NON PREOCCUPATEVI DI QUEL CHE DIRETE

parte seconda

di Mattia


parte prima
parte seconda





Ripreso da SI SI NO NO, anno XLVII, n° 19, del 15 novembre 2021

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Prologo

Nell’articolo precedente abbiamo visto Gesù dire ai suoi Apostoli che li avrebbe mandati “come pecore in mezzo ai lupi” e, inoltre, raccomandare loro di essere “prudenti come i serpenti ma semplici come le colombe” (Mt., X, 16).

Nel presente articolo studiamo – alla luce della Tradizione patristica e scolastica – ciò che il Salvatore aveva già consigliato al versetto 34 del capitolo VI del Vangelo di san Matteo: «Ogni giorno porta la sua pena». Infatti, questo breve versetto fa – logicamente – da intermezzo tra quanto visto nel primo articolo e quanto vedremo in un terzo (Mt., X, 19–20), ove il Salvatore annunzia: «Quando vi avranno trascinati davanti ai loro tribunali, non vi affannate di come parlerete e di quel che direte; poiché in quel momento, vi sarà detto quel che dovrete rispondere; non essendo voi a parlare, ma lo Spirito del Padre vostro che parla in voi»; ossia, non ci dobbiamo mettere in pena anticipatamente del che o del come abbiamo a parlare.

Insomma, il Redentore non vuole che ci mettiamo in ansia per ciò che potrebbe succederci domani, ma Egli desidera che ogni giorno pensiamo a fare il bene e a fuggire il male “quotidiano”, analogamente a quanto ci ha insegnato nel “Pater noster”. 

Questo insegnamento è l’anello di congiunzione tra: “Ogni giorno porta la sua pena” (Mt., VI, 34) del primo articolo e: “Quando vi avranno trascinati davanti ai loro tribunali, non vi affannate di come parlerete e di quel che direte” (Mt., X, 19) del terzo ed ultimo articolo.


La Tradizione patristica:

SAN CROMAZIO DI AQUILEIA

San Cromazio Vescovo di Aquileia, verso la fine del IV secolo, nel suo Commento al Vangelo di Matteo (III, 27) scrive: «Il Signore ci proibisce di pensare troppo al domani, perciò non dobbiamo essere in ansia per il futuro, ma purifichiamoci delle colpe giornaliere. Inoltre, il Signore non intende qui parlare della malvagità del giorno solare, il quale non può essere accusato di nulla di malvagio. Dunque, il Signore intendeva parlare della nostra malvagità, ossia quella che commettiamo ogni giorno; infatti, non passa giorno che non ci si debba accusare di qualche colpa, magari leggera. In conclusione, il Signore ci esorta a purificarci delle mancanze giornaliere, pur se piccole, che ci succede di commettere proprio ogni giorno. Per la stessa ragione l’Apostolo Paolo vuole che la nostra ira abbia a cessare prima che tramonti il sole (Ef., IV, 26), perché il giorno non si chiuda sotto il regno del peccato da noi commesso».


ANONIMO AUTORE DI “OPUS IMPERFECTUM IN MATTHAEUM”

L’Anonimo autore (1) di Opus imperfectum in Matthaeum spiega così la frase di Matteo (VI, 34): «Ti sia sufficiente la fatica e la pena che avrai sofferto nel corso della vita, per i bisogni quotidiani che riterrai necessari. Non affaticarti in modo superfluo per il superfluo, per evitare che la fatica sia tua ma il trionfo e il godimento di un altro. Il Signore chiama malvagità l’afflizione che provocano gli affanni e le fatiche del presente, non afferma – come dicono i Manichei – che la creazione di Dio è cattiva» (Omelia 16).


