Vaticano II:
religione dell’uomo

 
di Mons. Richard Williamson


Pubblichiamo un articolo di Mons. Richard Williamson, riguardante il Vaticano II e le sue deviazioni. L'articolo è stato scritto a partire dal libro di Don Alvaro Calderón, FSSPX: Prometeo, La religione dell'uomo, e fa parte del n° 111, inverno 2019-2020, della Rivista Le Sel de la terre, pubblicata dai Domenicani di Avrillé, Francia.

L'articolo verrà pubblicato in 4 parti, corrispondenti ai 4 capitoli che lo compongono.






Presentazione di Le Sel de la terre

Don Alvaro Calderón (FSSPX), che ha già scritto diversi articoli per Le Sel de la terre, fra cui uno molto notevole: Questioni disputate sul magistero conciliare (1), ha pubblicato nel 2010 a Buenos Aires, uno studio sui principii guida e la coerenza interna del concilio Vaticano II.

Intitolato in modo chiaro: Prometeo, La religión del hombre. Ensayo de una ermenuéutica del conclio Vaticano II (Prometeo, La religione dell’uomo. Saggio di ermeneutica del concilio Vaticano II), questo studio non si accontenta di recensire e di analizzare i diversi punti di rottura del magistero conciliare con la tradizione cattolica. Esso mostra in maniera impressionante la logica che tiene insieme queste novità in un tutto coerente e che costituisce veramente una nuova religione, erede della rivoluzione umanista e del «cattolicesimo liberale», ma dotata di una fisionomia e di caratteristiche proprie.

Uno studio di questa qualità non potrà mancare di essere tradotto e pubblicato in francese. Ma poiché questa edizione si fa attendere già da dieci anni, noi siamo felici di offrire ai nostri lettori il riassunto dettagliato che Mons. Williamson ha voluto fare di quest’opera magistrale (2).
Noi lo ringraziamo per averci voluto affidare questo lavoro.


Capitolo I - Cosa fu il Vaticano II
Capitolo III - La nuova Chiesa
Capitolo IV - Una nuova religione?



Capitolo II

L’uomo nuovo

Allo scopo di ristabilire la dignità dell’uomo, misconosciuta fino al XX secolo, il Vaticano II colloca questa dignità nella sua LIBERTA’, la quale si situa nelle sue due facoltà più elevate: nella sua intelligenza sotto forma di SOGGETTIVISMO e nella sua volontà per il primato della COSCIENZA.
In definitiva, è tutta la NATURA dell’uomo che sarebbe liberata dalla grazia.

La libertà, valore supremo della dignità umana

Dopo avere stabilito i rapporti tra l’umanesimo e il liberalismo (1), esamineremo il liberalismo del Concilio (2), poi vedremo una conseguenza immediata (3) e infine una conseguenza ultima (4).

I rapporti tra umanesimo e liberalismo

- Status quaestionis

Se il Vaticano II è innanzi tutto un umanesimo, che risale al XIV e al XV secolo, come può essere caratterizzato dalla libertà, che ha dato il suo nome al liberalismo del XIX e del XX secolo? L’umanesimo è necessariamente legato al liberalismo?

- L’umanesimo persegue l’autonomia

L’umanesimo post-medievale ha avuto origine dalla difesa dei valori puramente umani, contro la spiritualità medievale che, sostenendo la povertà, la castità e l’obbedienza, disprezzava perciò stesso le ricchezze, il cuore e la volontà individuale.
Ora, l’unico rimedio alle conseguenze della caduta è il cammino della Croce. Ma, a partire dal XIV secolo, i cristiani non vollero più la Croce, e divennero umanisti.
A questo punto, per difendere, contro l’obbedienza, prima di tutto la volontà personale dell’uomo, l’umanesimo ha reclamato «l’autonomia»; affinché la moderazione umana rimpiazzasse le esigenze inumane dei preti che, imponendo la disciplina della Chiesa, trattavano gli uomini come dei bambini.

Ora, la radice dell’autonomia è il libero arbitrio; dunque l’umanista è diventato razionalista facendo valere la ragione contro la fede e la filosofia contro la teologia; ed è diventato naturalista facendo valere la natura contro la grazia.
Ma la ragione non sfugge alla realtà oggettiva; così l’umanesimo si orienterà piuttosto verso la volontà, non in quanto sottomessa al diritto oggettivo (cosa che presuppone la grazia), ma in quanto scegliendo indipendentemente dal diritto oggettivo, cioè scegliendo sia il bene sia il male: ecco l’autonomia tanto desiderata!
Dunque, colui che sceglie il male conserva tutta la sua dignità, per il solo fatto di scegliere.

