SAN FRANCESCO SECONDO RAVASI


di L. P.

Parlammo, tempo fa, del cardinale Gianfranco Ravasi a proposito di taluni  passi – diciamo, schiettamente, più  “eretici” che oscuri - riferiti al suo libro “Guida ai naviganti – ed. Mondadori 2012”, di cui evidenziammo lo stravolgimento dottrinario in tema di creazione a favore dell’evoluzionismo darwinista rimasticato da Teilhard de Chardin.
In  questo ulteriore  intervento, prendiamo in esame il libro, prodotto “collegiale”  quale resoconto del “Cortile dei gentili”  “Il Dio ignoto - di Napolitano/Ravasi – ed. Corsera 2013”, e non solo e non tanto per stigmatizzare la collaudata ed accettata dottrina della divisione dei poteri – civile e religioso - evidenziata dalla preminenza , nel titolo, del presidente Napolitano a danno del cardinale – operazione che, a onor di verità, è stata condotta dall’editrice notoriamente  laicista -  o criticare l’apparato di chiara connotazione snobistica ed intellettuale indiziario di una certa qual vanitas tipica di coloro che, privilegiati attori  nella vistosa vetrina addobbata per l’occasione – più un’aia vociante che cortile -  presumono di possedere la sapienza, esponenti della cultura moderna, teste d’uovo ed esperti in acrobatici filosofumi, possessori ed agili  manipolatori di un “linguaggio di legno”, ma quanto  per puntualizzare e ripristinare la verità su San Francesco d’Assisi, emblema e corona della Chiesa, e luce  di Assisi ove s’è recentemente – 5/6 ottobre 2012 – allestita un’ ulteriore esibizionistica e  policroma parata di sofisticato quanto di sterile dialogo, quasi una gara di dialettica tra i più bravi Atei/Credenti – in verità più atei che  credenti - e condotta sul binario del principio bobbiano, fatto proprio dal defunto cardinale Martini, secondo cui “la differenza non sta tra chi crede e chi non crede, ma tra chi pensa e chi non pensa” con tanto di benservito al comando di Gesù “ Euntes in mundum universum predicate evangelium omni creaturae. Qui crediderit et baptizatus fuerit, salvus erit, qui vero  non crediderit condemnabitur” (Mc. 16, 16). Diversamente da Martini, e dal sodale Bobbio, Gesù fondava – e fonda -  la salvezza sulla fede e non sull’esercizio del pensiero cartesiano.

Ma vediamo: nell’esordio il cardinale (op. cit. pag. 27) dichiara come “ la vicenda di Francesco d’Assisi diviene ideale, in questa prospettiva, e si trasforma quasi in una sorta di vessillo all’interno di questo “cortile” in terra umbra, perché ci invita – su tutti i temi: dal cosmo alla storia, dal lavoro ai giovani, dalla verità alla pace – a scoprire qualche ragione superiore per “cantare la vita”. (Ironia della sorte: a distanza di 5 mesi, in Germania, ad opera della Conferenza episcopale che ha decretato lecita la distribuzione della “pillola del giorno dopo”,  si è autorizzato il  “cantare la morte”, quella del feto colpevole d’essere stato generato nel grembo materno per “violenza sessuale”. Una vittoria dei Gentili, caro  cardinal  Ravasi!!).  
A questa dichiarazione prefatoria fa, in postfazione, il controcanto in perfetto bordone, il giornalista Armando Torno che (op. cit. pag. 85) così scrive: “ Nel cortile di Francesco divinità e umanità s’incrociano in armonìa, e forse Dio diventa meno sconosciuto”.
La prefazione del cardinale e la postfazione del giornalista dànno, per sottili e latenti segni, una breve ma significativa pennellata del volto “umano” di san Francesco, in pretto stile ecumenistico, attribuendogli fisionomia di santità e di azione di valore antropologico, eco  di quelle qualifiche che, da tempo, gli vengono affibbiate, come l’essere ambientalista, ecologista, no tav, pacifista arcobaleno, umano troppo umano, campione del dialogo con i non credenti, patrono ENPA – LIPU – WWF. . ecc.  
A quanti vedono nel Poverello le qualità di cui sopra, è bene rammentare che mentre la moderna ideologia filantropo/ambientalista si nutre di principii e di azioni in stile New Age – contenitore delle più aberranti e idiote derive eretiche e gnostiche - da cui è assente Dio Creatore, ma fa perno e centro sulla figura di Gaia, il pianeta che vive e respira e su una certa qual “energia cosmica”,  in San Francesco, l’autore poeta del “Cantico delle Creature”, nel fraticello dei numerosi episodii – il lupo, gli uccelli,  la cicala – è distintiva e preminente la centralità di Dio la cui opera si riassume nella lode che il santo esprime ogni volta che si rapporta con uomini, cose, animali e piante.

