Papa Bergoglio si confessa

di Giovanni Servodio

Parte seconda

l 22 dicembre 2005, otto mesi dopo la sua elezione, Benedetto XVI, presentando gli auguri natalizi, pronunciò un discorso di una certa importanza, che toccò alcuni punti essenziali del momento. Da allora quel discorso, per il suo contenuto, è stato considerato il discorso programmatico del nuovo Papa.

Il 19 settembre scorso, il quotidiano della CEI, Avvenire, ha pubblicato il testo integrale dell'intervista del Direttore de La Civiltà Cattolica, padre Antonio Spadaro, a Papa Francesco. L’intervista, condotta anche per conto delle altre testate della Compagnia di Gesù, è stata raccolta dal 19 al 23 agosto 2013, in quel di Santa Marta, albergo vaticano in cui alloggia il nuovo Papa.
Nonostante la sua complessiva pochezza e la sua evidente povertà concettuale, questa intervista, pubblicata sei mesi dopo l’elezione di Bergoglio, si presenta come l’equivalente del discorso alla Curia di Benedetto XVI, poiché, per i punti che tocca, delinea con chiarezza il pensare e il sentire di questo nuovo Papa e, quindi, la linea direttrice del suo pontificato.

L’intervistatore chiarisce che « Complessivamente abbiamo dialogato per oltre sei ore, nel corso di tre appuntamenti il 19, il 23 e il 29 agosto. Qui ho preferito articolare il discorso senza segnalare gli stacchi per non perdere la continuità. La nostra è stata in realtà una conversazione più che un’intervista…».
Dal che si può dedurre che non si possa escludere una futura pubblicazione più corposa e particolareggiata di quanto oggi pubblicato, magari distribuita a mo’ di precisazioni correttive, che non guastano mai per esprimere il contorsionismo e la doppiezza dei moderni comunicatori di massa.

Confessiamo che se non fosse per diversi punti particolarmente critici di questa intervista, siamo stati tentati di cestinarla, tanto è intrisa di luoghi comuni e di slogan più o meno articolati, ma siamo stati costretti a prenderla in debita considerazione per il semplice motivo che essa contiene così tante dichiarazioni anticattoliche che ci si chiede se è stato davvero un papa a profferirle.
Il merito di tali dichiarazioni, peraltro, ci ha indotti a considerare che esse devono rappresentare, non solo ciò che pensa e crede Bergoglio, ma anche ciò che pensano e credono i cardinali che lo hanno eletto, non potendosi supporre che essi fossero all’oscuro dell’indole, del sentire e del credere dell’allora cardinale Bergoglio, noto arcivescovo di Buenos Aires. Anzi, è inevitabile ritenere che essi lo abbiano eletto proprio per queste sue caratteristiche, condividendole, approvandole e desiderando che fossero quelle del nuovo Papa e della nuova Chiesa che avevano e che hanno in mente.
Per questi motivi abbiamo ritenuto che fosse più proficuo presentare le seguenti riflessioni distribuite in più parti, per permettere ai lettori di considerarle con una certa ponderatezza, non tanto per quello che scriviamo noi, quanto per quello che ha detto Papa Bergoglio.

Seguiamo il testo pubblicato su Avvenire e incominciamo con la presentazione di padre Spadaro.



L’esperienza di governo

Pensa che la sua esperienza di governo del passato possa servire alla sua attuale azione di governo della Chiesa universale?

«Nella mia esperienza di superiore in Compagnia, a dire il vero, io non mi sono sempre comportato così, cioè facendo le necessarie consultazioni. E questa non è stata una cosa buona. … Il mio modo autoritario e rapido di prendere decisioni mi ha portato ad avere seri problemi e ad essere accusato di essere ultraconservatore. Ho vissuto un tempo di grande crisi interiore quando ero a Cordova. Ecco, no, non sono stato certo come la Beata Imelda, ma non sono mai stato di destra. È stato il mio modo autoritario di prendere le decisioni a creare problemi». «Dico queste cose come una esperienza di vita e per far capire quali sono i pericoli. Col tempo ho imparato molte cose. Il Signore ha permesso questa pedagogia di governo anche attraverso i miei difetti e i miei peccati. Così da arcivescovo di Buenos Aires ogni quindici giorni facevo una riunione con i sei vescovi ausiliari, varie volte l’anno col Consiglio presbiterale. Si ponevano domande e si apriva lo spazio alla discussione. Questo mi ha molto aiutato a prendere le decisioni migliori. E adesso sento alcune persone che mi dicono: “non si consulti troppo, e decida”. Credo invece che la consultazione sia molto importante. I Concistori, i Sinodi sono, ad esempio, luoghi importanti per rendere vera e attiva questa consultazione. Bisogna renderli però meno rigidi nella forma. Voglio consultazioni reali, non formali. La Consulta degli otto cardinali, questo gruppo consultivo outsider, non è una decisione solamente mia, ma è frutto della volontà dei cardinali, così come è stata espressa nelle Congregazioni Generali prima del Conclave. E voglio che sia una Consulta reale, non formale».

