La sorprendente attualità della

“Lettera a un amico ebreo”

di Sergio Romano

(1997)

Prima parte


di Don Curzio Nitoglia


Prima parte
Seconda parte
Terza parte
Quarta parte

Gli articoli dell'Autore sono reperibili sul suo sito
https://doncurzionitoglia.wordpress.com/









La shoah non è un fatto storico è un “dogma”


Sergio Romano, nel suo libro Lettera a un amico ebreo (Milano, Longanesi, 1997), parla del genocidio degli Ebrei e asserisce senza mezzi termini:

La regola secondo cui ogni fatto storico è costretto, prima o dopo, a passare in seconda fila, soffre di un’eccezione.

Vi è un avvenimento - il genocidio degli Ebrei durante la seconda guerra mondiale - che diventa col passar del tempo sempre più visibile, incombente e “ingombrante”.

Perché, il genocidio degli Ebrei, si domanda il professor Romano, durante la seconda guerra mondiale, non può passare in seconda fila, come tutti i fatti storici, finendo così da risultare ingombrante?

«Per il timore che gli studi storici finiscano per “storicizzare” il genocidio».

Il genocidio degli Ebrei, perciò, deve essere eretto a verità dogmatica e, quindi, deve situarsi aldilà della storia. Dunque, non può e non deve essere storicizzato, sotto pena di venir rimpicciolito a livello di tutte le altre vicende umane.

Perciò, il genocidio degli Ebrei non è una vicenda, un fatto storico come tutti gli altri, esso rappresenta un unicum, un qualcosa di sacrale, di assoluto, di divino, che non deve essere relativizzato e profanato dalla storia. Occorre, perciò, trasformare il genocidio in un genere storico permanente, che non deve passare mai, una sorta di “passato” che non passa


Il sionismo ebraico è molto simile al “risorgimento italiano”

Per parlare adeguatamente di sionismo, scrive Romano, occorre rievocare la figura del filantropo livornese Sir Moses Montefiore (1784 – 1885): egli era convinto che gli Ebrei sarebbero diventati liberi soltanto se si fossero laicizzati; ossia, disfatti della loro identità religiosa, con tutte le sue “interdizioni”. Occorreva, perciò battersi per la loro emancipazione o laicizzazione.

Teodoro Herzl (1860 – 1904) non si fermò alla sola emancipazione, egli giunse alla conclusione che, nemmeno l’emancipazione e l’integrazione avrebbero protetto gli Ebrei dai pregiudizi razziali.

Quindi, occorreva fondare uno Stato ebraico, poiché anche le società occidentali erano per gli Ebrei una casa infida e scomoda. L’unica soluzione, dunque, era quella di fondare uno Stato in cui gli Ebrei si sarebbero potuti sottrarre alle loro interdizioni religiose e anche alle persecuzioni che non risparmiavano neppure gli Ebrei assimilati.

L’ideologia sionista, come spiega Romano, era laicista, civile, nazionale, risorgimentale-mazziniana, più che religiosa e spirituale.

In breve, era una sorta di “nazionalismo laico”, che si contrapponeva al “rabbinismo religioso-ortodosso”. Ora, pare evidente che l’attuale straordinario successo dello Stato d’Israele, il quale sembra toccare l’apogeo della sua potenza, «si accompagna paradossalmente al fallimento dell’ideologia sionista».

Inoltre, Netanyahu ha unito nel suo Partito (Likud) la componente nazionalista a quella religiosa, cancellando l’impronta originaria del sionismo laicista di Teodoro Herzl († 1904) e David Ben Gurion († 1973).


La spaccatura recente tra elemento laico e quello religioso del sionismo

Con la vittoria del Likud e il governo Netanyahu, lo Stato ebraico non è quasi più laico, nazional-mazziniano, ma tende sempre più verso la teocrazia filo-nazista e crudelmente militarista, tanto temuta da Herzl, che scriveva nelle ultime pagine del suo libro Lo Stato ebraico: «Avremo alla fine una teocrazia? No. Non faremo emergere le velleità teocratiche dei nostri religiosi. Sapremo tenerli entro i confini dei loro templi».

Ebbene, la profezia di Herzl sembra essere fallita e in questo fallimento mi sembra si possa cogliere lo scacco medesimo dello Stato d’Israele, che comincia a declinare proprio ora che ha toccato lo zenit della potenza (e prepotenza) economico-militare.


Dall’uccisione di Rabin (1996) al genocidio di Gaza (2024)

L’uccisione d’Isacco Rabin (1996), infatti, segna un punto di non ritorno nella divisione (e quindi dissoluzione) dello Stato d’Israele tra laico-democratici, rappresentanti del sionismo classico, e ortodossi ultra-religiosi o neo-zeloti (uniti alla componente filo-nazista che viene dal Betar di Vladimiro Jabotinsky, † 1940), rappresentanti dello Stato teocratico ultra-ortodosso e ultra-nazionalista che è l’antitesi del sionismo stesso.

