![]() |
![]() |
In risposta alla Fraternità San Pietro di
don Jean-Michel Gleize, FSSPX
1. «Si può essere
sedevacantisti senza dirlo?». Questo il titolo dell’articolo
pubblicato da Don Hilaire Vernier il 5 maggio 2024 sul sito
«Claves» della Fraternità San Pietro (1).
L’autore indica in questi termini la sua intenzione: «L’articolo che segue vuole essere una risposta agli articoli “E scismatici ed eretici?” e “Tradovacantismo?”, pubblicati da Don Jean-Michel Gleize (Courrier de Rome n° 674 di aprile 2024, ripresi su La Porte Latine.org), teologo della Fraternità San Pio X (FSSPX), in reazione ai nostri due articoli pubblicati su Claves.org, nel luglio 2023, intitolati “Una Chiesa senza Papa?”». 2. Ecco dunque la nostra «risposta alla risposta». Il presente numero del Courrier de Rome intende rispondere all’articolo citato prima. Ci riserviamo nei prossimi numeri di rispondere a due altri articoli: «Si può essere prudenzialmente ecclesiovacatisti» (1/2) (2) e (2/2) (3)» con i quali Don Vernier intende sviluppare la sua risposta fino in fondo. 1
Un falso dilemma 3. Il punto centrale del dibattito, secondo lui, starebbe in questa domanda: «Ci si può sottrarre abitualmente al potere di giurisdizione della Chiesa (detenuto dal Papa e principalmente dai vescovi diocesani uniti a lui) e farlo a motivo di una crisi provocata dalla gerarchia ecclesiastica?». Da cui il seguente dilemma. Se la risposta è sì, la Fraternità San Pio X (FSSPX) entra in contraddizione, sul piano dei principi dogmatici che si ritiene dettino la sua prudenza, con i dati rivelati dell’ecclesiologia cattolica. Se la risposta è no, le sue decisioni prudenziali sono in contraddizione con i suoi principi dogmatici. Un tale dilemma può essere concepito solo a causa di una domanda mal posta, ed è per questo che le indicazioni seguite dalla prudenza della FSSPX sfuggono senza difficoltà se le esaminiamo per quello che sono realmente e ponendo la domanda come conviene. E questo è possibile verificarlo tramite i seguenti quattro punti. 4. Per prima cosa, la FSSPX non intende sottrarsi, per principio, al potere della giurisdizione ecclesiastica (4). La sua attitudine non si pone di fronte a questo potere per quello che esso è in sé stesso, ma di fronte ai suoi atti che non esigono l’obbedienza, per il fatto stesso che essi sono incompatibili con l’obbedienza dovuta ad altri atti precettivi emanati da questo stesso potere ecclesiastico, nel suo esercizio anteriore alle riforme conciliari e postconciliari. «Noi non ricusiamo l’autorità del Papa, ma ciò che fa» (5). Citando questa dichiarazione di Mons. Lefebvre (6) noi avremmo voluto evitare a Don Vernier di commettere un errore troppo spesso diffuso. 5. Secondariamente, questo orientamento della FSSPX, anche se è frequente, non è abituale o ordinario, nella sua intenzione – se con ciò intendiamo un orientamento che le sarebbe imposto da dei principi. Simile orientamento gli è dettato dall’attitudine degli uomini di Chiesa a partire dal Vaticano II e si può definire come una reazione (7). Chi pone il problema» - scrivevamo – non è la Fraternità San Pio X, ma è la Roma attuale, la Roma a tendenza neo-protestante e neo-modernista, come amava dire Sua Eccellenza Mons. Marcel Lefebvre, con un linguaggio non ambiguo. «E’ la Roma attuale che pone oggi il problema, per il fatto stesso che a Roma i membri attuali della gerarchia, il Papa e i vescovi, hanno adottato questa tendenza nuova, protestantizzante e modernizzante, rompendo per ciò stesso con la Roma eterna. E questo in occasione del concilio Vaticano II» (8). Si può accettare o no di vedere così la situazione della Chiesa nel dopo Vaticano II. Ma anche se la si rifiuta, non si può addebitare alla Fraternità una intenzione che non è la sua. La Fraternità non si «sottrae» al potere di giurisdizione divinamente istituito da Cristo; essa intende solo preservare se stessa e preservare le anime dall’abuso che ne fanno gli uomini di Chiesa che, da dopo l’ultimo Concilio, troppo spesso distolgono dal suo fine l’esercizio di questo potere. 