- Conclusione

Riassumendo: cercando di liberarsi dalla gerarchia della Chiesa, dunque dall’autorità divina, l’umanesimo ha glorificato questo libero arbitrio, la facoltà di scegliere il bene o il male. Ed è tale glorificazione che costituisce il cuore del liberalismo. Ecco perché l’umanesimo post-medievale, trascinato dal suo stesso peso, è caduto nel liberalismo.

Il liberalismo del Concilio

Il vecchio umanesimo è sfociato in due guerre mondiali. Allora il nuovo umanesimo del Vaticano II ha tentato di inserire questa libertà, valore supremo, in un quadro formato dalla dottrina cattolica e dalle strutture della Chiesa. Non è un lavoro da niente!
Secondo la Rivelazione divina, l’uomo può essere elevato a partecipare alla natura divina perché ha una natura spirituale fatta a immagine di Dio; e questa è la sua vera dignità.
Al contrario, il Vaticano II colloca la dignità dell’uomo nella sua libertà. E’ per la sua autonomia che egli partecipa alla natura divina!
A questo punto, la grazia soprannaturale funziona come una super-libertà (si veda GS 13, 14 e soprattutto 17). Ma questo significa confondere totalmente il soprannaturale e la natura. Infatti, se è col suo libero arbitrio (che fa parte della sua natura) che l’uomo è a immagine di Dio e capace di partecipare alla natura divina, non vi è più distanza, né differenza, fra gli ordini della natura e la grazia. E’ l’errore gravissimo del naturalismo.

- Conseguenza immediata: l’azione è superiore alla contemplazione

Secondo Platone, Aristotele e la dottrina cattolica (Gv. XXIII, 3), la pienezza della vita umana si trova, non nell’azione, in cui si esercita la libertà, ma nella contemplazione, o conoscenza amorosa di Dio. La stessa felicità di Dio non proviene dalla sua libera creazione di un mondo finito, ma dalla contemplazione della sua perfezione infinita.
Di contro, secondo la dottrina implicita del Concilio, la pienezza o beatitudine divina si situa nel suo atto libero della creazione, e quella dell’uomo nei suoi atti liberi di gestione e governo delle cose create.
Non comprendendo più il primato della contemplazione sull’azione, il Concilio incorre in un errore tipicamente moderno: l’attivismo (si veda GS 34).

- Conseguenza ultima: Non serviam

Questa glorificazione della libertà separa l’uomo da Dio, perché, a forza di volere essere legge a se stesso (auto-nomia), l’uomo rigetta necessariamente il primato della legge di Dio (theo-nomia). Ora, dal momento in cui l’uomo non vuole più servire Dio, si mette sotto il potere del demonio (S. Th. III, q. 8, a. 7).

La liberazione dello spirito per mezzo del soggettivismo

Dapprima spieghiamo il ricorso dell’umanesimo al soggettivismo; poi vedremo il soggettivismo del Concilio, e in seguito due conseguenze.

Il soggettivismo, rifugio dell’umanesimo

L’umanesimo ha iniziato la sua liberazione per mezzo dell’intelligenza; ha dunque ignorato i teologi per studiare da se stesso le fonti della Rivelazione e la saggezza pagana. Ma queste fonti e il loro studio portavano sempre alle stesse conclusioni dei teologi; e allora bisognava andare oltre e attaccare la struttura stessa del pensiero oggettivo, come lo presenta la scolastica. E’ da qui che nasce il soggettivismo che si trova già nel XIV secolo in Guglielmo di Ockhman e che è vigorosamente condannato ancora nel XX secolo dalle encicliche Pascendi e Humani generis.

Il soggettivismo del Concilio

Senza cadere nella follia hegeliana della conciliazione della contraddizione, il Concilio tende a mantenere sufficiente soggettivismo per assicurare la sua libertà di pensiero. Esso ricorre allora al principio della «insufficienza delle formule dogmatiche» di fronte alla pienezza inesprimibile dei misteri divini.
In effetti, la fede ha per oggetto ET il mistero, ineffabile, ET le formule che lo esprimono in maniera umana, ma sufficienti perché colui che crede raggiunga veramente il mistero divino e possa salvare la sua anima.
Ora, il Vaticano II pretende che Dio abbia rivelato solo il suo mistero e non queste formule umane, inadeguate. Questo mistero sarebbe riconosciuto solo con l’ESPERIENZA, che è soggettiva. Ne consegue che le formule dogmatiche possono cambiare, senza che cambino i misteri ai quali esse corrispondono. In altre parole, il Vaticano II si ritiene libero di capovolgere i dogmi di ieri senza tuttavia allontanarsi dalla verità e dalla Tradizione di sempre!

