I vescovi della “continuità” verbale ma non reale

Augustin Bea




Gli articoli dell'Autore sono reperibili sul suo sito
https://doncurzionitoglia.wordpress.com/







Nacque il 20 maggio del 1881 nel Baden in Germania. Venne orinato sacerdote nella Compagnia di Gesù nel 1912. Nel 1924 venne nominato professore di teologia biblica e di esegesi dell’Antico Testamento alla ‘Pontificia Università Gregoriana’. Nel 1930 divenne Rettore del ‘Pontificio Istituto Biblico’. Dal 1942 al 1954 fu confessore di Pio XII. Nel 1959 venne creato cardinale e nel 1960 venne nominato da Giovanni XXIII Presidente del ‘Segretariato per l’unità dei Cristiani’. Morì il 16 novembre 1968 a Roma (1).

La sua attività nel Concilio Vaticano II, durante il quale si avvalse della collaborazione teologica di mons. Johannes Willebrands, è legata soprattutto alla Dei verbum, alla Nostra aetate e alla Dignitatis humanae (2). Nel presente studio ci limitiamo alle altre sue prodezze. Si può dire che Bea è stato per Giovanni XXIII quello che Carlo Colombo è stato per Paolo VI: il confidente, il consigliere, l’amico fidato e il teologo privato (3).

La sua battaglia a favore della Gregoriana e del ‘Biblicum’, ove si riunivano i teologi progressisti, contro la ‘Lateranense’ di mons. Antonio Piolanti, ove risiedevano i teologi romani, è ben documentata da mons. Francesco Spadafora, La Tradizione contro il Concilio, (Roma, Volpe, 1989) e in Il postconcilio (Roma, Settimo Sigillo, 1991) (4).

Celebre è la sua battaglia per la “Libertà religiosa” (Dignitatis humanae) nella quale si scontrò col card. Ottaviani il 19 giugno del 1962, che era specialista in materia, avendo insegnato alla Lateranense ‘Diritto Pubblico Ecclesiastico’ per numerosi anni durante i quali pubblicò le famose Institutiones Juris Publici Ecclesiastici in 3 volumi (Roma, 1936) ed inoltre anche Doveri dello Stato cattolico verso la Religione (Città del Vaticano, Libreria del Pontificio Ateneo Lateranense, 2 marzo 1953), che assieme ai manuali di p. Felice Maria Cappello (1923), del card. Felice Cavagnis (1893) e del card. Camillo Tarquini (1862) sull’argomento dei rapporti tra Stato e Chiesa hanno fatto scuola dall’Ottocento sino al 1965.

Ottaviani difendeva la Tesi insegnata comunemente e ininterrottamente dai Padri ecclesiastici sino a Pio XII sull’unione di subordinazione dello Stato rispetto alla Chiesa, data la gerarchia del fine (naturale per lo Stato e soprannaturale per la Chiesa) (5). Mentre Bea presentò un documento (De Libertate religiosa) diametralmente opposto a quello del card. Ottaviani (De Tolerantia religiosa) e all’insegnamento comune e costante della Tradizione. Il 19 giugno del 1962 alla vigilia del Concilio (11 ottobre), durante l’ultima seduta della Commissione preparatoria, vi fu uno scontro verbale violento tra i due; mons. Marcel Lefebvre che assistette al duello narra: «il card. Ottaviani si alza e, segnandolo col dito, dice al card. Bea: “Eminenza, lei non aveva il diritto di fare questo schema, perché è uno schema teologico e dunque di pertinenza della Commissione di Teologia”. E il card. Bea alzandosi dice: “Scusi, avevo il diritto di fare questo schema come presidente della Commissione per l’Unità: se c’è una cosa che interessa l’unità è proprio la libertà religiosa”, e aggiunse rivolto al card. Ottaviani: “Mi oppongo radicalmente a quanto dite nel vostro schema De Tolerantia religiosa”» (6).

Papa Giovanni avocò a sé la questione dibattuta e permise allo schema di Bea di continuare il suo iter. Inoltre Giovanni XXIII, il 20 novembre del 1962 dopo la discussione e votazione sulle “Fonti della Rivelazione”, dietro richiesta di Frings concesse la deroga al regolamento del Concilio, che prevedeva i 2/3 dei voti per bocciare uno Schema della Commissione preparatoria e abbassò la quota al 50% più 1. Infatti, Roncalli «superando la lettera del Regolamento […], sbloccò una crisi estremamente complessa, decidendo che la votazione riguardante lo schema “De fontibus Revelationis”, che era stato elaborato in prospettiva interamente “romana”, equivaleva ad una respingimento del testo (20 novembre 1962). Qualche giorno dopo il Papa affidò la rielaborazione dello schema in questione a una commissione mista. […]. Con questa decisione papa Giovanni liberò il Concilio appena iniziato dalla duplice ipoteca che gli oratori della scuola romana avevano cercato d’imporre alla corrente maggioritaria: abolì il divieto di respingere gli schemi preparatori […], e inoltre tolse l’ipoteca del monopolio dottrinale che il card. Ottaviani non aveva mai cessato di reclamare per la propria commissione preparatoria» (7).