Lo stato di quasi guerra civile che ha preceduto il 7 ottobre del 2023 è stato emblematico ed è stato interrotto solo dalla mattanza del 7 ottobre 2024 e dal genocidio che ancora continua, dopo un anno di bombardamenti a tappeto.


Psicologia criminale talmudica

Le leggi razziali della Germania nazionalsocialista risvegliarono la coscienza ebraica. Infatti, come diceva una delle voci più autorevoli del sionismo e primo Presidente dello Stato ebraico, Chaim Weizmann († 1952): «È certo che quello che sta succedendo in Germania ha provocato una ripresa di coscienza ebraica un po’ dappertutto, anche là, dove si stava esaurendo, il che non è senza utilità».

E nel dopoguerra cominciò la grande immigrazione di Ebrei in Palestina.

Ora, si vuole cacciare totalmente i Palestinesi da casa loro e se si rifiutano di “accomodarsi” li si massacra, con una soluzione finale fisica oltre che geografica, compresi bambini, donne e vecchi.
Dopo la Palestina si attaccano il Libano, la Siria, gli Yemeniti e l’Iran. Ma, l’omicidio è un peccato che grida vendetta al cospetto di Dio; ossia, Dio stesso lo castiga già su questa terra. Che cosa avverrà, allora, per un genocidio? 

La parabola del “povero Lazzaro e del ricco Epulone” (Lc., XVI, 19 - 31) può essere applicata a questa situazione di sterminio e di “affamamento”. Il povero Lazzaro, al quale Epulone aveva negato ogni soccorso e dignità, morì e fu portato nel seno del Patriarca Abramo. Quando, poi morì il suo aguzzino, il ricco Epulone, fu sepolto nell’inferno. Epulone pregò, allora, Abramo di mandare Lazzaro a rinfrescare la sua bocca immersa in un mare di fuoco. Tuttavia, Abramo gli rispose che tra Cielo e Inferno v’era un abisso invalicabile …

Ora i bambini, le donne e i vecchi palestinesi (libanesi e siriani) sono trucidati dall’esercito israeliano, dietro l’ordine dei generali e del Primo Ministro Benjamin Netanyahu. Sembra, oggi, che il più forte e il più ricco, come allora Epulone, abbia riportato la vittoria sul più povero e debole, allora Lazzaro. Tuttavia, la morte, come “una livella”, implacabilmente verrà ad appianare la situazione di tutti. Però, i deboli innocenti, uccisi come martiri andranno nel Seno di Abramo; mentre, i ricchi Epuloni e gli assassini, saranno sepolti nell’inferno.

Inoltre, sembra che il conflitto si stia espandendo su vasta scala al Libano e, quindi, all’Iran e poi forse anche alla Russia … perciò, anche su questa terra la situazione dell’Epulone attuale potrebbe ribaltarsi radicalmente …

La pratica, su vasta scala,
DELL’«OMICIDIO RITUALE» in Palestina e in Libano (2024)


Il genocidio attuale perpetrato del sionismo in Palestina sembra essere l’applicazione, su vasta scala, dell’omicidio rituale praticato del Talmudismo.


Cos’è l’omicidio rituale

Cos’è l’omicidio rituale? Non è difficile rispondere. Infatti, v’è una vasta letteratura tra cui spiccano anche autori ebrei (Ariel Toaff) ed ebrei convertiti al Cristianesimo (Cesare Algranati). Vediamo di riassumerla.

DOMENICO SAVINO ha sfatato un mito, quello della inverosimiglianza dell’omicidio rituale praticato dall’ebraismo, specialmente askenazita, in un magnifico libro (Omicidio rituale ebraico. Storia di un’accusa, Viterbo, Effedieffe, 2008) di 411 pagine, di cui 15 di bibliografia e oltre 700 note.

L’Autore ha iniziato a studiare il tema dell’omicidio rituale circa 20 anni or sono, per la sua tesi di laurea discussa con il professor Mauro Pesce, della scuola dossettiana e alberighiana.

Egli partiva da una posizione “innocentista” che riteneva una favola, la teoria dell’omicidio rituale; tuttavia, con il passar degli anni, sono usciti vari libri sull’argomento (che dopo il 1880 sino al 1990 era caduto in oblio), alcuni di essi sono seri (Esposito-Quaglioni, Taradel, Miccoli, tra gli “innocentisti”), altri molto meno (Jesi, Introvigne, sempre “innocentisti”).

Finalmente nel 2007 è stato pubblicato il libro più qualificato su tale argomento: ARIEL TOAFF (Pasque di sangue. Ebrei d’Europa e omicidi rituali, Bologna, Il Mulino).
Ariel Toaff è il figlio dell’ex rabbino capo di Roma, rabbino lui stesso in Israele e professore universitario presso Bar-Ilan in Gerusalemme. La prima edizione di tale libro ha suscitato una tempesta, poiché per la prima volta un autore ancora ebreo (non convertito al Cristianesimo), non solo ammetteva la veridicità dell’omicidio rituale, ma ne dava ampia prova a partire dalla mentalità, dottrina e pratica dell’ebraismo talmudico, specialmente askenazita.