In sostanza qui Bergoglio prende le distanze dalla conduzione autoritaria, che nella sua esperienza gli ha creato dei problemi, ma dal contesto si comprende benissimo come la sua idea di “autoritarismo” sia quanto meno strana e certamente soggiacente alla concezione moderna dell’autorità, vista solo come esercizio soggettivo, unilaterale e arbitrario della volontà del singolo o del gruppo. Non a caso usa l’espressione “non sono mai stato di destra”, rivelando il radicato pregiudizio che l’autoritarismo, con la sua valenza negativa, sarebbe solo di destra, come se un po’ di secoli di storia non avessero insegnato niente e non avessero manifestato lo stato degenerato dell’uomo moderno che si esprime sempre in termini di sopraffazione, da destra, da sinistra o dal centro. Tutte categorie artificiali, peraltro, poiché il substrato comune a tutte è che “oggi e noi” abbiamo capito tutto a fronte di “ieri e gli altri” che non capivano e non capiscono niente, così che chiunque non si adegui all’“oggi e a noi” sarebbe un reietto da scartare o un pazzo da ricoverare.
È questo il fondamento dell’autoritarismo moderno che, esploso nella Rivoluzione francese, continua ad imperversare sotto le etichette più diverse, da ultimo: i cosiddetti “diritti civili” e la neanche tanto nascosta “dittatura democratica o libertaria”, in nome delle quali si giunge anche alle più atroci e ingiustificate “operazioni di polizia”: il nuovo nome delle vecchie “guerre”.

Non è questa la sede per approfondire la portata di questa aberrazione moderna, ma certo è che Bergoglio dimostra di non conoscere la differenza tra “autoritario” e “autorevole”, cioè tra arbitrio e autorità, molto probabilmente perché semplicemente disconosce il concetto di autorità e l’autorità stessa. Prova ne sia il rimedio da lui proposto: la consultazione permanente, la subordinazione dell’esercizio dell’autorità alla collegialità, al ricorso a continue riunioni di questi e di quelli che, dietro il paravento della consultazione, sono gli unici che finiscono col decidere e comandare: l’autorità soppiantata dalla mancanza di autorità; la responsabilità soppiantata dalla irresponsabilità, sotto la copertura della consultazione permanente. Cosa dice infatti Bergoglio? “La Consulta degli otto cardinali, questo gruppo consultivo outsider, non è una decisione solamente mia, ma è frutto della volontà dei cardinali, così come è stata espressa nelle Congregazioni Generali prima del Conclave.
Che significa? Che lui ha deciso di inventare una sorta di “consiglio della corona”, seppure non faccia né vuole fare il re, ma trattandosi di una decisione frutto della volontà di altri, in realtà lui è solo parzialmente responsabile o, diciamo noi, irresponsabile.
Per cinquant’anni si è fatto notare come il Vaticano II abbia portato alla desistenza dell’autorità, oggi il cerchio si chiude: Bergoglio dichiara apertamente, e in qualche modo ufficialmente, che non si desiste più, semplicemente si rinuncia all’autorità. Poco importa che l’autorità del Pontefice e della Chiesa venga direttamente da Dio.
Se ci fosse almeno un po’ di buon senso si riconoscerebbe che qualunque “capo responsabile”, massimamente il Papa, è da sempre che esercita la sua funzione “consultando” tutti quelli che ritiene necessario, senza bisogno di Vaticani secondi, di sinodi più o meno permanenti, di consulte cardinalizie e di consigli presbiterali, assumendosi in pieno la sua responsabilità e assolvendo seriamente al suo dovere di stato.
È un caso che già da ben prima del Vaticano II, la vecchia saggezza popolare ricordava il proverbio: “Tutti i consigli, prendili, ma il tuo non lo lasciare”… oh, bei tempi andati, quando non era ancora scoppiato il cancro della democrazia!

