MONSIGNOR BENIGNI, BENEDETTO XV,
CATTOLICI INTEGRALI E MODERATI

Parte undicesima

di
Don Curzio Nitoglia


Gli articoli di Don Curzio Nitoglia sono reperibili nel suo sito






Benedetto XV



IL CONCLAVE DEL 1914

 IN APPENDICE: BENIGNI E IL GIUDAISMO
 


-I-

IL CONCLAVE

Prologo


Alberto Melloni scrive: “C’è un nesso non solo sequenziale fra il conclave che porta Giacomo Della Chiesa sul trono di Pietro nel 1914 e quello immediatamente precedente che, quasi 11 anni prima, il 4 agosto 1903, aveva visto eletto Pio X” (A. MELLONI, Il conclave di Benedetto XV, in A. MELLONI – diretto da – Benedetto XV. Papa Giacomo Della Chiesa nel mondo dell’inutile strage, Bologna, Il Mulino, 2017, 1° vol., p. 139).

Qual è il nesso causale e non solo temporale (propter hoc e non solo post hoc) tra i due conclavi? Melloni lo spiega, scrivendo che nel 1903 l’Austria aveva posto il veto all’elezione del cardinal Mariano Rampolla del Tindaro, il quale era stato il maestro del giovane don Giacomo Della Chiesa e lo aveva introdotto personalmente nella vita curiale vaticana, che lo portò pian piano all’elezione pontificia nel 1914, in continuità e in continuazione piena con la scuola detta “rampolliana” e “pecciana” (ivi). Perciò, nel 1914, i cardinali, che avrebbero voluto il Rampolla come Papa nel 1903 come continuatore del pontificato di papa Pecci, elessero il suo allievo, Benedetto XV, il quale data la sua formazione giuridico/diplomatica era considerato una sorta di “secondo Rampolla” o di “secondo Pecci”.

Verso il conclave

Lo storico bolognese narra dettagliatamente lo svolgersi del conclave del 1914 a partire dall’agonia di papa Sarto: il 19 agosto del 1914 papa Pio X si aggrava molto rapidamente, anzi talmente velocemente da “non consentire di allestire nemmeno la processione degli oli santi, che solitamente serviva a rendere nota a tutti l’agonia del Papa (La Stampa, 21 agosto 1914, p. 4, Il conclave si farà il 30 agosto)” (in A. MELLONI, Il conclave di Benedetto XV, cit., p. 140).

Il quotidiano milanese Il Corriere della Sera, uscito in edizione straordinaria il giorno della morte del Papa (La morte di Pio X, 20 agosto 1914, p. 1), nota che “scompare il Papa religioso in un’ora che forse renderà necessario un Papa politico”. Infatti proprio il 20 agosto le truppe germaniche avevano occupato Bruxelles. Bisognava affrontare il problema della prima guerra mondiale. Quindi ci sarebbe voluto un Pontefice molto abile nella diplomazia, nella politica, nelle questioni di diritto e questi era il cardinale Giacomo Della Chiesa, allievo del Rampolla, che era stato Segretario di Stato di Leone XIII. Assieme al Della Chiesa avevano lavorato  nella Curia vaticana anche monsignor Achille Ratti (il futuro Pio XI dal 1922 al 1939) e monsignor Eugenio Pacelli (il futuro Pio XII dal 1939 al 1958), i quali dovettero confrontarsi con i prodromi e lo scoppiar del secondo conflitto mondiale, essendo anche loro abili “politici” e giuristi, formatisi alla scuola rampolliano/pecciana, ma non per questo modernisti.

Come avevano ben intuìto i giornalisti, dal conclave del 1914 (iniziato quando era appena cominciata la prima guerra mondiale) sarebbe uscito un Papa soprattutto “politico” o diplomatico, ossia atto ad affrontare una questione ampiamente, anzi universalmente politica come la prima guerra mondiale, che avrebbe trasformato totalmente la faccia dell’Europa (fine dell’Impero austriaco) e del mondo, data la partecipazione decisiva degli Usa ad essa e il suo progressivo affacciarsi sulla scena del dominio mondiale, che dura ancora oggi.

La medesima situazione si presentò nel 1939, quando alla vigilia della seconda guerra mondiale, durante il conclave successivo alla morte di papa Ratti, verrà eletto un altro Papa “politico” (papa Pacelli), ma ciò non significa che non fosse “religioso” oppure che Pio XII (al pari di Pecci, Della Chiesa e Ratti) sia stato un Papa “liberale” o “modernista”.

