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Lettera
aperta a Papa Francesco
sul suo Messaggio ai musulmani per la fine del Ramadan Don Guy Pagès Beatissimo Padre, Sia lodato Nostro Signore Gesù Cristo che Le ha affidato la missione di guidare la Sua Chiesa! Mi consenta, a nome di tante persone colpite dalla Sua lettera ai musulmani in occasione dell’Id al-Fitri [1], e ai sensi del cannone 212 § 3 [2], di renderLa partecipe delle riflessioni di questa lettera aperta. Salutando con “un grande piacere” i musulmani in occasione del Ramadan, considerato come un tempo dedicato “al digiuno, alla preghiera e all'elemosina”, Ella sembra ignorare che il digiuno del Ramadan è tale da far aumentare “il carrello medio di una famiglia che fa il ramadan del 30%” [3], che l’elemosina musulmana è riservata ai soli musulmani bisognosi, che la preghiera musulmana consiste propriamente nel respingere per cinque volte al giorno la Fede nella Trinità e in Gesù Cristo e nel chiedere protezione per non seguire il cammino di quegli smarriti che sono i cristiani… Inoltre, durante il Ramadan, la delinquenza aumenta in modo vertiginoso [4]. C’è realmente in queste pratiche qualche ragionevole motivo di elogio? La Sua lettera afferma che dobbiamo avere stima per i musulmani e “specialmente per coloro che sono capi religiosi”, ma Ella non dice affatto a quale titolo. Poiché si rivolge a loro in quanto musulmani, ne consegue che questa stima è rivolta anche all’Islam. Ma che cos’è l'Islam per un cristiano, dal momento che “nega il Padre e il Figlio” (1 Gv 2,22), se non uno degli Anticristi più potenti che vi siano, per numero e violenza (Ap 20,7-10)? Come si può stimare allo stesso tempo Cristo e ciò che a Lui si oppone? Il Suo messaggio fa notare, in seguito, che “le dimensioni familiare e sociale sono particolarmente importanti per i musulmani in questo periodo di Ramadan”, ma ciò che esso non dice è che il Ramadan funge da mezzo formidabile di condizionamento sociale, di oppressione, di repressione poliziesca verso coloro che sono insubordinati al totalitarismo islamico, in breve di negazione totale del rispetto che Ella evoca… L’articolo 222 del codice penale marocchino prevede infatti: “Colui che, notoriamente conosciuto per la sua appartenenza alla religione musulmana, rompe apertamente il digiuno in un luogo pubblico durante il tempo del Ramadan, senza una ragione ammessa da tale religione, è punito con l'imprigionamento da uno a sei mesi e con un'ammenda”. E si tratta soltanto del Marocco… Quali “paralleli” riesce Ella a trovare tra “le dimensioni familiare e sociale musulmane” e “la fede e la pratica cristiane”, dal momento che lo statuto della famiglia musulmana include la poligamia (Corano 4.3; 33.49-52,59), il ripudio (Corano 2.230), l’inferiorità ontologica e giuridica della donna (Corano 4.38; 2.282; 4.11), il dovere per suo marito di batterla a piacimento (Corano 4.34) ecc.? Quale parallelo può esservi tra la società musulmana costruita per la gloria dell’Unico, e che pertanto non può tollerare né la diversità né la libertà, e neppure di conseguenza distinguere l’ambito religioso da quello spirituale - “Tra noi e voi è sorta inimicizia e odio ininterrotti, finché non crederete in Allah, l’Unico!" (Corano 60.4) -, e la società cristiana che, essendo edificata per la gloria del Dio Uno e Trino, valorizza il rispetto delle legittime differenze? A meno che non si debba intendere per “parallelo” non già ciò che si somiglia e dunque si riunisce, ma ciò che al contrario non si congiunge mai. Nel