La cosa grave ed allarmante è la pedissequa sequela al verbo neomodernista di taluni – anzi, molti – docenti di religione cattolica che  dichiarano di condividere la visione mondana quale ampliamento degli “orizzonti culturali” al passo con lo spirito del tempo. Assisi si è, così,  trasformato in luogo magico, un “chakra”, un “vortice” energetico ove si programma  e si commette – con i rituali osceni, e contro natura, degli incontri interreligiosi dal 1986 al 2011 – l’empietà contro il primo comandamento,  replicata con la gemella iniziativa del “cortile dei gentili”, l’adunata dei più famosi atei, gnostici, pagani, comunisti: un athanor, cioè,  in cui si compie l’Opus magnum, vale a dire la alchemica “conjunctio oppositorum”, ove si raggiunge l’armonia delle antitesi dualistiche  Dogma/EresiaVerità/MenzognaTrascendenza/Immanentismo Bene/Male - Assolutismo/RelativismoDio/Uomo - , armonia raffigurata, nel contesto del motto ermetico  “Quod inferius sic superius”, dalla formula “En To Pan” – l’unità nel tutto – e dispiegato nell’emblema del “serpente ouroburos”, bischera e insignificante effigie che raffigura  un rettile, appunto, che  mangia progressivamente se stesso cominciando  dalla coda e di cui nessuno, fra i tanti esperti esoteristi, sa spiegare come e quando la bocca potrà ingoiare se stessa.  
Psicologia e alchimia – C.G. Jung ed. Boringhieri, 1984 – pag. 7/42” è diventato libro di testo e vademecum dell’improprio esoterismo cristiano e, pertanto, non  sorprende che San Francesco, secondo Ravasi  è  colui che riassume l’unità del tutto, dal cosmo alla storia, dal lavoro ai giovani, dalla verità alla pace, colui che riunisce in sé gli infedeli e con essi dialogando nel  più nobile e salottiero “rispetto” della loro cultura,  ideale e vessillo del “cortile”.

Noi non ci rammarichiamo né ci sorprendiamo della  prospettiva laicista di Armando Torno, ma restiamo sinceramente indignati per quella del cardinal Ravasi il quale, nei suoi interventi privi di veemenza evangelica e di spirito missionario, privi di testimonianza vibrante, ma sobrii e felpati nel  rispetto di  un canone già sperimentato negli altri suoi libri,  tace, ignorandoli perché superati, “rottamati”, diremmo – giusta corrispondenza allo spirito del discorso tenuto, il 14 febbraio 2013, dal dimissionario Papa al Clero Romano  – di Sant’Agostino, di  San Tommaso d’Aquino, di San Bonaventura, di  San Juan de la Cruz, di San Pio da Pietrelcina preferendo, lui colto ed addottorato in scienze “moderniste”, citare i Nietzsche, gli Heidegger, i Bobbio, i Croce, i Bergmann, i Bufalino, le Upanishad (ah, i testi induisti, il  massimo della sapienzialità che un intellettuale possa vantare!!! ), unitamente a talune effimere e tenebrose stelle rockettare assunte e assurte, in virtù di scalcinati, sconnessi e schitarrati testi,  a “maestri in Israele”.

