Si prega come si crede
 


Articolo di Petrus
pubblicato su SI SI NO NO
anno XLVIII n° 15 – 15 settembre 2022

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Natura della Messa

La Messa è il Sacrificio del Calvario che si rinnova in maniera incruenta sugli altari della Nuova ed Eterna Alleanza, in modo visibile e in perpetuo (Catechismo del Concilio di Trento, parte II, I Sacramenti, § 3, L’Eucarestia, n. 235, L’Eucarestia come Sacrificio, tr. it., a cura di padre TITO S. CENTI, Siena, Cantagalli, 1981, p. 289) (1) .

San Tommaso d’Aquino nella Somma Teologica (III, q. 83, a. 1) insegna che “Cristo nell’Eucarestia si offre in Sacrificio come sulla Croce, e ciò non solo perché l’Eucarestia è una commemorazione del Sacrificio della Croce, ma anche perché ce ne partecipa i frutti, applicandoci i meriti che Cristo guadagnò sul Calvario”.

Gesù come uomo soffrì e morì per noi sul Calvario e come Dio diede alle sue azioni e patimenti un valore infinito. Inoltre, durante l’Ultima Cena, dispose che il Sacrificio del Calvario si rinnovasse per tutti gli uomini di tutte le epoche mediante la Messa, che ha un valore infinito come quello del Sacrificio del Calvario (Catechismo del Concilio di Trento, II parte, § 3, n. 237, cit., pp. 290-291).
Infine, nell’Ultima Cena e nel Calvario Gesù offrì solo Sé stesso poiché non aveva ancora fondato la Chiesa che uscì dal suo costato, trapassato dalla lancia, soltanto dopo la Sua Morte (Concilio di Vienne, DS 901).
Invece, nella Messa Gesù offre Sé e tutta la Chiesa, ossia il “Cristus totus” (come lo chiama S. Agostino). Infatti, dopo la Sua Morte Egli è il Capo principale e invisibile della Chiesa, che è il Suo Corpo Mistico (cfr. PIO XII, Enciclica Mystici Corporis Christi, 1943). Quindi, offre Sé assieme alla Chiesa: Capo e Corpo.

Il Sacrificio del Calvario è sostanzialmente diverso non solo dai sacrifici delle religioni pagane, ma anche da quelli dell’Antico Testamento, i quali erano stati istituiti positivamente da Dio come figure della Morte in Croce di Gesù e della Messa, nella quale la Sua Morte si rinnova in maniera incruenta, ossia senza spargimento di Sangue.
Per cui il Sacrificio del Nuovo Testamento è permanente, nel senso che durerà sino alla fine del mondo e non verrà sostituito da altri. Infatti, i sacrifici dell’Antico Testamento erano transitori perché dovevano essere sostituiti dall’unico Olocausto di valore infinito e gradito a Dio, quello del Verbo Incarnato.


La Religione e il Sacrificio

In ogni tempo e in ogni religione l’uomo ha offerto a Dio dei sacrifici: “Offrire a Dio dei sacrifici appartiene al diritto naturale, tale offerta è stata praticata da tutti i popoli e la semplice ragione naturale dimostra che l’uomo dipende da un Ente superiore e che tale sua dipendenza dall’Essere perfettissimo si manifesta mediante segni sensibili, ossia i sacrifici” (S. Th., II-II, q. 85, a. 1).
Infatti, senza sacrifici non c’è religione; ossia, adorazione di Dio. Quindi: “Essendo il sacrificio offerto a Dio di diritto naturale, tutti vi sono obbligati” (Ivi, a. 4).

Il Sacrificio è l’offerta pubblica di una cosa sensibile (una colomba, un agnello, un frutto), che si deve distruggere, fatta dal sacerdote a Dio. Essa viene distrutta per testimoniare il dominio assoluto del Creatore sopra la creatura mediante l’adorazione (fine latreutico; latria = adorare).

Col sacrificio si riconosce a Dio il diritto assoluto di vita o di morte su tutte le creature perché esse sono create e mantenute nell’essere, e Lo si adora.

È cosa naturale per l’uomo offrire sacrifici a Dio (S. Th., I-II, q. 102, a. 3).
Sin dall’antichità pagana tutti i popoli, e specialmente quello israelitico nel Vecchio Testamento, al quale Dio aveva prescritto positivamente (2)  le vittime da offrire e il modo di offrirle, l’uomo ha sempre offerto una cosa a Dio e l’ha distrutta (olocausto = distruzione totale della vittima) per professare la sua fede nell’Onnipotenza di Dio, che è Creatore e Padrone del cielo e della terra e nel fatto che ogni bene viene da Dio e va riferito a Lui.
Siccome l’uomo non può sacrificare in olocausto se stesso o altri uomini (per la Legge naturale e divinamente Rivelata nel 5° Comandamento), allora offre, al posto proprio, un animale o un frutto a Dio per dimostrarGli che Egli ha il diritto di dominio supremo su tutte le creature ed anche su di lui e così sarebbe disposto a offrire se stesso in olocausto per adorarLo come Gli offre e distrugge in suo omaggio una creatura non spirituale.

