Vaticano: considerazioni

sulla nuova legge fondamentale



Articolo della Fraternità San Pio X



Pubblicato in italiano il 2 giugno 2023 sul sito informazioni della Fraternità



Veduta della Città del Vaticano


Il 13 maggio scorso, proprio mentre il presidente Zelensky era in visita al Vaticano, Papa Francesco ha emanato una nuova “legge fondamentale” per lo Stato della Città del Vaticano.
Alcuni analisti sono rimasti stupiti da una frase dell’introduzione al testo, che dice: «Chiamato ad esercitare in forza del munus petrino poteri sovrani anche sullo Stato della Città del Vaticano…». Questo sarebbe un tentativo audace di far derivare direttamente il potere temporale da quello spirituale, che nemmeno i Papi medievali avrebbero tentato in questi termini, tanto più stupefacente sulla bocca del Papa della “sinodalità”. Ma è proprio così?


La Stato della Chiesa strumento di indipendenza del Pontefice

Per alcuni commentatori, Papa Francesco sembra dire che dal “munus petrino” derivi direttamente il diritto a esercitare la sovranità su uno Stato, il che sarebbe effettivamente inedito se inteso in questo senso preciso.

Iniziamo col far notare che “munus petrino” è una espressione moderna, spesso usata insieme a “ministero” o “ufficio” petrino, per indicare quello che prima si definiva semplicemente come Papato, o Supremo Pontificato.
Per il linguaggio canonico e teologico post-conciliare, i nuovi termini sono da preferire perché meno magniloquenti, e più adatti a indicare il potere come servizio.

A parte questa nota terminologica, in realtà il testo ribadisce la dottrina classica, come esplicitato meglio anche nel seguito della “legge fondamentale”.
Il Papa gode, per diritto divino, di totale indipendenza da qualsiasi potere terreno; ugualmente gode della libertà di scegliersi i mezzi appropriati a mantenere tale indipendenza; storicamente il mezzo fornito dalla Provvidenza è stata la sovranità sullo Stato Romano. Perduto lo Stato nel 1870, Pio XI ritenne nel 1929 sufficiente o accettabile la sovranità sulla Città del Vaticano, per gli stessi scopi.

Quello che si dovrebbe far notare, è che Papa Francesco, ancora cardinale, aveva espresso concetti molti diversi.
Nel suo libro “Il cielo e la terra” [1], scritto con il rabbino Skorka quando era ancora a Buenos Aires, nel capitolo Sul futuro delle religioni, si legge quanto segue: «Se osserviamo la storia, vediamo che le forme religiose del cattolicesimo sono palesemente mutate. Pensiamo, per esempio agli Stati Pontifici, dove il potere temporale era indissolubilmente legato al potere spirituale. Fu una deformazione del cristianesimo, che non corrispondeva né a ciò che voleva Gesù né a ciò che vuole Dio».

Qui sembra che si voglia apertamente negare esattamente il principio che fa da prologo alla nuova “legge fondamentale”.


Alcuni dati magisteriali a riguardo

Il Concilio Vaticano I, nella IV sessione (DS 3062), afferma che la pienezza del potere consente al Papa di esercitare in piena libertà la sua autorità, corrispondendo con tutti i pastori e i fedeli della Chiesa senza interferenze di alcuna autorità temporale. Potremmo dire che tale passaggio sia la definizione dogmatica dell’indipendenza spirituale del Papa, tante volte rivendicata dai Pontefici di ogni epoca.

Quando questo diritto si realizza concretamente, avremo l’indipendenza temporale di fatto, che concretamente viene a coincidere con la sovranità temporale sullo Stato Romano quale la storia ce l’ha fatta conoscere fino a centocinquant’anni fa. Tale identificazione non si basa su una connessione necessaria, ma su una scelta fondata sull’esperienza e su dei diritti legittimi e inviolabili.

Leone XIII, nell’enciclica Immortale Dei del 1° novembre 1885, affermava: «Pertanto tutto ciò che nelle cose umane abbia in qualche modo a che fare col sacro, tutto ciò che riguardi la salvezza delle anime o il culto di Dio, che sia tale per sua natura o che tale appaia per il fine a cui si riferisce, tutto ciò cade sotto l’autorità e il giudizio della Chiesa».

Secondo Pio IX, nella lettera apostolica Cum catholica del 26 marzo 1860, il principato civile del Romano Pontefice rientra in questa categoria, per il carattere spirituale che gli deriva dalla sua destinazione sacra e per il suo legame strettissimo con i massimi interessi della religione cristiana. Ecco perché l’usurpazione di questi diritti era punita con la scomunica e con le massime pene canoniche.

Se dunque è rivelato da Dio che la Chiesa e il Papa possiedano una totale indipendenza spirituale di diritto, è ugualmente un dovere derivante dalla Rivelazione che tale indipendenza sia di fatto procurata dai Pastori e riconosciuta dalle società civili.
È pure rivelato che i mezzi concreti per far valere di fatto tale indipendenza debbano essere stabiliti dalla Chiesa stessa in modo autonomo.

