L’importanza e la necessità

della devozione allo Spirito Santo


Parte seconda


di
Don Curzio Nitoglia


Parte prima
Parte seconda







I “doni”, i “Frutti” dello Spirito Santo e le “otto Beatitudini”


I - i «7 Doni dello Spirito» Santo in generale


Le virtù, quanto al modo di agire, sono umane e quindi imperfette, perciò, hanno bisogno di essere rese soprannaturali e devono essere perfezionate quoad modum.
Ora, questo è esattamente il compito dei Doni del Paraclito. Perciò, i Doni sono necessari alla vita cristiana, dacché sono mossi dalla Grazia attuale sovrabbondante dello Spirito Santo stesso e non dalla ragione umana naturale anche se illuminata dalla Fede, come avviene con le Virtù.

I Doni dello Spirito Santo conferiscono alle Virtù infuse una forza sovrabbondante quanto al modo di agire e di sviluppare tutta la loro energia soprannaturale (S. Th., I-II, q. 68, a. 2).

Attenzione! L’imperfezione delle Virtù è solamente e puramente accidentale, ossia, quanto al modo umano di agire e non essenziale, poiché in sé le Virtù sono sostanzialmente soprannaturali. Ecco la necessità che i Doni vengano a perfezionare le Virtù, disponendo le facoltà dell’animo umano a essere mosse soprannaturalmente anche quanto al modo di agire o meglio di essere mosse dall’influsso del Paraclito. L’Angelico lo spiega mirabilmente:
«Per raggiungere il Fine ultimo soprannaturale, verso il quale la ragione umana tende; siccome è informata imperfettamente - quanto al modo di agire - dalle Virtù teologali, non basta la mozione della ragione, se non si aggiunge a lei il soffio dello Spirito Santo» (S. Th., I-II, q. 68, a. 2).
Tale soffio del Paraclito le perfeziona quanto al modo e le rende “eroiche o divine” (S. Th., I-II, q. 65, a. 2; II-II, q. 23, a. 8; I-II, q. 68, a. 4). 


I Doni sono necessari alla salvezza eterna?

È la questione che si pone san Tommaso nella Somma Teologica (I-II, q. 68, a. 2) e risponde di sì.
L’Angelico si basa sull’imperfezione con cui l’uomo possiede e usa le Virtù infuse al modo umano e conclude scrivendo: «Nessuno può giungere all’eredità della Terra beata, se non è mosso e condotto dallo Spirito Santo. Perciò, per conseguire il Fine è necessario all’uomo il Dono dello Spirito Santo». 

Padre Antonio Royo Marin commenta: «Molti si salvano senza gli atti ma non senza gli abiti dei Doni. I bambini battezzati che muoiono prima dell’uso di ragione, si salvano senza gli atti delle Virtù e dei Doni, ma non senza i loro abiti. Coloro che si convertono in punto di morte. Coloro che vivono una vita spirituale tiepida, senza manifesta attuazione dei Doni, e muoiono in grazia. Le Virtù senza i Doni possono produrre atti imperfetti. Se non si presentano delle occasioni difficili che richiedono l’aiuto dei Doni, questi atti sono sufficienti a salvarsi, ma sempre attraverso il fuoco del Purgatorio» (1).

De facto (ossia l’eccezione) ci si può salvare con la sola Grazia santificante e il suo corteo: le Virtù infuse e i Doni dello Spirito Santo, senza compiere atti soprannaturali anche quanto al modo e persino atti di Virtù, come succede ai neonati che hanno ricevuto il Battesimo, la Grazia, l’abito delle Virtù infuse e dei Doni, ma non avendo l’uso di ragione non possono compiere atti volontari. Tuttavia, se muoiono in Grazia di Dio senza aver ancora compiuto atti di Virtù infuse, vanno in Paradiso.

De iure (ovvero la regola), invece, per salvarsi occorre la Grazia abituale con il suo corteo: le Virtù vissute con atti imperfetti quanto al modo ma rese perfette tramite i sette Doni, che ogni uomo il quale ha l’uso di ragione deve possedere, per cogliere il Fine ultimo. Perciò, nella vita normale di ogni uomo, l’attuazione dei Doni è moralmente necessaria per vivere in Grazia di Dio e salvarsi l’anima. Per esempio, in pericolo di martirio: o si compie l’atto eroico di fortezza, grazie alla Virtù di forza soprelevata dal Dono di fortezza, o si apostata e ci si perde.