I sacrifici antichi erano accetti a Dio solo perché prefiguravano il Sacrificio della Croce perpetuato e applicato sino alla fine del mondo tutti i giorni in tutti i luoghi della terra. Dio concedeva delle grazie spirituali (e materiali, a condizione che fossero finalizzate al bene dell’anima) a chi vi partecipava, ma solo in vista del Sacrificio del Calvario.

Per riparare le offese fatte contro Dio, che è una Persona infinita, ci vuole una Vittima infinita. Ora, Essa ci è stata data con l’Incarnazione del Verbo, Gesù Cristo vero Dio e vero uomo.
Inoltre, l’offerta che Cristo fece di Sé sull’Altare della Croce onorò e ringraziò (fine eucaristico; eucarestia = ringraziare) Dio in maniera infinita, ottenendoci, così, il perdono del peccato (fine propiziatorio; propiziare = renderci Dio amico), che ha una malizia infinita, in quanto è commesso contro Dio che è infinito (S. Th., I-II, q. 88), la remissione della pena (fine soddisfattorio, soddisfazione = pagare la pena dopo una colpa) dovuta alla colpa (S. Th., I-II, q. 87) e l’impetrazione (fine impetratorio, impetrare =  ottenere qualcosa) di tutte le grazie spirituali (e materiali subordinatamente alla salvezza dell’anima) (3) .

Il papa Leone XIII, nell’Enciclica Caritatis studium (25 luglio 1898), insegna: “Siccome era necessario che un rito sacrificale accompagnasse la religione in ogni tempo, il Redentore volle che il Sacrificio del Calvario, consumato cruentemente o con spargimento reale di Sangue una volta per tutte, diventasse perpetuo e perenne, rinnovato incruentemente tutti i giorni sino alla fine del mondo”.

È per questo motivo che il Sacrificio del Calvario e quello della Messa sono sostanzialmente un solo e identico Sacrificio; differisce solo il loro modo di offerta: cruento il primo, incruento il secondo (Catechismo del Concilio di Trento, II parte, § 3, n. 238, cit., p. 292: “Un solo e identico Sacrificio, una e identica è la Vittima: Cristo Signore Nostro”).


Le quattro cause del Sacrificio del Calvario e della Messa

Nel Calvario e nella Messa sono sostanzialmente identiche le quattro cause o princìpi che li costituiscono.

Causa efficiente

La causa efficiente del Calvario e della Messa è identica sostanzialmente, perché è identico il Sacerdote principale, che è Gesù Cristo, il quale nel Calvario si offrì da Se stesso, mentre nella Messa si offre mediante i sacerdoti, che hanno ricevuto l’Ordine sacro, rendendosi visibile ai fedeli per mezzo del sacerdote ministeriale, ma rimane sempre Lui Gesù, il Sacerdote principale.

Il Sacrificio della Messa non è operato efficientemente da tutti i fedeli battezzati assieme al Sacerdote consacrato, ma solo chi ha ricevuto il Sacramento dell’Ordine sacro è il Sacrificatore o il Ministro sacro del Sacrificio dell’Altare (cfr. PIO XII, Enciclica Mediator Dei, 20. XI. 1947).
I fedeli battezzati possono offrire, soltanto tramite il Sacerdote gerarchico, la Vittima infinita e pura a Dio mediante la loro intenzione (o “in voto”) e non sacramentalmente come causa efficiente secondaria e subordinata a Cristo, che è la Causa prima del Sacrificium Missae.
In breve, i fedeli grazie al Sacramento del Battesimo hanno la capacità di ricevere tutti gli altri Sacramenti, che i non-battezzati non possono ricevere. Inoltre i battezzati possono partecipare attivamente al Sacrificio della Messa, ma solo tramite il Sacerdote consacrato e validamente ordinato, il quale consacra e rende presente Gesù sotto le specie del pane e del vino.
Questo è il senso genuino della frase di san Pietro, che definisce i cristiani: “Un regale sacerdozio” (I Pt., II, 9), che ha il dovere di presentare a Dio se stesso come vittima spirituale, attraverso l’imitazione di Cristo e l’assimilazione a Gesù mediante la grazia santificante.

Il Sacerdote, che ha ricevuto il sacramento dell’Ordine sacro, può transustanziare il pane e il vino nel Corpo, Sangue, Anima e Divinità di Gesù Cristo. Egli, giunto alla consacrazione, si immedesima con la Persona di Cristo, e dimentico di sé, dice: “Questo è il mio Corpo. Questo è il mio Sangue”.
Perciò Gesù si vuol servire delle sue mani e della sua voce per offrirsi visibilmente al Padre e applicare i frutti della Redenzione meritati sul Calvario duemila anni or sono alle persone che assistono alla Messa tutti i giorni sino alla fine del mondo.

