Il mondo si precipita verso la sua rovina,

che dobbiamo fare?


Articolo di Don Benoît de Jorna, FSSPX



Pubblicato sul sito francese della Fraternità San Pio X

La Porte latine





Statua di San Paolo,
davanti alla Basilica di San Paolo fuori le mura



E’ innegabile che i tempi sono per lo meno travagliati. Il disordine è nelle strade come gli spiriti. Noi siamo civilmente invitati a vivere in conformità con un’idea precisa dell’uomo e della storia, su cui ormai si deve costruire la società di oggi e quella di domani. I criteri del bello non sono più quelli che potevano ammirare nelle costruzioni del passato. La verità non deve più pretendere di trascendere le opinioni di ciascuno e di appoggiarsi sulle regole del buon senso. Il bene non è più una morale la cui quintessenza è riassunta nei dieci Comandamenti.
Questi tre criteri non hanno più corso nella vita sociale e spariscono nella vita privata: essi non devono più guidare i cittadini nella loro ricerca di una condotta conforme alla natura di cui Dio è l’Autore, e ancor meno disporre alla ricerca di una vita soprannaturale il cui modello e la fonte è Gesù Cristo.

La vita sociale è organizzata perché non vi siano più né il bello, né il vero, né il bene.
Il wokismo, il comunitarismo, il femminismo, l’antispecismo vi contribuiscono largamente, col gran sostegno della pubblicità. Il passato è raso al suolo e la storia è riscritta. La nostra società vive, in maniera deliberata, cambiamenti radicali e rapidi.
Non vi sono più eroi ai quali ispirarsi, modelli a cui riferirsi.
Volontariamente, la nostra vita civile è stata ridotta ad una grande impresa economica che avvantaggia i ricchi e impoverisce i poveri; non ha più una dimensione politica, orientata verso il desiderio di un bene comune virtuoso; non è più fondata nella permanenza dei princípi perenni; essa consiste nel movimento. Gli uomini si succedono, senza legami, attori di una vasta fabbrica di prodotti virtuali.

Sotto i nostri occhi, e nostro malgrado, la vita civile lotta contro Dio, fonte e fine di tutti gli esseri. Sottomettere la religione al regime economico che governa significa semplicemente promuovere un secolarismo combattivo e totalitario.

Disgraziatamente, il concilio Vaticano II ha stabilito il precetto di scrutare i segni dei tempi. E la Chiesa conciliare si sta buttando a capofitto nelle stesse follie.
Romano Amerio, nella sua famosa opera Iota Unum, fustigava a giusto titolo questo nuovo cristianesimo: «La Chiesa sembra temere di essere rigettata, poiché è positivamente rifiutata da una grande parte del genere umano. Così cerca di scolorire le proprie caratteristiche meritorie e di colorare per contrasto le caratteristiche che ha in comune con il mondo: tutte le cause legali da essa sostenute hanno l’appoggio della Chiesa. Ella offre al mondo i suoi servizi e cerca di assumere la guida del progresso umano. Ho dato a questa tendenza il nome di cristianesimo secondario».

Di fronte di questo pericolo, la fermezza cattolica è stata sempre la nostra salvezza e spetta a noi, in modo particolare, che essa continui ad esserlo. Ma dobbiamo avere un ardore invincibile nel cuore, la fede nella Santa Chiesa deve sempre animarci e dobbiamo essere animati dalla bella virtù teologica della speranza.

Per il momento dobbiamo sopportare molte prove e difficoltà; dobbiamo attraversare questo mondo corrotto: «Nostro Signore Gesù Cristo ha dato se stesso per i nostri peccati, per strapparci da questo mondo perverso» (Lettera ai Galati 1, 4). Poiché il secolo fa di tutto per farci fallire: ci offre tutte le turpitudini che favoriscono la caduta. Questo mondo decadente ci sconvolge e allo stesso tempo attrae fortemente la nostra concupiscenza. È quindi necessario attraversarlo perché, come cristiani, attendiamo fermamente la risurrezione e la vita eterna.
Che grazia incredibile è oggi poter cogliere questa felicità futura alla fine di una vita effimera!

Dobbiamo attendere, ma soprattutto sperare, «Poiché nella speranza noi siamo stati salvati. Ora, ciò che si spera, se visto, non è più speranza» (Lettera ai Romani 8, 24).
In tutte le sue lettere, San Paolo ci incita a sperare la gloria futura. Ci invita ad attendere pazientemente nello scorrere del tempo la redenzione completa e definitiva. «La tribolazione, l’angoscia, la persecuzione, la fame, la nudità, il pericolo, la spada» (ibid. 35) non possono fermare il cristiano.
E la forza data dalla speranza teologale consiste proprio nel non considerare la turpitudine attuale come un ostacolo, ma invece come una prova purificatrice che attesta la nostra fermezza sulla strada dell’eterna felicità. E’ per questo che San Paolo arriva a dire: «noi ci vantiamo anche nelle tribolazioni, ben sapendo che la tribolazione produce la pazienza, la pazienza è una virtù provata e la virtù confermata, la speranza» (Lettera ai Romani 5, 3-4).

«Dio ha scelto ciò che nel mondo è stolto per confondere i sapienti, Dio ha scelto ciò che nel mondo è debole per confondere i forti» (Prima lettera ai Corinti 1, 27).
Noi sappiamo infatti che la nostra forza è in Gesù Cristo e la nostra lotta è una partecipazione alla Sua. In questo mondo malvagio, la speranza è una consolazione, ma anche una gioia, perché attesta che verremo cinti da una corona di gloria.




 
gennaio 2024
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