SANT’AGOSTINO

Sant’Agostino (Discorso di Gesù sulla Montagna, II, 17, 56) spiega che quando il Signore ci avvisa di non affannarci per il domani, vuole farci capire che dobbiamo fare il bene in vista del Cielo e non dobbiamo cercare, nel fare un’opera buona, una ricompensa temporale. Infatti “domani”, per Gesù, significa il tempo che è successione di ieri, oggi e domani (oppure passato, presente e futuro). Perciò, «Quando compiamo una buona azione, non pensiamo alle ricompense temporali, ma all’eternità. Allora l’azione sarà buona e anche perfetta. Poi, il Signore aggiunge “il domani avrà già in sé e per sé le sue inquietudini”; ossia, quando sarà necessario, prendi il cibo, la bevanda, il vestito; cioè, solo quando il bisogno comincerà a farsi sentire, occupati di queste faccende temporali. Allora, queste cose vi saranno utili, purché sia il bisogno reale a farci usare questi beni».

Questo bisogno che ci spinge a usare i suddetti beni – nel Vangelo di San Matteo – è detto “pena” o “affanno” perché esso appartiene alla soggezione, alla sofferenza e alla morte che abbiamo meritato col peccato originale. Quindi, non dobbiamo aggiungere alla pena dei bisogni temporali un male più grande ancora, ossia il male morale che è il peccato attuale, il quale ci condanna a una pena eterna.


SANT’ILARIO DI POITIERS

Sant’Ilario di Poitiers (Commentario a Matteo V, 13) insegna che Gesù con questo consiglio ci spinge a «non dubitare dei beni futuri. Infatti, la pena della nostra vita, dopo il peccato di Adamo, è già abbastanza grave e non ci conviene peggiorarla con il dubbio sulla vita eterna. Inoltre, i nostri peccati quotidiani sono più che sufficienti perché tutto lo sforzo e la preoccupazione della nostra vita siano consacrati a purificare la nostra anima e a redimere le nostre colpe. Insomma, cerchiamo di evitare il pericolo di perdere la fede nei beni futuri, rendendoci così colpevoli di una pena eterna e inespiabile. Invece, se sopprimiamo la preoccupazione per noi stessi, allora il futuro porterà con sé le sue preoccupazioni che si presenteranno a loro tempo, ma il conseguimento della salvezza eterna ci sarà dato da Dio, allorché avremo dimenticato di preoccuparci inutilmente per noi».


SAN GIROLAMO

San Girolamo nel suo Commento al Vangelo di Matteo (Roma, Città Nuova, 1969, p. 55) spiega: «Colui che ci vieta di pensare al futuro, ci concede però di pensare al presente. La parola “domani”, nelle Scritture, indica il tempo che verrà; mentre la parola “malizia” o “pena”, qui, non è usata per indicare cosa contraria alla virtù, ma è impiegata nel senso di “fatica, affanno, afflizione quotidiana”. Insomma, ci basti il pensiero del tempo presente e smettiamola di affannarci per il futuro, che è incerto».