Le affermazioni di Papa Bergoglio nell’introduzione alla sua “legge fondamentale” non vanno né contro né oltre questi elementi dottrinali: è proprio in forza del “munus petrino” che il Papa si sceglie, o sceglie di accettare, come strumento di indipendenza, la sovranità su uno Stato. Egli ha il diritto ed il dovere, proprio come Successore di Pietro, di procurarsi tale indipendenza inerente alla sua missione, con i mezzi che la prudenza e la Provvidenza gli mettono a disposizione.


Il potere del Papa sui regni e sulle nazioni

Non si deve quindi confondere il potere temporale del Papa su uno Stato, per quanto piccolo, inteso come strumento di indipendenza, con il potere che il Papa come Successore di Pietro e Vicario di Cristo esercita sui regni e sulle nazioni.
Questo secondo potere è sostanzialmente negato dai Papi conciliari, sostenitori della laicità dello Stato e della libertà religiosa, e di questo potere ovviamente non parla la “legge fondamentale” dello Stato Vaticano testé promulgata da Papa Bergoglio.

Benché la società temporale e quella spirituale rimangano distinte quanto a origine e fini, ciò non significa che esse siano uguali o non siano ordinate l’una all’altra: la Chiesa insegna che la società terrena deve essere sottomessa a quella ecclesiastica, in virtù dell’unico vero fine dell’uomo, quello soprannaturale.

Non solo le due società non devono essere separate (vedi l’enciclica Vehementer di San Pio X), ma sono l’una soggetta all’altra, al punto che il potere della Chiesa sugli Stati non è meramente direttivo, ma è una vera giurisdizione (vedi la condanna del gallicanesimo, con il breve del beato Innocenzo XI dell’11 aprile 1682 e la Costituzione Inter multiplices di Alessandro VIII del 4 agosto 1690, DzS. 2281-2285; condanna ripresa da Pio VI in Auctorem fidei, DzS. 2699), che si può estendere fino alla deposizione dei sovrani malvagi (vedi per esempio il Dictatus Papae di San Gregorio VII, o la bolla Regnans in excelsis di San Pio V).

Tale dottrina è chiaramente espressa da Bonifacio VIII nell’infallibile bolla Unam Sanctam, che dice: «Quindi ambedue sono in potere della Chiesa: la spada spirituale e quella materiale; una invero deve essere impugnata per la Chiesa, l’altra dalla Chiesa; la seconda dal clero, la prima dalla mano di re o cavalieri, ma secondo il comando e la condiscendenza del clero, perché è necessario che una spada dipenda dall’altra e che l’autorità temporale sia soggetta a quella spirituale»

Questa sottomissione indiretta, la cui esistenza è innegabile, deriva dall’autorità che la Chiesa ha su tutti i battezzati, Principi compresi, e dal suo dovere di provvedere al bene dei medesimi. Così, in tutto ciò che tocca la fede o la morale, la Chiesa ha diritto di intervenire, ratione peccati, secondo l’espressione usata da Innocenzo III [2].
Oltre a san Roberto Bellarmino, che largamente spiegò l’esistenza e la natura di tale potere, citiamo qui le parole di san Tommaso: «La potestà secolare è sottomessa alla spirituale, come il corpo all’anima, e perciò non si usurpa il potere se il Prelato spirituale si intromette nel temporale quanto alle cose nelle quali gli è sottomessa la potestà secolare» [3].

Nessun Pontefice si era dunque spinto a far derivare il potere temporale dal Pontificato?
In realtà, se abbiamo visto che Papa Bergoglio parla di tutt’altro (e crede all’errore dell’indipendenza delle realtà temporali, come già il Vaticano II o Ratzinger facevano), troviamo nei Papi medievali espressioni molto esplicite.
Innocenzo III, nella lettera di risposta al Re d’Inghilterra Giovanni Senza Terra, che gli offriva in feudo il regno, diceva: «Il Re dei re e Signore dei signori Gesù Cristo, Sacerdote in eterno secondo l’ordine di Melchisedech, stabilì il regno e il sacerdozio nella Chiesa di modo che sacerdotale sia il regno e regale il sacerdozio, come attestano Pietro nell’Epistola e Mosè nella Legge, mettendo a capo di tutti colui che ha ordinato come suo Vicario in terra…».

Senza andar oltre con le innumerevoli citazioni a riguardo, richiamiamo l’attenzione sugli errori effettivi di Papa Francesco (e dei suoi predecessori), anche in materia di rapporti con il potere temporale.
Quanto alla nuova “legge fondamentale” della Città del Vaticano, essa riprende brevemente un principio corretto sull’indipendenza del Pontefice ed i mezzi per ottenerla: espressione però in netto contrasto con i convincimenti espressi in altri momenti dall’allora Cardinal Bergoglio.


NOTE

1 - J. M. Bergoglio - A. Skorka, Il cielo e la terra, A. Mondadori 2013.

2 - Cfr. in particolare la lettera ai Vescovi di Francia Novit ille del 1204, in Corpus iuris canonici, Decretales Gregorii IX, lib. II, tit. I, cap. 13; e la lettera all’Imperatore Alessio di Costantinopoli, ibidem lib. I, tit. 33, cap VI.

3Summa Theologiae II II, q. 60, art. 6, ad 3um.








giugno 2023

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