II - i «12 FRUTTI» DELLO SPIRITO SANTO

Quando l’anima non resiste, ma coopera docilmente alla mozione della Grazia attuale sovrabbondante dello Spirito Paraclito, che attua i Doni, allora produce azioni, che sono degli atti eroici di Virtù paragonabili ai frutti di un albero: come i Doni sono paragonabili ai rami e l’effetto dalla causa. Questi atti, che sono eroici quanto al modo di azione, sono effetto dei Doni, e della mozione attuale e sovrabbondante del Paraclito e sono caratterizzati dalla facilità, soavità e dolcezza con cui sono posti e che fanno sperimentare all’anima.

S. Tommaso scrive che «sono Frutti dello Spirito Santo tutti quegli atti buoni nei quali l’anima trova consolazione spirituale» (S. Th., I-II, q. 70, a. 2). La Vulgata ne ricorda dodici: “Carità, gioia, pace, pazienza, benignità, bontà, longanimità, mansuetudine, fede, modestia, continenza e castità” (Gal., V, 22-23).

I Frutti del Paraclito producono le opere dello spirito, mentre i frutti della natura umana decaduta e ferita dal peccato originale e tentata dal demonio producono le opere della carne (S. Th., I-II, q. 70, a. 3, ad 4).
I Frutti del Paraclito dicono totale opposizione alle opere della carne, che inclina ai beni sensibili i quali sono inferiori all’uomo, invece lo Spirito Santo ci spinge verso ciò che è superiore a noi (S. Th., I-II, q. 70, a. 4).


III - Le «8 BEATITUDINI»

Esse sono ancora più perfette dei Doni e dei Frutti. Infatti, sono il culmine della vita cristiana su questa terra e danno una certa pregustazione del Paradiso (S. Th., I-II, q. 69, a. 2). Non sono abiti ma atti: “Opera perfecta” li chiama l’Angelico (S. Th., I-II, q. 69, a. 1), e, talmente perfetti, che sono effetto dei Doni più che delle Virtù (S. Th., I-II, q. 70, a. 2).
Gesù nel “Discorso della Montagna” ne enumera otto: “Povertà di spirito, mansuetudine, lacrime, sete di santità, misericordia, purezza di cuore, pace, persecuzione a causa di Gesù” (Mt., V, 3-10).


IV - I «7 Doni» in se stessi (2)


1°) Il Dono del «Timor di Dio»

San Tommaso (S. Th., II-II, q. 19, a. 1) lo definisce un abito soprannaturale per cui il giusto, sotto la mozione dello Spirito Consolatore, acquista una docilità speciale per sottomettersi e uniformarsi completamente alla Volontà divina anche nelle cose avverse e spiacevoli.

La Bontà infinità è oggetto di Amore e non di Timore, ma la Giustizia infinita può punire le nostre azioni malvagie, perciò, essa è oggetto anche del nostro Timore, che può essere servile (paura del castigo) o filiale (dispiacere di offendere un Dio infinitamente amabile). Il Dono riguarda il Timor filiale ed esclude quello servile (cfr. S. Th., II-II, q. 19, a. 1 in corpore e ad 2).

Tale Dono è, quindi, necessario per perfezionare il modo in cui viviamo sia 1°) la Virtù di Speranza, se ci spostiamo verso la presunzione di salvarci senza merito, oppure verso la disperazione (S. Th., II-II, q. 19, a. 9, ad 1 e ad 2); sia 2°) la Virtù di temperanza, poiché il Dono corregge la tendenza disordinata al piacere sensibile, rafforzando in maniera soprannaturale ed eroica la Virtù di Temperanza, che tiene a bada i piaceri della golosità e della sensualità (S. Th., II-II, q. 141, a. 1, ad 3).


2°) Il Dono di «Fortezza»

San Tommaso ne tratta nella Somma Teologica (II-II, q. 139).
Esso si può definire come un abito soprannaturale che irrobustisce l’anima affinché pratichi, mossa dal Paraclito, tutte le Virtù in maniera eroica con la fiducia invincibile e incrollabile di superare i maggiori ostacoli e sopportare le più grandi avversità.