6. In terzo luogo, La FSSPX non fa suo un potere che non le appartiene. Essa compie solo gli atti che sono necessari al bene delle anime, nella Chiesa, in forza di uno stato di necessità generalizzato. Questo è il principio di ciò che si suole chiamare «giurisdizione di supplenza» (9). Principio che, lungi dall’essere stato inventato da Mons. Lefebvre per i bisogni di quella che sarebbe stata la sua causa, è iscritto da lungo tempo nella lettera del diritto della Chiesa. Il Diritto Canonico (10) prevede infatti dei casi in cui la Chiesa supplisce alla mancanza di giurisdizione del sacerdote: «La ragione per cui la Chiesa supplisce la giurisdizione non è un bene privato, ma il bonum animarum commune», dice il Padre Cappello (11) nella sua Summa juris canonici del 1961, al n° 252 del volume I. Che si voglia o no, a partire dal concilio Vaticano II, la gerarchia si allontana in gran parte dalla fede e dalla morale cattoliche, e ne deriva che i fedeli non possono generalmente ricevere da essa gli aiuti spirituali senza mettere in pericolo la loro fede. Anche in ciò che si potrebbe ritenere come il migliore dei casi - o più esattamente il meno peggio – in seno a questa corruzione generalizzata che è la Chiesa conciliare, cioè quando i fedeli hanno la possibilità di ricorrere al ministero dei sacerdoti dell’ambito Ecclesia Dei, la contropartita richiesta dal Vaticano a questi ministri costituisce un elemento pericoloso per la loro fede. Infatti, questi ministri sono obbligati a riconoscere, per principio, il valore magisteriale degli insegnamenti conciliari e postconciliari, ed anche la legittimità e la bontà delle riforme postconciliari, con in particolare i riti riformati dei sacramenti e della Messa. Tutto questo in effetti espone le anime a relativizzare la nocività di questi insegnamenti introdotti nella Chiesa dopo l’ultimo concilio. E da questa relativizzazione, la fede può uscirne solo diminuita. Per riparare a questa diminuzione della fede, il diritto della Chiesa riconosce ai sacerdoti preoccupati del vero bene delle anime, il diritto di porre gli atti di giurisdizione richiesti dalla necessità comune. «In ragione dell’analogia juris e dell’equitas canonica, è allora certo che la Chiesa estende ampiamente a questi sacerdoti quello che permette in pericolo di morte o in altri casi d’urgenza e che essa supplisce in ogni caso particolare [il neretto è nostro] alla mancanza di giurisdizione dei sacerdoti fedeli, ingiustamente sprovvisti della giurisdizione che, in tempi normali, riceverebbero sia per il loro ufficio sia per delega» (12). Tutto dipende, quindi, dalla realtà dello stato di necessità e dalla gravità della nocività delle riforme conciliari. Certo, si può sempre negare l’uno e l’altro. Ma anche se li si nega, non si può imputare alla FSSPX l’intenzione di far suo, al posto della legittima gerarchia, un potere che non ha. 7. In quarto luogo, infine, la FSSPX intende così esercitare la virtù dell’obbedienza come deve rimanere nei suoi giusti limiti: l’oggetto formale dell’obbedienza è infatti il precetto emanato dall’autorità, fintanto che sia moralmente legittima. La mancanza di obbedienza consiste nel rifiutare di conformarsi a questo precetto quand’esso è legittimo. L’eccesso di obbedienza consiste nel conformarvisi quand’esso è illegittimo. Si deve obbedire alle autorità che, nella Chiesa, ci chiedono di riconoscere la giustezza della libertà religiosa, della collegialità e dell’ecumenismo, quando si tratta di errori gravi che negano la dottrina cattolica imposta fino a prima dell’ultimo Concilio dalle dichiarazioni più autorevoli dei Papi e dei Concilii? Significa dar prova di un’attitudine veramente virtuosa sottoscrivere gli insegnamenti di due Esortazioni apostoliche, Amoris laetitia e Evangelii gaudium, quando la prima arriva a conclusioni pratiche opposte ai principii della disciplina morale sempre richiamata dal Magistero prima del Vaticano II, e quando la seconda solo aggrava le conseguenze nefaste della nuova ecclesiologia, già condannata dai Papi di questo ventesimo secolo? Sarebbe disobbediente colui che rifiutasse di sottoscrivere le recenti dichiarazioni di Papa Francesco secondo le quali «tutte le religioni portano a Dio» (13), quando una tale affermazione è in diretta