Pio X, a ragione, viene detto Papa “religioso” poiché il problema principale che dovette affrontare durante il suo pontificato fu eminentemente religioso (il modernismo) e non politico (la guerra mondiale); tuttavia ciò non significa che San Pio X non abbia affrontato anche questioni di natura sociale, politica ed economica (PPI, Democrazia cristiana, Sillon); come pure Benedetto XV dovette risolvere anche problemi filosofici e teologici (tomismo, modernismo, esegesi razionalista)  e non soltanto diplomatico/politici.

Alcuni storici come pure i giornalisti, per farsi capire meglio tendono a semplificare il quadro e a schematizzare, ponendo una distinzione (non una contrapposizione) tra i Papi soprattutto, però non esclusivamente “politici” (per esempio, Leone XIII, Benedetto XV, Pio XI e Pio XII) ed i Papi specialmente, ma non solamente “religiosi” (ad esempio, Pio X, visto in continuità con Pio IX e con Gregorio XVI). In effetti vi è un fondamento nella realtà in questa presentazione, ma occorre tener bene a mente che essa è solo una schematizzazione o semplificazione per farsi capire meglio dai lettori e non pretende di essere esaustiva.

Altri autori, meno abili e più rozzi oppure prevenuti teologicamente e ideologicamente, esagerano talmente la portata dello schema suddetto sino a contrapporre radicalmente e dottrinalmente i Papi cosiddetti anti/liberali (da Gregorio XVI a Pio X) ai Papi addirittura reputati “liberali” (da Leone XIII sino a Pio XII); essi non vogliono capire la sfumatura tra “diplomatico” o “politico” e “religioso”; anzi spesso vogliono equivocare riguardo ad essa, infatti per essi il prelato “politico” è un “liberale” o un “modernista”. Invece il Pontefice detto innanzitutto “politico” è un uomo che, oltre la personale santità e fede, deve usare soprattutto la virtù di prudenza sociale nel governo della Chiesa, data la situazione in cui essa si viene a trovare, nella quale, predomina un avvenimento politicamente rilevante: ad esempio la guerra e specialmente una guerra mondiale. Invece il Papa detto soprattutto “religioso” deve servirsi specialmente della teologia e della fede per risolvere i problemi innanzitutto dottrinali della sua epoca (liberalismo/Pio IX, modernismo/Pio X), i quali però non sono mai privi pure di conseguenze politico/sociali/economiche. Insomma, non vi è contrapposizione tra questi due tipi di Pontefici (il diplomatico e il religioso), ma soltanto un diverso modo di governo, che corrisponde ad un diverso stato di cose nel mondo dominato ora da questioni religiose (il liberalismo e il modernismo della seconda metà dell’Ottocento e dei primi anni del Novecento) o da problemi sociali (ottobre 1917) se non addirittura bellici (1914/1918 e 1939/1945).

Abbiamo già visto come alcuni “scalmanati” avessero addirittura contrapposto Benedetto XV (Papa “politico/modernista”) a Pio X (Papa “religioso/antimoderno”) (1), mentre tra questi Pontefici vi fu la medesima dottrina accompagnata solamente da un diverso modo di governare la Chiesa, più (ma non esclusivamente) “diplomatico” in uno o più (ma non soltanto) “religioso” nell’altro a seconda delle circostanze storiche in cui si trovarono a dirigere la Chiesa.

L’arrivo dei cardinali a Roma per il conclave

Il Melloni narra, dunque, l’arrivo dei cardinali a Roma in vista del conclave. “Fra i primi sono stati notati Giacomo Della Chiesa, giunto da Bologna e il cardinal Andrea Carlo Ferrari di Milano, accompagnato dal suo segretario monsignor Achille Ratti” (cit., p. 140).