Il Concilio di Trento ha definito di Fede e infallibilmente: “Lo stesso Gesù, che si offrì un giorno sulla Croce nel Golgota, si offre anche ora [tutti i giorni sino alla fine del mondo] per mezzo dei sacerdoti ministeriali” (sessione XXII, cap. 2).
Quindi, unico e identico è il Sacerdote principale, cioè Cristo stesso, poiché i ministri celebranti non agiscono in nome proprio, ma in persona di Cristo quando consacrano. Infatti, il sacerdote ministeriale o secondario non dice: “Questo è il Corpo di Cristo”, ma “Questo è il mio Corpo”, perché egli rappresenta allora la Persona di Cristo, agisce in Persona di Cristo e, così, trasforma la sostanza del pane e del vino nella vera sostanza del Corpo e del Sangue di Cristo (cfr. Catechismo del Concilio di Trento, parte II, § 3, nn. 235-238, cit., pp. 288-293).

Causa finale

La causa finale della Messa è quadruplice. Infatti, i fini della Messa (Catechismo del Concilio di Trento, II parte, § 3, n. 238, cit., p. 292) sono:

1°) adorare Dio, riconoscendo che Lui è Tutto e noi nulla; 2°) ringraziarLo per tutti i doni che ci ha fatto; 3°) ottenere il perdono delle nostre colpe o peccati (propiziazione) e la remissione della pena dovuta alla colpa (soddisfazione); 4°) impetrare e ottenere tutte le grazie spirituali di cui abbiamo bisogno per la nostra anima e, condizionatamente a essa, per il nostro corpo: lo scopo del Sacrificio del Calvario è il medesimo.

Infatti, sia nel primo sia nel secondo Sacrificio, Gesù Sacerdote principale e vittima si offre per gli stessi quattro fini: 1°) adorare il Padre; 2°) ringraziarLo; 3°) placarLo o renderLo propizio, ottenendo il perdono dei peccati e la remissione della pena dovuta alla colpa; 4°) ottenere tutte le grazie spirituali e materiali utili alle anime in vista della loro salvezza eterna: una sola preghiera di Cristo ha un valore infinito e può ottenerci ogni cosa.
Quindi il mezzo veramente infallibile per ottenere le grazie, se sono per il nostro bene, è la Messa.

Causa materiale

La causa materiale è la cosa sensibile che viene offerta, ossia la vittima o l’ostia che nella Messa è Cristo morto in croce (in maniera incruenta, ossia senza spargimento di Sangue). Ora, nel Sacrificio del Golgota e in quello della Messa la Vittima offerta a Dio per la Redenzione del genere umano è la medesima, ossia Gesù Cristo, come insegna il Concilio di Trento: “Una sola e medesima è la Vittima e Colui che adesso la offre, mediante il ministero dei sacerdoti, è Quello stesso che allora offrì Se medesimo sulla Croce nel Calvario. È diverso solo il modo in cui la Vittima viene offerta [cruentemente nel Calvario e incruentemente nella Messa]” (sessione XXII, cap. 2).

Causa formale

La causa formale o l’essenza della Messa è l’offerta immolatrice, la distruzione della cosa, ossia della Vittima offerta (mediante la Comunione del sacerdote (4) ), in virtù della quale essa viene sottratta totalmente alla nostra proprietà e al nostro uso e viene offerta solo e soltanto a Dio (Catechismo del Concilio di Trento, II parte, § 3, n. 235, cit., p. 289).
L’azione sacrificale nella sua natura o la causa formale dell’immolazione del Sacrificio è la medesima sia nel Calvario sia sugli altari della Messa. Questo è il punto fondamentale: l’identità sostanziale dell’Immolazione o Sacrificio del Calvario e della Messa.
Il Sacrificio della Croce e quello della Messa cambiano solo accidentalmente ossia quanto al modo, ma restano invariati quanto alla sostanza.
Infatti, quanto al modo l’Immolazione è cruenta (o con spargimento fisico di Sangue) nel Calvario, poiché in esso si ebbe una reale e fisica separazione del Corpo dal Sangue di Gesù e, quindi, una morte cruenta. Invece nel Sacrificio della Messa si ha una separazione del Corpo dal Sangue di Cristo incruenta, mistica, allegorica, figurata, apparente o rappresentativa; infatti, la duplice consacrazione prima del pane (simbolo del Corpo di Cristo) e poi del vino (simbolo del Sangue di Cristo) rappresenta misticamente o spiritualmente la Morte di Gesù, senza spargimento fisico di Sangue, ossia in maniera non cruenta (5) . Quindi, nella Messa Gesù si annienta e si sacrifica misticamente, rappresentativamente e incruentemente, mediante il ministero del sacerdote validamente ordinato, e ci applica i meriti del Sacrificio della Croce.

Ecco la differenza tra Messa e Calvario: il Venerdì Santo sul Golgota Gesù versò realmente il Suo Sangue e morì realmente; nella Messa il Suo Sangue appare misticamente, figurativamente o simbolicamente separato dal Suo Corpo, in quanto sembra che il Suo Sangue sia sotto le specie del vino e il Suo Corpo sotto le apparenze del pane. Dunque nella Messa non vi è morte reale, ma solo mistica o figurata dalla duplice consacrazione del pane e del vino.

