Sinodo sulla sinodalità: l'“Instrumentum laboris” (2)



Articolo della Fraternità San Pio X


Parte prima
Parte seconda
Parte terza

Pubblicato il 26 giugno 2023 sul sito Informazioni della Fraternità





Illustrazione grafica della conversazione nello Spirito


Lo studio dell’Instrumentum laboris (IL) per la prossima assemblea del Sinodo dei vescovi, che si svolgerà ad ottobre, può essere fatto sotto diversi aspetti.
Nel primo articolo abbiamo considerato il  metodo di elaborazione del documento nel corso le due prime fasi: diocesana, con una sintesi per paese; poi continentale, che riuniva i paesi di uno stesso continente.

Il modo in cui l’IL espone i risultati ottenuti nasce dall’immanenza, nella quale non è il risultato oggettivo che conta, ma quello che pensano o sentono le persone al momento di una discussione o di uno scambio su un dato argomento. La messa insieme di queste «esperienze» non porta ad una definizione, ma ad una descrizione – una apprensione – di ciò che è una Chiesa sinodale.

Sempre dal punto di vista del metodo, l’IL propone la sistematizzazione di questo metodo, col titolo: «Un modo di procedere della Chiesa sinodale: la conversazione nello Spirito».

E’ necessario soffermarsi su questo metodo e specialmente sui suoi presupposti teologici.


Un metodo scoperto dal processo sinodale

«Nel corso della prima fase del Sinodo e soprattutto nelle fasi continentali, si è colta e riconosciuta la fecondità del metodo qui denominato «conversazione nello Spirito», adottato nel corso della prima fase e chiamato in alcuni documenti “conversazione spirituale” o anche “metodo sinodale”» (n° 32).

Il testo cerca di spiegare la portata di questo metodo: «il termine “conversazione” non indica un semplice scambio di idee, ma la dinamica con la quale la parola pronunciata ed ascoltata genera una familiarità che permette ai partecipanti e alle partecipanti di diventare reciprocamente intimi. La precisazione “nello Spirito” identifica il vero protagonista» (n° 33).

In più: «la conversazione tra fratelli e sorelle nella fede apre lo spazio per “un ascolto comune” dello Spirito» (Ibid.). Come in un concilio, per il quale Cristo ha promesso lo Spirito Santo, la conversazione tra fedeli può condurre a ricevere una illuminazione particolare.

Il documento continua: «Nelle Chiese locali che l’hanno praticata nel corso della prima fase, la conversazione nello Spirito è stata scoperta come il clima d’ascolto e di fiducia che permette la condivisione delle esperienze di vita e come lo spazio di discernimento della chiesa sinodale» (n° 37).
La comunità diviene dunque capace di ricevere e di discernere una nuova rivelazione o quantomeno di interpretare la Rivelazione in modo nuovo.

«Nei documenti finali delle Assemblee continentali, questa pratica è descritta come un momento di Pentecoste, una occasione per fare l’esperienza di essere Chiesa e di passare dall’ascolto dei fratelli e delle sorelle in Cristo, all’ascolto dello Spirito». (Ibid.)
Il termine Pentecoste riafferma la detta capacità di ricezione della comunità.


In seguito è esplicitato lo scopo di questo metodo

«Concretamente, la conversazione nello Spirito può essere descritta come una preghiera condivisa in vista di un discernimento comune, al quale i partecipanti e le partecipanti si preparano con la riflessione personale e la meditazione» (n° 37).
Quindi, lo scopo sarebbe discernere, ma cosa e come? Questo è precisato nelle tre tappe di questo metodo.

«La prima è dedicata alla presa di parola di ciascuno e ciascuna, a partire dalle propria esperienza personale riletta nella preghiera durante il tempo di preparazione. Gli altri ascoltano in silenzio senza entrare nei dibattiti o nelle discussioni, sapendo che ogni persona ha da apportare un contributo prezioso» (Ibid.).

