Scuola del futuro? No grazie.


di Elisabetta Frezza


Pubblicato su Riscossa Cristiana








Galvanizzati per la missione spaziale di cui si sono investiti, gli organizzatori si impegnano persino nell’abbinamento logistico, e spiegano che «la cornice postmoderna del Museo MAXXI suggella la prospettiva dinamica e di sviluppo che il convegno intende assumere».

L’obiettivo è quello di «definire azioni concrete per garantire alla nostra scuola un futuro possibile» e realizzare «una innovazione autentica che porti a superare lo schema vetusto della frontalità, per attivare apprendimenti autentici e significativi».
Possiamo subito apprezzare come tutto sia molto autentico, significativo, innovativo, dinamico, circolare, accogliente, esperienziale e laboratoriale, «fuori dagli schemi e in ossequio al valore del pensiero divergente». Perché evidentemente il “pensiero divergente” ha un suo valore intrinseco, che va ossequiato. Non è specificato da cosa diverga, questo valoroso pensiero, ma non importa. In ogni caso ci conforta che l’evento, che si preannuncia impegnativo, sia accompagnato da «workshop animati da esperti». Così, forse, verrà scongiurato il rischio dei cali di attenzione, sempre in agguato quando le lezioni (quelle frontali, si intende) durino più di un quarto d’ora. Ci permettiamo di suggerire una contestuale distribuzione di merendine, che sollevano l’autostima.

Quanto agli “animatori” cui sarà affidata la gestione dei workshop, essi saranno “esperti”. Del resto, per un grest di così alto livello non poteva essere altrimenti. Un vantaggio della bassa stagione scelta per lo happening è quello di poter reclutare professionisti referenziati tra quelli che in primavera/estate prestano servizio nei migliori villaggi vacanze. Questi peraltro, verosimilmente, si trovano già tutti a Roma per aver ivi provveduto all’animazione del Sinodo dei Giovani, grande successo di audience e sfolgorante botta di vita per i partecipanti di ogni età e di ogni fede religiosa.
E il circo continua.

C’è da dire, per inciso, che è davvero un momento d’oro per la categoria degli animatori, grazie al proliferare di summit istituzionali in cui si rende necessario alleggerire, per le autorità partecipanti, un fardello culturale altrimenti insostenibile.

CONTENITORE SENZA CONTENUTI

Ma torniamo al nostro evento, da cui siamo sicuri discenderanno grandi e belle novità scolastiche.

Da domani nel laboratorio romano si dà il via al concepimento nientemeno che della «scuola del benessere e della partecipazione», ovvero «un contenitore accogliente dove si accompagna la crescita dei giovani, producendo conoscenza e costruendo cittadinanza, un luogo dove si concretizza il bilanciamento dei diritti dei singoli e della collettività».
Dunque, la scuola che verrà, grazie ai nostri intellettuali, esperti, scienziati, sarà un contenitore che produce conoscenza e costruisce cittadinanza. Nel senso, cioè, che la conoscenza si produce e la cittadinanza si costruisce, entrambe dentro il contenitore.

E basta scorrere i titoli delle importanti relazioni in programma per intuire a quali vette speculative e teleologiche aspiri la manifestazione, con tutti i suoi blasonati artefici: mandanti, ideatori, esecutori, compartecipi. Ebbene, si va dalla prolusione sulla «Generazione zainocratica», alla lectio magistralis: «Ibridare la classe per non lasciare nessuno indietro», a quella «Education secondo Apple: everyone can code», o ancora: «Se Socrate ha messo lo smartwatch»; dove si capisce che il genio italico non è tramontato, ma spazia verso lidi inesplorati.
D’altra parte, si può contare su figure emergenti di superiore levatura intellettuale, quali possiamo vedere elencate nella lista degli “autorevoli relatori”, che contempla molti docenti esperti di didattica digitale, molti psicologi, ma anche teologi, giornalisti, magistrati, avvocati dello Stato, dirigenti scolastici, architetti, registi, co-founder, ricercatori e osservatori, manager, ma anche deputati, senatori, sottosegretari, ministri. La medaglia d’oro la merita la qualifica della signora Giovanna Castoldi, che si presenta come Trainer Internazionale Certificata in Comunicazione Nonviolenta (tutto maiuscolo).

Non mancheranno di intervenire il presidente dell’ente organizzatore, ANP (che sta per: associazione nazionale dirigenti pubblici e alte professionalità della scuola), Antonello Giannelli; e il presidente della Fondazione MAXXI Giovanna Melandri: la signora che, da ministro della Repubblica per i beni culturali, all’inaugurazione del ciclo degli affreschi di Piero della Francesca [1416-1492] in quel di Arezzo spiegò come l’opera si situasse “nel cuore del periodo delle Crociate”. Una, quindi, che di cultura se ne intende davvero.