Quindi asserisce che nel conclave vi era “un clima di battaglia” tra i cardinali, che veniva “percepito” e magari ingigantito (come succede in ogni conclave) “da diplomatici e giornalisti presenti a Roma” (cit., p. 141). Secondo Melloni (il cui giudizio è spesso inficiato dalla sua pregiudiziale teologicamente filomodernista) i cardinali erano in effervescenza già prima del conclave non solo per “l’ansia politica e militare” (ivi) dovuta alla grande guerra appena scoppiata, ma anche per un certo “senso di malessere rispetto al clima repressivo che aveva fustigato la Chiesa e soprattutto gli ambienti ecclesiali italiani, fiaccati dalla campagna antimodernista [di Pio X, ndr]” (ivi). Ora, in realtà, il pontificato di Pio X ha arricchito la Chiesa non solo per la giusta condanna del modernismo, ma anche per le molteplici riforme iniziate e spesso portate a compimento dal Pontefice (rilancio del Tomismo, il Codice di Diritto canonico, la riforma liturgica e del canto gregoriano, la Comunione ai bambini, la Comunione frequente …).

Il Melloni, che, nonostante le sue simpatie teologicamente moderniste, è oggettivamente una miniera per quanto riguarda le fonti storiche, ricava questa indicazione dalle riflessioni contenute nei Diari del cardinal Désiré Mercier arcivescovo di Malines in Belgio (riportati con ampia appendice documentaria da R. AUBERT, Le cardinal Mercier aux conclaves de 1914 et 1922, in “Académie Royale de Belgique”, n. 6 / 11, 2000, pp. 165-236), secondo cui Pio X era buono, pio e affettuoso; mentre i cardinali De Lai, Pompili, Merry del Val avrebbero applicato le sue direttive “con durezza e bruscamente”. Tuttavia Melloni esaspera (in maniera specularmente opposta a quella di Benigni) queste diversità e le fa divenire una specie di contrapposizione radicale e di discontinuità teologica tra Pio X e il futuro Benedetto XV (cit., p. 142). Infatti mentre per Benigni i “buoni” sarebbero stati solo i Papi “intransigenti” (Pio IX e X), per Melloni essi sarebbero stati i “cattivi”.

3 settembre 1914: l’elezione di Benedetto XV

Il 3 settembre, al decimo scrutinio, il Della Chiesa ottiene 38 voti e raggiunge il quorum per l’elezione. Melloni cita l’articolo del quotidiano torinese La Stampa (4 settembre 1914, p. 1, La virtù episcopale del nuovo Papa), in cui Benedetto XV viene descritto come “un uomo molto attivo, che non parla, ma ascolta […]. Egli a Bologna si alzava alle cinque e la mezzanotte lo trovava ancora chino sui libri. Sbrigava da sé tutti i suoi affari non esclusa la corrispondenza, era caritatevolissimo; ma aveva trovato nei primi tempi del suo episcopato a Bologna una certa ostilità per il suo carattere che, pur essendo temperato con una certa dolcezza, appariva imperioso e tale da incutere più timore che rispetto”. Come si vede per qualcuno Benedetto XV sarebbe stato addirittura una specie di “mostro” integralista, che incuteva timore a tutti … “così è se vi pare” …

Un bilancio finale

Il Papa che venne scelto nel 1914 era stato un diplomatico lungo la maggior parte della sua vita, ma aveva avuto, per circa sei anni, anche l’esperienza religiosa/pastorale dell’ufficio episcopale nella diocesi di Bologna, per volontà esplicita di San Pio X, dal 1908 al 1914.

Melloni vede nell’elezione di Benedetto XV una “rivincita dei rampolliani” (cit., p. 147). Infatti monsignor Della Chiesa era un “diplomatico di formazione e un rampolliano di cultura” (ivi), senza essere per questo un liberale o un modernista.

-II-
APPENDICE: BENIGNI E IL GIUDAISMO
“CHI HA SPINTO NERONE A PERSEGUITARE I CRISTIANI?”

Introduzione


Voglio proporre all’attenzione dei lettori queste pagine magnifiche, scritte da monsignor Umberto Benigni, sul Giudaismo talmudico e i suoi rapporti col Cristianesimo primitivo.

La dottrina storico/sociale del monsignore perugino è ottima, non si può non ammirarlo; purtroppo il “caratteraccio” polemico sino all’inverosimile che aveva, unitamente alla pratica poco bella (soprattutto in un sacerdote) della denuncia all’Ovra dei semplici sospettati di modernismo come “internazionale antifascista”, ha guastato la sua azione associativa antimodernista (Sodalitium Pianum), la quale nei suoi princìpi e nei suoi scopi era geniale: combattere la “setta segreta” modernista mediante un’azione contro/spionistica, che tenesse in considerazione il lato occulto del modernismo, lottando perciò  con esso ad armi pari.

