Dal Vaticano II alla Chiesa sinodale


di Don Vincent Gélineau, FSSPX

Tratto dal Bollettino del Priorato di Versailles della Fraternità San Pio X

Le Saint-Vincent n° 27,  settembre 2020

riprodotto su dans Pour qu’Il règne n° 158

Pubblicato sul sito francese della Fraternità San Pio X
La Porte Latine




Assemblea sinodale


Nel marzo 2020, Papa Francesco annunciò un Sinodo per la sinodalità da tenersi nel 2022. Francesco, fin dal 2015, aveva espresso la sua intenzione di soffermarsi su questo argomento. Nel suo discorso del 17 ottobre 2015, affermò: «Il cammino della sinodalità è esattamente quello che Dio si aspetta per la Chiesa del terzo millennio». E spiegò anche che «Una Chiesa sinodale è una Chiesa dell’ascolto, con la coscienza che l’ascoltare è più che intendere. E’ un ascolto reciproco, in cui ciascuno ha qualcosa da apprendere. Il popolo fedele, il Collegio episcopale, il Vescovo di Roma, ciascuno all’ascolto degli altri; e tutti all’ascolto dello Spirito Santo, lo Spirito di Verità, per conoscere quello che Egli dice alle Chiese».

Cosa bisogna intendere con l’espressione “Chiesa sinodale”?
Cosa guadagna la Chiesa cattolica con l’essere più sinodale?


Che cos’è la Chiesa sinodale?

Conciliarismo e collegialità

Il termine «conciliarismo» richiama un periodo turbolento della storia della Chiesa: la fine del grande scisma d’Occidente agli inizi del XV secolo. In pratica, i conciliaristi ritenevano che il potere del concilio fosse superiore a quello del Papa.

La nozione di collegialità introdotta verso il 1950 da Padre Congar, OP, riprende l’idea e suggerisce che il corpo dei vescovi è un ente morale, dotato di prerogative speciali, che succede al corpo degli Apostoli. Tale nozione entra nel concilio Vaticano II con la Costituzione Lumen gentium del 21 novembre 1964, e svolge il ruolo di principio guida per il nuovo Diritto Canonico del 1983. Lo spiega il Papa Giovanni Paolo II quando promulga il nuovo Codice: «Questi lavori sono stati compiuti fino in fondo con uno spirito meravigliosamente collegiale… Questa nota di collegialità, che caratterizza e distingue tutto il processo di gestazione di questo nuovo Codice, corrisponde perfettamente allo spirito e al carattere del concilio Vaticano II. Il Codice… ha messo in pratica lo spirito del concilio. I cui documenti presentano la Chiesa, “sacramento universale di salvezza”, come popolo di Dio, e dove la costituzione gerarchica appare fondata sul collegio dei vescovi uniti al suo capo” [1].


In altre parole, la Chiesa conciliare, retta dal Codice del 1983, è una Chiesa più democratica.


La Chiesa sinodale di Francesco

Con la Chiesa sinodale, Papa Francesco porta questa logica democratica ed egualitaria alla sua logica conclusione. Essa invita la gerarchia a mettersi all’ascolto della base. La Chiesa sinodale è una Chiesa conciliare, nel senso che un ruolo decisivo è ora dato alle varie assemblee: consiglio presbiterale, sinodo diocesano, conferenze episcopali, sinodo dei vescovi, …

Questa Chiesa sinodale ci viene dal concilio Vaticano II, che ha cercato di aggiornare la Chiesa per renderla accettabile ad un mondo che stima molto la democrazia.
Si può dire che la Chiesa è più cattolica perché è più sinodale?


La Chiesa cattolica è sinodale?

Questa tendenza democratica, oggi così apprezzata, apporta veramente un progresso nella Chiesa cattolica?


Il primato del romano Pontefice

La collegialità non gode del favore della Tradizione. Come notava ironicamente il cardinale Ottaviani, la collegialità ha un fondamento scritturale solo in un’azione poco gloriosa degli Apostoli al momento della Passione: «Allora i discepoli Lo abbandonano [Gesù], fuggono tutti» [2]. Invece il Vangelo è molto chiaro sull’autorità trasmessa a San Pietro: «Tu sei Pietro e su questa pietra costruirò la mia Chiesa, e le porta dell’Inferno non prevarranno contro di essa» [3]. Il primato del vescovo di Roma, successore di San Pietro, è riconosciuto fin dai primi secoli della storia della Chiesa.

