Il problema dell'Autorità secondo Mons. Viganò


Pubblicato su SI SI NO NO, anno  XLVII n. 3 – 15 febbraio 2021
sisinono@tiscali.it


Prologo

Il 31 gennaio 2021, monsignor Carlo Maria Viganò ha scritto un’interessante lettera di risposta a un sacerdote, che lo aveva interrogato sul problema dell’autorità ecclesiastica, in caso di ordini illeciti (cioè contrari al bene comune della Chiesa e delle anime), emanati da un Prelato (Vescovo o Cardinale) o persino dal Sommo Pontefice (cfr.
http://www.unavox.it/Documenti/Doc1374_Mons
_Vigano_Lettera_di_risposta_ad_un_sacerdote_31.01.21.html

Cerco di riassumere l’importante lettera del Prelato e la porgo all’attenzione dei lettori, rinviandoli al testo integrale succitato.

Status Quaestionis

Innanzitutto, monsignor Carlo Maria Viganò pone lo “Stato della Questione”, ossia definisce i termini del problema riguardo all’autorità (civile o ecclesiastica), che agisca difformemente dal suo fine (“il bene comune temporale o spirituale dei cittadini o dei fedeli, suprema legge dello Stato o della Chiesa”), la quale – quindi – risulta essere una perversione dell’autorità vera e giusta, cioè una tirannide.

Si può portare un giudizio sulla persona del Papa?

1°) Monsignor Viganò risponde alla prima domanda del sacerdote che gli aveva scritto, ossia se sia lecito giudicare l’autorità temporale o spirituale, poiché (secondo il sacerdote obiettante) non spetterebbe ai privati cittadini o ai semplici fedeli e neppure alla sanior pars populi, e nemmeno ai Vescovi o ai Cardinali giudicare l’autorità (civile o ecclesiastica), ma occorrerebbe aspettare il Giudizio universale, quando Cristo tornerà per “giudicare i vivi e i morti”.

Giustamente, monsignor Viganò fa notare che per quanto riguarda tutti gli uomini forniti di retta ragione, buon senso e sana moralità è, non solo lecito, ma persino doveroso
a)
giudicare (logicamente, moralmente e storicamente) le decisioni e le azioni degli altri uomini che li circondano, i quali siano o no rivestiti di autorità civile o religiosa.
Tuttavia, il Prelato precisa che
b)
non tutti possono arrogarsi una giurisdizione legale e penale (la quale non spetta necessariamente a tutti); arrivando persino a giudicare penalmente e giuridicamente coloro che, già sono stati giudicati logicamente o moralmente; applicando loro le pene che si reputano essere dovute (come se tutti gli uomini avessero necessariamente un potere esecutivo e coercitivo).

Giudizio logico

Il giudizio consiste nell’unione o separazione di un soggetto (ad esempio “sole”) con un complemento oggetto (per esempio, “terra”), tramite un predicato verbale (“illumina”).
Come si costata tutti i giorni, l’intera vita umana si basa e si svolge sulla razionalità dell’uomo che è per natura un “animale razionale e libero” (Aristotele).

Ora, la vita razionale di ogni uomo si esplica tramite
a)
la conoscenza degli enti (conosco la natura di albero, sasso, uomo, angelo, Dio…), mediante i concetti o le idee;
b)
i giudizi che uniscono due concetti (“Dio è purissimo spirito infinito”; “l’angelo è puro spirito finito”)
e, infine, c) i ragionamenti o sillogismi che incrociano due giudizi (“l’uomo è razionale” con “Antonio è uomo”), arrivando poi a una conclusione (“Antonio è razionale”).

L’uomo è un “animale razionale, libero e socievole” (Aristotele). Da ciò segue che – dopo aver personalmente riflettuto, conosciuto, giudicato e ragionato – egli deve pure trarre delle conclusioni o dei giudizi non solo logici e individuali o privati, ma anche – socialmente (nell’ordine naturale) ed ecclesialmente (nell’ordine soprannaturale) – morali o di valore (“il furto è un male, anche se lo commette lo Stato o il Vescovo”) e pure storici (“Giulio Cesare fu un grande condottiero”; “Nerone fu un tiranno”; “Pio XII fu un grande Papa, Giovanni XXIII un modernizzante”).

