padre Calmel considerava il pontificato di Paolo VI come «un’eclisse del Papato», dal momento che pretendeva di «governare la Chiesa riunendo dei Sinodi e non condannando alcuno» (12). Il Prof. Amerio è arrivato ad intitolare tre paragrafi del suo capolavoro Iota Unum: «La desistenza dell’autorità» [nn° 65, 68 e 71]. E fu simbolico quel 13 novembre 1964, quando Paolo VI depose la tiara, segno della pienezza del suo potere!




13 novembre 1964. Paolo VI depone la tiara, segno della pienezza del suo potere


La pubblicazione dell’enciclica Humanae vitae, il 25 luglio 1968, fu la sola volta in cui Paolo VI impose il suo insegnamento, che non era altro che la ripresa dell’insegnamento tradizionale almeno nelle sue conclusioni. Anche in questo caso egli non adottò alcuna misura contro le Conferenze Episcopali che avevano osato opporsi pubblicamente a tale insegnamento, cosa riportata da una miriade di pubblicazioni.
Ma la questione andava ben al di là della sola contraccezione: i cardinali Suenens e Alfrik, insieme a molti atri, gli rimproverarono di essersi mostrato infedele alla collegialità che il concilio Vaticano II aveva appena introdotto nella Chiesa. Il Papa tentò allora di fare appello alla compassione dei suoi contraddittori, ma non ne venne affatto a capo: «Forse il Signore mi ha chiamato a questo servizio non già perché io vi abbia qualche attitudine, o perché governi e salvi la Chiesa dalle sue presenti difficoltà, ma perché io soffra qualche cosa per la Chiesa…» (13).
Ora, l’ufficio del Sommo Pontefice prescriveva a Paolo VI di comandare e non di chiedere commiserazione, né di esortare o ammonire solamente (14).

Mai Paolo VI volle rimettere in discussione il concilio Vaticano II che, secondo lui, «non è meno autorevole e sotto certi aspetti è perfino più importante di quello di Nicea.» (15). E tuttavia egli ne vide i frutti: «Si credeva che dopo il Concilio sarebbe venuta una giornata di sole per la storia della Chiesa. È venuta invece una giornata di nuvole, di tempesta, di buio, di ricerca, di incertezza.» (16); e altrove aggiungeva: «È come un rivolgimento acuto e complesso, che nessuno si sarebbe aspettato dopo il Concilio.» (17).
Dieci anni dopo il Concilio, alla morte di Paolo VI, il numero di religiosi nel mondo era diminuito di un quarto. La maggior parte di quelli rimasti conducevano molto spesso solo l’ombra di una vita religiosa (18). I fedeli lasciavano le chiese.

Anche la devozione mariana soffrì molto durante il pontificato di Paolo VI. Alla prima sessione del Concilio, quando era ancora solo cardinale, si era opposto all’attribuzione di nuovi titoli alla Vergine Maria. Fu lui che fece sopprimere lo schema che era stato preparato sulla Madonna, per ridurlo ad un capitolo dello schema dedicato alla Chiesa. Nel 1967 egli donò al governo turco lo stendardo che i cristiani avevano catturato ai musulmani a Lepanto grazie alla protezione di Maria (18b).




7 marzo 1965. Paolo VI celebra per la prima volta la Messa (tradizionale) in italiano


La nuova Messa

Il giorno della Festa del Corpus Domini del 1969 i cardinali Ottaviani e Bacci presentarono al Papa un Breve esame critico sulla nuova Messa. Poco più di un mese prima, Mons. de Castro Mayer, vescovo di Campos, in Brasile, gli aveva scritto: «Il Novus Ordo Missae, non solo non ispira il fervore, ma perfino estenua la fede nelle verità centrali della vita cattolica, quali la Presenza Reale di Gesù nel Santissimo Sacramento, la realtà del sacrificio propiziatorio, il sacerdozio gerarchico.» (19).
Tuttavia, Paolo VI si dimostrò intransigente nell’imporre questa nuova liturgia concepita per compiacere i Protestanti: «La riforma perciò, […] Non è un arbitrio. Non è un esperimento caduco o facoltativo. Non è un’improvvisazione di qualche dilettante. È una legge pensata da cultori autorevoli della sacra Liturgia, a lungo discussa e studiata…» (20).
In questo senso, le parole più violente furono quelle pronunciate al Concistoro del 24 maggio 1976: «È nel nome della Tradizione che noi domandiamo a tutti i nostri figli, a tutte le comunità cattoliche, di celebrare, in dignità e fervore la Liturgia rinnovata. L’adozione del nuovo «Ordo Missae» non è lasciata certo all’arbitrio dei sacerdoti o dei fedeli: […] Il nuovo Ordo è stato promulgato perché si sostituisse all’antico, […] Non diversamente il nostro santo Predecessore Pio V aveva reso obbligatorio il Messale riformato sotto la sua autorità, in seguito al Concilio Tridentino. […] La stessa disponibilità noi esigiamo, con la stessa autorità suprema che ci viene da Cristo Gesù…» (20b).
A Jean Guitton che gli suggeriva di autorizzare la Messa di San Pio V per acquietare gli animi, il Papa rispose: «Questo mai!». Tuttavia, nel 2007, nel suo Motu proprio Summorum Pontificum, Benedetto XVI affermò che la Messa antica non era stata mai abrogata.
Paolo VI, quindi, si rese colpevole di abuso di potere.

