A proposito del popolo ebraico

nei suoi rapporti col cristianesimo


Con questo titolo, che è nostro, pubblichiamo tre articoli di Don Jean-Michel Gleize, FSSPX, che costituiscono un unico saggio sullo stato del popolo ebraico in relazione col cristianesimo.


Secondo articolo

Un popolo sempre eletto?



Articolo di Don Jean-Michel Gleize, FSSPX

Primo articolo - Il popolo eletto
Secondo articolo - Un popolo sempre eletto?
Terzo articolo - Il segno di contraddizione



Pubblicato sul n° 675 del Courrier de Rome, maggio 2024










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Una difficoltà non risolta


1. Come ha sottolineato il Papa emerito Benedetto XVI, «la tesi secondo la quale l’Alleanza di Dio con Israele, suo popolo, perdura e non è mai stata revocata, non figura esplicitamente in Nostra Aetate, ma è stata pronunciata per la prima volta da Giovanni Paolo II a Magonza [Germania] il 17 novembre 1980. In seguito è stata integrata nel Catechismo della Chiesa cattolica (n° 121) e dunque in un certo modo fa parte della attuale dottrina della Chiesa cattolica» (1).

2. L’insegnamento esplicito di Giovanni Paolo II è il seguente: «l’incontro tra il popolo di Dio dell’Antica Alleanza che Dio non ha mai revocata (Romani XI, 29), e il popolo della Nuova Alleanza è allo stesso tempo un dialogo interno alla nostra Chiesa, che si svolge per così dire tra la prima e la seconda parte della Bibbia» (2).
L’insegnamento del Catechismo è il seguente: «L’Antico Testamento è una parte ineliminabile della Sacra Scrittura. I suoi libri sono divinamente ispirati e conservano un valore perenne (Cfr. Dei Verbum, 14) poiché l’Antica Alleanza non è mai stata revocata».

3. Ma al di là di questa idea della permanenza dell’Antica Alleanza, legata al valore perenne dei libri ispirati, è evocata soprattutto l’idea del valore permanente del popolo ebraico e della sua religione nell’ordine della salvezza.
Giovanni Paolo II l’ha affermato a tre riprese. La prima volta nel discorso alla comunità ebraica di Magonza, già citato: il giudaismo attuale – ha detto – continua ad essere «il popolo di Dio dell’Antica Alleanza, Alleanza che non è mai stata revocata».
La seconda volta nel discorso alla sinagoga di Roma nel 1986: «La religione ebraica non ci è estrinseca, ma in certo modo essa è intrinseca nella nostra religione; noi abbiamo quindi con essa dei rapporti che non abbiamo con nessun’altra religione» (3).
La terza volta in una lettera inviata al Gran Rabbino di Roma nel 2004: «Voi continuate ad essere il popolo primogenito dell’Alleanza» (4).

4. E’ importante non fraintendere il vero significato di queste dichiarazioni di Giovanni Paolo II, che saranno poi riprese dai suoi successori.
Come in ogni logica che si rispetti, il significato di un enunciato deriva dall’attribuzione di un predicato a un soggetto. Ogni enunciato consiste nel parlare di qualcosa (il soggetto) per dire qualcosa su di esso (il predicato).
Di cosa parla Giovanni Paolo II? Qui il Papa polacco non evoca solo «il popolo di Dio dell’Antica Alleanza» o «l’Antico Testamento». Egli parla precisamente – ed è il soggetto logico del suo enunciato – del «giudaismo attuale», della «religione ebraica» e – con l’uso del pronome «voi» - degli Ebrei di cui il Gran Rabbino di Roma è attualmente il capo religioso.
E il predecessore di Benedetto XVI parla di questo soggetto logico per dire – ed è il predicato del suo enunciato – che esso è sempre, anche attualmente, «il popolo dell’Antica Alleanza» e come tale costituisce «una religione intrinseca alla religione cristiana» e che si identifica col «popolo della prima Alleanza».
Quindi, qui è enunciata una identità formale tra il giudaismo prima di Cristo e il giudaismo dopo Cristo, e come conseguenza di questa identità, il valore permanente dell’Antica Alleanza «mai revocata».