Successivamente, per la “sinderesi” (il principio primo per sé noto ed evidente della morale naturale), dovendo “amare il bene e fuggire il male”, si deve (moralmente) approvare l’onestà e condannare il ladrocinio; ammirare (storicamente) Cesare/Pio XII e disistimare Nerone/Giovanni XXIII. Infine, vivendo in società con altri uomini (famiglia, Stato, Chiesa), l’uomo (nell’ordine naturale) deve cercare di modellare la sua vita comune, sociale o politica (ed ecclesiale, nell’ordine soprannaturale) in base ai valori buoni, da mettere socialmente e pubblicamente in pratica (l’indissolubilità della famiglia, composta di un uomo e di una donna) e a quelli malvagi, da evitare sia in privato sia in pubblico (non liceità dell’aborto), sia quanto all’ordine naturale o civile che a quello soprannaturale o ecclesiastico.

La conclusione, del tutto ragionevole, portata da monsignor Viganò è la doverosità (e non solo la liceità) di giudicare logicamente, moralmente e storicamente le asserzioni, le azioni e le leggi dell’autorità temporale (ad esempio, “la Legge sull’interruzione delle gravidanze, promulgata dalla Repubblica Italiana nel 1978, è intrinsecamente malvagia”) e persino quelle dell’autorità spirituale (“la nuova Messa di Paolo VI è in rottura con la sana teologia cattolica sul Sacrificio della Messa”).

Attenzione! Monsignor Viganò distingue bene
a)
il giudizio logico, storico e morale
b) da quello penale o giuridico; ossia – quanto al potere temporale – ognuno può dire che “rubare è un crimine” (giudizio logico), ma poi non si può ipso facto giudicare penalmente chi ha rubato e rinchiuderlo in galera, se si è soltanto un privato cittadino, che non è costituito in autorità di giudice o di poliziotto. Così – per quanto riguarda il potere spirituale – nel caso specifico di papa Bergoglio, si può costatare che egli dice delle eresie materiali, ma i singoli fedeli come pure l’Episcopato o il Collegio cardinalizio non hanno il potere di giudicare penalmente il Papa, che è il loro superiore ed è inferiore solo a Gesù Cristo, come eretico formale per poi dichiararlo decaduto e passare all’elezione di un nuovo Papa.

Per cui, non si può né si deve “obbedire a ordini intrinsecamente malvagi per il solo fatto che chi ce li impartisce è costituito in autorità” (monsignor Viganò, lettera del 31 gennaio 2021, p. 1); infatti se l’autorità viene esercitata contro il fine per cui è stata costituita (il bene comune spirituale e temporale delle anime e dei cittadini); allora perde la legittimazione che la rende giusta e, pur non decadendo in sé, nondimeno richiede un’adesione eventuale che dovrà essere vagliata e giudicata di volta in volta (per esempio, quando Bergoglio dice che si può dare il Sacramento dell’Eucarestia ai peccatori pubblici, i quali vogliono vivere nel peccato e rifiutano di convertirsi, non gli si deve prestare attenzione, senza tuttavia dedurne con certezza che abbia perso l’autorità papale; invece quando dice che l’aborto è un crimine e grida vendetta al cielo, lo si deve ascoltare). 

Questo è un punto fondamentale del tema affrontato dall’arcivescovo Viganò, che richiede un serio approfondimento per evitare lo scoglio (per difetto) del servilismo o dell’anarchismo rivoltoso (per eccesso).

2°) Nella pagina numero due, il Prelato, abborda la seconda questione postagli dal sacerdote e riprende un tema che era stato affrontato in un bel libro (Il colpo da maestro di satana), nel lontano 1980, da monsignor Marcel Lefebvre.

L’esempio che ci porge l’arcivescovo Viganò è il seguente: Bergoglio, che dovrebbe rappresentare in terra la più alta autorità, cioè il Vicario di Cristo, inferiore perciò solo a Dio, usa, tuttavia, del potere per assecondare il piano del Mondialismo e per promuovere dottrine eterodosse, ben consapevole che “la Prima Sede non può essere giudicata da nessun uomo”.