Breve analisi del soggettivismo conciliare

Questo soggettivismo del Concilio cerca di moderare il relativismo integrale che mina ogni certezza, ma tende nondimeno a ricadervi continuamente, perché rimpiazzando l’astrazione scolastica con una esperienza mal definita, esso nega la conoscenza umana delle essenze universali. Da qui, la sola universalità che possa rimanere ai concetti intelligibili è quella condivisa da molti uomini della stessa cultura (hic) o periodo storico (nunc). Ogni verità, quindi, sarà solo o culturale o storica.
In più, senza intelligenza degli universali, l’uomo non può più, per la stessa analogia, risalire dalle creature alla conoscenza positiva di Dio. La teologia naturale sarà solo negativa, cioè niente. E’ anche la fine di ogni scienza, che è degli universali. Finiscono anche gli articoli di fede, necessariamente inadeguati ai misteri divini che pretendono esprimere. Questi misteri, ormai, l’uomo può conoscerli solo con un contatto o un’esperienza immediata.
Tuttavia, è una verità esplicitamente rivelata che la fede è ex auditu (Rm. VIII, 17): si crede ascoltando la proposizione umana dei misteri divini.

Prima conseguenza: il pluralismo teologico

A questo punto, la Rivelazione diventerà ciò che è manifestato della presenza di Dio attraverso i diversi simboli, o «sacramenti» - Cristo, la Chiesa, la liturgia, i neri, i poveri, le donne, ecc. -, dunque ciascuno avrà la sua personale ermeneutica. Credere equivale a percepire la presenza misteriosa attraverso l’interpretazione del simbolo. Questa percezione non si lascia definire, ma dal momento che è percepita da molti nello stesso tempo, si avrà una esperienza comune che i nuovi teologi, come i poeti geniali, si industrieranno per esprimere.
Ne consegue che non vi è una sola teologia. Pretendere, come Pio XII, che ce ne sia solo una, equivale ad impoverire il pensiero ecclesiale e commettere un abuso di autorità. Chi saprà esaurire il mistero divino?

Conseguenza ultima circa il problema della verità

Il soggettivismo dissolve ogni verità oggettiva. Ora, per rimanere cattolici, il nuovo umanesimo deve quantomeno attribuire un senso al termine «verità». Sarà la sincerità che esprime adeguatamente l’esperienza personale? Sarà l’efficacia di ciò che esprime al meglio i bisogni della comunità?
Seguendo il Concilio, la Commissione Teologica Internazionale promuove l’ecumenismo, conseguenza logica della soggettività di ogni verità; ma, trent’anni più tardi, la stessa Commissione finisce col riconoscere che se tutte le «verità» sono vere, allora sono tutte false. Conclusione inammissibile per i cristiani, afferma la Commissione.
La sua soluzione? L’affermazione della superiorità di Cristo fa parte della «struttura di verità» propria della fede cristiana. In altre parole: la superiorità della «verità» cristiana è una pretesa della cultura cristiana!
 del Vaticano II fu dunque questo tentativo di riconciliare due forze opposte. Benedetto XVI è l’esempio vivente di questa riconciliazione impossibile, ma sincera e risoluta.

La liberazione della volontà per mezzo della coscienza

La coscienza, liberatrice dell’azione

Ogni azione segue qualche pensiero. Così, il pensiero delineato dal soggettivismo sarà seguito da un’azione senza vincoli, secondo una prudenza ormai centrata sull’uomo.
La vera prudenza, che giudica le circostanze particolari di un certo atto da compiere, è centrata su Dio e si lascia governare dalla saggezza che considera i principii universali. E’ dunque la saggezza il giudice supremo degli atti umani, per l’individuo come per la società. Ma il soggettivismo dissolve ogni conoscenza degli universali, essendo il suo scopo precisamente quello di giustificare il pluralismo nell’ordine morale.
Essendo stata messa fuori causa la saggezza oggettiva, naturale o soprannaturale, l’umanesimo del XVI secolo ha realizzato una norma alternativa, stella polare degli atti umani: la COSCIENZA.
In realtà, la coscienza non è una potenza un habitus di giudizio degli atti umani. Essa è solo un atto dell’habitus di sinderesi (1) e degli altri habitus cognitivi che misurano le azioni.