qual caso, l’equivoco favorisce la chiarezza della Sua opinione? Ella propone ai Suoi interlocutori di riflettere sulla “promozione del mutuo rispetto attraverso l'educazione”, lasciando credere che essi condividano con noi gli stessi valori umani, di “mutuo rispetto”. Ma tale non è il caso. Per un musulmano, non vi è una natura umana alla quale riferirsi, né bene alcuno riconoscibile con la ragione: l’uomo e il suo bene sono soltanto ciò che il Corano ne dice. Ma il Corano insegna ai musulmani che specialmente i cristiani, essendo cristiani, “sono solo impurità” (Corano 9.28), “di tutta la creazione i più abietti" (Corano 98.6), “le peggiori bestie” (Corano 8.22; cfr. 8.55) [5]… Perché l’Islam è la vera religione (Corano 2.208; 3.19 85), che deve dominare su tutte le altre, fino a sradicarle completamente (Corano 2.193); coloro che non sono musulmani non possono essere altro che dei perversi e dei maledetti (Corano 3.10, 82,110; 4.48 56,76,91; 7.144 ; 9.17,34 ; 11.14 ; 13.15 33; 14.30 ; 16.28-9 ; 18.103-6; 21.98 ; 22.19-22,55; 25.21 ; 33.64 ; 40.63 ; 48.13) che i Musulmani devono combattere incessantemente (Corano 61.4, 10-2; 8.40 ; 2.193), con l’inganno (Corano 3.54; 4.142; 8.30 ; 86.16), con il terrore (Corano 3.151; 8.12 60; 33.26 ; 59.2) e ogni sorta di punizioni (Corano 5.33; 8.65 ; 9.9 29,123; 25.77), come la decapitazione (Corano 8.12; 47.4) o la crocifissione (Corano 5.33), in attesa di eliminarli (Corano 2.193; 8.39 ; 9.5 111,123; 47.4) e distruggerli definitivamente (Corano 2.191; 4.89,91 ; 6.45; 9.5 30,36,73; 33.60-2 ; 66.9). “O voi che credete, combattete i miscredenti che vi stanno attorno, che trovino durezza in voi… ” (Corano 9.123); “Li annienti Allah!” (Corano 9.30; Cfr. 3.151 ; 4.48)… Padre Beatissimo, si può mai dimenticare, quando ci si rivolge a dei musulmani, che essi non possono avventurarsi al di fuori del Corano? I Suoi appelli “a rispettare in ciascuna persona, (…) innanzitutto la sua vita, la sua integrità fisica, la sua dignità e i diritti che ne scaturiscono, la sua reputazione, la sua proprietà, la sua identità etnica e culturale, le sue idee e le sue scelte politiche” non possono piegare le disposizioni date da Allah, che sono immutabili, e delle quali ne ho appena enumerato alcune. Ma se occorre rispettare “le idee e le scelte politiche” degli altri, come opporsi allora alla lapidazione, alla amputazione e a qualsiasi tipo di altre pratiche abominevoli comandate dalla sharia ? Il Suo bel discorso non può commuovere i musulmani: non hanno lezioni da ricevere da noi, che non siamo altro che “impurità” (Corano 9.28). E se ciononostante se ne congratulano con Lei, come hanno fatto i musulmani d’Italia, è perché la politica della Santa Sede serve in gran parte i loro interessi facendo passare la loro religione come rispettabile agli occhi del mondo, facendo credere che essa li induca a tenere in considerazione i valori universali che Ella raccomanda … Essi se ne congratuleranno finché saranno, come in Italia, in una situazione minoritaria. Ma quando non lo saranno più, accadrà quello che accade ovunque essi sono maggioritari: ogni gruppo non musulmano deve scomparire (Corano 9.14; 47.4; 61.4 ecc.) o pagare la jiyzya per riacquistare il proprio diritto di sopravvivere (Corano 9.29). Non è possibile che Ella ignori tutto ciò; ma come può allora, nascondendolo agli occhi del mondo, favorire l’espansione dell’Islam presso persone innocenti o ingenue, tratte così in inganno? Ella considera forse i complimenti che Le sono stati rivolti come una prova di