Tuttavia, l’oblazione della Vittima al Padre è realissima perché Gesù sotto le apparenze del pane e del vino, in stato di Vittima o di Ostia, si offre realmente a Dio Padre, Figlio e Spirito Santo per la salvezza degli uomini, come si offrì sul Calvario e all’Ultima Cena. Inoltre, con la Comunione del sacerdote ministeriale Cristo perde la Sua presenza sacramentale che aveva acquistata con la consacrazione e così il Sacrificio dell’Altare è consumato pienamente come la Morte di Gesù in Croce consumò il Suo Sacrificio del Calvario.

Il Concilio di Trento lo insegna di fede e infallibilmente: “Nel divin Sacrificio che si compie nella Messa è contenuto e immolato in modo incruento Cristo stesso, il quale si immolò una volta sola cruentemente sulla Croce del Calvario” (sessione XXII, cap. 2).

Valore e frutti della Messa

Il valore della Messa è infinito perché in essa si offre una Vittima infinita: Gesù Cristo. Invece, i frutti della Messa sono quei beni e doni che Dio largisce agli uomini in vista della stessa Messa.
Il Catechismo del Concilio di Trento (II parte, § 3, n. 236, cit., p. 290) insegna che “coloro i quali partecipano al Sacrificio della Messa meritano di partecipare ai frutti della Passione di Gesù e quindi alla Sua opera di Redenzione e Soddisfazione”.
Nessuna creatura, essendo finita, può ricevere un dono in maniera infinita. Quindi, ogni uomo ne riceve più o meno a seconda delle sue disposizioni, ma mai infinitamente.

Per maggiore esattezza possiamo fare la seguente distinzione: 1°) la Messa, in quanto Sacrificio di adorazione e di ringraziamento, produce immediatamente e infallibilmente il suo effetto in maniera infinita perché la SS. Trinità riceve realmente un’Offerta di valore infinito: Gesù Cristo; ma 2°) in quanto Sacrificio propiziatorio/espiatorio, la Messa a) non cancella direttamente i nostri peccati, come l’assoluzione sacramentale, tuttavia ottiene ai peccatori la grazia di convertirsi e li predispone alla grazia santificante, di modo che Dio possa essere di nuovo loro propizio; b) quanto alla soddisfazione della pena dovuta alla colpa, la Messa ne rimette immediatamente e infallibilmente ai giusti secondo le loro disposizioni ed essi possono devolvere questa soddisfazione alle anime del Purgatorio; 3°) in quanto Sacrificio impetratorio la Messa dà immediatamente e infallibilmente una certa misura di grazie attuali. Ottiene anche grazie temporali, ma solo a condizione che siano per il bene delle anime. Quindi, chi assiste alla Messa con fede e l’offre a Dio mediante il sacerdote ministeriale, secondo i quattro fini che ha voluto Gesù, α) se sta in peccato mortale adora e ringrazia Dio di tutti i doni che gli ha fatto; ottiene indirettamente le grazie attuali per uscire dallo stato di peccato e ritrovar la grazia abituale santificante pentendosi e confessandosi; può applicare non a sé (non avendo la grazia santificante), ma alle anime del Purgatorio le soddisfazioni della pena dovuta alla colpa. Chi, invece, β) vi assiste con fede e in grazia di Dio non solo adora e ringrazia Dio offrendo, tramite il sacerdote celebrante, una Vittima infinita al Signore, ma ottiene infallibilmente e direttamente le grazie spirituali per il bene della sua anima. Egli ottiene direttamente e infallibilmente almeno la remissione di una parte della pena temporale dovuta alle sue colpe (remissione che può tenere per sé o cedere alle anime purganti); ottiene immediatamente, ma solo condizionatamente, beni temporali, cioè a condizione che siano per il bene spirituale della sua anima.
La misura con cui si ottengono questi doni dipende dalle nostre disposizioni più o meno perfette.

Sacrificio cruento e incruento

Tuttavia, è bene notare che la morte mistica di Cristo, mediante la rappresentazione della separazione del Suo Corpo dal Suo Sangue trae la propria efficacia dall’Immolazione fisica e cruenta avvenuta sulla Croce dove il Sangue di Cristo si separò fisicamente e realmente dal Suo Corpo provocando la di Lui morte reale. Tuttavia la Morte di Cristo, se è passata nel suo atto materiale, fisico e cruento, è presente tutti i giorni sino alla fine del mondo, con tutta la sua virtù ed efficacia di valore infinito.

Per questo motivo l’Immolazione reale e cruenta, ossia la morte fisica di Gesù si è avuta una sola volta (Ebr., IX, 27), ma da essa trae tutta la sua efficacia l’Immolazione mistica del Sacrificio della Messa, il quale è un Sacrificio relativo alla Morte in Croce di Gesù (che è il Sacrificio assoluto). Quindi la Messa dipende essenzialmente dalla Morte di Gesù in Croce o dal Sacrificio cruento del Calvario.