LA SCUOLA CHE NON C’È

Ora, tutto questo lessico caricaturale, parodistico, beota, di cui la presentazione è intrisa e che tutti si scambieranno compiaciuti per due giorni interi dentro la cornice postmoderna del MAXXI, fa parte dell’equipaggiamento-base del pedagogismo “scientifico” di cui vengono rimpinzati tutti gli aspiranti “educatori” formati con lo stampino nei licei delle cosiddette “scienze” umane e nelle omonime facoltà universitarie; è la nuova grammatica pedagogica (dove il pàis, senza limiti di età, è il prodotto di serie votato al cretinismo strutturale).

La “frontalità” fa parte di quel corredo di nuove parolacce coniate per demolire, screditandoli con la magia delle parole, i cardini dell’insegnamento e dell’apprendimento scolastico. I pedagogisti in carriera ci dicono che «è tempo di archiviare una volta per tutte la lezione frontale, figlia dell’idea che insegnare sia spiegare i contenuti». È questo il succo di un altro recente convegno di teste d’uovo del mondo della “educazione”, intitolato significativamente “La lezione non serve”, il cui illuminato promotore spiega, alla luce delle sue ricerche psicoevolutive e neurocerebrali, che «la scuola deve essere un laboratorio non una sala conferenze, perché si apprende nella condivisione. Gli alunni imparano dai compagni, non dagli insegnanti».

Il babau della “frontalità” fa il pari con un altro babau: quello del “nozionismo”, mostro apparecchiato dal fancazzismo sessantottino per fare piazza pulita dello studio e dei suoi annessi e connessi, sì che tutto quanto implichi l’utilizzo delle facoltà mnemoniche del discente sia demonizzato per principio. Oggi il processo di apprendimento deve essere “condiviso” come “fatto esperienziale e laboratoriale”.

«Sogno una scuola senza aule e senza classi». A sognare la scuola che non c’è, il presidente di INDIRE (Istituto Nazionale Documentazione Innovativa Ricerca Educativa, un ente di ricerca del ministero dell’istruzione), Giovanni Biondi, che parla di «assoluta inadeguatezza del modello di scuola che conosciamo» e che dispone un trattamento uguale per tutti, quello per cui – orrore! – «l’insegnante parla, l’alunno studia sul libro e poi l’insegnante interroga», che sarebbe un modello nel quale – sostiene il Nostro – chi per qualsiasi motivo non si adatta resta indietro, e tutti gli alunni hanno difficoltà: sia quelli con disabilità, con BES, con cittadinanza non italiana, di famiglie fragili, sia quelli “plusdotati”, che si annoierebbero. Oggi per Biondi bisogna assolutamente attuare un modello “laboratoriale” in cui gli alunni vanno a scuola non per sentire la lezione, no, ma per «fare attività», per lavorare in gruppo. Quindi – annuncia il presidente INDIRE – «bisogna scombinare completamente modello: io spero che la scuola futura sarà una scuola senza aule e anche senza classi».

Resta il fatto che, anche prima che si concretizzi il sogno di Biondi, già oggi una poesia da mandare a memoria – ammesso di trovare l’insegnante controcorrente tanto temerario da assegnare il compito vessatorio – comporta come minimo una immediata sommossa genitoriale per maltrattamento di minore. Così, accade che si sentono nonni che recitano d’un fiato terzine dantesche o versi dell’Iliade del Monti imparati sette decadi prima, e nipotame incapace di percorrere il tragitto casa-scuola e ritorno senza il navigatore dello smartphone. Ma a Biondi e ai suoi sodali va bene così, il livellamento verso il brodo primordiale è esattamente il loro obiettivo principe.

Per converso però, un progetto che implichi la sostituzione della carta – per scrivere, per leggere e per studiare – con il computer o il tablet, è certo che venga salutato con soddisfazione generale perché è una iniziativa al passo con i tempi. Che produca schiere di analfabeti e/o disadattati psicosociali è un tributo ragionevole da rendere al progresso, cosa buona per definizione. Giovani e giovanissimi infatti, ci spiega l’espertissimo Biondi, usano tecnologie diverse, imparano per immagini e suoni, hanno un altro approccio.

Già. È in cantiere il diversamente australopiteco, alieno all’uso della scrittura, ma capace di dimenarsi, gesticolare, imbrattare, digitare. Perché selvaggio è bello. Soprattutto, è manipolabile a piacimento.