Il compito di questo Dono è di elevare le forze dell’animo umano e farle giungere a una maniera di agire “divina”, soprannaturale, perfetta e sovrumana o eroica.
Benché il Dono di Fortezza perfezioni direttamente la Virtù di Forza, non di meno il suo influsso raggiunge tutte le Virtù, la cui pratica eroica suppone la Fortezza speciale che è Dono dello Spirito Santo (S. Th., II-II, q. 139, a. 1, ad 3; cfr. In III Sent., dist. 34, q. 3, a. 1, quaestiunc. 2, sol. 1).

La differenza specifica tra Virtù infusa di Forza e Dono di Fortezza consiste nel loro diverso modo di azione.

Mentre, la Virtù infusa si appoggia all’aiuto divino, il quale in sé è invincibile e onnipotente, tuttavia quanto al suo esercizio si comporta in modo umano, ossia secondo il discorso della ragione illuminata dalla Fede, che non riesce a togliere completamente dall’animo la percezione delle proprie debolezze e dei limiti della propria forza.

Il Dono fa sì che l’anima sia mossa dall’impulso del Paraclito in modo totalmente soprannaturale e quindi toglie ogni apprensione dovuta alla coscienza dei propri limiti, abbandonandosi all’azione diretta, immediata e onnipotente dello Spirito e non tenendo in nessun conto le proprie capacità con i propri limiti (3).

Si vede perciò che il Dono di Fortezza è necessario non solo per la perfezione della Virtù di Forza e delle altre Virtù infuse, ma a volte per restare in Grazia di Dio, per esempio di fronte alla minaccia del martirio.


3°) Il Dono di «Pietà»

È un abito soprannaturale infuso assieme alla Grazia santificante per eccitare la volontà, sotto l’influsso dello Spirito Santo, ad amare Dio come un figlio ama il padre e il prossimo come un fratello.

L’aspetto formale del Dono di Pietà secondo san Tommaso (S. Th., II-II, q. 121), è l’amore filiale che infiamma la nostra volontà e che lo differenzia dalla Virtù di Pietà che è una parte di quella di Religione, la quale ci fa adorare Dio come Creatore, con la ragione aiutata e illuminata dalla Fede. Invece, il Dono di Pietà ci fa considerare Dio come Padre amorevole e amante, che ci ha donato la vita della Grazia (S. Th., II-II, q. 121, a. 1, ad 2).
Inoltre, il Dono di Pietà si estende oltre il culto verso Dio, anche a tutti gli uomini creati da Dio e figli adottivi di Lui, in potenza o in atto, mediante la Grazia abituale o giustificante (S. Th., II-II, q. 121, a. 1, ad 3).

Questo Dono è necessario per perfezionare sino all’eroismo del modo soprannaturale gli atti della Virtù di Giustizia e di quelle Virtù che da essa derivano, tra cui la Religione e la Pietà. Praticare la Religione sotto l’impulso del Paraclito, che ci fa vedere in Dio un Padre amoroso che va riamato con tutte le forze, diventa molto più facile e perfetto. Così verso il prossimo il Dono di Pietà, perfeziona le inclinazioni della Giustizia e della Carità, conferendo loro una certa affettuosa e intensa gentilezza che sorpassa il modo puramente umano con cui viviamo tali Virtù. Esso pone nell’anima lo spirito e l’abito di abbandono filiale tranquillo e fiducioso, senz’alcun dubbio, nelle braccia di Dio. Nulla può alterare la pace dell’anima che possiede tale Dono attuato abitualmente dall’impulso del Paraclito.

Uno dei Vizi maggiormente opposti a questo Dono è la”durezza di cuore”, che nasce dall’amore disordinato ed egoistico di noi stessi, il quale assorbe tutta la nostra attenzione e ci fa commuovere solo per quanto riguarda noi stessi, dimentichi del prossimo e di Dio. Donde l’asprezza, il rancore, la vendetta che alberga nella nostra volontà. Invece, quanto più tale Dono è sviluppato in un’anima, tanto più essa è sensibile e s’incomoda agli interessi di Dio e del prossimo (4).


4°) Il Dono di «Consiglio»

È un abito soprannaturale per il quale l’anima in Grazia di Dio, sotto l’ispirazione dello Spirito Santo, giudica correttamente, nei singoli casi, ciò che conviene fare o non fare in vista della salvezza eterna (cfr. S. Th., II-II, q. 52, a, 2).