Torniamo a San  Francesco, “alter Christus”, stigmata vivente della Passione di Gesù, e vediamo come seppe egli gestire il suo cortile dei gentili.
Intanto dobbiamo riferirci a un autore, a quel Paul Sabatier, protestante calvinista autore, nel 1893, di una biografia su Francesco che tanto entusiasmo ed ammirazione suscitò nell’epoca del modernismo e ha  destato, poi, nei circoli  dell’intelligenza beota cattolica conciliare e nel clero stesso perché, si dice in talune edizioni, “lo scrostò da tutta la retorica e dai luoghi comuni che nel corso dei secoli si sono depositati su di lui facendo emergere un’immagine più vera di Francesco e della sua avventura spirituale”. Appunto: quella di tipo umano vista al microscopio del metodo storico/critico.
A tal proposito riferiamo di  un sacerdote, giunto dalle nostre parti per una lettura biblica riservata ai catechisti, deciso a proporne una ricognizione, cosa che, detta a titolo informativo, è stata da noi ostacolata e vanificata. Il Sabatier, infatti, non sviluppa e non illumina la personalità di Francesco nell’aura della santità  e della caritas Christi , ma colora la sua azione evangelica, penitenziale e catechetica di quella eticità kantiana – l’imperativo categorico di marca soggettivistica – con la quale si cancella qualsiasi segno di trascendenza e qualsiasi riferimento a Dio prospettandone un  modello di moderna filantropia di tipo ONU, FAO, ONG, ONLUS, PROTOCOLLO DI KYOTO, sigle diversificate dell’unica  ideología  che le accomuna: la massoneria.

Come ombra incombente nel Concilio fu Teilhard del Chardin, così, nel Cortile assisiate è stato, per i riferimenti a San Francesco, occulto nume ispiratore il Sabatier. Il concorso festoso e nutrito di numerosi e noti atei nel “Cortile dei Gentili” – azzeccata e astuta formula -  vorrebbe farci intendere che la personalità del Poverello è il principio fondante, statutario della istituzione ravasiana, sostanziata di anelito pacifista – le marce di Assisi -  e, soprattutto, espressione di un atteggiamento dialogante e conciliante del santo nei confronti dell’infedele, colui che, come afferma il porporato (Osservatore Romano, 5 febbraio 2009) può “ esser devoto, può pregare e può vivere in modo vero, autentico restando tale e quale”.
Ma guarda un po’!
Straordinaria corrispondenza con la Costituzione conciliare “Nostra Aetate” che  dichiara, affermando il falso, esserci del “vero e del santo” in ogni religione, ma ancor più straordinaria e deprecabile corrispondenza con la personale visione missionaria di Teresa da Calcutta per la quale la conversione altro non sia che vivere secondo propria coscienza, nella cultura in cui si è nati, perché “diventando indù migliori, musulmani migliori, cattolici migliori o qualunque cosa siamo, e dunque essendo migliori, ci avviciniamo a Dio” (La gioia di amare – Teresa da Calcutta – ed. Oscar  Mondadori 1997/2009 - giorno 8 dicembre).
San Francesco, secondo la fisionomia descritta da Sabatier, sarebbe stato il santo che, con la propria azione dialogante ed ecumenistica, avrebbe anticipato i tempi e lo spirito del Concilio Vaticano II,  oltre che indicato una diversa metodología missionaria, quella adatta alla “nuova evangelizzazione” secondo la quale convertirsi altro non sia che vivere la propria personale fede con convinzione, sia quella che sia.