Ma i sacerdoti che morirono di dolore perché la Messa era stata loro sottratta non erano i più infelici. L’abbandono del sacerdozio durante il pontificato di Paolo VI raggiunse proporzioni inimmaginabili. Egli stesso lo riconobbe, ma sempre con la stessa inerzia: «Le statistiche ci travolgono, ogni caso particolare ci sconcerta, le motivazioni certamente ci impongono rispetto e compassione, ma ci causano immenso dolore. La sorte dei deboli che hanno trovato la forza di disertare il loro dovere ci confonde» (21).

Non meno eloquente è la questione della Comunione sulla mano. L’Istruzione Memoriale Domini (22) è un’apologia della Comunione data dal sacerdote sulla lingua dei comunicandi. Essa spiega come questo uso esprima prima di tutto il rispetto dovuto al Santissimo Sacramento, e poi l’umiltà con la quale dev’essere ricevuto. Essa si riferisce ad una consultazione con i vescovi, la grande maggioranza dei quali «ritiene che nulla debba essere cambiato alla disciplina attuale» e pertanto stabilisce che «questo modo di distribuire la Santa Comunione deve essere conservato».
Il riferimento è alla pratica di dare la comunione in mano, pratica che si era diffusa senza che la Santa Sede avesse dato alcuna autorizzazione. I colpevoli furono forse severamente ripresi? Neanche per sogno! Nello stesso documento romano, le Conferenze Episcopali sono incoraggiate a considerare attentamente le particolari circostanze che possono esistere (!) al fine di prendere le opportune decisioni affinché l’uso della comunione sulla mano «sia stabilito come bisogna».

Infine, l’uso del latino nella liturgia fu insieme lodato e soppresso da Paolo VI. Il Papa andava contro i princípi da lui enunciati e diceva di soffrirne!
Domenica 7 marzo 1965 egli celebrò, per la prima volta, la Messa (tradizionale) interamente in italiano. Nella sua allocuzione all’Angelus dello stesso giorno, egli affermò:
«Questa domenica segna una data memorabile nella storia spirituale della Chiesa, perché la lingua parlata entra ufficialmente nel culto liturgico, come avete già visto questa mattina. […] È un sacrificio che la Chiesa ha compiuto della propria lingua, il latino; lingua sacra, grave, bella, estremamente espressiva ed elegante. Ha sacrificato tradizioni di secoli e soprattutto sacrifica l’unità di linguaggio nei vari popoli, in omaggio a questa maggiore universalità, per arrivare a tutti.» (22b).

Il 4 maggio 1967, il «sacrificio» fu effettuato in base all’Istruzione Tres abhinc annos, che stabiliva l’uso del volgare per la recitazione a voce alta del Canone della Messa.
Se nel giugno del 1969, nel corso del suo viaggio in Uganda, egli acconsentì a celebrare la Messa in latino, su richiesta dei vescovi africani, nella sua allocuzione egli incoraggiò le riforme: «Un pluralismo è legittimo, perfino auspicabile, sotto l’aspetto della lingua, del genio e della cultura.» (23).
Il 26 novembre dello stesso anno, in occasione della presentazione del nuovo rito della Messa, l’abbandono del latino fu definitivo:
«Non più il latino sarà il linguaggio principale della Messa, ma la lingua parlata. Per chi sa la bellezza, la potenza, la sacralità espressiva del latino, certamente la sostituzione della lingua volgare è un grande sacrificio: perdiamo la loquela dei secoli cristiani, diventiamo quasi intrusi e profani nel recinto letterario dell’espressione sacra, e così perderemo grande parte di quello stupendo e incomparabile fatto artistico e spirituale, ch’è il canto gregoriano. Abbiamo, sì, ragione di rammaricarci, e quasi di smarrirci…» (23b)