Questo dono perfeziona la Virtù di Prudenza, in cui vi è un lento e laborioso lavorio della ragione, illuminata dalla Fede e mossa dalla Grazia attuale ordinaria, su quale mezzo sia meglio prendere per conseguire il Fine. Qui, con il Dono di Consiglio cambia il modo d’operazione, poiché col Dono del Consiglio è la mozione o l’ispirazione attuale del Paraclito che, ricevuta nel Dono abituale del Consiglio, lo attua.

Così, l’animo umano non opponendo resistenza segue docilmente il “Consiglio” dello Spirito Santo ricevuto nell’omonimo Dono, e quindi l’uomo o meglio lo Spirito Consolatore muove l’uomo a scegliere con prontezza, facilità, senza difficoltà e dubbi quale mezzo prendere, cosa fare hic et nunc per cogliere il Fine ultimo.

Questo Dono è necessario nei casi difficili da risolvere e che richiedono una decisione immediata, senza avere il tempo di consultare un manuale di teologia morale o un moralista. Certe volte tali casi ci pongono di fronte alla responsabilità morale di fare il male o evitarlo. Perciò, il Dono in questione è necessario per la salvezza in tali circostanze. Per esempio, certe volte è molto difficile conciliare in concreto la fermezza con la dolcezza, la vita interiore con l’apostolato, l’affetto e la bontà verso il prossimo con la purezza. Esso è necessario soprattutto ai sacerdoti, che avendo studiato teologia morale, riescono a far diventare bene il male e viceversa, attraverso i cavilli e i sofismi della casistica. Giustificare l’ingiustificabile, conciliare l’inconciliabile è assai difficile per i semplici fedeli, ma diventa facile per i “teologi” che pongono la teologia al servizio della passione dell’amor proprio e non della verità che è conformità alla realtà oggettiva. S. Agostino insegna “quel che ci piace diventa buono e quel che desideriamo diviene santo”. Allora, solo il Dono del Consiglio - che rende soprannaturale la ragione naturale ferita dal peccato originale e inclinata a seguire piuttosto i propri capricci che la verità - può farci emettere un giudizio vero immediatamente e senza dover troppo indagare, anche se esso contrasta i nostri desideri naturali.

Tale Dono corregge la precipitazione nell’agire senza la dovuta riflessione o “consiglio” da parte di un saggio, che nel caso è lo Spirito stesso di Sapienza. Come pure l’ostinazione nel proprio parere, anche quando esso si rivela non vero, per eccessiva fiducia in se stessi.

Questi sono i primi quattro Doni pratici (quello di Consiglio è speculativo-pratico), che ci aiutano ad agire soprannaturalmente ed eroicamente; poi vengono i tre Doni speculativi (Intelletto, Scienza e Sapienza) che ci aiutano a conoscere e amare Dio in maniera più soprannaturale e “divina” (per partecipazione).


5°) Il Dono d’«Intelletto»

È un abito soprannaturale, infuso assieme alla Grazia abituale e alle Virtù, per cui l’intelligenza umana, mossa direttamente dall’impulso o Grazia attuale speciale e sovrabbondante del Paraclito, riesce a penetrare sempre più dentro (“intus legere”) il senso o lo spirito delle verità Rivelate e anche quelle naturali, viste alla luce di Dio o sub specie aeternitatis.

Sappiamo che solo la Grazia sovrabbondante del Paraclito può attuare i Doni e non basta quella ordinaria che attua le Virtù. Perciò, l’uomo può soltanto predisporsi, tramite una lunga vita ascetica, a sviluppare i Doni e ricevere docilmente l’impulso o la Grazia attuale del Consolatore, come il marinaio che spiega le vele della barca, le dispone a ricevere docilmente il soffio del vento.
L’elemento specifico di questo Dono è la capacità di farci penetrare o “leggere dentro” in modo profondo e quasi intuitivo, che supera il ragionamento umano, le verità Rivelate (S. Th., II-II, q. 8, a. 6, ad 2). L’Angelico lo definisce lapidariamente “simplex intuitus veritatis” (S. Th., II-II, q. 180, a. 3, ad 1). Il Dono di Intelletto è la simplex apprehensio e si distingue dai Doni speculativi di Scienza, Sapienza e da quello speculativo-pratico di Consiglio (che emette un giudizio sul come applicare le verità Rivelate al singolo caso pratico), che invece oltrepassano la semplice conoscenza della verità ed emettono un giudizio sulle verità Rivelate, cosa che l’Intelletto non fa (S. Th., II-II, q. 8, a. 6).
Questo Dono è necessario poiché la Fede si esercita in modo umano e discorsivo o ragionato (adesione dell’intelligenza umana spinta dalla volontà, mosse dalla Grazia attuale ordinaria, a una verità Rivelata da Dio e proposta a credere dal Magistero della Chiesa). L’uomo ragiona non intuisce. Solo il Dono di Intelletto gli dà il potere di intuire le verità Rivelate.


