A proposito del
Coetus Internationalis Summorum Pontificum

di Belvecchio


Quando fu dato l’annuncio della costituzione di questo Coetus e del “pellegrinaggio” che si sarebbe svolto a Roma ai primi di novembre, le perplessità furono tante e noi stessi scrivemmo in proposito, al pari di altri (vedi-1 - vedi-2). Sembrava, però, che si dovesse attendere il 10 settembre per avere notizie importanti su questa iniziativa: quel giorno sarebbero state comunicate le modalità per lo svolgimento del “pellegrinaggio”.
La conferenza c’è stata, ma sono clamorosamente mancate le attese informazioni. Tra l’altro, questa conferenza ha brillato più per le assenze che per le presenze: tolto il cappellano del Coetus, Don Claude Barthe (francese), di fatto non c’era nessuno.
La cosa si può spiegare in mille modi, ma vista l’agitazione dell’annuncio di agosto, le perplessità mutano in profonda delusione, per non dire di peggio.
Confessiamo che non ci aspettavamo niente di più, quindi la delusione non è nostra, ma di tanti fedeli che avevano immaginato chissà quali meraviglie. E tuttavia un chiarimento c’è stato, quello contenuto nell’intervento del cappellano, che ha spiegato il senso e la finalità di questa iniziativa. Vediamo allora di che cosa si tratta.

Don Claude Barthe ha esposto i quattro scopi del “pellegrinaggio”: rendimento di grazie, dimostrazione di fedeltà, offerta e supplica e partecipazione alla missione della Chiesa. Soffermiamoci su questi scopi.

Rendimento di grazie.
I pellegrini offriranno innanzi tutto una messa nella forma straordinaria di ringraziamento e di sostegno filiale al Santo Padre in occasione del 5° anniversario del Motu Proprio Summorum Pontificum […] questo atto di Benedetto XVI ha fatto nascere un vero popolo Summorum Pontificum.

Ringraziare il Papa per il Motu Proprio è cosa lodevole, ma farlo dopo cinque anni che hanno visto questo Motu Proprio osteggiato in tutti i modi dai vescovi, nel totale silenzio del Vaticano, è cosa che lascia un po’ stupiti.
Sulla portata del Motu Proprio abbiamo già scritto e rimandiamo quindi al nostro articolo, qui ci limitiamo a ricordare che è la stessa dizione di “forma straordinaria”, applicata alla S. Messa tradizionale, che porta in sé la giustificazione dell’opposizione dei vescovi. Se la Messa tradizionale è straordinaria, a maggior ragione sarà straordinaria e quindi eccezionale la sua celebrazione, nonostante si tratti della liturgia che la Chiesa ha mantenuto per più di quindici secoli. Se è straordinaria sarà anche riservata a pochi, a quei pochi che, stranamente, non si accontentano della “forma ordinaria”. Ed è esattamente questo che ha spiegato Don Claude Barthe: col Motu Proprio è nato “un vero popolo Summorum Pontificum”. Come se nella Chiesa del post Concilio si sentisse il bisogno di ulteriori “popoli” oltre a quelli che ormai viaggiano a ruota libera, tutti in perfetta comunione con Roma e tutti grati al Santo Padre, di cui hanno l’avallo.
Si chiarisce così che insieme al popolo dei carismatici, dei catecumenali, dei rinnovatori, degli anglicani, dell’Ecclesia Dei, della Tradizione (e chiediamo scusa a quelli che abbiamo dimenticato), abbiamo adesso il popolo del Summorum Pontificum: in questa incredibile nuova Chiesa che ha finito di essere Una per trasformarsi in un insieme di diversità che, si dice, comporrebbero una moderna unità, sulla base, non tanto del Credo comune, che non c'è, ma di ciò che unisce, tralasciando e relativizzando, ovviamente, ciò che divide.
E cos’è che unisce, se non la dichiarazione di ringraziamento e di sostegno al Papa, e solo questo?

Dimostrazione di fedeltà
Il secondo scopo è manifestare in questo modo il nostro amore per la Chiesa e la nostra fedeltà alla Sede di Pietro, particolarmente nell’attuale amara e difficile congiuntura. Siamo ben consapevoli che le fatiche che oggi affronta il Santo Padre sono pesanti. La Messa romana tradizionale, in particolare nel Canone, è sempre stata considerata di per sé stessa una magnifica professione di fede della Chiesa Mater et Magistra: è questo credo liturgico che vorremmo esprimere sulla Tomba degli Apostoli, presso il Successore di Pietro.