3°) A questo punto, ecco il terzo problema sollevato dal sacerdote e affrontato dall’Arcivescovo, il “cosiddetto” vaccino (il quale “in realtà” è un farmaco che modifica geneticamente l’organismo umano) anticovid19, che pone almeno tre problemi, che sono stati elusi da Benedetto XVI nel 2005 e nel 2008 e da Bergoglio nel 2014 e 2020, ossia:
a) la materia usata per confezionare il farmaco; infatti, trattasi di feti abortiti; di qui l’inadeguatezza della risposta di Benedetto XVI nel 2005 e nel 2008 e di Francesco nel 2014 e 2020 (tramite la PAV la “Congregazione della Dottrina per la Fede”), che hanno visto solo il problema nel suo aspetto remoto della composizione del “vaccino” con “linee cellulari” provenienti da feti abortiti oltre quarant’anni fa, a prescindere dalla liceità morale di un’azione abortiva che non perde di gravità per il passare del tempo (un infanticidio commesso ieri o cinquanta anni fa è sempre un peccato grave), senza specificare che per “rinfrescare” il materiale fetale vecchio di quarant’anni, occorre aggiungervi periodicamente nuovi feti, ricavati da aborti procurati al terzo mese e pagati 900 euro cadauno, prelevati da feti vivi e non anestetizzati (per non intossicarli con il farmaco anestetico, che intralcerebbe l’efficacia del vaccino) i quali feti – essendo vivi e vegeti – cercano di difendersi dal bisturi, che estrae loro le reni, il cuore, il fegato…

Giustamente, monsignor Viganò, osserva che tutto ciò denota “la deliberata volontà di spacciare per moralmente accettabili dei vaccini prodotti con aborti procurati” e li qualifica come “sacrifici umani, in forma abietta e cruenta” (lettera del 31. I. 2021, p. 2).

Inoltre b) l’Arcivescovo osserva che (oltre la causa materiale) vi è anche l’aspetto della causa finale del vaccino anticovid19, che consiste nella manipolazione genetica, e che lo rende intrinsecamente perverso, ma che è stato passato sotto silenzio da papa Bergoglio (cit., p. 3); nel 2005 e 2008 sotto Benedetto XVI il covid19 non era ancora sorto.

Per di più, vi è un terzo aspetto che rende questo “vaccino19” immorale, cioè
c) la “sperimentazione” eugenetica su tutti gli uomini di tutto il mondo, che sono quasi obbligati a riceverlo, senza che si conoscano i suoi effetti a lungo termine e persino a breve termine, non essendo stato sperimentato per circa dieci anni, come lo debbono essere tutti gli altri vaccini, ma in soli tre mesi.

Infine, d) il vaccino anticovid19 viene presentato falsamente come l’unico rimedio al virus influenzale del covid19, il quale non è stato ancora “isolato” ma soltanto “sequenziato” (e dunque non è possibile produrre scientificamente e farmacologicamente un vaccino anticovid19 che sia medicamentoso in senso stretto, senza aver prima isolato il virus che si vuol combattere col vaccino); mentre vi sono altri rimedi, molto più efficaci, sperimentati e molto meno costosi del cosiddetto vaccino (per esempio, l’idrossiclorochina, l’ivermectina, il plasma iperimmune ed anche la vitamina D e C, ma solo per aumentare le difese immunitarie) però non “vantaggiosi” per… Big–Farma (ivi).

3°) A questo punto (cit., p. 3) monsignor Viganò ritorna al problema dell’autorità e risponde alla terza domanda postagli dal sacerdote che gli ha scritto, cioè se si possa obbedire a ordini cattivi e moralmente illeciti.

Il Prelato risponde con una distinzione tra la teoria e la pratica, asserendo che
a) in teoria, colui il quale è stato investito da Gesù di un’autorità (per esempio, Bergoglio, del Papato), se invece agisce – evidentemente – contro il fine del suo mandato, che è quello di convertire le anime a Cristo (mentre invece ha idolatrato il Pachamama nell’autunno del 2019; oppure ha pregato pubblicamente ad Assisi, assieme a tutte le false credenze – cosa che avviene puntualmente a partire dal 1986 sotto Giovanni Paolo II – e infine quando inscenerà nel giugno del 2021 un sabba satanico ad Astana nel Kazakistan), non può essere assecondato nei suoi ordini che non porterebbero le anime alla verità e al bene, ma all’errore dottrinale e al male morale dell’idolatria.