6°) Il Dono di «Scienza» 

San Tommaso ne parla nella Somma Teologica (II-II, q. 9) e lo definisce un abito soprannaturale infuso con la Grazia giustificante e le Virtù, mediante il quale l’intelligenza umana, sotto l’impulso della Grazia attuale eccezionale del Paraclito, giudica correttamente le cose create e finite in ordine al Fine soprannaturale ultimo.
Ora, scientia est cognitio certa per causas (Aristotele), perciò questo Dono ci dà la certezza sulla natura delle creature, viste per rapporto al Fine ultimo; ossia, sulla loro bontà o meno per aiutarci a coglierlo. Infatti, “chi vuole il Fine, prende i mezzi”. Ora, come si fa a essere certi che tale mezzo creato è buono per me a farmi giungere al Fine ultimo? Il ragionamento anche se aiutato dalla Grazia attuale ordinaria delle Virtù infuse, agisce nel modo umano e quindi vi è la possibilità dell’errore. Solo la Grazia o mozione attuale e sovrabbondante del Paraclito, che attua l’abito del Dono di Scienza, toglie ogni dubbio e possibilità di errore (S. Th., II-II, q. 8, a. 6). Infatti, le creature possono allontanarci o avvicinarci al Fine e chi ci dice con certezza e immediatamente se tale creatura o mezzo (“ea quae sunt ad finem”) per noi sia buona al Fine o inadatta è il Dono di Scienza (S. Th, II-II, q. 9, a. 4).

Questo Dono è necessario, poiché non basta la conoscenza più approfondita delle verità di fede o Rivelate (Dono d’Intelletto) ma per salvarci dobbiamo sapere con certezza se i mezzi che prendiamo o le creature che ci circondano siano adatte a farci giungere al Fine oppure no e quindi bisogna usarne “tanto quanto ci aiutano, né più né meno” (S. IGNAZIO DA LOYOLA, Esercizi Spirituali).


7°) Il Dono di «Sapienza»

Esso è il più alto dei sette Doni. L’angelico lo definisce come un abito soprannaturale infusoci assieme alla Grazia santificante e alle Virtù, che ci fa giudicare rettamente di Dio e delle cose divine nelle loro ultime e altissime cause e inoltre ce la fa gustare per una certa connaturalità (S. Th., II-II, q. 45, a. 1).
Esso si differenzia da quello di Scienza, dacché giudica delle cose divine e ce le fa sperimentare con piacere e soavità (“Gustate e vedete quanto soave è il Signore”, Sal., XXXIII, 9) e san Bernardo di Chiaravalle canta: “Nec lingua valet dicere, / nec lettera exprimere; /expertus potest credere, / quid sit Jesum diligere (Inno Jesu, dulcis memoria), mentre il secondo ci fa giudicare delle creature in rapporto a Dio. Esso è inferiore solo alla “Visione beatifica”.
Questo Dono è necessario perché perfeziona sino all’eroismo del modo sovrumano la Virtù di Carità, la quale ci unisce a Dio e senza la quale non si ha la Grazia abituale né la salvezza eterna.



NOTE

1  -  Teologia della perfezione cristiana, cit., p. 188.
2 - Cfr. S. Th., II-II, q. 8, 9, 19, 45, 52, 121, 139; GIOVANNI DI SAN TOMMASO, Cursus theologicus In I-II dist. 18; ID., Les Dons du Saint-Esprit, tr. fr., Parigi, Téqui, II ed., 1950; R. GARRIGOU-LAGRANGE, Le tre età della vita interiore…, cit.; ID., Perfezione cristiana e contemplazione…, cit.
3 - Cfr. GIOVANNI DI SAN TOMMASO, In I-II, dist. 18, a. 6.
4 - Cfr. GIOVANNI DI SAN TOMMASO, In II-II, dist. 18, a. 6, § 1, n. 26.






marzo 2023
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