In vista dei cinquecento anni della Riforma

di Alipio de Monte

Introduzione di Dante Pastorelli

In attesa di pubblicarlo nel mio bollettino “Una Voce Dicentes” che uscirà a dicembre, affido al web questo nuovo intervento di un acuto osservatore delle vicende della nostra Santa quanto straziata Chiesa, Alipio de Monte, che già qualche tempo fa si è espresso in toni assai critici sulla “logica del card. Koch”.
Già, il card. Koch: un autorevole membro della pattuglia tedesca che Benedetto XVI, non sappiamo per quali meriti che sfuggon ai semplici fedeli, al di là della comune nazionalità, ha chiamato ad alti e delicati incarichi della Curia Romana.
Un altro tedesco, sulle cui posizioni teologico-dottrinali è lecito, ad esser estremamente generosi, avanzar seri dubbi, giacché nel suo fumoso linguaggio dichiara la sua vicinanza alla teologia della liberazione, afferma l’integrale incorporazione di tutti i battezzati eretici e scismatici nella Chiesa Corpo Mistico, nega la verginità fisica di Maria e la presenza reale di Gesù in Corpo, Sangue, Anima e Divinità nelle specie consacrate, è l’arcivescovo Mueller che addirittura è stato chiamato al vertice dell’ex S. Uffizio. Ambedue codesti prelati provengon da una terra in cui la Chiesa è in pieno disfacimento, in uno stato di pressoché generale scisma di fatto.
Varrà a giustificar tali nomine il promoveatur ut amoveatur? Ha il Papa fiducia in codesti vescovi o li vuol tener sotto suo diretto controllo? Intanto parlan senza sosta e con esiti esiziali.


Dante Pastorelli


Il cardinale Kurt Koch, presidente del Pontificio Consiglio per la Promozione dell’Unità dei Cristiani, ha parlato: sotto il peso non della sua responsabilità istituzionale, ma degli enormi ed innumerevoli peccati della Chiesa, ha nuovamente parlato. Ed ha implorato con tutta l’umiltà che notoriamente lo caratterizza: “Riconosciamo insieme le nostre colpe” (L'Osserv. Rom., 19-20 nov. 2012, p. 5).
Destinatari di un così nobile invito, i fratelli separati. Come costoro l’avranno accolto non è detto, ma è presumibile che essi pure, sotto la spinta emotiva delle prossime celebrazioni dei cinquecento anni della Riforma (1517-2017), abbiano pienamente convenuto: finalmente la Chiesa cattolica, per bocca d’un suo altissimo rappresentante, riconosce le proprie colpe o quanto meno la sua partecipazione a colpe comuni.

Si è in tal modo rinnovato il “rito”, di moda qualche anno fa, della pubblica richiesta di perdono. Manca soltanto la cenere e il cilizio per completare la scena penitenziale: la Chiesa in ginocchio a battersi il petto.

Si pensava che, da quando Giovanni Paolo II, dilatando oltremisura una simile richiesta del predecessore Paolo VI, aveva fatto di essa il leit-motiv del suo pontificato, quel motivo fosse poi passato in disuso e finalmente scomparso. Non si poteva ignorare, però, che presto quel motivo sarebbe ritornato di moda sulle labbra di un eminentissimo principe della Chiesa, noto per la sua esemplare e illimitata sensibilità ecumenica e afflitto, quasi schiacciato dal ricordo dei peccati commessi dalla Chiesa, specialmente dei suoi soprusi e delle sue offese contro  il povero Lutero e la sua benemerita Riforma.