[1 – La sinderesi è, nell’intelligenza, l’habitus del senso morale, per il quale sono conosciuti i primi principii della legge naturale.]

Purtroppo, alcuni teologi cattolici hanno seguito questo errore che fa della coscienza una norma di moralità e così hanno spianato il cammino al relativismo morale.

La retta coscienza secondo il Concilio

- Status quaestionis

Per salvare la modernità con una nuova trasfusione di sangue cattolico, il nuovo umanesimo cerca di relativizzare il relativismo morale dei principii moderni, collegando la coscienza soggettiva alla legge oggettiva di Dio, senza però sacrificare la libertà umana. Come fa a farlo? Affermando la trascendenza della persona umana, che si eleverebbe al di sopra del puramente soggettivo.

- «Veritatis Splendor» alla riscossa della moralità oggettiva…

Nel 1993, nell’enciclica Veritatis Splendor, Giovanni Paolo II ha fornito la spiegazione ufficiale dell’insegnamento della Gaudium et spes sulla «dignità della coscienza morale» (GS 53). A prima vista, l’enciclica condanna nettamente gli errori del relativismo morale, quali la supremazia della libertà, il soggettivismo, l’autonomia della coscienza e la perdita della verità morale oggettiva.
Seguendo l’enciclica Libertas di Leone XIII, Veritatis Splendor afferma che nell’uomo vi è una legge naturale che deriva dalla legge divina eterna. Questa legge naturale è necessariamente oggettiva, poiché essa non è prodotta dalla coscienza, che ne è solo la nobile eco nella persona umana degna (§§ 32, 44, 60).
Ma questa è solo un’apparenza della dottrina tomista. Per San Tommaso, la moralità oggettiva è enunciata nelle proposizioni evidenti per se stesse, astratte ed universali, come i Dieci Comandamenti. Ora, la possibilità di una tale conoscenza universale e formulata con precisione, è negata dal nuovo umanesimo, per il quale la legge naturale – espressione umana della legge eterna di Dio – può essere conosciuta solo attraverso una esperienza intima e inesprimibile.

- … o invece della moralità soggettiva!

Dunque, per il Concilio, come per Veritatis Splendor, la legge naturale è una misteriosa impressione o influenza della presenza divina nella luce della ragione che muove verso Dio il giudizio di tale legge (§§ 40-43). Così, la ragione umana è orientata verso il bene morale, perché Dio guida le creature razionali non dal di fuori, come le creature irrazionali, ma dal di dentro.
Nessuna formula intellettuale saprebbe esprimere adeguatamente questa inclinazione misteriosa del cuore, ma dato che essa fa parte della natura umana che non cambia nel corso dei secoli, detta inclinazione è sempre la stessa, dunque oggettiva. Sta ai diversi teologi delle diverse culture ed epoche esprimerla in maniera la meno inadeguata possibile e la meglio adatta ai loro tempi (§ 53).

- Conclusione

E’ così che, nel quadro del pensiero conciliare, la legge oggettiva ed esteriore dei cattolici è combinata con l’esigenza dell’autonomia soggettiva ed interiore della modernità: come Dio ha impresso negli animali gli istinti che li portano a compiere infallibilmente la Sua volontà, così Egli ha impresso negli uomini una spinta divina, inesprimibile, che li porta interiormente a fare il bene.
Ma, in realtà, se è vero che la volontà umana ha una inclinazione naturale verso il bene, come l’intelligenza verso il vero, si tratta della verità e del bene razionali, concepiti per astrazione e perfettamente esprimibili con un linguaggio sufficientemente colto. In più, l’uomo è un animale sociale, le cui inclinazioni naturali devono essere educate, dapprima in famiglia e poi nella società. Infine, l’uomo è ferito dal peccato originale. Perché egli salvi la sua anima, questa educazione, richiesta necessariamente dalla sua natura, dovrà essere anche cristiana.
Se la Chiesa conciliare insiste nel sostenere che gli uomini si formano solo soggettivamente e interiormente, essi non si formeranno affatto, non si salveranno, e questa nuova Chiesa non sarà stata una buona madre!