Questi due strappi alla regola fatti da papa Roncalli sono stati paragonati a quelli celeberrimi fatti da papa Montini (eletto il 21 giugno del 1963) il primo nell’8 novembre del 1963 alla richiesta del solito Frings assieme al suo teologo Joseph Ratzinger di non tener conto della bocciatura fatta dal S. Uffizio sulla dottrina della collegialità. E il secondo sulla “Libertà religiosa”, il 15 settembre del 1965, quando Paolo VI «spinto dalle insistenze di Bea, trasmise al Concilio un quesito che, ottenendo il 90% di voti favorevoli, salvò la libertà religiosa dall’impasse in cui rischiava di cadere. In una fase in cui il Concilio, o perlomeno la sua maggioranza, appariva del tutto incapace di decidere, la fermezza del card. Bea, unitamente alla volontà di Paolo VI, consentì di procedere e di arrivare a una votazione assembleare, la cui cruciale importanza è paragonabile a quella dell’intervento fatto da Giovanni XXIII nell’8 novembre del 1962 per permettere al progetto sulla Rivelazione di uscire da un “imbroglio” procedurale» (8).

Come si vede i vescovi e i teologi neo-modernisti hanno vinto in Concilio solo grazie all’appoggio di Giovanni XXIII e Paolo VI, senza i quali sarebbero stati bloccati. Comunque Grooaters spiega che «senza la presenza e l’azione di Bea il Concilio Vaticano II si sarebbe svolto in maniera diversa e non avrebbe conseguito i risultati raggiunti» (9) , ma omette di far rimarcare soprattutto la presenza e l’azione di papa Roncalli e Montini, che difesero i novatori e avversarono il S. Uffizio, il quale – come più volte aveva spiegato il card. Ottaviani – era la ‘Suprema Congregazione’ il cui Prefetto era il Papa e il cardinale ne era solo pro-Prefetto.

Quindi, gli schemi preparatori del Concilio, redatti in massima parte dal S. Uffizio (1960-1961) con il Papa quale Prefetto, e, che furono un’elaborazione dei quesiti spediti ai vescovi sparsi nel mondo ciascuno nella propria Diocesi, i quali risposero con circa 1. 900 “vota”, trasmettendo indicazioni in linea con il magistero tradizionale e la teologia scolastica e specialmente tomistica ufficiale, avevano già valore di ‘magistero ordinario universale’ (Papa tramite la Suprema Congregazione del S. Uffizio più Vescovi dispersi nel mondo, anche se non ancora riuniti in Concilio: magistero straordinario). Anzi gli schemi preparatori avendo valore dogmatico-morale erano dottrinalmente più sicuri e di valore magisteriale più alto del Concilio pastorale, che pur essendo ‘magistero straordinario’ non ha voluto essere dogmatico e quindi infallibile.

Lo stesso card. Ottaviani spiegò ciò che il Concilio avrebbe dovuto fare nella sua fase preparatoria: «difendere il deposito della Fede della Chiesa dalla minaccia dell’errore. I Concili dovevano essere difensivi e dogmatici; l’opera pastorale era per i vescovi e per i parroci e il loro compito era di applicare e realizzare le dottrine e le decisioni del Concilio» (10) . Ecco ben definita la pastoralità del Vaticano II: mettere in pratica le definizioni dogmatiche promulgate dal Concilio, da parte dei Vescovi ritornati nelle loro Diocesi e coadiuvati dai parroci.

Ora il Vaticano II, dopo il colpo di mano che annullò gli schemi preparatori dogmatici, stilati dal S. Uffizio con l’approvazione del Papa, si è definito solo pastorale ossia ha abbassato il suo livello e ruolo magisteriale verso ciò che avrebbero dovuto fare i vescovi nelle loro Diocesi, vale a dire mettere il pratica la dottrina del Concilio. Questa è l’anomalia originale del Vaticano II, aver rinunciato alla dogmaticità che è la natura del Concilio ecumenico (magistero straordinario) ed aver ripiegato al lavoro di applicazione pratica o pastorale nella vita dei fedeli, che è proprio del vescovo nella sua Diocesi.

La dottrina dei Vescovi novatori e anti-romani parlava di una sola fonte della Rivelazione: la S. Scrittura e ometteva la Tradizione. La dottrina delle due fonti era stata definita infallibilmente dal Concilio di Trento (sess. IV, DB 783) e dal Vaticano I (DB 1787), perciò il card. Alfredo Ottaviani per tre volte interruppe Bea in difesa dello schema preparatorio tradizionale mettendo in guardia i cardinali novatori «che stavano mettendo in pericolo la Fede» (11) .

