DANTE E LA TRADIZIONE

di Luciano Pranzetti




Descrivere il rapporto che corre tra Dante e la Tradizione è cosa che potrebbe concludersi già con questo titolo dacché la nostra maggior Musa è la Tradizione fatta persona nei termini storici, letterari, morali e, soprattutto religiosi, cattolici nel caso di specie.
Sappiamo, tuttavìa, essere, l’argomento, di non facile ed immediata presa intellettiva, tanto più che, da circa due secoli – e lo scrivemmo su “Dante, ieri, oggi, sempre” Ed. Chorabooks – Amazon 2021, pag. 89 – bolle una pegola spessa in cui, eminenti e oscuri dragomanni, interpreti e commentatori della Divina Commedia, invischiano la bellezza della sua poesia, la profondità e l’altezza del suo pensiero, la purezza e la solidità adamantina della sua fede cattolica appastandole con riferimenti, corrispondenze e accostamenti ora all’area ghibellina, ora al settore alchemico, ora al territorio eretico, ora alla fascia esoterica. Abbiamo dimostrato la falsità di simili fanfaluche con abbondanza di prove confutandole con le stesse opere di codesti pifferai, lieti, noi, di averne messo in ridicolo l’intera tessitura delle loro iperboliche, prolisse e gotiche fantàsime.

Ciò, in quanto necessario quale avvìo allo svolgimento del tema.
Propedeutica al discorso sta una domanda che, supponiamo, il lettore potrebbe rivolgerci circa il significato e l’essenza del termine “Tradizione”. A tale quesito dovremo rispondere precisando, prima di altro, l’etimo che riferisce al verbo latino tradere, cioè trasmettere, consegnare e, poi, l’àmbito in cui dirigere e circoscrivere la complessa e variegata tipologìa che, come è noto, si rappresenta come “tradizione” popolare, linguistica, artistica, tecnologica, gastronomica e altra.
Il fatto che abbiamo scritto il vocabolo in minuscolo significa che non è, la Tradizione di cui ci occupiamo, una realtà parcellizzata ed esclusivamente sensibile ma è, nella propria essenza la proiezione di tutti i singoli tipi riuniti che diventano, per processo dialettico, simbolo metastorico e atemporale talché, in questa connotazione, essa si pone elemento di spiritualità e di metafisica, categorie, queste, che pertengono al divino.

In siffatta prospettiva la Tradizione diventa, per il Cattolicesimo, “Sacra Tradizione” e con tale termine si indica la trasmissione, da parte degli Apostoli, di quanto Gesù insegnò oralmente e ritrasmesso, integro ed invariato/invariabile per l’intera storia della Chiesa, in forma scritta. Essa è costituita dal Depositum Fidei, dalle Sacre Scritture e dal Magistero della Chiesa ed è, in quanto Parola di Dio, immutabile.

Che cosa ha a che fare Dante con la Sacra Tradizione, e quali gli aspetti che lo rendono modello di vita e di pensiero e testimone di essa?

Abbiam detto, in apertura di discorso che potremmo chiuderlo per il fatto, conclamato dalle sue opere, che Dante è la Tradizione fatta persona. E chi lo può confermare? obietta il nostro attento lettore. Lo conferma, rispondiamo, la attualità delle sue opere che, in quanto attuali, rappresentano il dispiegamento della perenne condizione umana, il parametro a cui rapportare l’etica individuale/sociale, lo specchio in cui riflettere sé stessi e l’umanità. Il viaggio ultraterreno è, per simmetria inversa, la somma delle esperienze che connotano l’esistenza terrena la quale, a sua volta, è l’elemento formale e concreto per la discesa, per la risalita e per l’elevazione. Tre fasi che, della Tradizione, sono i costitutivi, presenti nell’uomo di ogni epoca. Chi – poniamo degli esempi di facile presa - può, infatti, negare di aver provato le aspre pene dell’inferno, come il tetro dolore della guerra, o quelle transitorie del purgatorio, come l’espiazione del recluso per il tempo comminatogli, o di aver goduto di uno stato di beatitudine paragonabile al paradiso come la nascita di un figlio a lungo desiderato?