Sentire con la Chiesa

provo a capire che cosa significhi esattamente per Papa Francesco il «sentire con la Chiesa» di cui scrive sant’Ignazio nei suoi Esercizi Spirituali.

«L’immagine della Chiesa che mi piace è quella del santo popolo fedele di Dio. È la definizione che uso spesso, ed è poi quella della Lumen gentium al numero 12. L’appartenenza a un popolo ha un forte valore teologico: Dio nella storia della salvezza ha salvato un popolo. … Il popolo è soggetto. E la Chiesa è il popolo di Dio in cammino nella storia, con gioie e dolori. Sentire cum Ecclesia dunque per me è essere in questo popolo. E l’insieme dei fedeli è infallibile nel credere, e manifesta questa sua infallibilitas in credendo mediante il senso soprannaturale della fede di tutto il popolo che cammina. … Non bisogna dunque neanche pensare che la comprensione del “sentire con la Chiesa” sia legata solamente al sentire con la sua parte gerarchica. … ovviamente, bisogna star bene attenti a non pensare che questa infallibilitas di tutti i fedeli di cui sto parlando alla luce del Concilio sia una forma di populismo. No: è l’esperienza della “santa madre Chiesa gerarchica”, come la chiamava sant’Ignazio, della Chiesa come popolo di Dio, pastori e popolo insieme. La Chiesa è la totalità del popolo di Dio.»

Questo passo, con i suoi elementi controversi, può leggersi bene solo alla luce dell’ultima frase, dallo stesso intervistatore introdotta con “il Papa, dopo un momento di pausa, precisa in maniera secca, per evitare fraintendimenti: ovviamente, bisogna star bene attenti…”.
Ora, il sospetto che quanto da lui appena detto possa generare dei fraintendimenti, fa onore a Bergoglio, in quanto rivela che egli stesso si rende conto che ciò che pensa è controverso… ma allora, perché lo pensa e… lo dice anche?

E cosa c’è di controverso nelle sue parole?

Intanto il famoso “popolo di Dio”. “Dio nella storia della salvezza ha salvato un popolo. … Il popolo è soggetto”. Qui, anche dal semplice punto di vista grammaticale, il popolo è l’oggetto, non il soggetto… il soggetto è Dio.
Questo capovolgimento è davvero rivelatore, tanto che, se sommato al fatto che Dio non ha salvato un popolo già definito, ma ha costituito un popolo con gli uomini diversi che hanno creduto in Lui - basta leggere seriamente l’Esodo - ci si rende conto che il Vaticano II ha voluto trasformare i credenti in Dio in una entità autonoma che ha la sua giustificazione in se stessa e solo dopo è “di Dio”; fino al punto da mutarla in soggetto che da sé “è infallibile nel credere”, come dice qui Bergoglio e come già diceva Ratzinger: “Dall'altra parte c'è l'’ermeneutica della riforma’, del rinnovamento nella continuità dell'unico soggetto-Chiesa, che il Signore ci ha donato; è un soggetto che cresce nel tempo e si sviluppa, rimanendo però sempre lo stesso, unico soggetto del Popolo di Dio in cammino”.
Questo pallino del “popolo di Dio” che sarebbe “infallibile nel credere” e che nel tempo si sviluppa e con sé sviluppa anche la comprensione dell’insegnamento di Dio, è il risultato dell’intima convinzione che, al pari il popolo, anche la dottrina cattolica e quindi l’insegnamento di Dio e quindi Dio stesso sarebbero in evoluzione… salvo ovviamente rimanere allibiti ove si pensi che questa nuova dea “evoluzione” è quella stessa che per sua natura porta l’esistente dalla nascita allo sviluppo e quindi alla morte. Solo una radicata concezione moderna, intrisa e compiaciuta dell’allontanamento progressivo da Dio, poteva concepire una tale evoluzione “mortale” dell’insegnamento di Dio, come ha fatto il Vaticano II, il Magistero dopo di esso, ieri Ratzinger e oggi Bergoglio.