Perciò, la Messa non è una semplice rappresentazione, memoriale o commemorazione del Sacrificio del Calvario, ma rappresentando riproduce, rinnova e ripresenta o rende presente la Morte di Cristo con tutti i Suoi meriti, che vengono applicati a coloro i quali partecipano alla Messa.
Dunque, si può dire che la Morte mistica di Gesù è l’essenza del Sacrificio della Messa perché non lo commemora o rappresenta solamente, ma lo riproduce, lo rende presente, lo rinnova e lo ripresenta applicandone i frutti tutti i giorni sino alla fine del mondo.
Il Concilio di Trento condanna coloro che riducono la Messa ad una pura commemorazione dell’Ultima Cena e del Sacrificio del Calvario: “Se qualcuno dirà che il Sacrificio della Messa è solo la semplice commemorazione o memoriale del Sacrificio della Croce sia anatema” (sessione XXII, cap. 3). Inoltre, insegna: “In questo divino Sacrificio che si compie nella Messa è contenuto e immolato in modo incruento lo stesso Cristo, che s’immolò una sola volta cruentemente sull’Altare della Croce” (sessione XXII, cap. 2). Si veda il Catechismo del Concilio di Trento (II parte, § 3, n. 237, cit., pp. 290-291).
La Messa non è neppure soltanto un semplice “Sacrificio di lode e di ringraziamento” o un mero “banchetto o comunione del Corpo di Cristo” come voleva Lutero, ma è anche un Sacrificio propiziatorio, espiatorio o soddisfattorio, oltre che di adorazione e di ringraziamento, in cui si può (e non si deve) ricevere la Comunione del Corpo di Cristo.

Quindi, si può ben concludere che la Messa rappresenta, rinnova e ripresenta (“commemorando rifà”) il Sacrificio della Croce applicando alle anime che sono vissute dopo il Sacrificio del Calvario tutti i suoi frutti. Perciò la Messa non toglie nulla alla virtù ed efficacia infinita del Sacrificio del Golgota (come la Corredenzione secondaria e subordinata di Maria SS. non toglie nulla alla Redenzione primaria di Cristo).
Per cui assistere alla Messa è sostanzialmente lo stesso che assistere alla Morte di Gesù in Croce (6) .

La Redenzione di Cristo si è compiuta al Calvario ed essa è continuata dalla Chiesa tutti i giorni sino alla fine del mondo mediante la Messa. Croce e Messa non possono essere separate. La Redenzione non sarebbe completa senza la Messa e questa non avrebbe alcun significato se non fosse congiunta al Sacrificio della Croce (7) .

Si prega come si crede

La concezione secondo la quale l’altare di quaggiù è un’immagine dell’altare celeste, che si trova davanti al trono di Dio, ha sempre determinato nella Chiesa orientale e latina (sino al 1969), sia la sistemazione dell’altare ad Dominum, sia la posizione del sacerdote ante altarem.

Sappiamo che nell’Apocalisse (VIII, 3-5) l’angelo che regge l’incensiere d’oro è fermo davanti all’altare. D’altra parte, le prescrizioni liturgiche, che Dio ha dato a Mosè per il culto dell’Antica Alleanza (Esodo XXX, 1-8) hanno anch’esse certamente svolto un ruolo nella formazione della Messa della Nuova Alleanza (8) .

Il cambiamento avvenuto col Novus Ordo Missae nel 1969 della disposizione dell’altare e del sacerdote ad populum sono in rottura evidente ed oggettiva con la Tradizione apostolica liturgica. Esso rispecchia la svolta antropocentrica della teologia del Concilio Vaticano II (e specialmente di Gaudium et spes) che si rivolge all’uomo, il quale coinciderebbe – panteisticamente – con Dio.

Lex orandi, lex credendi”, si prega come si crede. La “Nuova Messa” è l’applicazione pratica della “nuova teologia” alla preghiera. L’uomo è diventato il centro della teologia e della liturgia: il sacerdote e l’altare non sono più volti ad Dominum, ma ad populum seu ad hominem.

Durante la celebrazione dell’Eucaristia ci si alzava e ci si andava a porre dietro il celebrante, che stava all’altare ossia ante altarem, come prescrive espressamente la Didascalia degli Apostoli, una istruzione del II-III secolo, la quale esigeva che ci si volgesse esattamente verso Oriente, ossia verso Cristo simboleggiato dal Sole che sorge e non dal popolo.

Nel 1947 papa Pio XII, nella sua Enciclica Mediator Dei (n. 49), sottolineava come sbagliassero coloro che volessero ridare all’altare la sua antica forma di mensa (tavola).
Fino al Concilio (1962-1965) la celebrazione verso il popolo non era autorizzata. I primi permessi vennero durante il Vaticano II e col Novus Ordo l’eccezione divenne la regola, in evidente contrasto con la Tradizione apostolica.
Se per i Documenti pastorali del Concilio Vaticano II la rottura con la Tradizione dogmatico/morale apostolica è più difficilmente discernibile, per quanto riguarda la nuova Messa del 1969 essa si vede, si tocca e si sente (sino all’inquinamento acustico dei microfoni sulla mensa versus populum).

Tuttavia nelle chiese cattoliche di rito orientale si continua a rispettare l’uso della Chiesa delle origini, secondo cui il sacerdote che celebra il Santo Sacrificio è girato, insieme con i fedeli, verso l’abside. Questo vale sia per le Chiese di rito bizantino (greca, russa, bulgara, serba, ecc.), sia per le Chiese dette di rito orientale antico (armena, siriana, copta).