Vaticano, 24 marzo 1966.
Paolo VI si toglie l'anello papale e lo mette al dito dell'“arcivescovo” anglicano Arthur Michael Ramsey



Salvezza delle anime ed ecumenismo


Nell’enciclica Ecclesiam suam, Paolo VI affermò il dovere missionario della Chiesa (24), ma egli lo concepiva solo come un dialogo: «La Chiesa deve entrare in dialogo col mondo nel quale vive. La Chiesa si fa parola; la Chiesa si fa messaggio; la Chiesa si fa colloquio» (25).
Consacrato dal concilio Vaticano II, l’ecumenismo fu imposto dal Papa alla coscienza cattolica attraverso dei gesti spettacolari e scandalosi, che i suoi successori non hanno fatto altro che imitare.
Nel 1964, Paolo VI fece un viaggio in Terra Santa (26), durante il quale incontrò il Patriarca di Costantinopoli su un piano di parità: dopo aver letto alternativamente il Vangelo, su iniziativa di Paolo VI, i due benedissero insieme i presenti (27). Ritornato a Roma, egli non esitò a consegnare agli ortodossi la Chiave di Sant’Andrea, che era una delle reliquie insigni dalle Basilica di San Pietro.
L’ultimo giorno del Concilio, il 7 dicembre 1965, Paolo VI annunciò la remissione della scomunica agli ortodossi, senza esigere la minima abiura da parte loro.
In occasione del suo viaggio in Turchia, nel 1967, il Papa consegnò una lettera ufficiale al Patriarca di Costantinopoli, nella quale le Chiese ortodosse e la Chiesa cattolica erano presentate come «Chiese sorelle». Il che significava che Roma non pretendeva più di essere la madre di tutte le Chiese (28) e che il Papa non chiedeva più di essere riconosciuto come il padre comune dei fedeli.

Quanto all’ecumenismo con i Protestanti, basta ricordare l’accoglienza riservata al dottor Ramsey, «arcivescovo primate» della Chiesa anglicana, nel marzo del 1966. Il Papa gli promise di fare riesaminare la questione della validità delle ordinazioni anglicane (che tuttavia era stata risolta da Leone XIII) e intanto gli mostrò quale fosse la sua opinione: chiedendogli di benedire l’assemblea in sua presenza. Il «primate» inglese non capì questa richiesta inaudita e cominciò a mettersi lui in ginocchio. Il Papa lo fece subito rialzare. Ma le sorprese non finirono lì: Paolo VI, con un gesto premeditato, si tolse l’anello episcopale e lo passò al dito del dottor Ramsey.

Mai il Regno di Nostro Signore aveva sofferto tanto per mano di un papa. E’ proprio vero che costui coltivava soprattutto il culto dell’uomo! (29).
Avendo rifiutato di condannare il comunismo nel corso del Concilio, Paolo VI si piegò più volte alle esigenze dei paesi dell’Est. Basta ricordare il caso del cardinale Mindszenty, che probabilmente soffrì più per le manovre del Papa che per i carnefici dell’Ungheria (30).
Tutti i paesi ancora cattolici furono incoraggiati a radiare il nome di Nostro Signore dalle loro costituzioni: dopo la Spagna, la Colombia, certi cantoni svizzeri, fu il turno dell’Italia (31).
La dottrina condannata di Lamennais venne ripresa da Paolo VI nel suo messaggio ai governanti: «E che cosa chiede a voi questa Chiesa, […] che cosa chiede oggi? Ve l’ha detto in uno dei suoi testi principali di questo Concilio: non vi chiede altro che la libertà.» (32).


Una doppia faccia

Il Padre Congar diceva di Paolo VI che parlava a destra e agiva a sinistra (33). Mons. Lefebvre, citando il cardinale Daniélou, dava la vera ragione di quest’attitudine: Paolo VI era un liberale, e dunque un incoerente, un uomo che afferma dei princípi e che fa il contrario: «… perché questo Papa è come un frutto del liberalismo, tutta la sua vita è stata impregnata dall’influenza degli uomini che lo circondavano o ch’egli ha preso per maestri e che erano dei liberali.» (34).