Non più il percorso ascendente uomo-Dio, ma quello discendente Dio-uomo, nella perfetta corrispondenza della Nova Theologia paolosesta: il Culto dell’uomo.
Tutto questo si comprende dalla lettura del libro, e poiché tale esegesi è completamente  falsa, e sul piano storico che su quello teologico, è bene ristabilire la verità.
Nella biografia del santo, stilata da san Bonaventura, apprendiamo come egli, ad un certo momento della propria vita, fosse stato preso dal desiderio di annunciare Cristo in “partibus infidelium”, bramando, con ciò, il martirio, “desiderio martyrii flagrans” -  così  osserva il redattore (Legenda, IX,5)  a cui Dante fa poetica eco col dire: “E poi che, per la sete del martiro / nella presenza del soldan superba / predicò Cristo e li altri che ‘l seguiro”(Paradiso, XI, 99/101). E, difatti, insieme a dodici fraticelli, si imbarcò, nel 1219 verso l’Egitto, dominio  del sultano Malek al Kamel con la santa e forte volontà di convertire al vangelo gli infedeli islamici, ma come si accorse di predicare e di testimoniare invano davanti al sultano – che Jacopo da Vitry  definisce “ bestia crudelis” – pensò bene di scuotersi la polvere dai piedi – “E se qualcuno non vi riceve, né ascolta le vostre parole, uscendo da quella casa o da quella città, scotete la polvere dai vostri piedi”(Mt. 10,14) – e di ritornare in Italia.
Testimonia, san Bonaventura, che  Francesco “videns… se non proficere in conversione gentis illius… ad partes fidelium remeavit” (Legenda, X,9) (non vedendo passi in avanti nella  conversione di  quella gente, tornò nella terra dei fedeli), non ci pensò troppo a smettere l’impresa.
E  ancora Dante ce ne offre  conferma col dire “e per trovare a conversione acerba / troppo la gente, per non stare indarno / redissi al frutto dell’italica erba” (Paradiso, XI, 103/105). Non sembra, questo, il san Francesco caro a Ravasi e alla sua corte gentile, quello che campeggia come emblema d’ogni operazione sincretistica e di armonizzazione degli opposti, come temporeggiatore.  
Non è questo il Francesco caro (?) ai Fuksas, ai Giorello, ai Cacciari, ai Massarenti, ai De Bortoli, ai Napolitano e via ateizzando. Egli, il Poverello, traccia netta la linea di demarcazione tra il non/credente che si pone in ascolto sincero e quello che superbamente si erge ad avversario e resiste a Dio, ma, soprattutto, san Francesco dimostra – con attualissima modernità - quanto ardua sia, all’uomo missionario, la conversione del mussulmano al Vangelo e  quanto, purtroppo, agevole quella del cristiano all’Islam con ciò smentendo – o, forse, confermando - la tanta ansia ecumenica del cardinal Tettamanzi il quale, in ottimo sodalizio col cardinal Martini, spese la quasi totalità del suo Munus adoperandosi a favore dell’Islam  quasi che Cristo gli avesse ordinato di andare per il mondo esortandolo  ad erigere moschee, madrasse e minareti.

A lumeggiare ancor meglio il carattere volitivo e decisionale di san Francesco, valga l’episodio in cui si narra di un fraticello, finto devoto e falso umile che, invitato da Francesco a confessarsi per due volte a settimana ad espiazione del proprio orgoglio, si rifiutò. Cacciato dall’Ordine, costui finì la vita “da malfattore come era in realtà” (Jacopo da Varazze – Legenda aurea – ed. Einaudi 1995 pag. 817). Ma, alla sensibilità animalista, slombata ed irenica della civiltà contemporanea, non è bello far conoscere siffatti aspetti, non certamente paradossali ma senza dubbio significativi e pedagogici,  preferendo parlare e scrivere, dalle tribune di tutto il mondo, e da Assisi, di un San Francesco suadente, paziente, amabile, colloquiale, attendista, dialogante, comprensivo, buono sommamente buono, paterno e delicato, interconfessionale.
E così sembra, se dobbiamo prendere atto, stupefatti, di imprese come la pubblicazione del Corano e di altri testi islamici editi a cura delle Edizioni francescane  Messaggero Padova (collana  Hiwar-Dialogo a cura del teologo Edoardo Scognamiglio). Sarebbe ora, per amor di verità, di finirla con questi stravolgimenti astuti e con siffatte operazioni di mercato bancarellaro ove, per dar alibi all’abbandono del mandato missionario, al tradimento del comando di Cristo si spacciano, con il cavillo del dialogo, il similoro per l’oro, la filantropìa per la caritas, la dabbenaggine per la santità, il rock satanico per musica sacra  ma, soprattutto, la menzogna per la verità.
Le bugìe hanno le gambe corte perciò, prima o poi, riveleranno la propria andatura perché, come afferma la saggezza classica : “Tempore si peccata latent et tempore adparent” (Catone – Disticha –II, 8 – Ed. Medusa, 2005, pag. 47) (se col tempo i peccati vengono nascosti, col tempo si rivelano), non diversamente dal più perentorio detto di Cristo: “Non c’è niente di nascosto che non debba essere rivelato, e nulla di segreto che non si debba sapere”(Mt. 10, 26).
Lo sappiano Ravasi, Torno, il Cortile, Sabatier.