La costituzione della Chiesa istituita da Nostro Signore è una monarchia di cui San Pietro e i suoi successori sono i capi. Queste verità saranno messe in discussione solo diversi secoli dopo, quando gli ortodossi e i protestanti sentiranno il bisogno di giustificare la loro rivolta. Non ci sorprende ritrovare il tema della collegialità nell’epoca dell’ecumenismo. Infatti ciò che preoccupa gli eretici (protestanti) e gli scismatici greci è l’autorità del romano Pontefice.


La collegialità, rivoluzione nella Chiesa

In una pagina mirabile del suo lavoro: Iota unum, Romano Amerio nota che «questi  corpi della Chiesa chiamati alla partecipazione diventano in realtà organi di dissenso e di indipendenza del popolo di Dio nei confronti dei suoi Pastori e del Pastore supremo. Ciò che ci si aspettava dalla democratizzazione della Chiesa si è manifestato a posteriori negli effetti infelici dei sinodi nazionali... Ciò che è comune a tutti i sinodi, diocesani o nazionali, è la loro propensione all’indipendenza e all'aver stabilito tesi e proposto riforme in opposizione al pensiero dichiarato della Santa Sede, chiedendo ad esempio l’ordinazione di uomini sposati, il sacerdozio per le donne, la condivisione dell’Eucaristia con i fratelli separati e l’ammissione ai sacramenti dei divorziati bigami» [4].

Saggiamente, Amerio rileva: «la contraddizione che vi è tra la democratizzazione e la costituzione divina della Chiesa. C’è una differenza e persino un’opposizione tra la Chiesa di Cristo e le società civili. La Chiesa, invece, non si è formata da sola, né ha formato il proprio governo; essa è stata fatta nella sua interezza da Cristo, che ne ha stabilito le leggi fondamentali prima di chiamare i fedeli... La Chiesa è dunque una società senza eguali, dove il capo è in testa alle membra, e dove l’autorità viene prima della comunità» [5].
La conclusione che ne deriva immediatamente è una condanna molto chiara del progetto di Papa Francesco: «Una dottrina, che si baserebbe sul popolo di Dio concepito democraticamente e sul sentimento e l’opinione del popolo di Dio, è contraria a quella della Chiesa».





Messa di chiusura del Sinodo dei vescovi in Vaticano


I risultati disastrosi della dottrina della collegialità non ci hanno messo molto a manifestarsi. La Chiesa divenne rapidamente ingovernabile, come spiegano le poche parole del Padre de Morandais: «Il problema non è obbedire al Papa. Chi dà gli ordini? È la collegialità dei vescovi. Io obbedisco solo se il vescovo di Parigi mi dà l’ordine. Ma voi sapete che l’obbedienza attuale è un consenso tra vescovi e sacerdoti. Non è più come una volta, quando un ordine era un ordine. E non vedo il Vescovo di Parigi che mi dice: «Indossa il clergyman», per la buona ragione che non darà quest’ordine, perché non ha alcuna possibilità di essere obbedito» [6].

La collegialità capovolge, nei principii come nella pratica, la costituzione divina della Chiesa.


Il rispetto dell’opinione pubblica nella Chiesa

Non bisogna credere, come pretendeva il cardinale Suenens alla fine del concilio Vaticano II, che l’attenzione verso l’opinione pubblica sia una novità nella Chiesa.
Romano Amerio dà una serie di esempii tratti dalla storia della Chiesa, cominciando dalla famosa formula degli Atti degli Apostoli: «E’ parso bene allo Spirito Santo e a noi» [7].
Amerio ricorda che a Parigi, nel XIII secolo, San Tommaso d’Aquino rispondeva alle domande teologiche della gente comune; e che nel XVII secolo, la gente comune si agitava pro o contro l’Immacolata Concezione, cacciando dai pulpiti chi vi si opponeva.