Sì, ancora una volta Lutero riscuote la commossa attenzione del cardinale Kurt Koch, il quale ancora una volta prende la palla al balzo per attestare pubblicamente la sua comprensione e la sua stima al grande promotore della rivolta protestante.
Quanto è realmente uscito dall’aurea bocca di questo cardinale ha qualcosa di impensabile e di incredibile. Dimentico, o forse ignaro che “Riforma” significò e significa uno schiaffo alla santa Madre Chiesa, nonché la più grande ed - umanamente parlando - irreparabile lacerazione dell’unità cristiana, e che di essa  Lutero fu il primo e massimo responsabile, con disinvolta  ed imperdonabile leggerezza intona, nei confronti di lui, un vero peana.
Forse nemmeno dai suoi epigoni Lutero riscuote oggi lodi così sperticate come invece riscuote da un cardinale di Santa Romana Chiesa, sulla base non di informazioni criticamente vagliate, ma della gratuità funzionale al dialogo: “Martin Lutero ha introdotto aspetti molto positivi”: quali? il cardinale non lo dice; basta la sua sparata per aprire una breccia all’ascolto interessato e compiaciuto degli interlocutori protestanti.
Lui era appassionatamente alla ricerca di Dio, era totalmente dedito a Cristo”: sì, tanto appassionatamente e totalmente da non tollerare “il corpo suo che è la Chiesa”, la sua struttura gerarchica ed i suoi sacramenti e da non trattenersi da un odio viscerale e spesso triviale contro gli Ebrei, né dalla sanguinosa repressione dei contadini.
Lui non voleva la divisione”: sì, fin al 1519, quando sperava d’innescare la sua rivolta all’interno della Chiesa; da quell’anno in poi ogni suo gesto, ogni suo pensiero, ogni suo scritto rispondono ad un unico intento antiromano ed antiecclesiale.

L’intervista da cui è tratto quanto sopra prosegue accennando a vari altri motivi, l’uno più stimolante dell’altro; ci fermiamo a questo punto per tornare ad interrogare l’eminentissimo porporato, che come ogni altro eminentissimo porporato dovrebbe essere e rimanere “cardo Sanctae Romanae Ecclesiae”, e per sapere da lui se speri di esserlo sulla base del dogma cattolico o della simpatia per Lutero.
E poiché proprio questa simpatia più che evidente ci sembra lapalissiana, ci permettiamo per la seconda volta di chiedere al responsabile del dialogo fra i cristiani separati da dove essa nasca, dove abbia perfezionato quella spavalda conoscenza di Lutero, che gli consente di intonare i suoi ripetuti peana nei confronti di lui.
Non basta l’essere compatrioti: può discenderne, sì, un rapporto di simpatia, ma non un giudizio di merito. Dove allora ha approfondito il problema e maturato il suo giudizio, alla scuola di chi, a quali fonti?
Una prima volta, tempo fa [v. il precedente articolo “La logica del card. Koch”),  gli chiedemmo che conoscenza avesse della Weimarana e si è oggi costretti a ripetergli la domanda, sicuri che in nessuno dei 58 volumi in cui è ripartita l’edizione critica delle opere di Lutero, ed in nessuno degli 11 che ne raccolgono l’epistolario, è possibile imbattersi in una sola frase che giustifichi i giudizi di questo eminentissimo porporato in così profonda sintonia ed amicizia col Padre della Riforma.
E poiché certe domande son come le ciliege, l’una cioè tira l’altra, ci sembra ovvio chiedergli pure su quali basi lui stesso e la commissione internazionale per il dialogo tra la Federazione mondiale luterana e il pontificio Consiglio per l’unità dei cristiani abbiano potuto elaborare il documento intitolato “Dal conflitto alla comunione”: si può anche, ma non necessariamente, desistere dal combattere; non si può desistere dal confessare. Si può decidere di comune accordo che è meglio, anzi è più evangelico abbandonare le armi e stringersi la mano, ma “la comunione” è un’altra cosa. E talmente altra, che non di per sé, cioè non  automaticamente lo stringersi la mano equivale ad una confessione condivisa, ad una convergenza senza se e senza ma, ad un bilaterale e reciproco “comunicare”. Il predetto titolo –
Dal conflitto alla comunione” - pone anzi due problemi distinti e interdipendenti:
1. Fermo restando il dato storico di un conflitto non da altri promosso che dallo stesso Lutero, è ovvio che, fin a quando si condividono i motivi della sua rivolta e se ne fa oggetto di celebrazioni più o meno solenni, il conflitto rimane, sottraendo spazio e respiro alla stessa possibilità della comunione.
2. E se anche, per dabbenaggine o per una sorta di buona ma non illuminata volontà, si chiudesse un occhio sui motivi della divisione, essa tragicamente rimarrebbe a neutralizzare sul nascere ogni anelito alla comunione.

È pertanto assurdo illudersi di stabilire rapporti di comunione lasciando inalterati i motivi della divisione. Sarebbe come metter insieme il diavolo e l’acqua santa. Rimanendo il conflitto, nessun adito, anzi neanche un pertugio viene di fatto aperto alla comunione e l’affermare il contrario è segno o di grande disinformazione, o di poca sincerità, o di mancanza di logica.         


Alipio de Monte






novembre 2012

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