A proposito di Traditionis custodes

Parte settima

Articolo della Fraternità San PIo X





“Traditionis custodes”, in nome del concilo Vaticano II




Nel motu proprio Traditionis custodes, Papa Francesco stabilisce tutta una serie di misure destinate a circoscrivere la Messa tridentina, con la speranza di farla sparire a vantaggio esclusivo della Messa di Paolo VI.
Un tale accanimento spinge a porsi una domanda: le motivazioni che egli dà nella lettera di accompagnamento del motu proprio, corrispondono realmente allo scopo che si è posto?

Nel nostro primo articolo abbiamo considerato le motivazioni ufficiali.
Nel secondo articolo abbiamo considerato lo scopo concreto.
Nel terzo articolo abbiamo considerato la questione di fondo: il legame tra il Concilio e il novus ordo.
Nel quarto articolo abbiamo considerato le reazioni, tra attendismo e indignazione
Nel quinto articolo abbiamo considerato lo spirito che Francesco manifesta con quest’atto
Nel sesto articolo abbiamo ricordato l’insegnamento di Mons. Marcel Lefebvre
Adesso vediamo le lacunose reazioni degli ambienti tradizionalisti legati a Roma

L’8 settembre 2021, numerose personalità laiche legate alla Messa tradizionale hanno redatto una Lettera ai fedeli del mondo intero, nella quale chiedono «a Papa Francesco di rivedere le sue decisioni, abrogando Traditionis custodes, e di ristabilire  la piena libertà di celebrazione della Messa tridentina», essi citano il versetto del Vangelo secondo Matteo: «Chi tra di voi al figlio che gli chiede un pane darà una pietra?» (Mt. 7,9).

In questa lettera si può leggere:
«La volontà affermata da Papa Francesco nel Motu proprio Traditionis custodes del 16 luglio 2021 è di vedere sparire la celebrazione della Messa della Tradizione della Chiesa.
Questa decisione ci fa piombare nella costernazione.

«Come comprendere questa rottura col Messale tradizionale, realizzazione “venerabile e antica” della “legge della fede”, che ha fecondato tanti popoli, tanti missionari e tanti Santi?
Che male fanno i fedeli che aspirano semplicemente a pregare come lo hanno fatto i loro padri per secoli?

«Si può ignorare che la Messa tridentina converte numerose anime, attira assemblee giovani e ferventi, suscita numerose vocazioni e ha fatto sorgere dei seminari, delle comunità religiose, dei monasteri, e che è la colonna vertebrale di numerose scuole, opere giovanili, catechismi, ritiri spirituali e pellegrinaggi?»

Tutte queste considerazioni spirituali e pastorali sono giuste, ma si può eludere la questione dottrinale? La Messa tridentina è quella della teologia tradizionale espressa dal Concilio di Trento, come scrivevano i cardinali Alfredo Ottaviani e Antonio Bacci nel loro Breve esame critico del 1969, denunciando l’ambiguità eterodossa della nuova Messa:

«Il Novus Ordo Missæ, considerati gli elementi nuovi, suscettibili di pur diversa valutazione, che vi appaiono sottesi ed implicati, rappresenta, sia nel suo insieme come nei particolari, un impressionante allontanamento dalla teologia cattolica della Santa Messa, quale fu formulata nella Sessione XXII del Concilio Tridentino, il quale, fissando definitivamente i «canoni» del rito, eresse una barriera invalicabile contro qualunque eresia che intaccasse l’integrità del magistero».

Gli autori della Lettera ai fedeli del mondo intero dichiarano con fermezza:
«Noi affermiamo solennemente, davanti a Dio e davanti agli uomini: non permetteremo a nessuno di privare i fedeli di questo tesoro [la Messa tridentina] che è prima di tutto della Chiesa. Non resteremo inerti di fronte al soffocamento spirituale delle vocazioni che il Motu Proprio Traditionis Custodes sta preparando.

«Non priveremo i nostri figli di questo mezzo privilegiato di trasmissione della fede che è la fedeltà alla liturgia tradizionale».

Questa rivendicazione è legittima, ma non acquisterebbe forza se fosse basata su una critica dottrinale del Concilio da cui è emersa la nuova Messa?

Infatti, come riconosce Don Claude Barthe in Res novae del 1 settembre:
«La Messa tridentina cristallizza così l’esistenza di una Chiesa nella Chiesa, perché rappresenta una lex orandi antecedente e quindi anticonciliare.