In secondo luogo, questo “popolo di Dio” possiederebbe questa “infallibilitas in credendo” sulla base della “esperienza” del “senso soprannaturale della fede”, al punto che il “sentire cum Ecclesia” non sarebbe altro che lo stare “in questo popolo” “pastori e popolo insieme”. Il che significa che si è anche invertito il significato del sensus fidei, che non sarebbe più tanto la naturale docilità dell’insieme dei fedeli a ritenere e a trasmettere l’insegnamento divino così come presentato dall’infallibilità della Madre Chiesa e tramite la pratica di esso, quanto l’esperienza religiosa dei fedeli che con questa “mediano” l’insegnamento ricevuto e trasmettono quanto “hanno mediato” perfino alla gerarchia. Così che non si tratterebbe più della ritenzione e della trasmissione, da parte dei fedeli, dell’insegnamento oggettivo soprannaturale, ma, al contrario, del continuo rinnovamento o “aggiornamento” di questo insegnamento attraverso la soggettività e l’esperienza naturali, da cui dovrebbe attingere la stessa Madre Chiesa in quanto “magistra”.
Questo vero è proprio stravolgimento dell’oggettività del Creatore nella mera soggettività della creatura, frutto della sovversione operata dal Vaticano II a partire dalle deviazioni dei vescovi e dei teologi, è talmente radicata nei nuovi preti come Bergoglio, che è sua la famosa doppia metafora delle pecore che guidano i pastori e dei pastori che assumono l’olezzo delle pecore.
Circa la seconda, è stato giustamente detto che semmai, secondo logica e buon senso, è proprio il contrario che deve avvenire, che cioè i pastori accudiscano, tosino e nettino e lavino le pecore per aiutarle a presentarsi le più candide possibile al cospetto di Dio.
Circa la prima, è davvero singolare che un “pastore” che viene dalle pampas non abbia mai visto le greggi condotte ai tratturi, greggi che si muovono certo in maniera continuamente caotica e autonoma perché indotti a tanto dall’istinto di basta una di esse, dietro cui si dirigono come pecore, appunto, ma che vengono continuamente ricondotte nella giusta direzione voluta dal pastore, in questo nostro caso, da “il Pastore”, sia dalle grida e dai fischi del pastore stesso, sia alla incessante attività dei cani del pastore, fedeli esecutori della sua volontà. Ed è strano, ma non molto, che un gesuita non “ricordi” come un tempo i pastori della Chiesa e, in primis, il pastore supremo, per ispirazione divina, si servisse dei cani del vero unico Pastore - del Signore -, si servisse di quei Domini-cani da Lui stesso suscitati per il bene delle pecore. Stranezza che però si rivela essere non più tale, ove si pensi che il Vaticano II ha operato la sovversione dell’insegnamento divino anche con il fattivo contributo di tanti Domenicani, ormai trasformatisi in vere e proprie “pecore matte” non più in grado né di guidare le pecorelle del Signore, né di capire e di eseguire la volontà dell’unico vero Pastore.

E questo stravolgimento del soprannaturale nel mero naturale, lo si coglie bene da quanto dice Bergoglio subito dopo:
«La Chiesa è feconda, deve esserlo. Vedi, quando io mi accorgo di comportamenti negativi di ministri della Chiesa o di consacrati o consacrate, la prima cosa che mi viene in mente è: “ecco uno scapolone”, o “ecco una zitella”. Non sono né padri, né madri. Non sono stati capaci di dare vita. Invece, per esempio, quando leggo la vita dei missionari salesiani che sono andati in Patagonia, leggo una storia di vita, di fecondità».