Nella seconda tappa «ogni membro del gruppo prende la parola: non per reagire e contrastare quello che ha ascoltato, riaffermando la propria posizione, ma per esprimere ciò che lo ha colto più profondamente nel corso dell’ascolto e ciò per il quale lui o lei si sente  più interpellato» (Ibid.).

Infine, la terza tappa consiste «nell’identificare i punti chiave che sono emersi e nel raggiungere un consenso sui frutti del lavoro comune (…) in cui si può sentire rappresentato. (…) Occorre dar prova di discernimento, prestando attenzione alle voci marginali e profetiche non trascurando l’importanza dei punti sui quali sono emersi dei disaccordi» (n° 39).

Il metodo appare capitale agli occhi dei redattori. Così: «Tenuto conto dell’importanza della conversazione nello Spirito per animare il vissuto della Chiesa sinodale, la formazione a questo metodo, e in particolare la sfida di essere persone capaci di accompagnare le comunità in questa pratica, è percepita come una priorità a tutti i livelli della vita ecclesiale» (n° 42).


La ragione teologica profonda del metodo

Ciò che spiega la necessità di questo metodo è prima di tutto la profonda volontà inclusiva: «una Chiesa sinodale è una Chiesa aperta e accogliente. Essa si rivolge a tutti e a tutte. Questo movimento dello Spirito infrange ogni frontiera per coinvolgere tutti nel suo dinamismo» (n° 26).
Tutti devono essere capiti da tutti. Tutti possono partecipare e devono essere ascoltati.

Questo è particolarmente importante per la dimensione ecumenica della Chiesa, come viene spiegato più avanti: «nell’unico battesimo, tutti i cristiani partecipano al sensus fidei o senso soprannaturale delle fede (cfr. Lumen Gentium 12), perché in una Chiesa sinodale tutti devono essere ascoltati attentamente (B 1.4 a)».

Questa affermazione è fondamentale e profondamente erronea. Questo errore sul sensus fidei è alla base dell’idea della Chiesa sinodale e ne costituisce tutta la fragilità, cioè l’inanità. Innanzi tutto è totalmente estraneo alla Scrittura e alla Tradizione affermare che il sensus fidei si estende al di là della giurisdizione della Chiesa – cioè tra gli altri cristiani non cattolici.

La ragione profonda è che questo sensus fidei, che si può tradurre con «senso della fede» o anche con «istinto della fede», dipende direttamente dal Magistero della Chiesa, e quindi non può riscontrarsi in coloro che non sono sottomessi a tale Magistero e ancor meno presso gli eretici.

Un’altra ragione è che, contrariamente a ciò che suppone – e talvolta afferma – il documento, la fede dei fedeli non è in alcun modo una fonte del Magistero, né un luogo teologico: essa è innanzi tutto una ricezione dell’insegnamento di Cristo attraverso la Chiesa, dalla quale attinge tutto ciò che è. Essa è la fede del fedele che ha ricevuto tale insegnamento.

Tutta la Chiesa e il processo sinodale appaiono sospesi all’apparire di una «novità» nella Chiesa attraverso il sensus fidei, certamente ripreso e «distinto» dalla gerarchia, ma comunque una novità. È la distorsione del sensus fidei operata dal concilio Vaticano II, parallela all’elevazione del sacerdozio comune dei fedeli a scapito del sacerdozio consacrato.

Forzando appena ciò che vi è detto, si tratta di una trasposizione della democrazia moderna in seno all’istituzione della Chiesa: dopo una «consultazione di base» e un processo che si rafforza per diversi canali, la novità che scaturisce dal Popolo di Dio deve essere accolta e cioè teorizzata e dogmatizzata per «riformare» la Chiesa.

Questo grave errore può solo condurre ad un vicolo cieco: se il popolo così consultato ed esaltato arriva a proporre elementi contrari o divergenti dalla fede, che farà l’episcopato? Se li rifiuta, la delusione – e la rivendicazione – saranno commisurate al sentimento di frustrazione provato. Se li accetta, allora introduce l’incoerenza all’interno della fede… cosa che si può chiamare: eresia.

Continua







 
giugno 2023
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