Questo secondo scopo rafforza quello che abbiamo appena detto, poiché qui si sottolinea che si vuole “esprimere” un particolare “credo liturgico”, quello della Messa tradizionale, il quale, ovviamente, pur differenziandosi dagli altri “credi liturgici”, non può che andare a braccetto con essi, con gli altri “credi liturgici” che certo non sono menzionati, ma di cui qui si riconosce implicitamente l’esistenza.
E questo lo si vuol fare per dimostrare l’amore per la Chiesa e la fedeltà alla Sede di Pietro, per dimostrare cioè quello che ogni cattolico dimostra ogni giorno, ma non per questo compie un pellegrinaggio a Roma. Evidentemente, si è perso di vista l’antico insegnamento per il quale il semplice recarsi a Messa la Domenica è un atto d’amore per la Chiesa e di fedeltà al Papa, un atto d’amore che nasce dall’amore per Dio e per le sue leggi.
Ma, dice il cappellano, lo facciamo “particolarmente nell’attuale amara e difficile congiuntura.” Frase un po’ sibillina, che lascia intendere tante cose senza dire niente.
Ci si riferisce agli scandali in Vaticano? O alla crescente persecuzione dei cattolici nel mondo? Oppure al perdurare dell’ostracismo dei vescovi nei confronti della Tradizione? Ovvero al fatto che il Papa non essendo ascoltato dai vescovi, avrebbe bisogno di sostenitori che lo aiutino a indurre i vescovi a fare il loro dovere.
Di che si tratta? Forse dell’ultima ipotesi? Se così fosse saremmo di fronte a delle pretese velleitarie e, ci spiace dirlo, alla confusione dei ruoli… cosa sicuramente molto democratica, ma per niente cattolica.

Offerta e supplica
Vogliamo fare questo particolare dono al Signore soprattutto per domandarGli le grazie necessarie al Sovrano Pontefice per proseguire nell’opera meravigliosa che egli compie sin dall’inizio del suo pontificato, e, specialmente oggi, in mezzo a croci e prove.

Un dono e una supplica al Signore, quindi, perché sostenga il Sovrano Pontefice. Anche questa è cosa lodevole, ma qui si rivela una precisa volontà di elogio nei confronti del Pontefice che va al di là del Summorum Pontificum, una volontà equivalente o ad un atteggiamento di mera cortesia formale (non diciamo: piaggeria) o ad un’adesione totale a quanto si è verificato in questi 7 anni di pontificato.
È davvero difficile cogliere il reale significato dell’espressione “opera meravigliosa”.
Se ci si riferisce al Motu Proprio, francamente stiamo ancora aspettando che il Papa celebri in San Pietro, pubblicamente, la S. Messa tradizionale, sancendo così la legittimità di questa celebrazione e la necessità di imporla a tutti i vescovi. Qualcuno dice che la cosa per adesso non sarebbe praticabile (insondabili misteri moderni!), ma se fosse così, è proprio per questo che rimarrebbe ben poco di “meraviglioso”, tranne che non si voglia considerare “meraviglioso” il fatto che il Papa sarebbe ostaggio impotente dei vescovi contrari alla Tradizione cattolica.
In realtà c’è poco di meraviglioso nel mantenimento di questa dicotomia che ormai affligge patologicamente la Chiesa, dicotomia innescata dal Vaticano II e mai curata dai papi perché convinti che il governo della Santa Chiesa scaturisca dalla “concertazione” tra la volontà del Papa e quella dei vari vescovi. Anzi, la convinzione è così radicata che si arriva al punto di predicare che è proprio questo divergere e la successiva concertazione che dimostrano la moderna vitalità del nuovo “popolo di Dio” e della nuova Chiesa uscita dal Concilio.
La volontà di Dio, l’insegnamento e la conduzione pastorale di duemila anni, la Tradizione liturgica e dottrinale? Tutte cose che appartengono al passato e che hanno trovato nuova linfa vitale nell’aggiornamento voluto dal Vaticano II che ha preferito la misericordia al dovere, la democrazia all’autorità, la concertazione alla responsabilità.

Partecipazione alla missione della Chiesa
Vorremmo apportare alla nuova evangelizzazione che il Santo Padre intende promuovere con l’Anno della Fede il contributo della sempre giovane liturgia tradizionale.