Vorremmo, in conclusione, dare un breve cenno, e tirarne una valutazione, sulla finale della postfazione di Armando Torno perché è come la cifra culturale di che si è caratterizzato quel cortile nei confronti di san Francesco ma, contemporaneamente,  segno di untuosa piaggerìa e di falsità. Costui, nel chiosare l’intervento di Giorgio Napolitano, così scrive : “Riprendeva ancora La Pira, citava il sommo Pascal, di nuovo Marchesi (Concetto). Ma i suoi sentimenti li aveva già descritti, nell’intervento iniziale, con i maestri cari e rigorosi, moralmente ineccepibili” (pag. 91).
Sappia il lettore che, in questo intervento di cui parla Torno, il Presidente ateo della Repubblica italiana, si riannoda ai varii Leopoldo Elia, a Togliatti, a Calamandrei, a Marchesi, a Bobbio (pag. 41/46).
Noi credevamo che, tra gli ascendenti “moralmente ineccepibili”, oltre  a Togliatti, distruttore di chiese in Spagna (1936/37) e fucilatore di italiani in Russia, abortista e padre cinico, oltre al latinista Marchesi, ispiratore dell’assassinio del filosofo Giovanni Gentile, oltre a Bobbio campione di doppiezza culturale e d’opportunismo  – fascista/antifascista –  venissero citati Mordekkai Levi alias Carletto Marx, o  Lenin, o Janos Kadar l’aguzzino e boia di Imre Nagy, della cui morte fu anche auspice promotore quel Comitato Centrale PCI – aprile 1958 -  che annoverava,  tra i dirigenti, anche  quel giovane trentatreenne Giorgio Napolitano, appartenente all’ala “migliorista” e che ad Assisi, “ingravescente aetate”, si è lanciato commosso nelle citazioni del sommo Pascal.
Nel novembre del ’57 Togliatti incontrerà Kadar a Mosca, e gli chiederà che l’esecuzione avvenga qualche settimana dopo le elezioni (italiane) che, premiando il PCI, dimostreranno ai dirigenti più informati che il loro leader ha avuto ragione due volte: prima nel prevedere che la calunnia avrebbe ridato vigore al voto comunista, poi nel comprendere che una notizia prematura dell’impiccagione avrebbe potuto incrinare lo spessore della menzogna e compromettere l’incasso elettorale. Così, nell’aria di trionfante rassicurazione che serpeggia per le Botteghe Oscure, la macabra giostra giunge alla conclusione. Il processo di Budapest, avviato il 9 giugno 1958, in condizioni di assoluta segretezza, terminerà il 15 con la condanna dell’ex presidente Nagy, del colonnello Maléter e del giornalista Gimes. Il 16 giugno, tre settimane dopo le votazioni, come richiesto da Togliatti, sarà annunciata l’esecuzione dei condannati” (Enzo Bettiza, 1956 – Budapest. I giorni della rivoluzione – ed. Mondadori 2006, pag. 96).

Unucuique suum.

Christus vincit, Christus regnat,Christus imperat




marzo 2013

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