5. Tuttavia, la Lettera di San Paolo agli Ebrei – divinamente ispirata e anch’essa con valore permanente – sembra provare la definitiva abrogazione dell’Antica Alleanza.
Al capitolo VII, versetto 12, San Paolo afferma infatti che il cambiamento dell’Alleanza è la conseguenza del cambiamento del sacerdozio e del sacrificio. Al versetto 18 dello stesso capitolo egli dice anche che questo cambiamento si spiega col fatto che il sacerdozio della vecchia legge non serve ormai più a niente; incapace di santificare da sé, esso poteva solo far conoscere in anticipo il vero sacerdozio che avrebbe avuto il potere di santificare. Allorché quest’ultimo sopraggiunge, l’antico sacerdozio è abrogato.
Infine, al versetto 13 del capitolo VIII, San Paolo dice che le espressioni di cui si serve la Rivelazione indicano chiaramente tale abrogazione. Infatti, l’Alleanza di Mosè è chiamata «antica» Alleanza e l’Alleanza del Vangelo è chiamata «nuova» Alleanza.
Ora, la relazione tra l’antica e nuova è la relazione di ciò che è abrogato e ciò che lo sostituisce.
Vi è dunque una contraddizione manifesta fra ciò che scrive San Paolo: l’antica Alleanza è abrogata; e ciò che afferma Giovanni Paolo II: l’antica Alleanza non è stata abrogata.

6. D’altra parte, il santo concilio ecumenico di Firenze, ci impone di credere che «le prescrizioni legali dell’Antico Testamento, in quanto istituite per significare qualcosa di futuro, benché a quel tempo fossero adattate al culto divino, una volta venuto Nostro Signore Gesù Cristo, che da esse era significato, sono annullate» (5).
Ora, l’Antica Alleanza consiste essenzialmente in queste prescrizioni legali, ed è per questo che sono annullate dopo la venuta di Cristo.

7. Infine, è opportuno anche ricordare qual è che il vero significato che la dottrina cattolica ha sempre dato a queste espressioni problematiche di «giudaismo» o di «religione ebraica» o di «Giudei».
Per «giudaismo» o per «Giudei» si può intendere: in primo luogo, una realtà etnica e sociologica, la realtà del popolo ebraico, che rimane unicamente una razza e un’entità politica, prima e dopo Cristo; in secondo luogo – ed è anche il significato della religione ebraica – la religione dell’Antico Testamento; in terzo luogo – ed è anche il significato possibile della «religione ebraica» - la nuova religione apparsa quando i capi religiosi hanno rifiutato Cristo e con Lui la religione del Nuovo Testamento, che doveva succedere a quella dell’Antico Testamento di cui era il compimento.
Al concilio Vaticano II, Mons. de Castro Mayer (6) fece notare che i Giudei di oggi non sono il popolo dell’Antica Alleanza, poiché rifiutano Cristo, che era la ragion d’essere di tale Alleanza. Non si può dunque parlare allo stesso modo, come se fossero due realtà identiche, di «Giudei» fedeli a Dio e al Messia futuro, prima dell’incarnazione, e di «Giudei» del nostro tempo. I «Giudei» del nostro tempo sono i successori di quelli che hanno consegnato Cristo alla morte e che hanno abbandonato la giustizia con l’indurimento del loro cuore (7) e non sono i successori dei «Giudei» della prima Alleanza.
La missione affidata temporaneamente ai Giudei di questa Antica Alleanza continua ormai fino alla fine dei secoli nella nuova e seconda Alleanza, con la Chiesa fondata da Gesù Cristo, il vero Messia annunciato nelle Scritture.
I Giudei che rifiutano di riconoscere Cristo come il Messia e si ostinano a voler rimanere il vero Popolo di Dio dell’Antica Alleanza, ormai abrogata, costituiscono una nuova religione opposta alla religione cristiana fondata da Gesù Cristo, la quale è la sola a compiere ormai e a continuare la religione dell’Antica Alleanza.

8. Le affermazioni di Giovanni Paolo II sembrano dunque assai difficilmente conciliabili con quelle di San Paolo nella Lettera agli Ebrei, con quelle del Concilio di Firenze, con quelle della dottrina cattolica, come le ricordava anche, al Vaticano II, uno dei Padri del Coetus internationalis Patrum.
E questo costituisce una seria difficoltà. La soluzione passa per una comprensione approfondita della nozione di Alleanza, come ce l’ha fatta conoscere la teologia in dipendenza della Rivelazione divina.