fecondità del Suo gesto? Ignorerebbe allora il principio della takyia, che comanda di baciare la mano che il musulmano non può tagliare (Corano 3.28; 16.106). Ma cosa valgono in fondo simili scambi di cortesia? San Paolo non diceva: “Se ancora io piacessi agli uomini, non sarei più servitore di Cristo” (Gal 1,10)? Gesù ha proclamato maledetti coloro che sono oggetto dell’elogio di tutti (Lc 6,26). Ma se persino i Suoi nemici naturali La lodano, chi non La loderà? La missione della Chiesa è forse quella di insegnare le buone maniere di vivere in società? San Giovanni Battista sarebbe morto se si fosse accontentato di augurare una buona festa a Erode? Si dirà, forse, che non ci sono raffronti possibili con Erode, perché Erode viveva nel peccato ed era dovere di un profeta denunciare il peccato. Ma se ogni cristiano è diventato profeta nel giorno del suo battesimo, e se il peccato è non credere in Gesù, Figlio di Dio, Salvatore (Gv 16.9), ciò di cui precisamente si gloria l’Islam, come potrebbe un cristiano non denunciare il peccato che è l’Islam e non richiamarlo alla conversione “in ogni occasione opportuna e non opportuna” (2 Tm 4.2)? Essendo la ragion d'essere dell’Islam quella di sostituire il cristianesimo - che avrebbe pervertito la rivelazione del puro monoteismo per mezzo della fede nella Santissima Trinità, così che Gesù non sarebbe affatto Dio, non sarebbe morto né resuscitato, non vi sarebbe alcuna Redenzione, e la Sua opera è in tal modo ridotta a nulla -, come è possibile non denunciare l’Islam come l'Impostore annunciato (Mt 24,4; 11,24) e il predatore per eccellenza della Chiesa? Anziché scacciare il lupo, la diplomazia vaticana dà l’impressione che preferisca nutrirlo con le sue adulazioni, e non vede che aspetta soltanto di essere sufficientemente ingrassato per fare ciò che fa dovunque esso sia divenuto sufficientemente forte e vigoroso. Occorre forse ricordare il martirio che vivono i cristiani in Egitto, in Pakistan e in qualunque luogo dove l’Islam è al potere? Come potrà la Santa Sede portare la responsabilità di farsi garante dell’Islam presentandolo come un agnello, mentre è un lupo che si maschera da agnello? Ad Akita, la Vergine Maria ci ha prevenuti: “L’opera del diavolo si insinuerà anche nella Chiesa (…), la Chiesa sarà piena di coloro che accettano compromessi” … Padre Beatissimo, come può la Sua lettera affermare che “specialmente tra cristiani e musulmani, siamo chiamati a rispettare la religione dell’altro, i suoi insegnamenti, simboli e valori”? Come si può rispettare l’Islam, che bestemmia continuamente la Santissima Trinità e Nostro Signore Gesù Cristo, che accusa la Chiesa di aver falsificato il Vangelo e cerca di soppiantarla (Ap 12,4)? Forse che Sant’Ireneo, che ha scritto « Contro le eresie », San Giovanni Damasceno, che ha scritto « Delle eresie » dove fa rilevare “tante assurdità così risibili riportate nel Corano”, San Tommaso d’Aquino, con la sua « Summa contra Gentiles » [6], e tutti i Santi che si sono dedicati a criticare le false religioni, non erano dunque cristiani perché Ella condanni oggi retrospettivamente la loro azione, come anche quella di alcuni rari apologeti contemporanei? Dall’ambito della cooperazione tra ragione e fede, così incoraggiata da Benedetto XVI, dovrebbe essere escluso il fatto religioso? Se si segue l’appello formulato nella Sua lettera, Beatissimo Padre, bisogna allora chiedere, insieme con l’Organizzazione della Cooperazione Islamica (OCI) [7], che dappertutto nel mondo sia condannata ogni critica all’Islam, e in