Grooaters spiega e conferma che: «Il Papa sembrava avallare quegli innumerevoli schemi pre-conciliari che con il suo assenso furono stampati e inviati ai vescovi. […]. Le risposte inviate da quasi tutti i vescovi nel corso dell’indagine preparatoria non offrivano certo spunti per un profondo rinnovamento» (12). Ciò equivale a dire che l’episcopato universale sparso nel mondo aveva accettato la dottrina tradizionale degli schemi preparatori elaborati dal S. Uffizio, avallati da Giovanni XXIIII e inviati ai vescovi con il consenso del Papa.

Come vedremo oltre il card. Frings (con la consulenza del giovane teologo Joseph Ratzinger (13)), e i cardinali Bea, Döpfner, Alfrink, König, Léger (Canada), Liénart, Montini e Suenens (14) bloccarono e respinsero tali schemi e assieme ai teologi e vescovi modernisti rifecero il lavoro preparatorio dei dibattiti conciliari ex novo, elaborando una dottrina non solo nove sed nova. Tra questi cardinali solo Frings e Döpfner (sostenuti da Ratzinger e Rahner) votarono non placet, reclamando una revisione completa; mentre tutti gli altri placet iuxta modum (è approvata a condizione di essere corretta), indicando quali osservazioni dovessero essere tenute in conto per una revisione (15).


NOTE

1 - Cfr. AA. VV., Simposio cardinale Agostino Bea (16-19 dicembre 1981), Roma, Segretariato per l’Unità dei Cristiani, 1983; v. anche R. LAURENTIN, La mort du cardinal Bea, in Le Figaro, 18 novembre 1968; ST. SCHMIDT, Agostino Bea. Il cardinale dell’unità, Roma, Città Nuova, 1987.
2 - Cfr. A. BEA, La Chiesa e il popolo ebraico, Brescia, 1965.
3 - J. GROOTAERS, cit., p. 72 e 85.
4 - Cfr. PUL, Pontificia Università Lateranense. Profilo della sua storia, dei suoi maestri e dei suoi discepoli, Libreria Editrice Lateranense, Città del Vaticano, 1963; PH. CHENAUX, L’Università del Laterano, Roma-Milano, PUL-Mursia, 2001.
5 - Vedi inoltre l’intervento del card. A. Ottaviani del 23 settembre 1964, in A. S., lib. III, cap. 2, p. 283 e l’intervento del 17 settembre 1965 in A. S., lib. IV, cap. 1, p. 179. Ottaviani parlava di “tolleranza” delle false religioni, poiché solo il vero ha diritti, mentre Bea insisteva sulla “libertà” di tutte le religioni. Ora se vero e falso, male e bene hanno pari diritti, teoreticamente si nega la sinderesi (“malum vitandum, bonum faciendum”) e praticamente il principio di identità e non contraddizione, secondo il quale “il vero è il vero, il falso è il falso e il vero non è il falso”. “Cum negante principia nequit disputari”.
6 - M. LEFEBVRE, Il colpo da maestro di satana, Milano, Il Falco, 1978, pp. 13-14.
7 -  J. GROOTAERS, cit., p. 37; cfr. anche G. ALBERIGO, Jean XXIII et Vatican II, in “Jean XXIII devant l’histoire”, Parigi, 1989, p. 193-195.
8 - J. GROOTAERS, cit., p. 81; ID., Paul VI et la déclaration conciliaire “Dignitatis humanae”, in “Paolo VI e il rapporto Chiesa-Mondo al Concilio”, Brescia, 1991, pp. 102-104.
9 -  J. GROOTAERS, cit., p. 83.
10 -  G. ALBERIGO (diretta da), Storia del Concilio Vaticano II. Il cattolicesimo verso una nuova stagione. L’annuncio e la preparazione, gennaio 1959-settembre 1962, Bologna, Il Mulino, 1995, vol. I, p. 325.
11 -  G. ALBERIGO (diretta da), Storia del Concilio Vaticano II. Il cattolicesimo verso una nuova stagione. L’annuncio e la preparazione, gennaio 1959-settembre 1962, Bologna, Il Mulino, 1995, vol. I, p. 327.
12 - J. GROOATERS, cit., pp. 26 e 28.
13 - Il giorno prima dell’inizio del Concilio «Il 10 ottobre 1962 i vescovi tedeschi si riunirono. […]. Nella prima assemblea dei vescovi tedeschi il prof. J. RATZINGER tenne una relazione sullo Schema constitutionis dogmaticae de fontibus Revelationis» (G. ALBERIGO, cit., p. 517).
14 -  G. ALBERIGO (diretta da), Storia del Concilio Vaticano II. Il cattolicesimo verso una nuova stagione. L’annuncio e la preparazione, gennaio 1959-settembre 1962, Bologna, Il Mulino, 1995, vol. I, p. 325. 
15 -  Cfr. G. ALBERIGO (diretta da), Storia del Concilio Vaticano II. Il cattolicesimo verso una nuova stagione. L’annuncio e la preparazione, gennaio 1959-settembre 1962, Bologna, Il Mulino, 1995, vol. I, p. 327.



 
gennaio 2024
AL SOMMARIO ARTICOLI DIVERSI