La novità è la nuova forza dell’opinione pubblica. Essa finisce con l’essere considerata pari, se non superiore, alla gerarchia. E così la Chiesa sinodale voluta da Francesco si allontana dalla Chiesa cattolica fondata da Nostro Signore.


La battaglia del Coetus

Le difficoltà poste da questa nuova concezione della Chiesa non lasciarono indifferenti i Padri conciliari. Padre Ralph Wiltgen valuta che quello sulla collegialità fu il dibattito più importante del Concilio. «La battaglia più importante e più drammatica nel Vaticano II non fu quella relativa alla libertà religiosa, che ebbe larga eco nella stampa, ma quella relativa alla collegialità, che si svolse in gran parte dietro le quinte» [8].

I membri del Coetus [9] furono particolarmente vigilanti su questo argomento.

Nella seconda sessione del Concilio, Mons. Lefebvre intervenne due volte di questo argomento nell’aula conciliare. In un’intervista rilasciata a padre Wiltgen il 15 ottobre 1963 [10], spiegò che vedeva le potenti conferenze episcopali come «una minaccia al magistero e alla responsabilità pastorale dei singoli vescovi». Infatti, «E’ molto difficile per un vescovo dissociarsi dalla posizione che è stata presa pubblicamente, e si trova semplicemente ridotto al silenzio». E ancora, parla di «un nuovo tipo di collettivismo che invadeva la Chiesa, [...] i vescovi perderebbero ogni iniziativa».

Alcuni giorni dopo, egli spiegò, non senza ironia: «Se in questo Concilio esso (il principio della collegialità giuridica) viene scoperto come per miracolo, [...] dobbiamo logicamente affermare, come fece quasi uno dei Padri: la Chiesa romana ha errato nell’ignorare il principio fondamentale della sua costituzione divina» [11].

Oggetto di accesi dibattiti nella seconda sessione del Concilio, il testo fu rivisto prima della terza sessione, ma senza tenere conto delle osservazioni del Coetus. Mons. Staffa e il Coetus ripresero la battaglia nella terza sessione e ottennero dal Papa Paolo VI l’aggiunta della famosa Nota explicativa prævia che richiama la dottrina tradizionale.

Mons. Tissier de Mallerais riassume: «L’azione del Coetus aveva salvato il primato del Pontefice romano da un pericolo mortale. La Nota stabiliva l’interpretazione del testo conciliare in un senso ristretto, accettato da Mons. Lefebvre accettò. Essa avrebbe fatto parte integrante della costituzione Lumen gentium, pur manifestando l’intrinseca debolezza di un testo che, senza di questa, rimaneva ancora più equivoco» [12].


Conclusione

La Chiesa sinodale di Francesco, che si vuole più conciliare della Chiesa conciliare, non può non inquietarci. Essa si allontana dalla costituzione della Chiesa come è stata fondata da Nostro Signore, e apre la porta allo spirito del mondo. Sotto il rifiuto del primato del romano Pontefice si nasconde malamente il rifiuto dell’autorità divina. Infatti, Nostro Signore ha fondato la chiesa su Pietro per trasmettere la fede e con durre le anime in Cielo. Non ha fondato un gruppo di discussione sull’avvenire del pianeta.


NOTE

1 – Costituzione Apostolica Sacræ disciplinæ leges, 25 gennaio 1983
2 - Mt 26, 56, citato da Raffard de Brienne in Il n’y a qu’un seul Dieu, Chiré, 2003, p. 209
3Mt. 16, 18.
4 - Iota unum, 1987, p. 431
5 – Id., p. 432
6 – Padre de la Morandais, de Saint-Méry, Paris, in L’Aurore del 2 ottobre 1979
7 - Atti 15, 28.
8Il Reno si getta nel Tevere, p. 224 del testo francese.
9 – Gruppo dei Padri conciliari che difendeva le tesi tradizionali al concilio Vaticano II.
10Il Reno si getta nel Tevere, p. 89 del testo francese.
11 – Mons. Lefebvre, Accuso il Concilio, p. 31
12 – Mons. Tissier de Mallerais, Mons. Marcel Lefebvre, Una vita, Ed. Tabula Fati, Chieti, p. 344.












ottobre 2023

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