Questa contraddizione faceva di Paolo VI un papa triste. In Italia era corrente il giuoco di parole: “Paolo sesto è un papa mesto” (35). La tristezza dei santi è tutt’altra.
Nel suo Giornale dell’anima, Giovanni XXIII, che aveva incontrato San Pio X e che aveva notato il velo di tristezza negli occhi del Pontefice, diceva di non credere alla sua santità. E tuttavia quella sofferenza veniva direttamente dalla carità. Nella vita di San Pio X non esisteva alcuna incoerenza!
Al contrario, Paolo VI era ansioso e paradossale. Nostalgico della grandezza della Chiesa, egli tuttavia partecipò attivamente alla sua distruzione.
Forse, quello che talvolta gli tornava in mente e lo tormentava era il giuramento fatto nel corso della sua incoronazione: «Se dovessi tradire la Tradizione ricevuta dai miei predecessori, Dio non sarebbe Giudice misericordioso al giudizio finale» (36).


NOTE

1 - Accanto alla Messa di San Pio V, già qualificata come «rito straordinario», da adesso vi sarà la Messa di “San Paolo VI”.
2 - Chiron, Paul VI, le pape écartelé,  édition Perrin, p. 247.
3 – Giorgio Montini, Mio zio, il Papa.
4 - Chiron, Paul VI, le pape écartelé,  édition Perrin, p. 153.
5 – Roberto de Mattei, Il Concilio Vaticano II, Una storia mai scritta, 2010, ed. Lindau, Torino, pp.113-114.
6 - Jean Guitton, Paul VI secret, p. 168.

7 - Lettera di Padre Calmel del 4 luglio 1970, citata da Padre Jean-Dominique in « Le père Roger-Thomas Calmel », p. 461.
8 – 3 settembre 1965 (il Concilio sarà chiuso l’8 dicembre 1965).
9 – La prima costituzione conciliare era sulla liturgia, ed essa produceva già i suoi frutti.
10 – Verso la fine del suo pontificato, mentre gli episcopati del mondo intero giudicavano con sufficienza le sue encicliche, egli esaltava la «grandissima consonanza di tutta la Chiesa col suo Supremo Pastore e con i propri Vescovi». (discorso al Sacro Collegio, 23 giugno 1975 - http://w2.vatican.va/content/paul-vi/it/speeches/1975/
documents/hf_p-vi_spe_19750623_sacro-collegio.html
). 
11 – Parlando degli abusi liturgici, il cardinale Gut, Prefetto della Congregazione per il Culto Divino, affermava: «Molti preti hanno fatto ciò che piaceva loro. Si sono imposti. Le iniziative prese senza autorizzazione spesso non potevano essere più fermate. Nella sua grande bontà e saggezza, il Santo Padre ha allora ceduto, spesso suo malgrado.» Citato in francese in Romano Amerio, Iota Unum, Ed. Lindau, Torino, 2009, n° 69, p. 152.
12 - Lettera del 17 gennaio 1969, citata dal Padre Jean-Dominique in Le père Roger- Thomas Calmel, p. 365.
13 – Udienza Generale, 21 giugno 1972. - https://w2.vatican.va/content/paul-vi/it/audiences/1972/documents/hf_p-vi_aud_19720621.html
14 – Anche nella sua Esortazione Apostolica Paterna cum benevolentia, dell’8 dicembre 1974, in cui rivendica la sua autorità e insorge contro la disubbidienza, egli lo fa a modo di avvertimento, ma senza condannare.
15 – Lettera di Paolo VI a Mons. Lefebvre, 29 giugno 1975 - http://www.unavox.it/Documenti/Doc1182_Lettera_
di_SS_Paolo-VI_a_Mons-Lefebvre_29.6.1975.html
. Anche il cardinale Villot gli aveva consigliato di non scrivere una cosa simile.
16 – Omelia nel IX anniversario dell’incoronazione, 29 giugno 1972.
http://w2.vatican.va/content/paul-vi/it/homilies/1972/documents/hf_p-vi_hom_19720629.html
17 – Discorso ai membri del Pontificio Seminario lombardo, 7 dicembre 1968.
http://w2.vatican.va/content/paul-vi/it/speeches/1968/december/
documents/hf_p-vi_spe_19681207_seminario-lombardo.html