Il contributo, dice il cappellano del Coetus, confessando così che l’intenzione è quella di concorrere con chiunque altro a questa nuova evangelizzazione.
Ora, che singoli o gruppi vogliano darsi alla nuova evangelizzazione è cosa che riguarda solo loro, ma che per far questo si siano convinti che la “liturgia tradizionale” possa apportare il suo contributo, come fosse un’opinione o un qualsiasi altro espediente tra i tanti, è cosa che lascia allibiti, anche se aiuta a capire con quale forma mentis sia nata questa iniziativa.
Tutto l’appoggio e l’adesione al Papa si concretizza nell’accettazione della nuova mentalità inclusivista instauratasi nella Chiesa, per la quale il valore primario è l’inglobamento in un unico calderone di tutti e di tutto. Una sorta di ecumenismo ad intra, che non ha più lo scopo dell’affermazione della Verità, ma quello dell’esaltazione del benessere dell’uomo in vista di un mondo più giusto e solidale, come si usa dire oggi sulla base dell’istanza globalizzante che ha scambiato la cattolicità col mondialismo.
E questa moderna concezione, il cappellano la esalta e la ribadisce a conclusione del suo intervento, concludendo che
quello che si può chiamare il popolo Summorum Pontificum, il popolino come si dice in francese per indicare la gente comune, è oggi a disposizione del Santo Padre per la missione della Chiesa.

A dimostrazione che si è convinti che i fedeli tradizionali non costituiscono una risorsa per il ritorno alla Tradizione, ma una risorsa per portare avanti l’andazzo di questi ultimi cinquant’anni, che hanno visto la compagine cattolica allontanarsi sempre più dalla Tradizione della Chiesa, tanto da suscitare, appunto, la reazione e la resistenza di tanti fedeli che sono stati costretti a definirsi “tradizionali”, difensori della Tradizione, mentre tutti gli altri hanno continuato a chiamarli “fondamentalisti”.
Una formidabile contraddizione, insomma, che vorrebbe i difensori della Tradizione trasformati in sostenitori di chi la Tradizione l’ha osteggiata e continua ad osteggiarla. I difensori della Tradizione, e cioè i difensori della Chiesa, che da oggi in poi si sarebbero convertiti alla mentalità antitradizionale instauratasi nella Chiesa a partire dal Vaticano II.

Noi non mettiamo minimamente in dubbio la buonafede del cappellano, Don Claude Barthe, né quella di tanti fedeli che pensano che iniziative del genere possano essere solo lodevoli, ma questo non può impedirci di dire che, volenti o nolenti, i promotori di questa iniziativa hanno finito col promuovere una trappola colossale, in grado di raccogliere forze ed entusiasmi volti alla difesa e al ripristino della Tradizione cattolica, per trasformarli prima in tiepide disponibilità e poi, se possibile, in cuori e menti al servizio di chi della Tradizione non gliele importa niente e, anzi, continua ad osteggiarla.

I promotori, dicevamo, ma chi sono costoro?
Per adesso abbiamo solo letto proclami, dichiarazioni, interviste, ma lo scorso 10 settembre non s’è visto nessuno. Un amico ci ha suggerito che forse erano tutti a prenotare i treni, gli autobus e gli aerei con i quali convergeranno a Roma i primi di novembre. Ma l’amico è un burlone e quindi non è credibile.
Dunque, l’interrogativo resta.
Ma forse è davvero difficile riuscire a capire di chi si tratta, di quali persone, poiché queste sono disperse nella galassia di coloro che non amano la Chiesa Una, Santa, Cattolica, Apostolica, ma solo la Chiesa nata col Vaticano II, la Chiesa proiettata verso il futuro dalle spinte illuministe del secolo scorso, la Chiesa che non persegue più, in primis, la salus animarum, ma la pace nel mondo. Una Chiesa che per dare l’esempio in questo senso realizza già al suo interno questa pace, mettendo d’accordo cattolici e protestanti, ortodossi ed eterodossi, fedeli di Cristo e fedeli dell’uomo.
Ed ecco che allora si capisce chi sono i promotori: tutti quelli che hanno interesse a trasformare la Tradizione cattolica in una “corrente” della nuova Chiesa conciliare o democratica che dir si voglia.

In questo senso, vi è un’espressione illuminante in questo intervento del cappellano del Coetus:
«La Messa romana tradizionale, in particolare nel Canone, è sempre stata considerata di per sé stessa una magnifica professione di fede della Chiesa Mater et Magistra»