contraddizione col dogma «Fuori della Chiesa non c’è salvezza», insegnato dai Papi fino a Pio XII? Così, nei numeri 3 e 4 del nostro primo articolo scrivemmo: «La Fraternità San Pio X va fino in fondo nella virtù, non applicando il principio dell’obbedienza di fronte all’abuso generalizzato del potere che imperversa abitualmente nella santa Chiesa di Dio a partire dal concilio Vaticano II […] Poiché è lo stesso principio della virtù che riprova tutti difetti e tutti gli eccessi che gli si oppongono, è quindi l’obbedienza stessa che impone di rigettare le novità introdotte nella Chiesa nel corso dell’ultimo Concilio. Così si esprimeva Mons. Lefebvre in una conferenza spirituale data a Ecône il 10 aprile 1981: «Non vi è nessuno che come noi sia attaccato all’obbedienza al Magistero del Papa, dei concilii e dei vescovi. Siamo noi i più attaccati della Chiesa, io penso, io spero, noi vogliamo esserlo, all’obbedienza al Magistero dei Papi, dei concilii e dei vescovi. Ed è perché siamo giustamente attaccati a questo Magistero che non possiamo accettare un magistero che non è fedele al Magistero di sempre». 2
Un’attitudine perfettamente giustificata 8. L’attitudine della FSSPX si basa quindi sia sul principio dogmatico-canonico sia sulla valutazione delle presenti circostanze: le conclusioni pratiche alle quali essa si attiene sono il risultato logico del ragionamento e della prudenza. Il principio dogmatico-canonico - che è necessario, cioè vero sempre e dappertutto – è quello dell’istituzione divina del potere di giurisdizione nella Chiesa, e tale che il suo esercizio è in regola col Diritto Canonico, che prevede le circostanze eccezionali in cui il bene delle anime ne esige gli atti, nonostante l’assenza di potere in colui che li mette in essere. Le presenti circostanze – contingenti come tutte le circostanze e che non sono mai esattamente le stesse, ieri, oggi e domani – sono quelle dello stato di necessità. Quindi, la prudenza soprannaturale come la mette in opera la FSSPX non ha alcunché di contrario ai dati divinamente rivelati – a meno di pretendere che la prudenza soprannaturale non sia solo regolata e diretta, ma «specificata ultimamente» dalla fede (14). Confondendo così gli oggetti formali, si finirà col sostenere che le conclusioni pratiche dell’agire nella Chiesa sono rivelate da Dio, come gli articoli del Credo … e determinate una volta per tutte dai Canoni del Diritto della Chiesa. Ma siamo costretti a constatare che la contingenza si colloca pur sempre nell’ordine soprannaturale, tanto che il Diritto Canonico prevede le situazioni eccezionali, con le misure proporzionate che esse richiedono, in questo caso quella dello stato di necessità. 9. Don Verier scrive anche, a mo’ di sintesi: «La posizione della FSSPX non deriva solo da una comprensione contestabile dell’obbedienza, perfino prudente, in tempo di crisi, ma anche da un abituale sottrarsi alla giurisdizione affidata da Cristo alla gerarchia della Sua chiesa». Mancano qui tre distinzioni importanti: distinzione tra «sottrarsi» per principio o di fatto; distinzione tra il «sottrarsi» nei confronti del potere di giurisdizione o nei confronti di certi suoi atti; distinzione tra il «sottrarsi abituale» straordinario o generato da circostanze: ordinarie e compiute in ragione della natura della FSSPX o della Chiesa. La FSSPX non si sottrae per principio al potere di giurisdizione nella Chiesa, in maniera abituale in ragione della sua natura. La FSSPX è obbligata a sottrarsi a quegli atti del potere di giurisdizione che mettono in pericolo la fede e i costumi, in maniera abituale nel contesto circostanziato del dopo Vaticano II. NOTE 1 - https://claves.org/peut-on-etre-sedevacantiste-sans-le-dire/ 2 – https://claves.org/peut-on-etre-prudentiellement-ecclesiovacantiste-1-2/ 3 – https://claves.org/peut-on-etre-prudentiellement-ecclesiovacantiste-2-2/ 4 – Per illustrare questo punto, noi abbiamo dato una citazione, al n° 4 del nostro primo articolo, della conferenza spirituale fatta da Mons. Lefebvre a Ecône il 10 aprile 1981, e che sarà ancora citata più avanti. Uno studio attento della posizione della FSSPX avrebbe richiesto, da parte di Don Vernier, un commento più approfondito di questa dichiarazione. 