Per sottolineare la santità dell’altare, questo – almeno nelle grandi chiese – era generalmente sormontato da un baldacchino in materiale prezioso, poggiante su quattro colonne. Ai quattro lati erano fissate delle cortine; certamente in riferimento alla tenda del Tempio di Gerusalemme, che separava il Santo dei Santi (Sancta Sanctorum) dal santuario, come Dio aveva prescritto a Mosè (Esodo XXVI, 31-33).
Nel rito cattolico/bizantino è l’iconostasi che attua la separazione, ma, in altri riti cattolici/orientali non bizantini, l’iconostasi manca; al suo posto vi sono, come presso gli Armeni, due tende: una piccola davanti all’altare e una grande che, in certi momenti della liturgia della Messa, nasconde tutto il coro agli occhi dei fedeli.
A questo proposito san Giovanni Crisostomo scrive: “Quando vedi chiudere le tende, pensa che in quel momento il cielo s’apre lassù in alto e ne discendono gli angeli”. Secondo Guillaume Durand queste tende furono anche usate in Occidente, fino a metà del Medio Evo. Egli parla di tre vele: una che ricopre le offerte del sacrificio, la seconda intorno all’altare e la terza sospesa davanti al coro.

Mentre la Chiesa delle origini ornava l’altare come meglio poteva, arricchendolo con tessuti preziosi e con pendoni, ecco che oggigiorno, dopo il 1969, questo stesso altare si trova posto, nudo, in mezzo alla chiesa, esposto a tutti gli sguardi.

Come si fa a parlare di continuità e non di rottura con la Tradizione apostolica?
La sua santità, in quanto luogo delle offerte del Sacrificio, non si ritrova così meglio evidenziata. A meno che non si voglia prendere in considerazione – contro la Tradizione apostolica e Lutero – la sua funzione di tavola da pasto e la si voglia rendere manifesta in tal modo. Ma, in questo caso, non si tratta più di rendere presente quaggiù il mondo di lassù: si tratta solo dell’uomo e del suo universo, è l’Antropocentrismo radicale trasportato dalla teologia alla liturgia. L’universo di Dio diventa marginale: ci sfiora appena. Forse, malgrado tutto, ci si interesserà ancora ad un “uomo” chiamato Gesù. Non si rivela più Dio all’uomo, ma l’uomo all’uomo.

Allorché si pone davanti all’altare, il sacerdote non prega in direzione di un muro, ma, insieme a tutti coloro che sono presenti, prega in direzione del Signore. Tanto più che fino ad adesso la cosa che importava maggiormente, non era tanto di realizzare una qualche “comunione”, bensì di rendere il culto a Dio, tramite la mediazione del sacerdote.
Parlando della direzione della preghiera, sant’Agostino, vescovo di Ippona, scrive: “Quando ci alziamo per pregare, ci volgiamo verso l’Oriente (ad orientem convertimur), da dove si alza il cielo. Non perché Dio si troverebbe solo lì; non perché Egli avrebbe abbandonato le altre regioni della terra […], ma perché lo spirito sia esortato a volgersi verso una natura superiore, cioè verso Dio”.
Questo spiega perché dopo il sermone, durante il quale il sacerdote stava faccia a faccia con l’assemblea, i fedeli si alzavano per la preghiera e si volgevano verso Oriente. Sant’Agostino li invitava spesso a farlo alla fine dei suoi sermoni, impiegando a mo’ di formula consacrata le seguenti parole: "Conversi ad Dominum” (Rivolti al Signore). Così, volgersi verso il Signore e guardare a Oriente era, per la Chiesa delle origini, una sola e medesima cosa.
Le letture della S. Scrittura erano invece fatte dall’ambone davanti ai fedeli.

Nella sua opera fondamentale, Sol salutis (1920), Joseph Dölger si dice convinto che la risposta del popolo: "Habemus ad Dominum" (rivolti al Signore), al richiamo del sacerdote: "Sursum corda" (In alto i nostri cuori!), significasse anche che ci si volgeva verso Oriente, verso il Signore (p. 256).

A questo proposito Dölger fa osservare che certe liturgie orientali prevedono espressamente questo invito, con un appello espresso dal diacono prima della preghiera eucaristica (anaphora) (p. 251).

L’uso della preghiera in direzione del sol levante è da tempo immemorabile, come ha dimostrato anche Dölger; lo si ritrova presso i Giudei e presso i Romani.

Vitruvio, nel suo lavoro sull’architettura, scrive: “I templi degli Dei devono essere posizionati in modo tale che […] l’immagine che è nel tempio guardi verso ponente, affinché coloro che andranno a sacrificare siano rivolti verso Oriente e verso l’immagine, di modo che, nel pregare, guardino sia il tempio sia la parte del cielo che è a levante, mentre le statue sembrano levarsi insieme al sole per guardare coloro che le pregano nei sacrifici”.
Per Tertulliano (200 ca.) la preghiera verso Oriente è cosa scontata. Nel suo piccolo libro, Apologeticum, egli ricorda che i Cristiani “pregano in direzione del sol levante” (cap. XVI).