PIATTAFORME DIDATTICHE DIGITALI

Sarà capitato anche a voi, se avete figli in età scolare. A me è stato recapitato a casa un foglio – classe seconda media – che avrei dovuto sottoscrivere per esprimere il mio consenso all’«uso dell’ambiente di apprendimento EDMODO» dopo aver preso visione della «comunicazione relativa alla sperimentazione della [omonima] piattaforma didattica». La comunicazione parla di EDMODO come di una «opportunità» imperdibile: gratuita, semplice, sicura, stimolante, socializzante.

Poiché non c’è nulla di più irreversibile delle “sperimentazioni”, specialmente di quelle sedicenti tali, mi sono presa la briga di guardarci dentro e, letto il foglio apologetico e visitato il sito www.edmodo.com ivi richiamato, ho rispedito tutto al mittente (insegnante di matematica, collegio docenti, dirigente) con le seguenti osservazioni:

    L’iniziativa implica che l’alunno abbia a disposizione strumenti informatici. La scuola non dovrebbe considerare obbligatorio il loro possesso, tenuto conto che la famiglia può aver deciso di ritardarne l’uso in virtù di una legittima scelta educativa (riassumibile in una generica esigenza di “igiene mentale”).

    La scuola dovrebbe essere il luogo in cui, istruendo gli alunni, li si educa. Questa educazione si realizza attraverso il rapporto umano con l’insegnante che è chiamato a trasmettere il sapere ai suoi allievi e a interagire con loro in modo non virtuale ma reale. Tanto più in una società, come quella attuale, che tende a isolare e alienare gli individui creando fenomeni diffusi di dipendenza mediatica e informatica (su cui torme di psicologi “dell’età evolutiva” fanno affari d’oro), la scuola dovrebbe essere un ambiente in cui gli alunni possano disintossicarsi dall’uso di questi strumenti più che esserne incentivati sotto il pretesto dell’aggiornamento didattico. La scuola, in altri termini, dovrebbe offrire ai suoi “utenti” un orizzonte diverso da quello dell’utilizzo assorbente e ipertrofico di “social” e “app”.

    L’assuefazione all’automatismo che la digitalizzazione porta con sé inaridisce le attitudini cognitive e speculative, diseduca all’attenzione, e si traduce in uno snaturamento del significato stesso dell’insegnamento. Innesca infatti meccanismi mentali riduttivi che, lungi dallo stimolarle, deprimono le facoltà superiori del soggetto in via di formazione, spengono la sua creatività, originalità, la sua vivacità intellettuale, inibiscono i processi di memorizzazione e l’acquisizione della capacità di costruire catene logiche e collegamenti tra le varie discipline.

    Il ragionamento analitico, la riflessione critica, l’elaborazione personale, la ricchezza espressiva nell’esposizione scritta e orale, sono tutte facoltà che si affinano nel tempo lungo dell’apprendimento. In ogni età si aggiungono dei tasselli e si maturano dei progressi. Se queste facoltà non vengono coltivate a tempo debito, si atrofizzano: togliere allo studio la componente di fatica che inevitabilmente lo rende proficuo (diventerebbe semplice «come bere un bicchier d’acqua», è detto nel sito…), non può non produrre risultati tanto effimeri quanto inconsistenti. Ed è una perdita che non si rimonta.

    Le considerazioni esposte sono confermate dagli eloquenti slogan contenuti nel sito dedicato al progetto, che ben si inseriscono in un piano di imbarbarimento culturale collettivo. Il linguaggio utilizzato è un segnale preoccupante delle carenze culturali di chi lo ha concepito. L’esortazione «Concentrati sull’insegnamento, non sulle scartoffie», che campeggia nella pagina di presentazione di EDMODO, suona a dir poco offensiva dell’intelligenza di chi legge: anche senza scomodare le “sudate carte” leopardiane, è evidente a chiunque che scrivere manualmente, riscrivere, leggere e rileggere, sottolineare e glossare un testo, smontarlo e rimontarlo secondo il proprio ordine logico, sono tutte operazioni fondamentali per sviluppare un proprio metodo di studio, per sedimentare le informazioni ed elaborarle in modo personale, e costruire mano a mano il proprio bagaglio culturale.

    Le testimonianze degli insegnanti riportate nel sito a scopo promozionale sono un elenco di banalità irriflessive che riproducono in modo acritico formule vuote del più corrivo linguaggio mediatico, tra «aspetti social» «scomparsa delle cerchie chiuse» (?!), «gestione di compiti online», adempimenti «facili come bere un bicchier d’acqua».

La scuola del futuro è già in pista. Lusingati dall’essere i nativi digitali, masse di studenti si lasciano condurre alla morte cerebrale col consenso di adulti lobotomizzati, fieri di farsi protagonisti del più squallido regresso culturale, morale, sociale, spirituale mai visto. E l’INVALSI li premierà.





novembre 2018
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