5 – Mons. Lefebvre, « La visibilité de l’Eglise et la situation actuelle » in Fideliter n° 66 del novembre-dicembre 1988. 6 – Al n° 17 del primo articolo. 7 - Cfr. l’articolo «La Fraternité, une oeuvre d’Eglise au service de la vérité» nel numero di ottobre 2018 del Courrier de Rome. 8 - «La Fraternité, une oeuvre d’Eglise au service de la vérité », n° 2, p. 1 del numero di ottobre 2018 del Courrier de Rome. 9 - Ordinanze ad uso della Fraternità Sacerdotale San Pio X, 2022, p. 8-9. 10 - Canoni 882 e 209 de vecchio Codice del 1917; canoni 976 e 144 del nuovo Codice de 1983. 11 - Felice Cappello, SJ (1879-1962), è uno dei più celebri canonisti della prima metà del ventesimo secolo, unanimemente riconosciuto come un’autorità in materia di diritto della Chiesa. Ha insegnato Diritto Canonico alla Pontificia Università Gregoriana per quasi quarant’anni, dal 1920 al 1959; è stato stimato consultore delle Congregazioni del Concilio, delle Chiese orientali, della Concistoriale, e membro della Commissione per l’interpretazione del Codice. La sua opera principale è un grande Tractatus canonico-moralis de sacramentis juxta Codicem juris canonici - Trattato canonico-morale dei sacramenti secondo il Codice di Diritto Canonico -, in cinque volumi. Il primo è stato pubblicato nel 1921 dall’editrice Marietti, Torino e Roma, e dall’Università Gregoriana. Ciascun volume ha avuto diverse edizioni, aumentate e migliorate. Quest’opera, di un’ampiezza che supera i manuali dei Seminari e scolastici, è senza dubbio una delle più necessarie per gli studi superiori del Diritto Canonico e della teologia morale; non è stato pubblicato fino ad oggi nulla di più completo e più moderno in materia sacramentale. Confessore molto noto, Padre cappello è morto in odore di santità. Il processo per la sua beatificazione è stato aperto nel 1978 dal Papa Giovanni Paolo I, che gli conferì il titolo di venerabile. 12 - Ordinanze ad uso della Fraternità Sacerdotale San Pio X, 2022, p. 8. 13 - Cfr: https://laportelatine.org/actualite/la-neo-pastorale-de-francois ; https://laportelatine.org/actualite/la-neo-pastorale-de-francois-ii 14 – Don Vernier scrive precisamente: «In effetti, la prudenza soprannaturale è specificata ultimamente dalla Fede vivente, misurata dalla Rivelazione pubblica, chiusa alla morte dell’Apostolo San Giovanni: la prudenza non può essere contraria alla Fede». Se la prudenza è specificata, anche se solo ultimamente, dalla fede vivente, essa non è più ciò che è e si confonde con le virtù teologali. Vero è che la distinzione degli oggetti formali e specificanti e con essa la distinzione delle virtù, rimanendo salve, colui che agisce, in una stessa operazione globalmente presa, può in questa operazione suscitare ad un tempo l’atto di una virtù (per esempio un atto di forza come il martirio) sotto la spinta dell’atto di un’altra virtù (per esempio la prudenza o la carità o perfino la fede), nel qual caso lo stesso atto suscitato da una virtù (qui la forza) è detto «imperato» dall’atto di un’altra virtù (qui la prudenza, la carità o la fede). Ma l’oggetto dell’atto della virtù imperante, se viene a dare una specie nuova all’operazione globale dell’agente, lascia salva la specie fondamentale data a questa operazione dall’oggetto dell’atto suscitato. Così, nota San Tommaso (Somma teologica, 1a 2ae, questione 18, articolo 6, corpus). Aristotele ha potuto dire: «colui che ruba per commettere un adulterio è piuttosto adultero che ladro», ma … comunque ladro. Del pari, colui che riflette prima di agire per conservare la fede è innanzi tutto ispirato dalla fede piuttosto che dalla prudenza, ma rimane prudente. In realtà, ciò che è «specificato ultimamente» dalla Fede vivente, non è la prudenza, ma l’operazione globale di colui che agisce unitamente a titolo e della prudenza e della fede. ![]() Don Jean-Michel Gleize è professore di apologetica, di ecclesiologia e di dogma al Seminario San Pio X di Ecône. E’ il principale redattore del Courrier de Rome. Ha partecipato alle discussioni dottrinali fra Roma e la Fraternità San Pio X tra il 2009 e il 2011. |