In questo sta il Dante “tradizionista”, colui che si è posto quale poeta/profeta nella Storia e nel segno di una cultura che non declina nel rammentare, ad esempio, come l’uomo sia stato creato non per “vivere come bruti, ma per seguir virtute e conoscenza”, nel considerare la libertà “sì cara, come sa chi per lei vita rifiuta”.

Sono questi i valori umani che, santificati dalla Fede cristiana, portano la persona ad approfondire la conoscenza – per quanto le è consentito – del mistero di Dio, ad esercitare il dono della libertà fino al martirio, ad affermare la propria fede davanti al mondo, a farsi apostolo secondo il comando di Gesù.
Numerosissimi sono i passi in cui Dante dimostra la sua identità tradizionista e, per questa contingenza, stante il poco spazio assegnato al presente intervento, ci soffermeremo sul più emblematico e rappresentativo di tutti, quello in cui il Poeta, in Paradiso, dal canto XXIV al XXVI, 69 descrive, con parole magistrali l’esame di laurea in teologia sostenuto davanti a una straordinaria commissione, una terna – che forse sarebbe corretto definirla una quaterna per via di un commissario non presente fisicamente ma col suo magistero – alla quale terna Beatrice – la relatrice – presenta il suo allievo invitandola ad esaminarne la conoscenza e la sequela delle tre virtù teologali.
La commissione è composta, niente di meno che da tre Apostoli: San Pietro (Presidente), San Giacomo e San Giovanni. Sono i tre che Gesù fece partecipi della trasfigurazione, i tre che costituiscono parte della struttura portante della Sacra Tradizione, i tre che interrogheranno Dante nel seguente ordine di argomento: Fede (San Pietro), Speranza (San Giacomo), Carità (San Giovanni).
Il lettore noterà che, mentre Giacomo e Giovanni porranno le questioni traendo dal proprio corredo epistolare, Pietro, per come Dante risponde, commenta il pensiero di San Paolo (Ebr. XI 1), il quarto commissario, l’Apostolo delle Genti, Colui che insieme a Pietro “mise Roma nel buon filo” (Par. XXIV, 63) eleggendola polo del Cristianesimo, sede papale, detentrice e custode della Tradizione per cui ne discende essere Cristo stesso “romano” (Pg. XXXII, 102), Colui che nelle 13 lettere – non certa la 14a, quella agli Ebrei – espone, in termini precisi, univoci e in concetti egualmente ben perimetrati, la dottrina cattolica, organizzata in uno schema teologico di assoluta chiarezza.
 
C’è, su tutto, quale atto notarile che assevera e sigilla l’identità del Poeta con la Tradizione, la testimonianza di Beatrice che così, alla santa Commissione, definisce il suo laureando studente: “La Chiesa militante alcun figliolo/non ha con più speranza, com’è scritto/nel Sol che raggia tutto nostro stuolo” (Par. XXV, 52/54).
Qualcuno potrebbe osservare come tale riconoscimento altro non sia che un atto autoreferenziale gestito, per finzione letteraria, da Beatrice. Noi, a questa nota rispondiamo che, sì, c’è dell’autoreferenzialità ma quella che fa dire a Paolo “bonum certamen certavi, cursum consummavi, fidem servavi” (IITim. 4, 7) nella pura coscienza di aver assolto il còmpito assegnatogli da Gesù: “Tradidi enim vobis in primis quod et accepi” (I Cor. 15, 3) – vi ho trasmesso, in primo luogo, ciò che ho ricevuto.

Similmente, Dante trasmetterà, secondo il comando del Paradiso, la sua visione dell’aldilà (Par. XVII, 128) quale puntuale insegnamento che fornirà all’uomo di ogni epoca, la volontà e la forza d restare ancorato alla Sacra Tradizione “come torre ferma che non crolla/già mai la cima per soffiar de’ venti” (Pg. V, 14/15).

E, oggi, come non mai.





aprile 2022
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