La suprema autorità del Papa, che è il diretto e immediato Vicario di Gesù Cristo, ha dei limiti, ossia non può ledere la divina Rivelazione, la Morale naturale e rivelata, la retta ragione (per esempio, egli non può ordinare legittimamente di distribuire l’Eucarestia sulle mani che non vengono purificate, facendo cadere – così – per terra i frammenti dell’Ostia consacrata, i quali frammenti contengono realmente il Corpo di Gesù; non può neppure ordinare di amministrare l’Eucarestia ai peccatori pubblici che vogliono perseverare nello stato di peccato grave; non può nemmeno contraddire la retta ragione naturale, espungendo – per esempio – la dottrina filosofica sulla liceità della pena di morte, affermando che essa è in sé illecita e peccaminosa).

Poi monsignor Viganò (cit., p. 3) passa alla
b) soluzione pratica, invitando non tanto a “disobbedire” (poiché la disobbedienza è un peccato contro un ordine lecito e ragionevole), ma a non considerare, anzi a ignorare gli ordini e le leggi illecite moralmente, contrarie alla retta ragione, alla Morale naturale e cristiana o al Dogma rivelato. La Legge, infatti, è una “ordinatio rationis ad bonum commune promulgata / ordine o comando ragionevole e vero, finalizzato al bene dei sudditi” (San Tommaso d’Aquino); quindi, se essa è difforme dalla retta ragione oppure non mira al bene comune dei sudditi, ma al loro male morale “non est lex, sed est corruptio legis” (San Tommaso); perciò – parafrasando Sant’Ignazio da Loyola – ci si deve comportare rispetto a essa come davanti a un cadavere (“perinde ac cadaver”), per cui non si tratta di disobbedire, ma di non ottemperare al male e alla menzogna. Leone XIII nell’Enciclica Immortale Dei (1° novembre 1885) insegna che “è giusto, doveroso e bello non obbedire a leggi inique”.

Ipotesi del Papa eretico e deponendo

Alla quarta pagina della sua lettera l’Arcivescovo affronta il problema ipotetico del Papa eretico e della sua deposizione, scrivendo che si può costatare l’eventuale ipotesi di un Papa che cada in eresia materiale, ossia il fatto che Bergoglio dica delle eresie, ma non si può arrivare a emettere un giudizio giuridicamente penale contro di lui, dichiarandolo poi formalmente eretico e, dunque, decaduto ed eleggendo, così, un altro Papa: infatti, Prima Sedes a nemine judicatur; quindi, non potendo ricorrere neppure al “Papicidio” (infatti, secondo la dottrina cattolica è lecito solo il tirannicidio del Principe temporale), ci si deve contentare di pregare Dio che lo converta (come si fa al Canone della Messa quando si pronuncia la famosa frase “una cum”, la quale significa solo che si sta pregando «per la Chiesa e “assieme a essa / una cum” [si prega] anche per il Papa e per il Vescovo [della Diocesi in cui si celebra] » (1)), lo illumini, lo spinga a dimettersi o lo richiami a Sé».


Non ottemperare a ordini immorali è anarchia?


Inoltre monsignor Viganò ribatte all’obiettante che la non partecipazione all’esecuzione di ordini illeciti non è Anarchismo o Comunismo, poiché secondo questi errori bisognerebbe rivoltarsi contro l’Autorità in quanto Autorità, che deriva da Dio all’uomo ed è finalizzata al bene comune (materiale o spirituale) della Società (civile o ecclesiale).

Nel caso obiettato dal sacerdote si sta, infatti, parlando di resistenza a ordini illeciti, il che equivale alla legittima difesa contro un ingiusto aggressore, cioè una cattiva autorità che non governa per il bene comune ma per il male, ossia un pastore che diventa un lupo, al quale le pecore non debbono e non possono avvicinarsi né seguirlo sotto pena di male comune.


Non obbedire a ordini illeciti significa disobbedire a Dio?

Arrivato alla quinta pagina l’Arcivescovo risponde alla quinta obiezione postagli dal sacerdote succitato, secondo cui se non si obbedisce all’Autorità anche quando comanda cose illecite, allora si disobbedisce a Dio, che è l’Autore di ogni autorità umana.

La risposta è semplice e lineare: obbedire a un ordine illecito, immorale, contrario alla retta ragione o alla Fede rivelata è sempre illecito; né si può pretendere di obbedire a ordini peccaminosi e nello stesso tempo non rendersi complici di essi (cit., p. 5); infatti, chi comanda cose cattive, perverte l’autorità datagli da Dio al fine di perseguire e far conseguire ai propri sudditi cose buone, vere e sante.