SAN GIOVANNI CRISOSTOMO

San Giovanni Crisostomo nel Commento al Vangelo di San Matteo (Roma, Città Nuova, 1966, I vol., pp. 353–355) insegna che quando Gesù ci comanda di non affannarci per il domani «ci lascia la libertà, fissando al tempo stesso la nostra anima alle cose più necessarie. Dio ci ordina di chiedere a Lui queste cose, non perché abbia bisogno che noi gli ricordiamo le nostre necessità, ma per farci intendere che soltanto con il suo intervento noi compiamo tutto il bene che facciamo e inoltre ordina tutto ciò per familiarizzarci con Lui mediante la costante preghiera di aiutarci nei nostri bisogni. Gesù ci invita a non cercare le cose presenti, promettendo che soddisferà tanto maggiormente i nostri bisogni, quanto più non ci inquieteremo per soddisfarli. Io vi proibisco, dunque – Egli aggiunge – di affannarvi per queste cose, non perché ne restiate privi, ma perché ne riceviate in abbondanza. Insomma, non voglio – continua Gesù – che, consumandovi negli affanni e lacerandovi in mille preoccupazioni, finiate col diventare indegni di ottenere aiuti sia per il corpo sia per l’anima e che, dopo aver sofferto pene inutili, non riusciate a raggiungere il fine che vi ho dato, perdendo così anche la felicità dell’altra vita. In breve, a ogni giorno basta la sua miseria e la sua afflizione. Non vi basta – dice il Redentore – di dover mangiare il vostro pane, “con il sudore della vostra fronte”? Perché, dunque, volete procurarvi un nuovo tormento con questa inquietudine, voi, che dovrete essere liberati anche dai “mali” di oggi? La parola “male” in questo caso non significa “malizia”, “malvagità”, ma solo “tribolazione, afflizione, fatica”. In questo senso noi dobbiamo intendere le parole “a ogni giorno basta il suo male”, poiché ciò che affligge e tormenta di più l’anima è l’affanno e l’inquietudine. […]. Il Signore ordina ciò per liberarci dai nostri superflui affanni. Perché dovremmo tormentarci inutilmente? Perché dovremmo costringere il giorno che stiamo vivendo a sopportare anche una preoccupazione ulteriore e maggiore di quella che gli spetta? Perché alle pene proprie del giorno odierno vorremmo aggiungere anche il fardello del giorno che seguirà? Infatti, tutto ciò non solo non ci alleggerisce il peso, ma al contrario ci carica di un’infinità d’inquietudini superflue, presentandocele in anticipo. Gesù ci insegna che abbiamo ricevuto da Dio il giorno d’oggi per fare quanto dobbiamo oggi stesso. Perché, dunque, aggiungere all’oggi le preoccupazioni che spettano a un altro giorno? Forse il giorno d’oggi non è già abbastanza carico delle sue preoccupazioni? Allora non imponiamoci un peso ancor più schiacciante. Il Redentore attesta che questa vita presente è miserabile e penosa, tanto che l’affanno di un sol giorno è sufficiente per spossarci e per fiaccarci. Tuttavia, noi – anche dopo che il Signore ci ha insegnato queste verità – continuiamo ad affannarci per questa vita terrena e non ci curiamo delle realtà eterne. Facciamo attenzione! Gesù Cristo ci ammonisce di non cercare i beni presenti come se fossero il nostro fine; invece noi ci preoccupiamo incessantemente di essi. Insomma, quanto affanno ci diamo per i beni temporali, tanta trascuratezza dimostriamo per quelli eterni».


La Tradizione scolastica

SAN TOMMASO D’AQUINO

San Tommaso d’Aquino nel suo Commento al Vangelo secondo Matteo (Bologna, Edizioni Studio Domenicano, 2018, vol. I, p. 583) commenta così il suddetto versetto: «Non pensate troppo alle cose temporali, ponendo in esse il vostro fine ultimo. Oppure, non prendete già nel presente la sollecitudine che forse dovremo avere nel futuro, come se nel tempo delle messi ci prendessimo cura delle vendemmie. Infine ci dà la spiegazione, insegnando che la tribolazione e l’angustia che l’uomo ha nella giornata gli deve bastare, senza prendere pure quella che dovrebbe potergli capitare anche nel futuro».


PADRE MARCO SALES

Padre Marco Sales commenta: «Gesù mostra dove i Cristiani debbono porre tutte le loro sollecitudini. Cerchino prima di tutto il Regno di Dio, cioè i beni del Cielo e quella santità di vita di cui essi debbono essere rivestiti. Dopo aver mostrato la Provvidenza di Dio, Gesù conclude che non si deve essere troppo solleciti per il domani, cioè per l’avvenire; infatti, è cosa stolta rendere più grave l’affanno di oggi aggiungendovi quello di domani. Anche qui Gesù non vieta di pensare al futuro, ma proibisce quella troppa preoccupazione, che impedisce di attendere alla propria santificazione quotidiana» (Commento al Vangelo secondo San Matteo, Proceno, Effedieffe, II ed., 2015, p. 53, nota n. 34).