tal modo cooperare con l’OCI ad espandere l’Islam, il quale insegna - lo ripeto – che, essendo il cristianesimo corrotto, l’Islam viene a sostituirlo… Perché voler imbavagliare, d’accordo con l’OCI, l’apologetica cristiana? Come è vero che non si semina sulle spine (Mt 13,2-9), ma che si comincia con lo sradicarle prima di poter seminare, allo stesso modo non si può annunciare la Buona Novella della salvezza a un’anima musulmana, talmente essa è vaccinata, immunizzata, fin dalla sua prima infanzia, contro la Fede cristiana (Corano 5.72; 9.113 ; 98.6…), riempita di pregiudizi, di calunnie e di ogni specie di falsità riguardo al Cristianesimo. Occorre dunque necessariamente incominciare col criticare l’Islam, “i suoi insegnamenti, simboli e valori” per distruggere in esso le falsità che lo rendono ostile al Cristianesimo. San Paolo non chiede di utilizzare soltanto “le armi difensive della giustizia”, ma anche “le armi offensive” (2 Cor 6,7). Dove sono, queste ultime, nella vita della Chiesa di oggi? Oh, certamente, associarsi alla gioia di brave persone che ignorano la Volontà di Dio e augurare loro un buon Ramadan non sembra essere in sé una cosa cattiva, come pensava anche San Pietro a proposito della legittimazione che egli dava delle usanze ebraiche… succube del timore, di già, dei proto-musulmani che erano i giudeo-nazareni! Ma San Paolo lo ha corretto davanti a tutti, mostrandogli che c’erano cose più importanti da fare che cercare di piacere a dei falsi fratelli (Gal 2,4; 11-14; 2 Cor 11,26; Corano 2.193; 60.4; ecc.). Se San Paolo ha ragione, come si fa a dire che non bisogna criticare “la religione dell'altro, i suoi insegnamenti, simboli e valori”? Non volendo criticare l’Islam, la Sua lettera giustifica in modo particolare i vescovi che porranno la prima pietra delle moschee, cosa che fanno anch’essi per cortesia, per la preoccupazione di compiacere tutti e favorire la pace civile. Quando domani i loro fedeli saranno diventati musulmani, questi potranno dire che è stato il loro vescovo che, anziché metterli in guardia, ha mostrato loro la via della moschea… E potranno dire anche la stessa cosa riguardo alla Santa Sede, poiché questa avrà insegnato loro a non pensare la verità sull’Islam, bensì ad onorarlo come buono e rispettabile in sé… La Sua lettera giustifica gli auguri di buona festa di Ramadan affermando che “Chiaramente, nel manifestare rispetto per la religione degli altri o nel porgere loro gli auguri in occasione di una celebrazione religiosa, cerchiamo semplicemente di condividerne la gioia, senza fare riferimento al contenuto delle loro convinzioni religiose”. Come rallegrarsi di una gioia che glorifica l’Islam? Il modo di fare che Ella raccomanda, Beatissimo Padre, si accorda con il comandamento di Gesù: “Sia il vostro parlare sì, sì; no, no; il di più viene dal maligno” (Mt 5,37)? Il bisogno che Ella ha provato di aggiungere questa spiegazione, non è qualcosa che attiene a questo “di più che viene dal maligno”? E anche se si potesse credere di non peccare augurando un buon Ramadan a motivo della riserva mentale che nega il legame tra Ramadan e Islam (negazione che mostra bene come tale comportamento ponga ugualmente problemi), ciò si accorda forse con la carità pastorale, la quale esige che un Pastore si preoccupi del modo in cui il suo gesto è compreso dai suoi interlocutori? In effetti, cosa possono pensare i musulmani che ci sentono augurare loro un buon Ramadan, se non che: o noi siamo degli idioti, incomprensibilmente ottusi, per certo maledetti da Allah