I vescovi della “continuità” verbale ma non reale

Gabriel-Marie Garrone




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Nacque il 12 ottobre del 1901 ad Aix-les-Bains (Chambéry). Nel 1925 fu ordinato sacerdote e iniziò a insegnare al Seminario maggiore di Chambéry. Nel 1947 fu nominato coadiutore con diritto di successione dell’arcivescovo di Tolosa card. Saliège. Nel 1956 divenne arcivescovo di Tolosa. Nel 1967 venne creato cardinale, dal 1966 al 1980 Prefetto della ‘Congregazione dei Seminari e Studi’ (1), che ha quasi totalmente distrutti. Il 15 gennaio del 1994 morì a Roma a 94 anni.

Il suo cavallo di battaglia al Concilio è stato la ‘collegialità episcopale’ (2), per la quale si avvalse della consulenza di Jean Daniélou.

Dette il suo contributo anche alla Dei verbum, sostenendo la Scrittura come unica fonte della Rivelazione, e mettendo da parte la Tradizione.

Appoggiò la mozione del minimalismo mariano propria del card. Frings coadiuvato dal suo teologo Joseph Ratzinger di accorpare lo schema sulla “Beata Maria Vergine” (Mater Ecclesiae) alla Costituzione sulla Chiesa (3) (Lumen gentium) e di non farne un Documento “massimalista” a parte, rendendo, così, lo Schema sulla Madonna troppo importante e ponendo, in tal modo, una pietra d’inciampo nel cammino ecumenico con i protestanti.

Infine, Garrone, d’accordo con Paolo VI, «riuscì a bloccare la duplice offensiva [che chiedeva] di condannare formalmente il comunismo, […] e la mozione del card. Spellman, arcivescovo di New York, per respingere il n° 80 dello schema XIII, che sembrava condannare come immorale il possesso delle armi nucleari [anche come deterrenti e difensive]. È ben riconoscibile in tutto questo la linea di condotta, morbida ma nel contempo decisa, di Paolo VI» (4).  

Grooaters conclude questo capitolo scritto nel 1993, anticipando di 12 anni Benedetto XVI (Discorso alla Curia del 22 dicembre 2005), scrivendo: «È dunque con il senso della continuità che mons. Garrone visse il Vaticano II» (5). Figuriamoci cosa avrebbe fatto se lo avesse vissuto in “spirito di discontinuità”!

La realtà è che la continuità apparente del Vaticano II è rottura reale. Mentre i neo-modernisti nella realtà innovavano e cambiavano la dottrina in senso eterogeneo, dicevano che essa era in continuità con la Tradizione e il magistero costante della Chiesa.

Fu anche un abile meditare e diplomatico. Infatti, quando l’8 novembre del 1963 vi fu il celebre scontro tra Frings e Ottaviani sui metodi del S. Uffizio, che erano ritenuti erronei da Frings e dal suo Teologo Joseph Ratzinger, dando l’impressione di voler contestare l’autorità del Papa stesso che, allora, era il Prefetto del S. Uffizio mentre il cardinale Ottaviani era solo il pro-Prefetto, Lercaro e Garrone fecero un intervento «“modesto e discreto, ma acuto e deciso” (secondo il giudizio di p. Congar), che seppe calmare gli animi e riportare a galla la fragile barca del Vaticano II, che si era venuta improvvisamente a trovare in un pericoloso passaggio. Si trattava di salvaguardare la dignità del Concilio, ma anche le prerogative del Papa» (6).





NOTE

1 -  Era la prima volta che un vescovo non italiano assumeva un incarico di così grande responsabilità nella Curia romana. Tale nomina avvenuta nel 1966 era legata all’intervento sulla necessità di aggiornare la formazione dei seminaristi che Garrone fece nel novembre del 1963 in Concilio, vedi Acta. Synodalia, vol. III, cap. VIII, p. 49.
2 - A. S., vol. II, cap. IV, p. 361.
3A. S., vol. III, cap. I, p. 495.
4 - J. GROOATERS, cit., p. 142; cfr. Documentation catholique, n° 63, 1966, pp. 361-365; A. S., vol. IV, cap. VII, p. 101.
5J. GROOTAERS, cit. p. 143.
6G. ALBERIGO, Breve storia del Concilio Vaticano II, Bologna, Il Mulino, 2005, p. 128.




 
gennaio 2024
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