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Una doppia «Alleanza»: in che senso?

9. San Tommaso (8) spiega che Dio conclude una «alleanza» con gli uomini quando dà agli uomini, oltre alla legge naturale,  una legge speciale, una legge comunicata con la Rivelazione, come fece dando a Mosè l’antica legge del popolo ebraico o dando agli Apostoli, tramite Cristo, la nuova legge del Vangelo. Questa legge divina rivelata è resa necessaria nello stato concreto della natura umana, in cui Dio vuol dare agli uomini la conoscenza del loro destino eterno e dei mezzi che vi conducono (9).

10. E in questa «alleanza», Dio ha voluto distinguere due tappe. Così che attraverso queste due tappe vi è in un certo senso una sola «alleanza» non revocata. In questo modo la legge divina è una nella sua definizione essenziale, che deriva dal suo scopo. Ma vi è una distinzione e una dualità, a seconda del grado di perfezione che questa legge comunica agli uomini. La legge divina, e con essa l’alleanza, si divide in due tappe: una tappa imperfetta e una tappa perfetta. In un altro senso vi sono dunque due «alleanze».
Dice il dottore angelico: «Le cose si possono distinguere in due modi. Il primo è quello che riguarda le cose totalmente diversificate per la loro specie, come il cavallo e il bue. Il secondo è quello che riguarda ciò che è perfetto e ciò che è imperfetto nella stessa specie, come l’uomo e il bambino. E’ così che la legge divina si divide in legge antica e legge nuova. Ecco perché nella lettera ai Galati, capitolo III, versetto 24, San Paolo paragona lo stato della legge antica a quello di un bambino che si trova ancora soggetto al suo sorvegliante, mentre paragona lo stato della legge nuova a quello di un uomo perfetto che non è più sotto la tutela del sorvegliante» (10).

11. la ragione fondamentale di questa imperfezione della prima Alleanza è che la legge antica doveva dare la salvezza solo come promessa e in figura e non nella realtà. In tal modo, la prima Alleanza era un’economia essenzialmente provvisoria, tutta protesa verso un avvenimento che, realizzando la sua aspettativa, l’avrebbe resa inutile. Con l’avvento di Cristo, la prima Alleanza doveva essere revocata, nel senso che tutto quello che in essa era preparazione andava a scomparire davanti al suo compimento.


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Il popolo eletto

12. Nel disegno provvidenziale di Dio c’è dunque stato un popolo eletto; infatti, noi troviamo all’origine del popolo ebraico una famiglia, in cui capo, Abramo, è chiamato da Dio per fare un’alleanza con Lui e la cui discendenza doveva diventare un popolo di origine soprannaturale, il popolo di Dio, eletto per dare il principio della salvezza al resto dell’umanità (11).

13. Questo punto d’altronde è stato messo in evidenza dallo stesso Papa Giovanni Paolo II. Egli dice: «All’origine di questo piccolo popolo posto in mezzo ai grandi imperi di religione pagana che lo superavano per la brillantezza della loro cultura, vi è il fatto dell’elezione divina. Questo popolo è chiamato e condotto da Dio, Creatore del cielo e della terra. La sua esistenza non è stata quindi un semplice fatto naturale o culturale, nel senso che con la cultura l’uomo dispiega le risorse della propria natura. Tale esistenza è un fatto soprannaturale. […] E’ per questo che chi considera il fatto che Gesù fosse ebreo e che il suo ambiente fosse il mondo ebraico, come dei semplici fatti culturali contingenti ai quali sarebbe possibile sostituire un’altra tradizione religiosa da cui potrebbe essere staccata la persona del Signore senza che essa perda la sua identità, non solo misconosce il significato della storia della salvezza, ma più radicalmente attacca la stessa verità dell’Incarnazione» (12).
Non è dunque su questo punto che la teologia del Papa polacco potrebbe suscitare eventuali riserve. Al contrario, noi troviamo qui l’espressione del pensiero tradizionale della Chiesa, così come si trova esposto nel libro di Padre Julio Meinvielle: Le Judaïsme dans le mystère de l’histoire o nel libro del cardinale Charles Journet: Destinées d’Israël - A propos du salut par les juifs.