per il fatto che non diventiamo anche noi musulmani, dal momento che riconosciamo - così facendo - che la loro religione è non soltanto buona (poiché capace di dare loro la gioia che auguriamo loro), ma certamente superiore al cristianesimo (poiché posteriore a quest’ultimo), oppure noi siamo degli ipocriti che non osano dire loro in faccia ciò che pensano della loro religione, cosa che equivale a riconoscere che abbiamo paura di loro e che essi sono dunque già diventati i nostri padroni? Possono concepire un’altra interpretazione, se ragionano da musulmani? Un gran numero di musulmani mi hanno già comunicato la loro gioia che Ella onori la loro religione. Come potranno mai convertirsi se la Chiesa li incoraggia a praticare l’Islam? In che modo la Santa Sede pensa di annunciare loro la falsità dell’Islam e il dovere che essi hanno di abbandonarlo, per salvarsi, ricevendo il santo Battesimo? Non favorisce essa forse il relativismo religioso, per il quale poco importa ciò che differenzia le religioni, dato che conterebbe soltanto quello che di buono vi è nell’uomo e che lo salverebbe indipendentemente dalla sua religione? I primi cristiani hanno rifiutato di partecipare alle cerimonie civili dell’Impero romano, che consistevano nel far bruciare un po’ d’incenso davanti a una statua dell’Imperatore, rito pure in apparenza assolutamente lodevole poiché si presumeva favorisse la coesistenza e l’unità delle popolazioni così diverse e delle religioni così numerose dell’immenso Impero romano. I primi cristiani, per i quali la predicazione dell’unicità della signoria di Gesù era più importante di qualsiasi realtà di questo mondo, fosse anche la stima dei loro concittadini, hanno preferito firmare con il proprio sangue l’originalità del loro messaggio. E se noi amiamo il nostro prossimo, qualunque esso sia, musulmano compreso, in quanto è un membro della razza umana come noi, voluto e amato da tutta l’eternità da Dio, redento dal Sangue dell’Agnello senza macchia, Gesù ci ha anche insegnato a rinnegare ogni legame umano che si oppone al Suo amore (Mt 12,46-50; 23,31; Lc 9,59-62; 14,26; Gv 10,34; 15,25). In nome di quale fraternità sarebbe perciò possibile definire i musulmani “nostri fratelli” (Cfr. la Sua allocuzione del 29.03.2013)? Vi sarebbe una fraternità che trascende tutte le appartenenze umane, anche quella della comunione con Cristo, respinta dall’Islam, e alla fine essa sola importerebbe? La volontà di Dio, che richiede che crediamo in Cristo (Gv 6,29), fa sì che “noi non conosciamo più nessuno secondo la carne” (2 Cor 5,16). Forse la diplomazia vaticana pensa che, tacendo che cos’è l’Islam, risparmierà la vita degli sventurati cristiani nei Paesi musulmani? No, l’Islam continuerà a perseguitarli (Gv 16,2), e ciò tanto più quanto più vedrà che nulla si oppone ad esso, e perché tale è la sua ragione d’essere (Corano 9.30). Quei cristiani, come tutti i cristiani, non si aspettano piuttosto che Ella ricordi loro che tale è il destino quaggiù di ogni discepolo di Cristo, di essere cioè perseguitato a causa del Suo Nome (Mt 16,24; Mc 13,13; Gv 15,20), e che questa è una grazia insigne di cui occorre sapersi rallegrare? Gesù ci ha raccomandato di non temere assolutamente i tormenti della persecuzione (Lc 12,4), e ai fratelli perseguitati a causa della nostra Fede ha consigliato di rallegrarsi per l’ottava Beatitudine (Mt 5,11-12). Questa gioia non è forse la migliore testimonianza da dare? Quale migliore servizio potremmo noi rendere ai musulmani ferventi, che non temono affatto di