Infatti i suoi eccessi di legittima difesa dall’attacco modernistico contro la Chiesa, hanno suscitato delle riserve sulla intensità del fuoco di sbarramento contro il modernismo e i modernisti reali e non solamente sospetti, indebolendo così la repressione giusta dei novatori. 

La personalità del Benigni è complessa e piena di sfaccettature, non si può negare la sua genialità, ma non si può far finta di non vedere i suoi eccessi di zelo, che lo portarono a frequentazioni pericolose (Giovanni Preziosi e l’Ovra) e a vere e proprie mancanze di correttezza nel polemizzare. Parce defunctis!

Il testo di Benigni

«NERONE esordì come GAIO, illudendo il senato ed il popolo con una riservatezza e clemenza d’occasione. Ma Nerone fece più e meglio, mercé la politica opportunista dei suoi due precettori BURRO e SENECA: egli nei primi cinque anni del suo impero lasciò a questi due e al senato gli affari, menando una vita di bassi piaceri. Quando salì al soglio, Nerone era un giovinastro diciottenne, squilibrato, artista dilettante e dedito allo sport; ci vollero le tentazioni e i pericoli dell’impero che avevano ridotto il vecchio TIBERIO ad una tigre, per ridurre ad una belva quell’esteta effeminato.

Pertanto nel primo quinquennio, il senato si valse dell’occasione per comandare; e quella fu una vera lacuna nell’ascensione dell’imperialismo. Ma poi Nerone divenne il tiranno sanguinario che aveva ucciso la madre e le due mogli: allora il senato fu ridotto all’impotenza; e Nerone proseguì il programma imperialista dando le province ai cavalieri, arricchendo ed innalzando gli “homines novi”, i liberti, gli avventurieri della politica e della finanza.

Sotto di lui, come accennavamo, gli ebrei ebbero grande influenza; il malgoverno a cuì la crisi finanziaria tanto che l’aureus scese da un quarantesimo ad un quarantacinquesimo di libra; e la banca ebraica, fortissima in Roma, dominò la situazione. Del resto, la benevolenza verso gli ebrei era tradizionale nella casa Giulia-Claudia; le repressioni contro gli ebrei di Roma sotto TIBERIO e CLAUDIO, e le pretese idolatriche di Gaio che voleva essere adorato anche nel tempio gerosolimitano, non furono se non fugaci eccezioni. ANTONIA, cognata di Tiberio, influentissima alla corte, era proselita; e lo era la famigerata POPPEA.

Che sotto Nerone gli ebrei fossero potenti ed ascoltati, basta a mostrarlo la celebre persecuzione neroniana dei cristiani. A quel tempo costoro dai pagani erano confusi con gli ebrei né v’era alcuna ragione o alcun pretesto perché i pagani stimassero i seguaci di Cristo peggiori degli altri israeliti. Chi dunque fece loro la pessima riputazione che servì a Nerone per l’orrenda carneficina? Certo, furono gli unici che avevano un odio implacabile per i fedeli del Crocifisso, quelli stessi che avevano spinto l’autorità imperiale di Roma e la règia di ERODE a crocifiggere il Maestro, poi a disfarsi di GIACOMO il MAGGIORE e tentare altrettanto contro di PIETRO, quindi contro di PAOLO: gli ebrei, quelli che all’indomani della diffusione evangelica avevano spedito attorno per le sinagoghe dell’impero i loro emissari incaricati di combattere gli “eretici” nazareni e procurar loro ogni sorta d’imbarazzi, come ci attesta GIUSTINO (Tryph., XVII).

Il criterio pagano, che i cristiani fossero degli ebrei, permetteva ai cristiani di usufruire non solo della libertà religiosa, ma anche del prestigio d’Israele; e quei pagani ch’erano divenuti proseliti della legge mosaica perché scorgevano in questa una fede e morale più alta, senza interessarsi dei pregiudizi o rancori interni della Sinagoga, erano spesso altrettanti neofiti preparati involontariamente dalla Sinagoga per la Chiesa: i cristiani “della casa di Cesare” salutati da Paolo, ne sono non unici esempi. Di qui l’odio, l’invidia del potentissimo ghetto romano, e la sua decisione di combattere i nazareni mediante la ormai tradizionale delazione calunniosa alle autorità. Un ebreo banchiere e delatore alla corte di Nerone si faceva un doppio titolo alla benevola attenzione di questo.