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Il popolo un tempo eletto

14. Ma la verità è anche che questa elezione divina del popolo ebraico non è solamente cessata, come avrebbe dovuto cessare in un modo o in un altro; essa è andata perduta, poiché è cessata in una circostanza molto precisa e cioè l’infedeltà del popolo ebraico.
Tuttavia, questa infedeltà fu solo la circostanza - o l’occasione -  della cessazione dell’elezione. La vera causa, necessaria e sufficiente, di questa cessazione fu un’altra e fu l’avvento stesso di Cristo.

15. L’elezione doveva cessare perché la sua ragion d’essere, propria e immediata, era la Promessa fatta da Dio al popolo ebraico. Ora, una promessa è per definizione qualcosa di provvisorio, che cessa quando la cosa promessa avviene. L’Antica Alleanza è dunque cessata, e con essa l’elezione del popolo ebraico, quando ha avuto compimento la Promessa per il fatto stesso della sua realizzazione. Ora, la realizzazione della Promessa è costituita dalla venuta di Cristo. Infatti, essa era quella di una posterità nella quale tutte le nazioni sarebbero state benedette.
L’espressione di questa Promessa si trova nel capitolo XXII del libro della Genesi, ai versetti 16-18. La sua spiegazione si trova nel capitolo III della Lettera di San Paolo ai Galati, al versetto 16. I Padri della Chiesa e San Tommaso ne hanno esplicitato il significato (13): si tratta della promessa della Chiesa, Corpo Mistico di Cristo, nel suo capo e nelle sue membra. La realizzazione di questa promessa, con la venuta di Cristo e con la Chiesa, implica dunque la conseguenza della cessazione dell’Antica Alleanza, e con essa la cessazione del legame formale che costituiva fino ad allora il popolo eletto in quanto tale, qualunque cosa si possa dire degli individui che materialmente costituiscono questo popolo, e che possono ostinarsi ad osservare la Legge ormai abrogata.

16. Sottolineiamo questo punto importante: la cessazione dell’Antica Alleanza e dell’elezione del popolo ebraico sono formalmente indipendenti dall’attitudine adottata dai Giudei nei confronti di Gesù di Nazareth. Questa attitudine fu quella di un rigetto e di una infedeltà accompagnate dal deicidio. Ma questo rigetto fu solo una circostanza che ha accompagnato la cessazione dell’Alleanza e della elezione, non la loro vera causa. La causa fu la venuta di Cristo, compimento della Promessa. Non basta negare l’infedeltà del popolo ebraico per poter negare che l’Antica Alleanza sia stata revocata ed affermare che il giudaismo attuale continua ad essere il popolo dell’Antica Alleanza, il popolo eletto di Dio. L’Alleanza e la elezione sono cessate svanendo davanti a Cristo, come la promessa al momento della sua realizzazione o come la figura davanti alla realtà figurata.

17. D’altronde, ecco perché i Papi, nelle espressioni che hanno usate, hanno avuto cura di riferirsi a questa cessazione della elezione, tanto quanto, se non più, all’infedeltà o al deicidio. Infatti, essi parlano del popolo ebraico come del popolo «un tempo eletto».
Per esempio, condannando l’antisemitismo, il vecchio Sant’Uffizio lo ha precisamente definito come «l’odio per la razza un tempo eletta da Dio (14); e la liturgia del Venerdì Santo parla del popolo ebraico come «quello che un tempo è stato il vostro popolo eletto».
Il Papa emerito Benedetto XVI l’ha testimoniato anche lui, quando ha scritto falsamente contro questa dottrina tradizionale ancora ricordata dal suo predecessore Leone XIII nell’Atto di consacrazione dell’11 giugno 1899. Egli ha scritto: «La teoria della sostituzione che finora ha dominato il pensiero teologico su questa questione è da rigettare. Questa teoria dice che dopo aver rifiutato Gesù, Israele ha cessato di essere il portatore delle promesse di Dio, così che ormai può essere designato come “il popolo che fu per lungo tempo eletto” (Preghiera per la consacrazione del genere umano al Sacro Cuore di Gesù)» (15).


