I vescovi della “rottura” sia nelle parole sia nei fatti:

verso Bergoglio e il Vaticano III?


Léon-Joseph Suenens




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Nacque il 16 luglio del 1904 a Ixelles provincia di Bruxelles. Studiò al seminario di Malines e al Collegio belga di Roma. La sua formazione intellettuale fu fortemente influenzata dal card. Mercier (un tomista tendenzialmente e moderatamente “trascendentale”, che avrebbe voluto coniugare il tomismo con il kantismo) e di dom Beauduin, il pioniere dell’ecumenismo e della riforma liturgica e infine dai, tristemente famosi, padri Congar e Chenu.

Già nel 1958 mons. Suenens propose una serie d’incontri sulla questione del controllo delle nascite (1), il suo libro Amore e padronanza di sé fu tradotto in italiano nel 1961 e accompagnato da una prefazione di mons. Carlo Colombo (“aperto” de facto, anche se “conservatore” de jure).

Nel 1927 venne ordinato sacerdote. Insegnò filosofia morale e gnoseologia presso il Seminario di Malines. Nel 1940 venne nominato vice-rettore dell’Università Cattolica di Lovanio ove suo teologo fu mons. Gerard Philips dell’Università di Lovanio, che lo seguì anche in Concilio.

Tra il 1940 e il 1945 pubblicò numerosi articoli sul rinnovamento liturgico, ecumenico ed ecclesiologico. Nel 1945 venne consacrato vescovo di Isinda e ausiliare di Malines. Nel 1960 partecipò ai lavori preparatori del Concilio. Nel 1961 fu nominato arcivescovo di Malines-Bruxelles e subito dopo cardinale.

Durante il Concilio, ove strinse una forte amicizia d’intenti con l’arcivescovo brasiliano Helder Câmara, che fu il suo mentore, Paolo VI lo nominò “moderatore” dei lavori conciliari assieme a Lercaro, Döpfner e il conservatore Agagianan.

Nel post-concilio si mise a capo del movimento carismatico. Grooaters ci spiega che «l’importanza del contributo dato da Suenens al Concilio è stata giudicata da alcuni superiore a quella di qualsiasi altro padre conciliare. […]. Suenens, infatti, seppe spesso determinare l’ordine dei lavori da seguire senza dover ricorrere a dichiarazioni in assemblea plenaria. […]. Si può dunque affermare che l’influenza “occulta” di Suenens [e soprattutto di Câmara] sugli orientamenti generali del Concilio fu considerevole» (2).

Tra Giovanni XXIII e Suenens nacque una «straordinaria amicizia» (3), che continuò poi con Paolo VI, tramite mons. Carlo Colombo (il terzo “occulto”). Egli pronunciò un discorso sulle aspettative del Concilio il 4 dicembre 1962, che era stato fatto leggere a Giovanni XXIII la sera prima e che venne pienamente approvato da lui e da alcuni cardinali amici come Montini, Lercaro, Döpfner (4).

Tuttavia il 29 settembre 1965 parlando sul tema del matrimonio Suenens usò dei termini molto e troppo avanzati, che gli costarono una «denuncia al S. Uffizio e il malumore di Paolo VI. […]. La libertà di parola con cui Suenens era intervenuto in questo dibattito spiacque profondamente al Papa e sembra che abbia gettato un’ombra destinata a durare a lungo sull’amicizia di Paolo VI e l’impetuoso cardinale» (5).

Costoro a differenza di Montini e Ratzinger non capirono che “l’estremismo è la malattia infantile e senile del progressismo”.

Egli fu anche il paladino del “diaconato permanente” da conferirsi a persone coniugate o “diaconato uxorato”. La sua opera durante il Concilio è stata giudicata teologicamente superficiale (sviluppava idee senza approfondirle e chi le lanciava in maniera ancora più occulta di Suenens era Câmara), ma ricca di forza e chiarezza che soggiogava l’assise.




NOTE

1 - È celebre la battuta, a proposito di queste sue teorie, del card. Ottaviani: «se la madre di Suenens avesse preso la pillola avrebbe fatto peccato, ma non avrebbe fatto un soldo di danno».
2 - J. GROOATERS, cit., p. 231.
3 - J. GROOTAERS, cit., p. 234.
4 -  J. GROOATERS, cit., p. 235.
5 - J. GROOATERS, cit., p. 240, nota 22.





 
gennaio 2024
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