Monsignor Viganò cita gli Atti degli Apostoli (V, 29) in cui San Pietro e San Giovanni rispondono al Sinedrio, il quale aveva ingiunto loro di “non predicare Gesù”, che “occorre obbedire a Dio piuttosto che agli uomini” e quindi gli Apostoli continuarono a predicare Gesù di Nazareth come vero Messia, non obbedendo ai Sommi Sacerdoti del Vecchio Testamento, ancora costituiti allora in somma autorità.


Il Primato del Papa

L’ex Nunzio Apostolico a Washington affronta, al secondo capoverso di pagina 5, il problema del Primato del Papa, che lo rende superiore a tutti i Vescovi e i Cardinali del mondo messi assieme e che rende impossibile un giudizio penale contro il Papa emesso da qualsiasi autorità umana civile o ecclesiastica; infatti se i Vescovi e i Cardinali possono essere giudicati penalmente dal Papa ed essere anche deposti da lui, il Papa non può esserlo da loro, poiché sono subordinati a lui e, quindi, non hanno nessun potere giuridico su di lui, secondo l’assioma Prima Sedes a nemine judicetur. Tuttavia ciò non deve portare all’abuso del servilismo che porterebbe a obbedire anche a ordini immorali (ossia contrari alla Morale naturale o addirittura rivelata); contrari alla Fede, oppure alla semplice retta ragione. 

L’Arcivescovo esorta, dunque, coloro che hanno un certo potere sociale, intellettuale, morale, giuridico o gerarchico a far pressione su Bergoglio affinché lo si convinca ad abbandonare il Papato, ma nulla di più.


Benedetto XVI ha dimissionato arbitrariamente?

Inoltre, sùbito dopo, monsignor Viganò, tocca un punto sul quale ci sembra di poter non essere totalmente d’accordo; infatti, sostiene che le dimissioni di Benedetto XVI sono state “arbitrarie”; qui non parla delle pressioni esercitate su di lui dalla “Mafia di San Gallo”, nemmeno dell’intervento delle Banche Centrali di tutto il mondo e specialmente dalla Deutche Bank contro lo “IOR” (la Banca del Vaticano) quando, nel 2013, per una settimana intera la Santa Sede non poteva recepire flussi di denaro e non poteva emettere alcun pagamento o versamento verso chicchessia; ora Benedetto XVI dopo una settimana di “attività anti–bancor” nei confronti della Chiesa cattolica ha rassegnato le dimissioni e sùbito dopo il denaro è tornato allo “IOR” e lo “IOR” ha potuto far giungere i suoi aiuti economici in tutte le parti del mondo a tutti gli enti cattolici, che dipendono dal Vaticano e sussistono materialmente grazie al denaro che ricevono da esso.

Comunque, ciò che vorremmo far notare è che il Papa può legalmente, per motivi gravi, dare le dimissioni ed esse possono essere accettate dal Collegio cardinalizio; però, a questo punto il Papa che si è dimesso torna a essere un semplice Cardinale, invece Benedetto XVI ha inventato (e questa è la vera anomalia) la figura del “Papa emerito”, ossia del “Papa pensionato”, come nel 1966 Paolo VI aveva inventato la figura, mai esistita né contemplata, del “Vescovo emerito” dopo il 75° anno di vita.

Ammesso e non concesso che nel 2013 siano state fatte delle pressioni morali anche scorrette su Benedetto XVI affinché dimissionasse, se poi le sue dimissioni sono state comunemente accettate dal Collegio dei Cardinali, dall’Episcopato e dai fedeli cattolici, vi sarebbe stata una sorta di “sanatio in radice”, che avrebbe resa legale la situazione posteriore; ora Benedetto XVI stesso ha riconosciuto che il Papa regnante è Francesco, cui lui è sottomesso, (ossia lo riconosce come Papa eletto e legittimo (2)) e perciò il problema vero è quello della figura anomala del “Papa emerito”, che crea una sorta di “bicefalìa” nella Chiesa.


La maggior colpevolezza di Benedetto rispetto a Francesco

La conclusione cui giunge monsignor Viganò è la seguente: le dimissioni di Benedetto XVI, se lette assieme alla sua autonomina a “Papa emerito”, costituiscono “un gravissimo vulnus al Papato, e di questo dobbiamo considerare più responsabile Benedetto XVI di Bergoglio”, essa ci sembra del tutto condivisibile.