Una dichiarazione che sembrerebbe voler esaltare la fecondità dell’azione missionaria e pastorale in genere, ma che la limita alla mera attività tangibile e visibile, rivelando la venatura tipicamente protestante di Bergoglio: ci si salverebbe solo con le opere e solo con le opere tangibili.
Vero è che San Paolo insegna che senza la carità non si è niente, ma la carità non consiste solo nelle azioni naturali visibili, ma, in quanto vero amore per Dio da cui discende l’amore per il prossimo, consiste anche e soprattutto nelle azioni soprannaturali invisibili, come la preghiera, il ritiro e la contemplazione. Anzi, l’azione naturale, di per sé, è passibile di mutarsi da fattore agito in fattore agente, al punto che può arrivare che il soggetto che compie un’azione diventi oggetto dell’azione stessa. È la trappola dell’azione per l’azione, dell’agire per l’agire, della irrefrenabile necessità del fare, che trasformano il soggetto agente in oggetto necessitato ad agire. È la frenesia moderna del vitalismo, che muta e stravolge la vita da mezzo a fine. È la deviazione del cattolicesimo moderno partorito dal Vaticano II che stravolge la gerarchia dell’amore per Dio da cui discende l’amore per l’uomo, nell’adorazione per l’uomo a cui corrisponderebbe l’amore per Dio.
In questa ottica, è logico che Bergoglio consideri sterile e infruttuosa la scelta dei consacrati e delle consacrate, considerandoli meri “scapoloni” e zitelle”, uomini e donne che invece di consacrarsi all’uomo, come insegna il Vaticano II, avrebbero stoltamente deciso di consacrarsi a Dio.
Evidentemente Bergoglio ignora l’insegnamento di Nostro Signore:
«Vi sono infatti eunuchi che sono nati così dal ventre della madre; ve ne sono alcuni che sono stati resi eunuchi dagli uomini, e vi sono altri che si sono fatti eunuchi per il regno dei cieli. Chi può capire, capisca.» (Mt. 19, 12).
Nonché l’insegnamento di San Paolo nella Prima Lettera ai Corinti:
«Io vorrei vedervi senza preoccupazioni: chi non è sposato si preoccupa delle cose del Signore, come possa piacere al Signore (7, 32)… Così la donna non sposata, come la vergine, si preoccupa delle cose del Signore, per essere santa nel corpo e nello spirito (7, 34) … Questo poi lo dico per il vostro bene, non per gettarvi un laccio, ma per indirizzarvi a ciò che è degno e vi tiene uniti al Signore senza distrazioni (7, 35).
Evidentemente Bergoglio ignora che la più sublime delle azioni umane non è telefonare a questo e quello, ma concentrarsi nella contemplazione di Dio, perché con la loro “non azione”, i contemplativi possano apportare al mondo i maggiori frutti spirituali per compensare i peccati e le manchevolezze che gli uomini commettono con le loro azioni. Come ignora che da sempre la Chiesa ha raccomandato la preghiera e la meditazione di tutti per la riparazione dei peccati del mondo, come avviene con la celebrazione dei Santi Misteri.

Ancora evoluzionismo dottrinale

Quali le speranze per la Chiesa universale che le sembrano provenire da queste Chiese [di più recente costituzione]?

«Le Chiese giovani sviluppano una sintesi di fede, cultura e vita in divenire, e dunque diversa da quella sviluppata dalle Chiese più antiche. Per me, il rapporto tra le Chiese di più antica istituzione e quelle più recenti è simile al rapporto tra giovani e anziani in una società: costruiscono il futuro, ma gli uni con la loro forza e gli altri con la loro saggezza. Si corrono sempre dei rischi, ovviamente; le Chiese più giovani rischiano di sentirsi autosufficienti, quelle più antiche rischiano di voler imporre alle più giovani i loro modelli culturali. Ma il futuro si costruisce insieme».

La premessa è questa strana concezione che cataloga, distinguendole, le “Chiese antiche” e le “Chiese nuove”. Una concezione che di per sé demolisce la Chiesa, Una, Santa, Cattolica, Apostolica.
Da tale incredibile premessa è logico che si arrivi alla “sintesi di fede, cultura e vita in divenire” che svilupperebbero le nuove Chiese. Così che inevitabilmente si sancisce che:
1. La fede sarebbe in divenire al pari della cultura e della vita.
2. Questa fede in divenire, di oggi, deve confrontarsi con la fede in divenire di ieri.
3. Lo scopo delle “Chiese giovani” e delle “Chiese antiche” è “costruire il futuro”; quale futuro? Bergoglio non lo dice perché è ovvio: il futuro di questo mondo in questo mondo. Da cui si ricava un altro punto:
4. Lo scopo della Chiesa – ormai fatta di “chiese giovani e antiche” sempre in divenire, non è quello della “vita venturi saeculi”, ma della “vita naturalis praesenti saeculi”.


(segue)

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parte terza

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ottobre 2013

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