Una conferenza di
mons. Richard Williamson



di Marco Bongi


Riportiamo questo articolo di Marco Bongi che ci è giunto il 16 maggio 2013, ricordando che il pensiero dell'amico Bongi riflette, a suo modo, quello di certi ambienti della Fraternità San Pio X, nei quali si pratica lo sport moderno della ricerca del colpevole… fuori casa.

Com'è nostro costume, soprattutto per quanto attiene alle cose del mondo della Tradizione, non ci sottraiamo alla diffusione del pensiero altrui, reputandolo comunque “pensiero amico”, ma avviene che talvolta tale pensiero richieda delle necessarie e salutari messe a punto, non perché i lettori non abbiano la capacità di giudicare da sé, ma perché è sacrosanta opera di carità aiutarli in questo esercizio, offrendo loro qualche spunto che aiuti a riflettere.
È questa una di quelle occasioni:
così il nostro Belvecchio ha redatto un modesto testo intitolato:
A proposito di “Una conferenza di mons. Richard Williamson”

I grassetti sono propri del testo che abbiamo ricevuto

Avendo letto il testo della conferenza francese di mons. Richard Williamson, pronunciata il 5 gennaio 2013, il successivo commento di don Curzio Nitoglia e altre prese di posizione recenti del Vescovo inglese, mi sento in dovere, come semplice fedele, di esprimere alcune mie considerazioni.  
Con queste righe, vorrei precisarlo, non intendo assolutamente mancare di rispetto a Sua Eccellenza che stimo molto ed a cui va indubbiamente riconosciuto un grande coraggio nella difesa della Fede.
Sono anche d'accordo sul fatto che egli abbia subito alcune accuse ingiuste e deprecabili che dovrebbero essere riparate come pure però quelle, altrettanto gravi, lanciate dal medesimo mons. Williamson nei confronti di mons. Fellay.
Nel Commento Eleison n. 254, tanto per fare un esempio, apostrofa il Superiore Generale, con evidente disprezzo, come "un capo religioso" e, ancor di più, nel commento n. 257, parafrasando la Lettera ai Galati di San Paolo, inanella una serie di velenose insinuazioni davvero assai poco edificanti.  Già... perché tutte queste, e molte altre accuse presupporrebbero, per avere un minimo di fondamento, la mala fede dei responsabili FSSPX.

Ma sarà il medesimo mons. Williamson, pochi mesi dopo, nel commento n. 282, ad ammettere di aver dubitato della buona fede del Superiore e di sentirsi adesso perplesso. Non sarebbe allora stato più giusto chiedere scusa di aver giudicato le intensioni mentre nel cuore può leggere soltanto Dio?   
Fatta dunque questa premessa, e ribadito che molti fedeli auspicherebbero un riavvicinamento fra i quattro Vescovi consacrati da mons. Lefebvre, vado brevemente ad esporre le mie osservazioni sulla conferenza francese.

1 - Mons Williamson definisce, senza neppure il beneficio del dubbio, "liberali" quattro suoi autorevoli ex-confratelli. Si tratta di un'accusa molto grave che meriterebbe, data la sua perentorietà, davvero qualche straccio di prova in più che non le pagine di un libro scritto da un ex-ambasciatore. [nota nostra: si veda qui e qui]
Costoro, secondo il monsignore, si sarebbero macchiati dell'orrendo delitto di aver parlato, in modo discreto, riservato e "quasi segreto" con alcuni prelati della Chiesa Cattolica desiderosi di sanare la separazione fra la FSSPX e Roma.
Ebbè? Cosa c'è di male?  Qui subentra, come in molte altre circostanze, l'ancestrale pessimismo di mons. Williamson. O, in altre parole... Come fa lui ad essere sicuro che lo scopo perseguito dai suoi ex-confratelli era quello di raggiungere un compromesso dottrinale e non, come sarebbe più logico, quello di far ragionare correttamente gli interlocutori per giungere ad una loro conversione?  Anche qui egli si erge a giudice delle intenzioni e magari, fra qualche tempo, dovrà ammettere di "essere perplesso".

Ma andiamo avanti. I nostri Priorati sono costantemente visitati "discretamente, riservatamente e quasi in segreto" da sacerdoti, vescovi, religiosi e fedeli che, non potendo o non riuscendo ancora a uscire allo scoperto, per una miriade di motivi più o meno giustificati, ivi compreso lo stato di confusione spirituale che pervade tanti cattolici disorientati ma in buona fede, iniziano un percorso di avvicinamento alla Tradizione liturgica e dottrinale.
Se, tanto per fare un esempio italiano, non ci fossero stati per anni incontri discreti, riservati e "quasi segreti" non sarebbero certo mai sbocciate le vocazioni tradizionali di sacerdoti come don Massimo Sbicego, don Alberto Secci, don Stefano Coggiola e tanti altri che si stanno lentamente avvicinando alle posizioni della Fraternità. Ed allora... ben vengano gli incontri discreti, riservati e "quasi segreti" se lo scopo è quello di far comprendere, con amore e Carità, le autentiche necessità della Chiesa di oggi! Non c'è mai stato un missionario che abbia convertito standosene chiuso in casa. Per convertire bisogna necessariamente parlare con chi è lontano dalla Verità.