morire, tanto sono sicuri di andare a godersi le Huri che Allah promette loro come premio per i loro crimini, se non quello di mostrare loro dei cristiani felici di donare, essi, la propria vita per puro amore di Dio e della salvezza del loro prossimo? La Sua lettera evoca la testimonianza di San Francesco, ma non dice che San Francesco inviò dei Frati ad evangelizzare i musulmani del Marocco, sapendo che là sarebbero stati molto probabilmente martirizzati, come avvenne effettivamente, e che si accinse egli stesso a evangelizzare il sultano Al Malik Al Kamil [8]. La carità denuncia la menzogna e chiama alla conversione. Beatissimo Padre, abbiamo difficoltà a trovare nel Suo Messaggio ai musulmani l’eco della carità di San Paolo che comanda: “Non lasciatevi legare al giogo estraneo degli infedeli. Quale rapporto infatti ci può essere tra la giustizia e l'iniquità o quale unione tra la luce e le tenebre? Quale intesa tra Cristo e Beliar, o quale collaborazione tra un fedele e un infedele?” (2 Cor 6,14-15), o di quella del mite San Giovanni che esorta a non accogliere presso di noi chiunque respinga la Fede cattolica e di non salutarlo neppure, sotto pena di partecipare “alle sue opere perverse” (2 Gv 7-11) [9]… Salutando i musulmani in occasione del Ramadan, non si partecipa forse alle loro opere perverse? Chi odia, oggi, persino i loro vestiti (Giuda 23)? La dottrina degli Apostoli non è più di attualità? Sì, il Concilio Vaticano II chiama i cristiani a dimenticare il passato, ma ciò non può voler dire altra cosa che dimenticare gli eventuali risentimenti dovuti alle violenze e alle ingiustizie subite nel corso dei secoli dai cristiani e, per ciò che ci interessa, inflitte dai musulmani. Poiché, diversamente, dimenticare il passato significherebbe condannarsi a rivivere le medesime sciagure già un tempo vissute. Senza memoria, inoltre, può esservi forse identità? Senza memoria, potremmo avere noi un futuro? Beatissimo Padre, ha letto la lettera aperta del Sig. Magdi Cristiano Allam [10], musulmano battezzato da Benedetto XVI nel 2006, con la quale egli dichiara di lasciare la Chiesa a causa della compromissione di questa con l’islamizzazione dell’Occidente? Quella lettera è un terribile colpo di tuono nel cielo smorto delle codardie e tiepidezze ecclesiali, e dovrebbe costituire per noi un avvertimento formidabile! Beatissimo Padre, è per il fatto che la diplomazia non è coperta dal carisma dell’infallibilità, e il Suo messaggio ai musulmani in occasione della fine del Ramadan non è un atto magisteriale, che mi permetto di criticarlo apertamente e rispettosamente (can. 212 § 3). Certamente Ella avrà considerato che, prima di parlare di `teologia' con i musulmani, era necessario innanzitutto disporre i loro cuori con un insegnamento sul dovere, pur elementare, di rispettare gli altri. Tenevo a dirLe che ci sembra che un tale insegnamento dovrebbe essere compiuto al di fuori di qualsiasi riferimento all’Islam, per evitare ogni ambiguità al riguardo. Perché non in occasione del Capodanno, o di Natale? Non è certo senza ragione che Benedetto XVI aveva sciolto il Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso e ne aveva trasferito le prerogative al Pontificio Consiglio per la Cultura… Detto quanto sopra, rinnovo l’impegno della mia fedeltà alla Cattedra di San Pietro, nella fede nel suo Magistero infallibile, e ho il desiderio di vedere tutti i cattolici scossi nella loro fede dal Suo Messaggio ai musulmani in occasione della fine del Ramadan, fare la medesima cosa. Don Guy Pagès