Nuova statua di San Michele Arcangelo
nei giardini vaticani


di Belvecchio







Il 5 luglio del 2013 è stata inaugurata nei giardini vaticani una statua in bronzo di San Michele Arcangelo, alta 5 metri.
Il soggetto è quello classico, San Michele che trafigge il demonio sconfitto ai suoi piedi, ma alcuni elementi nuovi meritano di essere segnalati.

Insieme alla inaugurazione della statua, Papa Bergoglio ha consacrato a San Michele lo Stato della Città del Vaticano: «Nel consacrare lo Stato Città del Vaticano a San Michele Arcangelo, gli chiediamo che ci difenda dal Maligno e che lo getti fuori».
Quello che ci ha colpito è quel “lo getti fuori”, che sembra sancire un fatto assodato: il diavolo è dentro il Vaticano!
Sorpresa? Certo che no!
Poiché è scontato che finché Dio lo permetterà il diavolo continuerà a fare il suo dovere… di diavolo, lui, che in questo è più coerente degli uomini che eludono il proprio dovere… di uomini, e si prestano alle lusinghe dell’avversario… loro e di Dio.
E il diavolo farà questo suo dovere ovunque ci siano uomini disposti a farsi lusingare e ingannare, anche in Vaticano e anche con tanto di abito ecclesiastico addosso.

D’altronde, questo riconoscimento non è nuovo, già Paolo VI, nell’omelia per la Solennità dei Santi Pietro e Paolo, il 29 giugno 1972, aveva affermato che “da qualche fessura sia entrato il fumo di Satana nel tempio di Dio”, cosa che induce a chiedersi come sia possibile che, dopo 27 anni di pontificato del quasi santo Papa Wojtyla e dopo 8 anni di pontificato del magistrale teologo Papa Ratzinger, Satana sia ancora così ben istallato in Vaticano, da richiedere una ulteriore perorazione a San Michele, perché ci pensi lui… perché “lo getti fuori”.
La risposta, soprannaturale, potrebbe essere che, nonostante certe buone volontà, Satana continuerà a stare il mezzo a noi per indurci alla perdizione… finché Dio lo permetterà.
La risposta, naturale, è che fin quando gli uomini di Chiesa continueranno a bazzicare certe compagnie, fisiche e mentali: finché si compiaceranno di dialogare “teneramente”, come usa dire Papa Bergoglio, con i nemici della Chiesa e di Dio; finché si abbevereranno agli insegnamenti della filosofia moderna, che è atea e irreale; finché si ergeranno a proclamare il primato dell’uomo e della dignità umana, seppure ricordandosi di Dio; finché non verrà tagliato il cordone ombelicale che continua a nutrire la Gerarchia cattolica moderna con la linfa avariata del Vaticano II, Satana continuerà a sguazzare nel suo brodo, conquistando alla sua causa anche degli insospettabili, vestiti che siano di nero, di rosso o di bianco.

Proprio questa inaugurazione offre almeno due esempi di questo stato disastroso in cui versa la Gerarchia cattolica moderna.
Intanto si tratta della prima cerimonia pubblica del nuovo Papa, che però non riguarda il Papa di Roma, anzi il vescovo di Roma, come ama considerarsi Bergoglio, ma riguarda i Papi di Roma… di questa moderna Roma bicefala che richiama alla mente più un mostro mitologico che la Città Santa, la Caput Mundi… che da oggi dovrà essere chiamata, ufficialmente, papi volenti, Capita Mundi.



Entrambi seduti uno accanto all’altro, su due poltrone uguali, con due abiti uguali, salvo la mozzetta, insieme hanno ricevuto l’omaggio e l’indirizzo di saluto dei prelati e insieme si sono presentati al mondo perché si sapesse che a Roma le cose sono cambiate e di molto: da oggi i papi sono due.
Chi sa, anche marginalmente, di simbologia e di psicologia di massa, sa anche che quando due elementi pretendono di rappresentare una cosa unica, finiscono col non rappresentarne alcuna. È la logica elementare dell’unità che non può essere rappresentata dalla dualità e dalla molteplicità, perché entrambe queste ultime sono la negazione dell’unità:  come i due papi sono la negazione del papato.

Altro esempio del disastro lo si trova nella statua stessa. A fronte del soggetto classico, si scopre un San Michele Arcangelo dalle fattezze, non solo umane, ma di uomo vigoroso e ben fatto, secondo i canoni del moderno culto dell’uomo muscoloso e ultrapiacente. E per mettere bene in evidenza tutto questo, questa figura maschile è presentata nuda… a scanso di equivoci.
Pruriti moraleggianti? Certo che no! Sarebbe ridicolo!
Ma non si può far finta di niente quando di sente il cardinale Lajolo illustrare il significato della statua dicendo: Per questo l’arcangelo Michele è «qui raffigurato prendendo a prestito i tratti eroici di una figura umana, mentre Satana, da lui sconfitto, è rappresentato con una figura della medesima forma, ma rovesciata e deturpata, come conseguenza del peccato» (L’Osservatore Romano, 6 luglio 2013, p. 7).

È scontato che l’Arcangelo Michele non possa essere raffigurato se non prendendo a prestito la figura umana, cosa che peraltro è relativa alle stesse raffigurazioni di Dio (con grande scandalo degli iconoclasti e dei musulmani), ma questo non autorizza a prestare all’Arcangelo la mera umanità terrena in chiave superomista moderna, fino al punto di farne un moderno eroe dei fumetti.
Con la sua mancanza di richiami soprannaturali, tolte le ali, le fattezze ricordano il Davide di Michelangelo, e di conseguenza suscitano l’idea del combattimento naturale tra uomini, invece dell’idea del combattimento soprannaturale del bene contro il male.

Ora, la scelta superomista non è casuale, perché l’opera è stata commissionata dopo essere stata scelta con un concorso, ma ancor più non è casuale perché esprime, plasticamente, la concezione moderna che la Gerarchia conciliare ha dell’uomo e del suo rapporto con Dio. In effetti, questa statua, che dovrebbe raffigurare il “Principe delle Milizie Celesti”, è una raffigurazione plastica del culto dell’uomo, di paolina-sesta memoria:
«La religione del Dio che si è fatto Uomo s’è incontrata con la religione (perché tale è) dell’uomo che si fa Dio. Che cosa è avvenuto? uno scontro, una lotta, un anatema? poteva essere; ma non è avvenuto. […] Dategli merito [al Vaticano II] di questo almeno, voi umanisti moderni, rinunciatari alla trascendenza delle cose supreme, e riconoscerete il nostro nuovo umanesimo: anche noi, noi più di tutti, siamo i cultori dell’uomo.» (Paolo VI, Discorso di chiusura del Vaticano II, 7 dicembre 1965).

E il tandem Bergoglio- Ratzinger, dopo 48 anni, in tempo di cinquantennale del Concilio, nell’Anno della Fede, fanno apporre su questa statua i loro due stemmi, per sancire, in pena coscienza, la loro duplice continuità col Vaticano II, con Paolo VI, col culto dell’uomo… a maggior gloria dell’umano e a minor gloria di Dio.

Viva l’uomo, continua oggi a gridare il Vaticano II, “il quale in terra è la sola creatura che Iddio abbia voluto per se stessa (Gaudium et Spes, n° 24; Catechismo della Chiesa Cattolica, n° 356).





luglio 2013

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