Dall’inizio del V secolo, san Paolino da Nola indica come abituale (“usitatior”) l’abside a oriente soprattutto a Roma e nell’Africa del Nord, mentre è relativamente raro in Oriente (a Tiro e ad Antiochia). L’entrata a Oriente (basiliche costantiniane) imitava la disposizione del Tempio di Gerusalemme (cfr. Ezechiele VIII, 16), come di altri templi antichi, le cui porte aperte lasciavano entrare la luce del sol levante, che faceva scintillare all’interno la statua della “divinità”.

Nelle basiliche cristiane con l’entrata a Est, il celebrante era obbligato normalmente a rimanere davanti al lato “posteriore” dell’altare, al fine di essere rivolto a Oriente al momento dell’offerta del Santo Sacrificio, esattamente come nelle chiese con l’abside a Oriente, nelle quali egli rimaneva “davanti” all’altare (ante altarem), quindi quasi con le “spalle” all’assemblea, che a forma di semicerchio, nelle navate di destra e sinistra, circondava da dietro il sacerdote e guardava con lui ad Oriente.

Durante la preghiera eucaristica (Canon Missæ), non solo il celebrante, ma anche i fedeli si volgevano a Oriente. Come ha fatto osservare san Giovanni Crisostomo: nei tempi antichi i fedeli stendevano le mani nel corso della preghiera, al pari del sacerdote e tutti guardavano in direzione delle porte aperte della chiesa, da dove penetrava la luce del sol levante, simbolo di Cristo resuscitato che ritorna, anche grazie alla particolare venerazione per il sol levante che aveva il costruttore di queste basiliche, l’imperatore Costantino.

Come si evince da certi scavi e dalle raffigurazioni che sono state trovate, nelle basiliche costantiniane e nord-africane l’altare era quasi al centro della navata. Esso era attorniato da ogni lato da un recinto e, in genere, era sormontato da un baldacchino. Il coro dei cantori (schola cantorum) prendeva posto davanti al celebrante.

Lo stesso accadeva nella chiesa costantiniana di San Pietro, a Roma: l’altare non si trovava, come si potrebbe pensare, al disopra della tomba dell’Apostolo, ma quasi al centro della navata centrale. In corrispondenza di dove era sotterrato il Principe degli Apostoli, vi era una “memoria” senza altare, sormontata da un baldacchino a colonne, come si può vedere in una raffigurazione molto antica, quella dello scrigno d’avorio di Pola.

Nelle basiliche, con l’abside a Occidente e l’altare in mezzo alla navata centrale, i fedeli si disponevano lungo le navate laterali – fra le cui colonne vi erano, peraltro, dei tendaggi che si aprivano durante la Messa – di fatto non volgevano le spalle all’altare; cosa che peraltro non avrebbe neanche potuto essere supposta visto il rispetto che si portava alla santità dell’altare; bastava una leggera rotazione del corpo per volgersi, senza difficoltà, in direzione dell’entrata, verso Oriente.

A partire dal Medio Evo, l’altare di queste basiliche venne generalmente trasferito verso l’abside. Nella chiesa di san Pietro ciò avvenne, come si sa, nel 600, sotto il papato di Gregorio Magno, il quale apportò anche importanti modifiche al coro e fece costruire una cripta circolare che permettesse ai pellegrini di recarsi liberamente alla tomba dell’Apostolo, senza dover passare per il presbiterio.

Col passare degli anni, il popolo si dispose via via nella navata centrale. In una certa epoca (impossibile da precisare oggi), in queste basiliche costantiniane, gli assistenti smisero di volgersi verso Oriente, per rimanere rivolti all’altare; fu allora che si giunse a una parvenza di celebrazione versus populum. In realtà nelle basiliche a navate multiple e con l’abside orientato, i partecipanti alla Messa si disponevano in piedi lungo le navate laterali e in fondo alla navata centrale. In tal modo formavano una sorta di semicerchio aperto verso Oriente; il celebrante si veniva a trovare così nel punto di convergenza di questo semicerchio (al centro del cerchio virtuale).
Invece, nelle basiliche che avevano l’abside a Occidente, il sacerdote, i chierici e i cantori si venivano a trovare alla sommità di questo stesso semicerchio. Quando, più tardi, i fedeli finirono con l’occupare l’intera navata centrale, disponendosi in colonna, si venne a creare qualcosa di dinamico, che somigliava alla colonna del popolo di Dio in marcia nel deserto, in direzione della Terra promessa: come se la posizione verso Est indicasse anche la meta della colonna: il Paradiso perduto che si cercava a Est (Genesi II, 8). Il celebrante e i suoi assistenti formavano la testa della colonna.
La disposizione iniziale, quella che componeva un semicerchio, si presentava invece come composta secondo un principio statico: l’attesa del Signore che era asceso in cielo verso Oriente (cfr. Salmo LXVII, 34; Zaccaria XIV, 4) e da lì sarebbe ritornato (cfr. Matteo XXIV, 27; Atti I, 11); come quando si riceve una personalità eminente, e si arretra a formare un semicerchio, per accogliere in mezzo l’ospite d’onore.
San Giovanni Damasceno scrive: «Al momento della sua Ascensione, Egli salì verso Oriente, è così che l’adorarono gli Apostoli, ed è così che ritornerà, allo stesso modo in cui lo videro salire in cielo, come ha detto il Signore stesso: “Come la folgore viene da oriente e brilla fino a occidente, così sarà la venuta del Figlio dell’uomo” (Matteo XXIV, 27). Ecco perché l’attendiamo e l’adoriamo rivolti a Oriente: è una Tradizione (non scritta) degli Apostoli».