La tirannia spirituale di papa Bergoglio

Eccoci finalmente giunti alla sesta e ultima obiezione, all’ultimo capoverso di pagina 5, in cui l’Arcivescovo prende in esame la questione della tirannide spirituale esercitata da Francesco (in quanto perversione dell’autorità religiosa giusta), la quale ha portato non solo a un esercizio perverso dell’autorità pontificia, ma anche alla volontà di gettare discredito sul Papato in se stesso.


L’ipotesi sedevacantista

Dulcis in fundo monsignor Viganò abborda la questione del cosiddetto “sede–vacantismo”; ossia il problema secondo cui, se si negasse la corrispondenza agli ordini illeciti di Francesco, ipso facto si dovrebbe negare anche che egli abbia l’autorità papale.

No! Risponde l’Arcivescovo, infatti, Bergoglio ha l’autorità di Papa poiché è stato canonicamente eletto e poi accettato dalla Chiesa: il Papa dimissionario, i Cardinali, i Vescovi (ossia, la Chiesa docente), i sacerdoti, i religiosi e i fedeli (cioè, la Chiesa discente).

Secondo monsignor Viganò Bergoglio è stato eletto Papa ma certi suoi ordini, elucubrazioni o provocazioni, sono gravemente illeciti e immorali; quindi egli in questi casi paradossali non ha il diritto di essere obbedito.

Il fatto di non ottemperare agli ordini peccaminosi di Bergoglio non significa negare che egli sia Papa in atto; anzi il vero guaio è proprio il fatto che sia Papa, se fosse un “impiegato del Catasto”, non vi sarebbe nessun problema, ma purtroppo è stato eletto Papa.

In breve, nell’essere (“in facto esse” o “atto primo”) Bergoglio è Papa, ma nell’agire o nell’insegnamento (“agere” o “atto secondo”) si comporta come nemico di Cristo, di cui però è il Vicario: come Giuda che era “Apostolo e diavolo” (Giov., VI, 71–72). San Tommaso d’Aquino (Commento al Vangelo di San Giovanni, Roma, Città Nuova, 1990, vol. I, pp. 533–535 e 536) spiega che il medesimo uomo chiamato Giuda Iscariota era Apostolo nell’essere, in quanto eletto tale da Gesù, ma quanto al suo modo di agire imitava il diavolo, nemico di Dio, poiché voleva tradire Gesù e farlo mettere a morte dal Gran Sinedrio.

Insomma è la medesima classica distinzione – tanto cara alla teologia scolastica – ripresa ultimamente da monsignor Brunero Gherardini (3), a proposito dell’Ermeneutica della continuità, tra la Chiesa conciliare e la Tradizione apostolica.

Il valente ecclesiologo illustrava che nell’essere il Concilio Vaticano II è un vero Concilio Ecumenico, con il Papa e tutto l’Episcopato riunito in Assise nel Vaticano dal 1962 al 1965.

Tuttavia nell’agire (come insegnamento pastorale), il Concilio Vaticano II non è in continuità, ma in rottura con la Tradizione apostolica, con il Magistero costante e tradizionale della Chiesa da San Pietro sino a Pio XII; così i Papi “conciliari” e la Chiesa detta “conciliare” (dai cardinali Benelli e Kasper), nell’essere, sono Papi e Chiesa di Cristo, ma nell’agire hanno proceduto spesso in maniera contraria a Cristo; proprio come Giuda era nell’essere un vero Apostolo eletto da Gesù, ma nel suo agire da traditore di Gesù, era un diavolo. Perciò “è proprio per difendere la Comunione gerarchica col Romano Pontefice che occorre disobbedire a Francesco, denunciare i suoi errori e chiedergli di dimettersi, pregando Dio che lo chiami a Sé il prima possibile, se da questo può derivare un bene per la Chiesa” (cit., p. 6); si noti la condizione, solo se da ciò ne derivasse un bene...