Ora, se la S. Messa tradizionale è tale, com’è stato per più di quindici secoli, ci si aspetterebbe che il nuovo “popolo Summorum Pontificum” si ponesse l’obiettivo del ripristino di questa magnifica liturgia, per il bene della Chiesa e delle anime. Ma non c’è una parola in questo senso. Piuttosto si esprime una colossale incongruenza, perché è evidente che se la “Messa tradizionale” è “una magnifica professione di fede”, lo stesso non può dirsi per la Messa moderna, tale che l’opera meravigliosa del Papa dovrebbe consistere nel ripristinare la prima e nell’accantonare la seconda. Ma né questo è auspicato, né risulta che rientri nell’intenzione del Papa.
L’elogio e il sostengo che questo pellegrinaggio vuole esprimere, dunque, sono rivolti principalmente al biritualismo inaugurato dal Motu Proprio, un biritualismo in cui la “magnifica professione di fede della Chiesa Mater et Magistra” è rappresentata dalla Messa moderna, chiamata “forma ordinaria”, è come tale imposta a tutti; mentre la “Messa tradizionale” è declassata a mera “forma straordinaria”, evidentemente perché non viene considerata quella “magnifica professione di fede” di cui parla Don Claude Barthe.
E cosa fa allora questo novello Coetus? Fa un pellegrinaggio a Roma per esaltare questo biritualismo e sottoscrivere coram populo che la S. Messa tradizionale è una ‘forma” accessoria del culto liturgico della Chiesa.
Ci si chiede allora: a che titolo il novello Coetus si dichiara sostenitore della S. Messa tradizionale, se non a titolo estetico, se non a titolo di preferenza personale o di gruppo, se non a titolo di mera piacevolezza di parte?
E questo cos’ha a che vedere con l’essere veramente cattolici, apostolici, romani?

Per finire, corre l’obbligo di parlare delle critiche a questa nostra posizione, critiche già espresse a partire da agosto e che, lo diciamo papale papale, ci lasciano del tutto indifferenti. Noi puntualizziamo non per noi stessi, ma per i tanti fedeli che ci leggono e che leggono anche le dette critiche.
Si è parlato di “fuoco amico”, per le diverse espressioni di dissenso contro questa iniziativa, perché sono state fatte le dovute precisazioni, non per amore della polemica, ma per esigenze di verità.
Perché fuoco amico? Perché oggi, in questa melassa indistinta che è ormai divenuta la compagine cattolica moderna, ogni voce fuori dal coro viene considerata sovversiva, secondo la logica della più elementare democrazia che riconosce solo una verità: la dittatura della maggioranza. In tale contesto, la prima regola da rispettare è: vietato pensare, perché ci sono già gli illuminati al potere che pensano per tutti.
Ebbene, per quanto ci riguarda il fuoco continua e continuerà fintanto che si metteranno in essere delle manovre volte alla demolizione della Tradizione. Non tanto per contrastare tali manovre quasi in termini di “opposti schieramenti”, ma quanto, e soprattutto, per carità cristiana, perché la vera carità si esercita nella verità, non nella tolleranza, la tolleranza viene dopo, per evitare un male peggiore, ma il primo imperativo è la verità. Il vero cattolico si preoccupa di esercitare la carità dicendo pane al pane e vino al vino, incurante delle conseguenze e delle critiche dei benpensanti.
La carità senza la verità è un mero esercizio di sentimentalismo, perché manca del rispetto della giustizia che esige che si dia ad ognuno il suo.

Ma siano noi, insieme ad altri, gli unici possessori della verità? Certo che no!
Come accade ovviamente per quelli che parlano di fuoco amico!
E allora? Allora, invece di parlare di fuoco amico si spieghi dove sbagliamo, si entri nel merito delle nostre considerazioni, si dica perché è sbagliato dire che il Motu Proprio ha ridotto la Tradizione ad una mera “forma” subordinata alla modernità.
Si dica perché è sbagliato parlare di inclusivismo.
Si spieghi perché si parla sempre di Messa tradizionale, senza minimamente accennare al fatto che questa implica inevitabilmente la dottrina tradizionale.
Si espongano le ragioni per le quali la liturgia tradizionale non sarebbe mai stata abrogata, ma per celebrarla occorre un permesso, una legge in deroga.
Si spieghi perché è possibile accettare la celebrazione della liturgia tradizionale e insieme la predicazione degli insegnamenti conciliari che hanno condotto alla sua emarginazione.
Si espongano le ragioni perché si dovrebbe essere grati al Vaticano per aver ridotto la Tradizione di tutta la Chiesa a mero argomento di una parte, di uno specifico “popolo”, ieri detto dell’Ecclesia Dei, oggi detto del Summorum Pontificum.
Si contesti il convincimento che molti sedicenti difensori della Tradizione stiano velocemente scivolando verso lo scambio della Tradizione con l’unità ecclesiale ad ogni costo, anche a costo della Tradizione.
Si chiarisca infine perché gli unici veri difensori della Tradizione sarebbero quelli che ricercano l’accordo col Vaticano che continua a considerare tradizionali gli insegnamenti del Vaticano II che contraddicono la Tradizione.

Perché in definitiva, se noi e quelli che la pensano come noi fossimo veramente in errore, la carità di coloro che si ritengono dalla parte della ragione dovrebbe imporre loro di correggerci e non di semplicemente accusarci, lamentarsi e atteggiarsi a vittime.





agosto 2012

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