Tutto ciò non solo si deduce naturalmente dal vero e notorio ambiente di allora: ma ne abbiamo chiari accenni nelle fonti. L’invidia e la gelosia furono la nota caratteristica della lotta ebraica contro Gesù e i suoi; il vangelo ci narra vari episodi di questo sospettoso accanimento; e Pilato per quanto poco s’occupasse di ciò, pure “sapeva che per l’invidia (dia yqonon) lo avevano consegnato” a lui (Matt., XXVII, 18).

La frase restò come antonomastica per esprimere fra i cristiani la persecuzione ebraica; infatti TERTULLIANO poté scrivere: “Tanti sono i nemici del cristianesimo, quanti ne sono estranei: ed invero, propriamente, i giudei per l’invidia, i soldati per la concussione, gli stessi schiavi nostri per l’indole”.

Infatti, al primo tempo dell’umile Chiesa nascente, chi altri poteva “invidiarla”? E Clemente Romano ci accenna chiaramente che la persecuzione neroniana fu ispirata dagli ebrei dei quali finalmente caddero vittima Pietro e Paolo: “Per la gelosia e l’invidia (dia zhlon cai yqonon) le massime e santissime colonne (della Chiesa, i principi degli Apostoli) patirono persecuzione e combatterono fino alla morte... Pietro che dall’iniqua gelosia non uno o due ma più travagli sostenne... Per gelosia e contesa Paolo ebbe il premio del patimento... A questi... si aggiunse una gran moltitudine di eletti che, sofferte molte pene e tormenti per la gelosia, furono fra noi di ottimo esempio. Per invidia le donne patirono i supplizi di DIRCE e delle Danaidi...”. Il discorso di CLEMENTE chiaramente congiunge alla stessa causa, cioè alla stessa invidia e gelosia, la persecuzione neroniana e le prime personali persecuzioni sofferte da Pietro e Paolo, le quali tutti sappiamo derivate dagli ebrei. Costoro, pertanto, furono buoni amici di Nerone, e, certo, non perdettero la eccellente occasione contro gli odiati nazareni.

Dell’amicizia ebreo-neroniana ha lasciato un suggestivo ricordo GIUSEPPE FLAVIO il quale dopo essersi mostrato assai duro col tiranno CALIGOLA che fu disturbatore degli ebrei, quando arriva a parlare di NERONE (che pur fu peggiore di Gaio), non potendo esimersi dall’accennarne gli orrendi delitti, se ne esce dichiarando che non ci si trattiene perché “molti hanno scritto la storia di Nerone, dei quali alcuni, per grazia dei suoi benefici, non curarono la verità, ed altri per odio e inimicizia ch’ebbero con lui, così impudentemente si sono avviluppati nelle menzogne, che manifestamente sono degni di riprensione; né mi meraviglio che altri abbiano mentito (contro) di Nerone, benché non per odio personale, giacché vissero parecchio tempo dopo”. Non si poteva più abilmente gettare la sfiducia sulle accuse contro Nerone; e la tendenziosità di Giuseppe non consiste nell’essere le sue parole materialmente false, ma nel farsi prendere da siffatti scrupoli proprio per Nerone e non per altri, mentre anche altri, cominciando da Gaio, subirono la stessa sorte. Evidentemente Giuseppe Flavio era solidale con la memore gratitudine nazionale verso uno al cui tempo la colonia ebraica di Roma aveva fatto cotanti buoni affari di finanza e di vendetta.

E se non erriamo, il primo tuono che minacciò il turbine, si ebbe nell’episodio di POMPONIA GRECINA, accaduto verso l’inizio del principato di Nerone, qualche anno prima della persecuzione del 64.

Tacito racconta che “Pomponia Grecina, nobildonna, moglie di A. PLAUZIO, accusata di superstizione straniera, fu rimessa al giudizio del marito. E questi, secondo l’antica istituzione, dinanzi ai congiunti, giudicò della fama e della vita della consorte, e la dichiarò innocente. Lunga vita e continua tristezza ebbe Pomponia, imperocché, dopo che GIULIA figlia di DRUSO fu uccisa per l’astuzia di MESSALINA, non ebbe che vesti di lutto e animo mesto”.