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Il nuovo vademecum dei vescovi francesi

18. L’opera elaborata sotto la direzione dei vescovi di Francia e intitolata «Déconstruire l’antijudaïsme chrétien» condensa nei suoi venti capitoli il rinnegamento esplicito e assoluto della dottrina tradizionale della Chiesa (16). I due punti culminanti di questo rinnegamento sono formulati in due capitoli: il 6 e il 19.
L’antica e prima Alleanza non è stata revocata (capitolo 6) e il cristianesimo non si è sostituito al giudaismo (capitolo 19).
«Molti hanno pensato», precisa questo capitolo 19, «che il giudaismo, dopo Gesù, abbia perduto tutto il significato storico e religioso, come se Cristo vi avesse messo fine. Questo è ciò che oggi si chiama teoria della sostituzione» (17).
Che ne dice la Chiesa oggi? «Fondamento dell’antigiudaismo cristiano, la teoria della sostituzione è denunciata con forza dalla Chiesa a partire dal Vaticano II» (18).  A scanso di equivoci, il testo ha cura di precisare alcune righe dopo: «Il giudaismo deve essere considerato dai cristiani come una realtà non solo sociale e storica, ma soprattutto religiosa: non come una reliquia di un passato venerabile e superato, ma come una realtà viva nel tempo» (19).
E in linea logica con tutto il resto dell’opera, il capitolo 9, intitolato «L’antigiudaismo» denuncia tutti i falsi luoghi comuni che possono aver alimentato l’ostilità dei cristiani verso gli ebrei e contribuito alla Shoah. Tra questi luoghi comuni comunemente diffusi figura l’idea secondo la quale «gli ebrei sono privati della loro elezione» (20). E qui si ritorna esattamente alle dichiarazioni di Giovanni Paolo II segnalate prima (21): il giudaismo attuale continua ad essere il popolo di Dio dell’Antica Alleanza, Alleanza che non è mai stata revocata e gli ebrei di oggi continuano ad essere il popolo primogenito dell’Alleanza.

19. La conseguenza – inevitabile – di tutti questi presupposti non è elusa. Essa è affrontata nel capitolo 18 dell’opera, che pone la seguente domanda: «I cristiani hanno la missione di convertire gli ebrei?» (22). La risposta intende poggiare sulle dichiarazioni del Papa Giovanni Paolo II, espresse nel discorso alla sinagoga di Roma nel 1986: «La religione ebraica non ci è estrinseca, ma in una certa maniera essa è intrinseca alla nostra religione; quindi noi abbiamo con essa dei rapporti che non abbiamo con alcun altra religione» (23).
Da qui può derivare l’idea secondo la quale i cristiani non devono convertire gli ebrei. Questa idea è espressa da Papa Francesco nell’Esortazione apostolica Evangelii gaudium, che cita l’opera dei vescovi di Francia al capitolo 18: «Uno sguardo molto speciale si rivolge al popolo ebraico, la cui alleanza con Dio non è stata mai revocata, perché «i doni e la chiamata di Dio sono irrevocabili (Romani XI, 29). La Chiesa, che condivide col giudaismo una parte importante della Sacre Scritture, considera il popolo dell’Alleanza e la sua fede come una radice sacra della propria identità cristiana (Cfr. Romani XI, 16-18). In quanto cristiani noi non possiamo considerare il giudaismo come una religione estranea, né classificare gli ebrei tra coloro che sono chiamati a lasciare gli idoli per convertirsi al vero Dio (Cfr. 1 Th I, 9) (24).

20. Il collettivo episcopale si appoggia anche sul documento pubblicato il 10 dicembre 2015 dalla Commissione per le relazioni religiose col giudaismo, organo del Pontificio Consiglio per la Promozione dell’Unità dei Cristiani, e intitolato: «I doni e la chiamata di Dio sono irrevocabili».
Al numero 40 è detto: «Si comprenderà allora facilmente che la nozione di «missione agli ebrei» è una questione estremamente delicata e sensibile per gli ebrei, perché ai loro occhi essa riguarda l’esistenza stessa del popolo ebraico. Ed è anche una questione problematica per i cristiani, per i quali il ruolo salvifico universale di Gesù Cristo e dunque la missione universale della Chiesa hanno un’importanza fondamentale. Per questo motivo, la Chiesa è stata portata a considerare l’evangelizzazione degli ebrei, che credono in un Dio unico, in una maniera diversa da quella dei popoli che hanno un’altra religione e un’altra visione del mondo. In pratica, questo significa che la Chiesa cattolica non svolge e non promuove alcuna azione missionaria istituzionale specifica verso gli ebrei. Ma mentre la Chiesa rigetta per principio ogni missione istituzionale verso gli ebrei, i cristiani sono chiamati a rendere testimonianza della loro fede in Gesù Cristo davanti agli ebrei, con umiltà e delicatezza, riconoscendo che gli ebrei sono i depositari della Parola di Dio e tenendo sempre presente l’immensa tragedia della Shoah» (25).