Anche se l’uomo moderno non presta più attenzione alla direzione esatta verso cui prega – pur se i musulmani continuano a volgersi verso la Mecca – e i giudei verso Gerusalemme – tuttavia, non dovrebbe avere difficoltà a comprendere il significato che riveste il fatto che il sacerdote e i fedeli preghino insieme nella stessa direzione. Ad ogni modo, l’uso che tutti i presenti siano insieme orientati “verso il Signore” è qualcosa di atemporale e conserva anche oggi tutto il suo significato.

Tutto questo, tuttavia, non esclude che “la liturgia della Parola” o la lettura della S. Scrittura sia celebrata non all’altare, ma dal seggio o dall’ambone, com’era un tempo durante la Messa episcopale. Però, le preghiere devono essere tutte recitate in direzione dell’Oriente, e cioè in direzione dell’immagine di Cristo nell’abside e della croce sull’altare.


NOTE

1 - Cfr. G. ROSCHINI, La Santa Messa. Breve esposizione dogmatica, Torino, 1941, II ed., Frigento (AV), Casa Mariana Editrice, 2010. Si può studiare con profitto il Decreto sul Sacramento dell’ Eucarestia del Concilio di Trento (DS, 1635-1661, sessione XIII, 11 ottobre 1551).
2 - Gli altri popoli, non ancora pervertiti dal politeismo e naturalmente integri, avevano inscritta nel loro spirito la Legge naturale e quindi il 1° e il 3° Comandamento, i quali ci comandano di adorare Dio mediante il riposo, la cura del nostro spirito e il culto dovutoGli. Così tra i sacrifici dei pagani naturalmente retti e quelli dell’Antica Alleanza passa la differenza analoga a quella che intercorre tra la Legge naturale e la Legge divina positiva.
3 - Cfr. BENEDETTO XIV, De sacrosanto Missae Sacrificio, Parigi, Migne, Cursus theol. compl., vol. XXIII, 1863; G. BONA, De Sancto Sacrificio Missae, Roma, 1658, III ed. Torino, 1910; V. BERNARDI, De Sacrificio Missae, Treviso, 1934; J. VAN DER MERSCH, Adnotationes de Sacrificio Missae, Bruges, 1940; F. A. PIERSANTI, L’essenza del Sacrificio della Messa, Roma, 1940; P. PARSCH, Cos’è la Messa, Milano, 1938; CH. JOURNET, La Messa, Roma, 1958.
4 - La comunione del sacerdote appartiene all’integrità e non all’essenza della Messa, che è la duplice consacrazione del pane e del vino (Concilio di Trento, sess. XXII, c. 6). Invece la comunione eucaristica dei fedeli non è richiesta per l’integrità del Sacrificio dell’Altare. Pio XII insegna: “La comunione dell’Augusto Sacramento è assolutamente necessaria al ministro sacrificatore, mentre ai fedeli è soltanto da raccomandarsi” (Enciclica Mediator Dei, 20. XI. 1947).
5 - Cfr. C. CORAZZA, La consacrazione delle due specie e le sue intime ragioni, Venezia, 1940.
6 - A. LEPICIER, In che consiste l’Essenza del Sacrificio Eucaristico, Roma, 1926; G. ROSCHINI, L’Essenza del Sacrificio Eucaristico, Roma, 1936; Id., Sull’Essenza del Sacrificio Eucaristico, Rovigo, 1937.
7 - Cfr. F. MACCONO, Il valore della vita. Commento dogmatico-morale al Catechismo di Pio X, Torino, SEI, II ed., 1925, vol. III, Mezzi della Grazia. Sacramenti e Orazione, cap. IV- L’Eucarestia, § 4 - Il Santo Sacrificio della Messa, pp. 164-191.
8 - Per quanto riguarda queste notizie attingo dagli studi altamente scientifici di monsignor Klaus GAMBER già Vescovo di Ratisbona, che si basano sui Luoghi Teologici, e specificatamente sui Padri ecclesiastici, l’archeologia paleocristiana, la storia della Chiesa e la Liturgia. Io compendio quanto scritto egregiamente dall’illustre vescovo (ora defunto) e lo porgo al lettore, che, se vorrà, potrà approfondire lo studio di tali temi, sia ricorrendo alle opere originali dell’Autore in lingua tedesca, sia leggendo quanto è stato tradotto in italiano ed è consultabile nel sito www.unavox.it (cfr. K. GAMBER, Das Patriarchat Aquileja und die bairische Kirche, pp. 22-55; ID., Die Zelebration "versus populum", in Ritus modernus. Gesammelte Aufsätze zur Liturgiereform, Regensburg, Pustet, 1972, pp. 21-29; tr. it., Chiesa viva, n. 197, 1989, pp. 16-18).






settembre 2014

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