Comunemente (e tanto più in questi ultimi tempi, dopo la scoperta delle tombe cristiane di alcuni congiunti della famiglia di Pomponia) si ritiene che la consorte di Plauzio fosse cristiana: e crediamo che a tale interpretazione, a cui non obbliga il testo, si possa pervenire per criteri esterni.

Avanti tutto, è a dirsi che Pomponia o fu proselita dell’ebraismo o cristiana: altre “superstizioni”, cioè religioni non riconosciute, non si presentano come probabili, non fosse altro perché, esse non impedendo di continuare il culto ufficiale, non mettevano al rischio “della fama e del capo”. Roma imperiale fu piena di cultori di Mithra e d’Iside, i quali, per questo, non cessavano di appartenere al culto ufficiale e di essere perfettamente indisturbati. Solo l’ebraismo e il cristianesimo escludendo altri dei, mettevano al rischio un cittadino romano, nato pagano, di cozzare contro la lettera e lo spirito della legislazione romana.

Ma POMPONIA fu proselita o cristiana? Qui il criterio di discernimento mancherebbe, giacché ambedue le ipotesi si presterebbero pienamente; né la scoperta delle suddette tombe cristiane della sua famiglia varrebbe molto, mentre si sa che la religione di una persona non significa la religione di un parente; ed inoltre il fatto di Pomponia proselita spiegherebbe il cristianesimo entrato poi nella sua famiglia attraverso il proselitismo ebraico, cosa facilissima come sopra abbiamo accennato; onde il proselitismo della vecchia matrona avrebbe potuto favorire nella propria famiglia una preparazione al vangelo.

Ma c’è un riflesso che, se non c’inganna, decide per ritenere Pomponia come cristiana. Infatti, se fosse stata proselita, chi mai e perché mai l’avrebbe denunziata, e messa a così grave pericolo in un momento in cui i giudei erano in favore del principato ed in influenza sulla società? Quando ANTONIA era proselita, e POPPEA era una zelante protettrice della Sinagoga, e tante altre nobildonne giudaizzavano, chi si metteva ad accusare una donna che viveva ritiratissima sin dal tempo di CLAUDIO?

Invece supponiamola cristiana; ed i denunziatori sono subito trovati. La crescente “invidia” ebraica contro il proselitismo cristiano, dovette fremere vedendo l’aborrita fede del Nazareno conquistare quell’anima superiore, e per essa entrare in una casa signorile. Che se Pomponia Grecina fosse stata proselita dell’ebraismo e poi, nel solenne momento della predicazione apostolica in Roma, si fosse ascritta al cristianesimo, come tanti altri proseliti, allora tanto più si spiegherebbe l’atroce livore. E gli ebrei che dal giorno in cui trassero Gesù al pretorio di PILATO, non ristettero mai dall’accusare i cristiani davanti l’autorità (con un accanimento di cui l’apostolo PAOLO fu fatto segno in Oriente e in Occidente, senza tregua finché non cadde nel proprio sangue), gli ebrei molto probabilmente vollero arrestare la propaganda cristiana colpendo una delle sue illustri conquiste. Ecco perché è a ritenersi che Pomponia Grecina fosse cristiana; ed ecco perché, come accennavamo, la denunzia di lei fu il primo tuono che annunziava la burrasca.

Infatti l’assoluzione della moglie di PLAUZIO ci mostra come l’attentato ebraico andasse a vuoto, aumentando il furore della sinagoga e persuadendola che ormai bisognava tentare un gran colpo e schiacciare in massa la temibile rivale. Nella sinagoga di Roma ci dovette essere una discussione e decisione simile a quella in cui CAIFA disse la sua profetica sentenza; e la strage dei seguaci del GIUSTO fu decisa per la prima occasione. Questa con NERONE non poteva mancare; e quando egli, spaventato dal pubblico odio, cercava un diversivo per stornare da sé la maledizione, i giudei prontamente additarono al tiranno il “diversivo clericale” che, altrimenti, a Nerone forse nemmeno sarebbe venuto in mente, sommersi com’erano ancora i cristiani nell’agitato mare di sétte filosofiche e religiose dell’Urbe imperiale.

