Lettera di S. S. Paolo VI
a
Mons. Marcel Lefebvre

  29 giugno
1975


Al nostro fratello nell’episcopato, Marcel Lefebvre, vescovo emerito di Tulle.

Caro fratello, è con dolore che oggi le scriviamo. Con dolore, perché noi intuiamo la lacerazione interiore di un uomo che vede l’annientamento delle sue speranze, la rovina dell’opera che crede di aver intrapreso per la buona causa. Con dolore, perché noi pensiamo all’angoscia dei giovani che l’hanno seguita, pieni di ardore, e che adesso scoprono lo stallo. Ma la nostra pena è più viva nel constatare che la decisione dell’autorità competente – nonostante sia formulata chiaramente e sia del tutto giustificata, bisogna dirlo, dettata dal suo rifiuto di modificare la sua pubblica e persistente opposizione al Concilio ecumenico Vaticano II, alle riforme post-conciliari e agli orientamenti che impegnano lo stesso Papa – questa decisione si presta ancora a discussioni, fino a condurre a ricercare una qualsiasi possibilità giuridica per infirmarla.

Benché, parlando propriamente, non sia necessaria una messa a punto, tuttavia noi riteniamo opportuno di confermarle che ci siamo preoccupati di essere personalmente informati di tutto lo svolgimento dell’inchiesta relativa alla Fraternità Sacerdotale San Pio X, e questo fin dall’inizio. La commissione cardinalizia che abbiamo istituita ci ha regolarmente e scrupolosamente reso conto del suo lavoro. Infine, le conclusioni che essa ci ha proposto, noi le abbiamo fatte nostre tutte e ciascuna, e abbiamo personalmente ordinato che entrassero in vigore immediatamente.

Così, caro fratello, è in nome della venerazione per il Successore di Pietro, che lei ha professato nella sua lettera del 31 maggio, e più che questo, è in nome dell’obbedienza al Vicario di Cristo che noi le chiediamo un atto pubblico di sottomissione, al fine di porre riparo a ciò che nei suoi scritti, nelle sue dichiarazioni, nella sua attitudine, hanno di offensivo nei confronti della Chiesa e del suo Magistero. Un tale atto implica necessariamente, tra l’altro, l’accettazione delle misure adottate nei confronti della Fraternità Sacerdotale San Pio X, con tutte le loro conseguenze pratiche.
Noi supplichiamo Dio perché la illumini e la porti ad agire in tale modo, malgrado le sue reticenze del momento. E facciamo appello al suo senso di responsabilità episcopale per riconoscere il bene che ne deriverebbe per la Chiesa.

Certo, noi ci preoccupiamo ugualmente dei problemi di tutt’altro ordine. La superficialità di certe letture dei documenti conciliari, le iniziative individuali o collettive derivate talvolta più dal libero arbitrio che dall’adesione fiduciosa all’insegnamento della Scrittura e della Tradizione, le iniziative per le quali la fede serve arbitrariamente da copertura, noi le condanniamo, ne soffiamo e ci sforziamo di rimediarvi, in tempo opportuno e inopportuno. Ma come se ne può usare per autorizzarsi ad eccessi gravemente pregiudizievoli? Questa non è la strada giusta, poiché alla fine segue un percorso paragonabile a quello denunciato. Che cosa significa un membro che vuole agire da solo, indipendentemente dal Corpo a cui appartiene?

Lei invoca a suo favore il caso di Sant’Atanasio. Vero è che questo grande vescovo rimase praticamente solo a difendere la vera fede, ma si trattò esattamente di difendere la fede del recente Concilio di Nicea. Il Concilio fu la norma che ispirò la sua fedeltà, come del resto per Sant’Ambrogio. Come potrebbe oggi qualcuno paragonarsi a Sant’Atanasio, osando combattere un Concilio come il Vaticano II, che non è meno autorevole e che sotto certi aspetti è perfino più importante di quello di Nicea?

Noi la esortiamo dunque a meditare sul monito che le rivolgiamo con fermezza e in virtù della nostra autorità apostolica. Il suo fratello maggiore nella fede, colui che ha ricevuto la missione di confermare i suoi fratelli, gliela rivolge col cuore pieno di speranza. Egli vorrebbe già potersi rallegrare per essere stato compreso, ascoltato e obbedito. Egli attende con impazienza il giorno in cui sarà felice di  aprirle le sue braccia, per manifestare una comunione ritrovata, allorquando lei avrà corrisposto alle esigenze che le ha appena espresse. Egli affida in questo momento questa intenzione al Signore, che non rigetta alcuna preghiera.

In veritate et caritate

Dal Vaticano, 29 giugno 1975
 



ottobre 2018

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