18 – Il Papa obbligò tutti gli Istituti religioni (anche le Certose, che non avevano mai avuto bisogno di riforma) a riscrivere le loro Costituzioni e le loro Regole.
18b – All’ambasciatore turco a cui consegnò lo stendardo, Paolo VI rivolse queste parole:
«…è stata per Noi una gioia restituire un antico stendardo, preso al tempo della battaglia di Lepanto, che, da allora, si conservava nelle collezioni del Vaticano. Questo Le dice, Signor Ambasciatore, quali siano le disposizioni che Ci animano nei riguardi della Sua grande e bella Nazione.» (Discorso al nuovo ambasciatore della Turchia, 19 gennaio 1967 - https://w2.vatican.va/content/paul-vi/it/speeches/1967/january
documents/hf_p-vi_spe_19670119_ambasciatore-turchia.html
)
19 – Citato in «Histoire de la messe interdite» da Jean Madiran p. 30.
20 – Udienza generale del 19 novembre 1969.
https://w2.vatican.va/content/paul-vi/it/audiences/1969/documents/hf_p-vi_aud_19691119.html
20b – Allocuzione al Concistoro segreto del 24 maggio 1976.
http://w2.vatican.va/content/paul-vi/it/speeches/1976/
documents/hf_p-vi_spe_19760524_concistoro.html

21 – Lettera al clero secolare della diocesi di Roma, 10 febbraio 1978.
22 – Istruzione della Sacra Congregazione per il Culto Divino, 29 maggio 1969.
22bAngelus del 7 marzo 1965.
http://w2.vatican.va/content/paul-vi/it/angelus/1965/documents/hf_p-vi_ang_07031965.html
23 - Chiron, Paul VI, le pape écartelé, p. 296.
23b - udienza generale del 26 novembre 1969
http://w2.vatican.va/content/paul-vi/it/audiences/1969/documents/hf_p-vi_aud_19691126.html
24 - «E’ l’obbligo di evangelizzare. E’ il mandato missionario. E’ il dovere di apostolato», enciclica Ecclesiam Suam, 8 agosto 1964.
25 – Già quand’era Sostituto della Segreteria di Stato, nel marzo 1949, ricevette Roger Schutz e Max Thurian della Comunità protestante di Taizé, lasciando capire che la Chiesa cattolica potrebbe partecipare al Consiglio Ecumenico delle Chiese – esattamente ciò che un monitum del Sant’Uffizio aveva formalmente escluso l’anno prima – e che la Chiesa dovrebbe riconoscere i torti dei suoi membri, nella storia e oggi. Cfr. Chiron, Paul VI, le pape écartelé, p. 134.
26 – Il primo di quei viaggi internazionali a cui oggi ci hanno abituato i papi conciliari.
27 - Chiron, Paul VI, le pape écartelé, p. 217.
28 – Con il termine «Chiesa» si indicavano allora le diocesi governate da un vescovo, ma alla dipendenza del Papa.
29 - «Dategli merito di questo almeno, voi umanisti moderni, rinunciatari alla trascendenza delle cose supreme, e riconoscerete il nostro nuovo umanesimo: anche noi, noi più di tutti, siamo i cultori dell’uomo.» (Discorso di chiusura del concilio Vaticano II, 7 dicembre 1965. - http://www.unavox.it/doc25_PVI_chiusura.htm).
30Fideliter N°243, maggio-giugno 2018.

31 – Fin dal 1976, Paolo VI preparava il trattato concluso solo nel 1984 e nel quale è stato eliminato l’articolo che specificava che la religione cattolica era la sola religione di Stato.
32 - Messaggio ai governanti, 8 dicembre 1965.
https://w2.vatican.va/content/paul-vi/it/speeches/1965/documents/
hf_p-vi_spe_19651208_epilogo-concilio-governanti.html
33 – Mons. Lefebvre faceva la stessa constatazione: «Dapprima tradizionalista, almeno a parole, e poi, nelle azioni, compiendo degli atti completamente opposti, non condannando tutto quello che dovrebbe essere condannato e condannando, al contrario, quello che non dovrebbe essere condannato» (Conferenza spirituale ai seminaristi, 18 marzo 1977).
34Lo hanno detronizzato, Ed. Amicizia Cristiana, Chieti, 2009, cap. 31, p. 232.
35 - Chiron, Paul VI, le pape écartelé, p. 10.
36 – Giuramento plurisecolare fatto nel corso dell’incoronazione papale.





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