Si noti, d’altronde, che contro quest’ultima nostra riflessione nulla varrebbe il citare Tacito che, narrando la persecuzione neroniana, dice: “quelli che, odiati pei loro delitti, il volgo chiamava cristiani” quasi che già fossero noti pei loro delitti... supposti. Infatti la frase di TACITO indica il tempo (“chiamava” non è presente)) speciale di Nerone: in cui, sì, già la calunnia ebraica aveva lavorato il terreno, ma non si trattava ancora se non di un vago rumore, tanto che nessuno aveva mai pensato a processarli; e Nerone appare chiaramente esservi ricorso “in extremis” per colpire l’opinione pubblica.

Se nella disquisizione storica l’intuito oggettivo dell’ambiente vale qualcosa per rivelarne gli angoli reconditi sui quali nessun documento fa piena luce, bisogna pur dire che in tutta questa fosca penombra dell’“impulsore Chresto” al tempo di CLAUDIO, della “superstizione straniera” di POMPONIA GRECINA, e dei misteriosi consiglieri del “diversivo clericale” a Nerone, la mano della sinagoga, seppur non si vide, si sente.

Né in queste nostre deduzioni (sia detto anche questo una volta per sempre) gli eredi di CAIFA accusino un pregiudizio degli eredi di Torquemada; giacché in un odierno autore leggiamo: “L’ebreo (del medio evo) s’intendeva a svelare i punti vulnerabili della Chiesa... esso è il dottore dell’incredulo; tutti i ribelli dello spirito vengono a lui nell’ombra o a cielo scoperto. Egli è all’opera nell’immensa fucina di bestemmia del grande imperatore FEDERICO (II di Svevia) e dei principi di Svevia e di Aragona; è desso che fabbrica tutto quell’arsenale mortifero di ragionamento e d’ironia che egli lascerà in eredità agli scettici della Rinascenza ai libertini del gran secolo (XVIII); e qualche sarcasmo di Voltaire non è che l’ultima e risonante eco di un motto mormorato sei secoli avanti, nell’ombra del ghetto; ed anche prima, al tempo di Celso e di Origene, alla stessa culla della religione del Cristo”. - Queste linee, scritte una ventina di anni fa, contengono non l’accusa veemente di un clericale, ma la cinica confessione di un ebreo odiatore dei cristiani, JAMES DARMESTETER .

Dopo ciò, torniamo a Nerone. Da quanto abbiamo visto, si dee concludere che la sua persecuzione se fu, dal nostro punto di vista, un atto di politica quiritaria contro presunti “molitores rerum novarum”, fu tale casualmente, giacché venne ispirata non da un preconcetto romano contro stranieri, ma dall’odio religioso di veri stranieri potenti alla corte del cesare.

Con l’imperatore matricida ed istrione finì nel fango e nel sangue la casa GIULIA-CLAUDIA, cominciata con la generazione o adozione di menti superiori, di uomini e di donne senza coscienza (quali OTTAVIANO e TIBERIO, LIVIA e le due Agrippine) e finita con le figure di un cervello deficiente in mezzo a due pazzi furiosi: esaurimento e deviazione frequenti nelle famiglie storiche.

Nerone moriva senza eredi: l’impero che fin allora, alla morte di un principe, veniva assunto dal più abile o dal più fortunato della casa imperante, alfine restava a disposizione del più abile e fortunato dei cittadini dell’impero: il pareggiamento democratico che metteva tutti sotto una tirannia accessibile a tutti, progrediva a gran passi». (MONS. UMBERTO BENIGNI, Storia sociale della Chiesa, vol. I, Milano,  ed. Vallardi, 1906, pp. 80-87; ristampa Verrua Savoia, CLS, 2012).

Di fronte a pagine così belle e profonde non si può non togliersi il cappello in segno di ammirazione verso tanta scienza …  

NOTA

1 - Qualcuno (ad esempio Gianni Vannoni) addirittura ha presentato anche Pio X come tendenzialmente liberale per rapporto a Pio IX, che in quanto “Papa/Re”, poteva essere più integralmente controrivoluzionario … Purtroppo, quando si comincia a propugnare tesi eccessive, si sa da dove si inizia e non si sa dove si va a finire. 



Fine della Undicesima Parte
Continua


Parte prima
Parte seconda
Parte terza
Parte quarta
Parte quinta
Parte sesta
Parte settima
Parte ottava
Parte nona
Parte decima
Parte undicesima
Parte dodicesima
Parte tredicesima
Parte quattordicesima

maggio 2020



SOMMARIO ARTICOLI DIVERSI