NOTE

1 – Joseph Ratzinger – Benedetto XVI, Ce qu’est le christianisme, Editions Le Rocher - Artège, 2023 [Che cos’è il cristianesimo, Ed. Mondadori, 2023]; ID, Grâce et appel sans repentance. Observations sur le traité De judaeis, p. 104 [Grazia e chiamata senza pentimento. Osservazioni sul trattato De judaeis».
2  – Giovanni Paolo II, «Discorso del 17 novembre 1980 alla comunità ebraica di Magonza»
3 – Giovanni Paolo II, « Discorso del 13 aprile 1986 alla sinagoga di Roma».
4 -  Giovanni Paolo II, « Lettera del 22 maggiop 2004 al Gran Rabbino di Roma».
5Concilio di Firenze, bolla «Cantate Domino» del 4 febbraio 1442 (Decreto per i Giacobiti), DS 1348.
6 - «Osservazioni critiche» nella terza sessione del concilio Vaticano II, alla conclusione della 91esima assemblea generale del 30 settembre 1964, in Acta, vol. III, pars III, p. 161.
7 - Atti III, 13; V, 20; Rm, X, 3 ; XI, 7.
8 - Somma teologica, 1a2ae, questione 91, articoli 4 e 5.
9 - Somma teologica, 1a2ae, questione 91, articolo 4.
10 - Somma teologica, 1a2ae, question 91, article 5.
11 - Somma teologica, 1a2ae, q 98, articles 4 et 5.
12 - Giovanni Paolo II, «Discorso ai partecipanti al Simposio sulle Radici dell’antigiudaismo in ambiente cristiano», 31 ottobre 1997.
13 – Qui rimandiamo il lettore al nostro libro: Vrai Israël et faux judaïsme, Iris, 2° edizione, 2018.
14 - Decreto del Sant’Uffizio del 25 marzo 1928, in AAS, vol. XX, p. 104.
15 - Joseph Ratzinger – Benedetto XVI, Ce qu’est le christianisme, Editions Le Rocher - Artège, 2023 [Che cos’è il cristianesimo, Ed. Mondadori, 2023]; ID, Grâce et appel sans repentance. Observations sur le traité De judaeis, p. 81 [Grazia e chiamata senza pentimento. Osservazioni sul trattato De judaeis».
16 – Si veda l’articolo « Le peuple élu » nel presente numero del Courrier de Rome. [qui riportato a parte come primo articolo - vedi]
17 - Déconstruire l’antijudaïsme chrétien, p. 120.
18 - Déconstruire l’antijudaïsme chrétien, p. 121.
19 - Déconstruire l’antijudaïsme chrétien, p. 121.
20 - Déconstruire l’antijudaïsme chrétien, p. 67.
21 – Cfr i numeri 3 e 4 del presente articolo.
22 - Déconstruire l’antijudaïsme chrétien, p. 115.
23 - Giovanni Paolo II, « Discorso del 13 aprile 1986 alla sinagoga di Roma», citato a p. 118 in Déconstruire l’antijudaïsme chrétien.
24 - Francesco, Esortazione apostolica Evangelii gaudium del 24 novembre 2013, n° 247, citato a p. 117 di Déconstruire l’antijudaïsme chrétien.
25 – Citato a p. 117 di Déconstruire l’antijudaïsme chrétien.






Don Jean-Michel Gleize è professore di apologetica, di ecclesiologia e di dogma al Seminario San Pio X di Ecône. E’ il principale redattore del Courrier de Rome. Ha partecipato alle discussioni dottrinali fra Roma e la Fraternità San Pio X tra il 2009 e il 2011.




 
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