Conclusioni finali

All’inizio della settima e ultima pagina monsignor Viganò tira le conclusioni finali:
A) per non identificare il vero con il falso, il bene con il male, il sì con il no, più che di “disobbedienza” è meglio parlare di “non ascoltare”, “non assecondare” o “ignorare” gli ordini illeciti di un’autorità deviata, che non persegue il bene dei suoi sudditi;
B) inoltre, bisogna evitare il duplice errore, α) per eccesso (il vile servilismo, che fa obbedire vigliaccamente anche a ordini illeciti) e β) per difetto (la disobbedienza rivoltosa, contro l’autorità in quanto tale), ma γ) occorre mantenersi nella sana teoria e pratica di dover obbedire agli ordini dell’autorità civile ed ecclesiastica, che ci aiuta a conseguire il nostro fine temporale e spirituale, evitando la rivolta e l’esecuzione di ordini immorali;
C) infine, non è bene fissarsi eccessivamente (e in un modo quasi patologico) sulla questione se il Papa legittimo sia Benedetto o Francesco, tanto da ritenere coloro che riconoscono Francesco solo come il Pontefice eletto nell’essere (anche se nell’agire, lo si ritiene l’agente principale della sovversione mondialista e della teologia modernistica dell’ultra/ liberazione), come eretici, senza Sacramenti validamente confezionati e fuori dalla Chiesa e, dunque, dalla salvezza; pur essendo lecito e doveroso affrontare il problema teorico – con equilibrio, pacatezza e distacco serenamente teologico – della legittimità dell’elezione canonica di Bergoglio e delle dimissioni “forzate moralmente” ma non “fisicamente” per cui papa Ratzinger avrebbe potuto liberamente resistere alla violenza fattagli; dunque in teoria si potrebbe concedere, in casi eccezionali, di sospendere il giudizio su Benedetto o Francesco, se la questione turbasse le coscienze di qualche anima particolarmente scrupolosa e la spingesse all’ossessione; purché tuttavia si continui ad agire in pratica da veri cattolici, in ossequio all’autorità del Papa, che ha un Primato di giurisdizione e non di solo onore su tutta la Chiesa (Cardinali, Vescovi, Sacerdoti e fedeli).

NOTE

1 - Nel Canon Missae si recita: «In primis […] pro Ecclesia tua sancta […], “UNA CUM FAMULO TUO Papa nostro N.” et Antistite nostro N. / […] in primo luogo […] per la Tua santa Chiesa e poi “ANCHE PER IL TUO SERVO e Papa nostro N.” […] ». Come si vede, il fatto di nominare il Papa regnante (o reputato tale, in periodi di confusione, come avvenne durante il Grande Scisma d’Occidente in cui vi erano contemporaneamente tre Papi che reclamavano di essere tali) al Canone, significa solo che si prega il Signore affinché provveda Lui alla Chiesa universale (assieme al Papa che la governa) e alla Diocesi particolare (assieme al Vescovo che la dirige), senza minimamente dover far proprie tutte le esternazioni di Francesco, Giovanni XXIII, Paolo VI, Giovanni Paolo II e Benedetto XVI…
Voler sostenere che il nominare un Papa (Francesco) piuttosto che un altro (Benedetto) renderebbe invalida la Messa, è contrario alla sana dottrina della teologia sacramentaria secondo la quale, per la confezione valida di un Sacramento, occorre e basta la Materia (pane / vino), la Forma (“Questo è il Mio Corpo / Questo è il Mio Sangue”) e il Ministro di tale Sacramento (Sacerdote); come pure sostenere che l’«una cum» contenga la partecipazione all’ eresia e allo scisma dei Papi conciliari, è una forzatura, che non corrisponde alla realtà. 
2 - La distinzione tra “munus”, “officium”, “Papato attivo/contemplativo” è stata elaborata da alcuni giornalisti, storici, ecclesiastici, ma non da Benedetto XVI prima delle sue dimissioni. Inoltre i due termini si equivalgono e la loro distinzione non è reale ma solo logica.
3 - BRUNERO GHERARDINI, Concilio Ecumenico Vaticano II. Un discorso da fare, Frigento, Casa Mariana Editrice, 2009; ID., Tradidi quod et accepi. La Tradizione, vita e giovinezza della Chiesa, Frigento, Casa Mariana Editrice, 2010; ID., Concilio Vaticano II. Il discorso mancato, Torino, Lindau, 2011; ID., Quaecumque dixero vobis. Parola di Dio e Tradizione a confronto con la storia e la teologia, Torino, Lindau, 2011; ID., La Cattolica. Lineamenti d’ecclesiologia agostiniana, Torino, Lindau, 2011.




marzo 2021

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