Note 1 - Messaggio del Santo Padre Francesco ai musulmani nel mondo intero per la fine del Ramadan ('ID AL-FITR) 2 - In modo proporzionato alla scienza, alla competenza e al prestigio di cui godono, essi hanno il diritto, e anzi talvolta anche il dovere, di manifestare ai sacri Pastori il loro pensiero su ciò che riguarda il bene della Chiesa; e di renderlo noto agli altri fedeli, salva restando l'integrità della fede e dei costumi e il rispetto verso i Pastori, tenendo inoltre presente l’utilità comune e la dignità della persona. (Can. 212 § 3). 3 - http://www.leconomiste.com/article/897050-ramadan-dope-la-demande ; http://www.agoravox.fr/tribune-libre/article/le-cout-economique-de-la-religion-140871 4 - http://francaisdefrance.wordpress.com/2013/07/22/ratp-et-ramadan/ 5 - “Allo stesso titolo dell’escremento, dell’urina, del cane, del vino”, precisa l’ayatollah Khomény, in Principes politiques, philosophiques, sociaux et religieux, Éditions Libres Hallier, Parigi, 1979. 6 – Bisogna dunque vergognarsi di san Tommaso d’Aquino che ha scritto: “Maometto, il quale allettò i popoli con la promessa di piaceri carnali, ai quali essi sono già propensi per la concupiscenza della carne. Inoltre diede precetti conformi a codeste promesse, sciogliendo le briglie alle passioni del piacere, in cui è facile farsi ubbidire dagli uomini carnali. In più egli non diede altri insegnamenti all’infuori di quelli che qualsiasi persona mediocremente istruita può dare facilmente e comprendere col suo ingegno naturale; anzi, le verità stesse che egli insegnò sono mescolate a favole e a dottrine falsissime. E neppure si servì di miracoli soprannaturali, che costituiscono la sola testimonianza adeguata della rivelazione divina, in quanto un fatto visibile, il quale non può attribuirsi che a Dio, mostra essere ispirato da Dio colui che insegna questa data verità. Ma disse di essere stato inviato con la potenza delle armi: il quale contrassegno non manca neppure ai briganti e ai tiranni. Inoltre a lui inizialmente non credettero uomini pratici delle cose divine ed umane, ma uomini bestiali abitanti nel deserto, del tutto ignari delle cose di Dio; e servendosi poi del loro numero, egli costrinse gli altri ad accettare la sua legge con la forza delle armi. E neppure ebbe anteriormente la testimonianza dei profeti precedenti; anzi egli guasta tutti gli insegnamenti del Vecchio e del Nuovo Testamento con racconti favolosi, come risulta dalla lettura della sua legge. Ecco perché con astuzia egli proibisce ai suoi seguaci di leggere i libri del Vecchio e del Nuovo Testamento, per non essere tacciato di falsità. Perciò è evidente che coloro che credono in lui compiono [oggettivamente] un atto di leggerezza.” (Somma contro i Gentili, Cap. VI). 7 - Si veda l'articolo sul sito francese Riposte laïque 8 - http://www.eleves.ens.fr/aumonerie/numeros_en_ligne/careme02/seneve008.html 9 - San Policarpo, discepolo di san Giovanni, ci ha lasciato questa lezione: “Evitiamo gli scandali, i falsi fratelli e coloro che ipocritamente si fregiano del nome del Signore e traggono in errore gli stolti. Chiunque non riconosce che Gesù Cristo è venuto nella carne, è un anti-Cristo, e colui che non riconosce la testimonianza della croce è dal diavolo” (Lettera ai Filippesi, Ufficio delle letture del martedì della XXVI settimana del Tempo Ordinario). 10 - Si veda la Lettera aperta a Papa Francesco di Magdi Cristiano Allam Don Guy Pagès (torna
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ottobre 2013 AL PONTIFICATO DI PAPA FRANCESCO |