2 - I liberali non si possono convertire se non attraverso un miracolo (Commento Eleison n. 288). Ma chi l'ha detto? E' vero che il liberalismo è un peccato che coinvolge l'intelletto e quindi, a rigor di logica, potremmo classificarlo fra i peccati contro lo Spirito Santo che gridano vendetta davanti a Dio. Ciò detto tuttavia non esiste alcuna valida ragione teologica che impedisca una tale conversione per vie, in un certo senso, "ordinarie". Non mancano esempi in tal senso nella storia del cattolicesimo a cominciare, da Papa Pio IX, che dal 1846 al 1848 tutti consideravano, e probabilmente così lo avrebbe giudicato anche mons. Williamson, un Papa liberale. Proprio lui... che sarebbe diventato il Pontefice del Sillabo e della Quanta Cura! Quale sarebbe, del resto, la motivazione che portò i Papi del XIX secolo a scrivere così tante encicliche contro il liberalismo se non la speranza di convertire e convincere attraverso l'argomentazione filosofica, teologica e magisteriale?   

3 - Quando mons. Williamson si spinge ad abbozzare le sue previsioni circa la possibile soluzione dell'attuale crisi del Cattolicesimo non riesce mai ad andare oltre alla prefigurazione di catastrofi purificanti, punizioni divine o castighi violenti. Egli rifiuta di considerare la possibilità di una graduale ripresa della Verità per vie ordinarie. Io penso che questo atteggiamento, che spesso sfiora il millenarismo, se non le idee di Gioacchino da Fiore o di Girolamo Savonarola, sia estremamente pericoloso. Nessuno ha infatti il diritto di "tentare Dio" e neppure di "insegnare" all'Altissimo cosa debba fare. Nella storia della Salvezza abbiamo avuto esempi di grandi punizioni ma, normalmente, la via di Dio è quella ordinaria delegata all'azione umana degli uomini di Chiesa, e in special modo del Sommo Pontefice. Così fu all'epoca di Gregorio VII, del Grande Scisma di Occidente e della crisi protestante. La via "straordinaria", ovvero quella tipo Diluvio o Sodoma e Gomorra, può certo verificarsi ma non abbiamo il diritto di pretenderla.

4 - In fin dei conti mons. Williamson si rifiuta praticamente di prendere in considerazione ciò che ogni cattolico invece dovrebbe innanzitutto sperare ovvero il ritorno della Roma conciliare alla Roma eterna. Egli rifiuta questa prospettiva aprioristicamente per il pessimismo cosmico del suo pensiero. In ciò davvero può ravvisarsi, come affermato da mons Fellay nella lettera riservata ai tre Vescovi della FSSPX, una carenza di soprannaturalità nella concezione ecclesiologica e una scarsa fiducia nella forza intrinseca della Verità quando si confronta apertamente con l'errore.

5 - Tale connotazione del suo pensiero appare, a prima vista, coraggiosa e piena di Santo Zelo. In realtà, nel concreto, si rivela invece debole e perdente in quanto finisce per dare come scontata una progressiva ritirata della Verità in ambiti sempre più ristretti. Si vedano, a tal proposito, le frequenti espressioni utilizzate di "resto della Chiesa", "Resto del resto della Chiesa" e domani magari "Resto del resto del resto...". Questo atteggiamento intellettuale viene solitamente giustificato con la necessità prioritaria di salvarsi l'anima ma non tiene adeguatamente conto, a mio parere, del fatto che la nostra salvezza passa anche attraverso quella del prossimo. Mi sembra, in altre parole, l'atteggiamento di colui che, pur condannando la mancanza di missionarietà della Chiesa conciliare, in pratica rifiuta anch'egli questa prospettiva perché non sa, o non vuole, comunicare la Fede anche ai lontani.

Riassumendo penso che la prospettiva di azione propugnata da mons. Richard Williamson sia votata purtroppo all'insuccesso perché ancora troppo condizionata da un difensivismo assoluto e fondamentalmente scettico. Prima abbiamo avuto "il resto" della cattolicità, poi "il resto del resto", domani magari "il resto del resto del resto"... e così via, sulla strada di una decadenza progressiva ed inarrestabile. Un atteggiamento spirituale triste e sempre più avvitato su se stesso.
Non vi è speranza di "reconquista", non si auspica neppure una "controriforma". Con i romani non si parla e non si cerca dunque neppure di convertirli. Dobbiamo solo attendere l'ineluttabile castigo purificatore del Signore.
Questo, forse, davvero verrà ma... anche coloro che hanno ricevuto un talento e, invece che farlo fruttificare, lo avranno tenuto ben nascosto per paura di perderlo, meriteranno di essere puniti come ci indica chiarissimamente la parabola evangelica.

Marco Bongi




maggio 2013

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