La liberazione della natura ad opera della grazia

Il naturalismo umanista

La vita cristiana poggia su tre grandi verità: il fine soprannaturale dell’uomo, il peccato originale e la Redenzione per mezzo della Croce; le quali impongono la rinuncia alle creature e a se stessi (Lc. IX, 23). In reazione a queste esigenze della spiritualità cristiana, giudicate «eccessive», alla fine del Medioevo l’umanesimo appare come un naturalismo. Ma se inizialmente esso nasce per affermare i valori naturali, finisce poi col distruggerli tutti. Oggi esso dubita perfino del valore della nostra conoscenza e della complementarità naturale dei sessi.

Il naturalismo del Concilio

Il nuovo umanesimo interviene allora per salvare il vecchio, iniettandogli una dose di cattolicesimo. Esso ricorda per esempio che la grazia non sopprime la natura, ma la perfeziona. Cosa che il Concilio interpreta così: tutto l’ordine soprannaturale della grazia è ordinato non ad elevare la natura verso Dio, ma a perfezionare la natura in se stessa.
Quindi, propriamente parlando, si tratterebbe di una grazia sub-naturale!
Cosa insegna Gaudium et spes? Certo, la grazia deifica, ma ciò che caratterizza la deità è l’autonomia. Dunque, con la sua autonomia, agendo liberamente, l’uomo assomiglia a Dio. Ora, il peccato ostacola la libertà dell’uomo. E’ per questo che l’uomo ha bisogno della grazia (GS 17). In altre parole: la grazia è riparatrice della libertà naturale e restauratrice della dignità umana.
Del pari (GS 21-22): la Rivelazione ha lo scopo  di farci conoscere, non la natura divina trinitaria, ma il misero della natura umana. Cristo «svela anche pienamente l’uomo a se stesso e gli manifesta la sua altissima vocazione.» (GS 22).
Sempre secondo il Concilio, sembra anche che tale fu lo scopo dell’Incarnazione!

Conclusione

Il Concilio vuole conciliare l’umanesimo e il cattolicesimo classico.
L’umanesimo vuole:
I) promuovere la dignità umana con la libertà;
II) liberare l’intelligenza insistendo sulla soggettività della conoscenza;
III) liberare la volontà insistendo sulla coscienza;
IV) esaltare la natura come il bene supremo.

Lungi dal contestare queste conquiste dell’umanesimo moderno, il Concilio gli propone di abbellirle con le ricchezze trascendenti della Chiesa:
I) Sì, la libertà è la suprema dignità dell’uomo, ma in più questa libertà è trascendente, e ci eleva al punto di partecipare alla natura stessa di Dio. Non è più bella così?
II) Sicuramente, la soggettività della nostra conoscenza ci libera dalla tirannia di un unico sistema dottrinale, ma l’uomo può giungere fino all’esperienza del mistero di Dio, e ne vale veramente la pena, perché egli vi contempla al tempo stesso il suo stesso mistero.
III) D’accordo, la coscienza è la legge suprema della moralità, ma in più essa partecipa della legge eterna, dunque l’uomo agisce naturalmente secondo la legge di Dio. Cosa c’è di più nobile?
IV) Certo, la grazia è stata spesso presentata come superiore alla natura umana, ma poiché essa ci libera dalla schiavitù del peccato, non bisogna piuttosto vedere in essa la pienezza della nostra libertà?

Paolo VI può finalmente dichiarare che non vi è conflitto tra l’umanesimo ateo e l’umanesimo del Concilio. Ma in più, il Concilio ha messo Dio e la Chiesa al servizio dell’uomo!


NOTE

1 – DON ALVARO MARTIN CALDERÓN, Questioni disputate sul magistero conciliare, in quattro articoli: (1) «Un dilemma: Si può criticare il Vaticano II senza erigersi a giudici del Magistero? (Le Sel de terre, n° 47); (II) Il magistero conciliare può essere messo in questione? (n° 55); (III) Il magistero conciliare ha qualche grado di autorità? (n° 60); (IV) L’infallibilità delle canonizzazioni e delle leggi universali (n° 72). Si veda anche in Le Sel de la terre n° 63 (pp. 47-58), la risposta dell’autore alle critiche e alle obiezioni di Don Bernard Lucien – Don Calderón è professore di filosofia e teologia al seminario della Fraternità San Pio X di La Reja, in Argentina.
2 – Il libro di Don Alvaro Martin Calderón, ultimato il 17 gennaio 2010, è stato stampato a Buenos Aires (Ediciones Oeste) nel marzo 2010; esso è composto di 324 pagine.



Capitolo I - Cosa fu il Vaticano II
Capitolo III - La nuova Chiesa
Capitolo IV - Una nuova religione?







marzo 2020

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