«Si può transigere con le derive della Chiesa tedesca che sono al peggio troppo conciliari, ma non si può tollerare la liturgia antica che è anticonciliare. Il Vaticano II, con tutto ciò che implica, non si discute!

«In maniera molto caratteristica, la Lettera che accompagna Traditionis custodes infallibilizza il Concilio: la riforma liturgica deriva dal Vaticano II; ora, questo Concilio è stato un “esercizio del potere collegiale in modo solenne”; dubitare che il Concilio sia inserito nel dinamismo della Tradizione è “dubitare dello stesso Spirito Santo che guida la Chiesa”.

Così, Papa Francesco afferma nel Motu proprio: «I libri liturgici promulgati dai santi Pontefici Paolo VI e Giovanni Paolo II, conformemente ai decreti del Concilio Vaticano II, sono la sola espressione della lex orandi del rito romano» (art. 1).

Ed egli giustifica la severità delle sue nuove disposizioni, nella lettera di accompagnamento del Motu proprio, in questi termini: «Proprio il Concilio Vaticano II illumina il senso della scelta di rivedere la concessione permessa dai miei Predecessori».

Quindi, come non criticare il Concilio nel criticare il Motu proprio che si basa esplicitamente su di esso?

La crisi attuale può accontentarsi di una medicina sintomatica?

Di certo, ciascuno può constatare che oggi il rapporto di forza è cambiato, come scrive Don Barthe:
«Nel 2021, non siamo più nel 1969, al tempo della fresca e gioiosa promulgazione del nuovo Messale; né nel 1985, al tempo della Intervista sulla fede [del cardinale Ratzinger, allora prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede]. N.d.T.] e dell’assemblea sinodale che faceva già un bilancio inquieto dei frutti del Vaticano II;
«E nemmeno nel 2005, quando l’apparizione dell’espressione “ermeneutica della riforma nella continuità” suonava come un faticoso tentativo di ricomporre una realtà sempre più sfuggente.

«Oggi è troppo tardi. L’istituzione ecclesiastica è come snervata, la missione spenta e, almeno in Occidente, la visibilità di sacerdoti e fedeli svanita.

«Andrea Riccardi, personaggio principale della Comunità Sant’Egidio, tutt’altro che un conservatore, nel suo ultimo libro La Chiesa brucia. Crisi e futuro del cristianesimo, [Tempi nuovi, 2021], considera l’incendio di Nostre-Dame di Parigi come una parabola della situazione del cattolicesimo, e analizza paese per paese, in Europa, il suo crollo. Il suo discorso è caratteristico dei bergogliani delusi, che diventano conciliari delusi».

E il direttore di Res Novae aggiunge:
«Inoltre, nel 2021, l’equilibrio di potere è molto diverso da quello degli anni ‘70 tra coloro che avevano “fatto il Concilio” e coloro che lo subivano. Andrea Riccardi, come tutti, fa questa osservazione realistica: “Il tradizionalismo è una realtà di una certa importanza nella Chiesa, sia nell’organizzazione che nei mezzi».

«Il mondo tradizionale forse minoritario (in Francia dall’8 al 10% dei praticanti) è dappertutto in crescita, in particolare negli Stati Uniti. Esso è giovane, fecondo di vocazioni – almeno in rapporto alla fecondità del cattolicesimo delle parrocchie – capace di assicurare la trasmissione catechetica, e attraente per il giovane clero e per i seminaristi diocesani».

Questo «insopportabile accrescimento del mondo tradizionale, tanto più visibile perché si produce in seno al crollo generale» è ciò che Francesco e i prelati che lo consigliano vogliono fermare ad ogni costo, poiché un tale accrescimento segna la disfatta delle riforme alle quali essi vogliono credere ostinatamente.

Ma i sacerdoti e i fedeli legati alla Tradizione possono efficacemente contrastare questa offensiva progressista di retroguardia, senza risalire alla causa dottrinale del crollo generale, e dunque senza rimettere in questione il Concilio che ha autorizzato queste riforme?

Impegnarsi a fare sparire i sintomi senza attaccare la radice del male, significa esporsi a vedere risorgere presto o tardi gli effetti di una causa che non è stata sradicata.



novembre 2021
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