Conclusione

Queste sono le lezioni che ci ha dato il nostro Redentore nel dirci “a ogni giorno basta la sua pena” (Mt., VI, 34); tuttavia, Egli aggiunge anche un insegnamento che ci sarà di grande aiuto e consolazione:

«Quando vi avranno trascinati davanti ai loro tribunali, non vi affannate di come parlerete e di quel che direte; poiché in quel momento, vi sarà detto quel che dovrete rispondere; non essendo voi a parlare, ma lo Spirito del Padre vostro che parla in voi» (Mt., X, 19–20).

Quest’ultima istruzione la vedremo nel prossimo articolo. Nel frattempo, cominciamo a metterci bene in mente che solo quando saremo posti nelle mani dei nostri persecutori ci sarà suggerito da Dio quel che dovremo dire; dunque, non mettiamoci in pena anticipatamente del che o del come abbiamo a parlare (X, 19–20).

A mo’ di conclusione mi permetto solo di riportare qui l’«Atto di confidenza in Dio» composto da padre Claude de la Colombière, che commenta molto bene i passaggi del Vangelo che stiamo studiando da un punto di vista di spiritualità cristiana intensamente vissuta.

Infatti, l’«Atto di Confidenza» composto dal padre gesuita, ci insegna alcune profonde verità spirituali, che sono oggi più attuali e necessarie che mai, ossia che noi tutti dobbiamo essere: 1°) fermamente certi che la divina Provvidenza veglia, notte e giorno, su tutti coloro che sperano in Essa.
Inoltre, 2°) che non potrà mancare mai nulla di necessario per l’anima e per il sufficiente sostentamento corporale, a coloro che sperano con ferma fiducia di ottenere da Dio tutto ciò di cui hanno bisogno.
Perciò 3°) dobbiamo essere risoluti di vivere senza preoccupazioni e turbamenti, anzi l’unica nostra preoccupazione dovrebbe essere quella di non essere mai preoccupati.
Dunque, 4°) dobbiamo gettare ogni nostra pena nel Cuore sacratissimo di Gesù.
5°) Le malattie, infatti, potranno toglierci la salute e anche la forza fisica di servire il Signore;
addirittura 6°) potremmo perdere anche la grazia santificante a causa delle nostre debolezze
ma, 7°) non dobbiamo mai perdere la Speranza;
infatti, 8°) la disperazione (2), quanto alle conseguenze, è il peccato più pericoloso,
poiché 9°) se odiassi Dio (3) (questo è il peccato più grave in sé, seguìto dall’incredulità (4) e solo dopo dalla disperazione), me ne potrei pentire, chiedere perdono e convertirmi;
invece 10°) se dispero, allora non voglio chiedere perdono e come Giuda muoio disperato; questo è il “peccato contro lo Spirito Santo”, che non può essere perdonato, non perché Dio non possa o non voglia, ma perché l’uomo oppone la resistenza totale e definitiva al pentimento, alla conversione e dunque al perdono divino.

Tutta la nostra speranza, infine, deve consistere
11°) nella Fiducia o Confidenza (che è una super /Speranza) (5);
poiché 12°) l’uomo – ferito dal Peccato Originale e dai suoi numerosi peccati attuali – è molto debole e assai incostante;
tuttavia, 11°) sino a che egli spererà in Dio, il Signore sarà vicino a lui e lo aiuterà a uscire dalla sua miseria usandogli la Sua infinita Misericordia.

Dunque, per finire,
12°) dobbiamo sperare anche la Speranza,
essendo 13°) certi di ottenerla dal Signore
e 14°) di non perderla mai;
infatti, 15°) se dipendesse dalle nostre forze, certamente perderemmo anche quella.

NOTE

1 - Probabilmente si tratta di un Vescovo di rito greco dell’inizio del V secolo.
2 - S. TOMMASO D’AQUINO, S. Th., I–II, q. 40.
3 - S. Th., I–II, q. 34, a. 2 e 3.
4 - S. Th., I–II, qq. 10–14.
5 - S. Th., I–II, q. 17.






novembre 2021

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