In realtà, vi era stato nel 1894 un ebreo (ma allora convertito al cattolicesimo da 9 anni) CESARE ALGRANATI (pseudonimo, ROCCA D’ADRIA) che aveva spiegato davanti al Congresso eucaristico di Torino (cui presiedevano l’Arcivescovo-Cardinale dell’omonima città e 16 Vescovi del Piemonte) la tesi ripresa poi dal Toaff. Il suo intervento (tenutosi tra il 2 e il 6 settembre 1894) è stato poi pubblicato dalla Tipografia Calenza, sotto il titolo L’Eucarestia e il rito pasquale ebraico, in “Atti del Congresso Eucaristico di Torino”, 2 voll., 1895, 2° vol., pp. 81-89).

L’Algranati, nato il 18 dicembre 1865, era discendente da una schiatta di ricchissimi armatori ebrei di Ancona, quando si convertì ventiduenne, fu diseredato, gli si promise la reintegrazione a condizione di apostatare, ma non cedette, collaborò inizialmente con l’integrismo cattolico di don Davide Albertario, mentre finì poi, nel 1896, per approdare al progressismo democristiano del Murri; tuttavia, mai volle smentire quanto aveva detto e scritto sull’accusa del sangue, (sino alla sua morte, 1926) anche se sollecitato dagli ambienti catto-progressisti cui aveva aderito e dai quali fu emarginato a causa della sua “testardaggine” (cfr. LORENZO BEDESCHI, I pionieri della Democrazia Cristiana. 1896-1906, Milano, Il Saggiatore, 1966, pp. 159-162). Le sue pagine meritano di essere studiate attentamente, alla pari del libro di Toaff.

Per quanto riguarda Domenico Savino, egli ha dato prova d’onestà intellettuale e coraggio, poiché di fronte a quanto scritto dal Toaff si è ricreduto e ha sviscerato ulteriormente il problema, non temendo di andar controcorrente aderendo alla demitizzazione della teoria preconcetta (o stereotipo e pregiudizio “filo-semita”) che voleva presentare l’accusa del sangue come favola o mito.

La conclusione cui giunge il Savino è la stessa cui erano giunti l’Algranati e il Toaff, egli ha potuto – inoltre – avvalersi degli studi dei suoi predecessori, arricchirli e integrarli con preziose notizie e riflessioni che si snodano per 400 densissime pagine, le quali meritano studio attento e riflessione.

I filosofi medievali dicevano che “pur se noi siamo bambini, tuttavia ci poniamo sulle spalle dei giganti (coloro che ci hanno preceduto) e allora vediamo più lontano di essi”, solo così c’è vero progresso scientifico, guardare avanti facendo tesoro dell’esperienza passata.
Questa è la ricchezza del libro di Domenico Savino che raccomando al vostro studio.


Conclusione

Pericolosità apocalittica del sionismo

Secondo molti pensatori tra cui spicca Yakov Rabkin haredim o ultra-ortodossi «la shoah e lo Stato d’Israele non costituiscono affatto degli avvenimenti antitetici - distruzione e ricostruzione -, ma piuttosto un processo continuo: l’eruzione finale delle forze del male […]. La tradizione giudaica considera rischiosa ogni concentrazione di Ebrei in uno stesso luogo. I critici odierni fanno osservare che le previsioni più gravi sembrano realizzarsi, perché lo Stato d’Israele è diventato “l’ebreo tra le Nazioni” e il Paese più pericoloso per un ebreo» (1).

Nel capitolo VII del suo libro Rabkin continua e approfondisce questo stesso tema. «Lo Stato d’Israele è in pericolo […]. Quello che veniva presentato come un rifugio, addirittura il rifugio per eccellenza, sarebbe diventato il luogo più pericoloso per gli Ebrei. Sono sempre più numerosi gli israeliani che si sentono presi in una “trappola sanguinaria”. […] E cresce il numero di quanti esprimono dubbi circa la sopravvivenza di uno Stato d’Israele creato in Medio Oriente, in quella “zona pericolosa” […]. I teorici dell’antisionismo rabbinico sostengono […] che la shoah sia solo l’inizio di un lungo processo di distruzione, che l’esistenza dello Stato d’Israele non fa che aggravare. […] Concentrare [7-8] milioni di Ebrei in un luogo così pericoloso sfiora la follia suicida» (2). Analogamente a quanto successe a Masada nel 73. Ma, la storia non sembra essere più “magistra vitae”.


Conclusione

a)    Mentre in “occidente” i goyjm sono ossessionati dalla shoah, come da “un passato che non passa” (Sergio Romano),
b)    in Israele si comincia a capire che la shoah è l’inizio di un lungo processo di distruzione. Infatti, essa è la trappola rischiosamente cruenta per i circa otto milioni di Ebrei concentrati in un medesimo luogo.
c)    Quello che poteva sembrare inizialmente un magnifico trionfo o un bellissimo sogno, si sta rivelando sempre di più un terribile scacco e un tremendo processo di auto-distruzione. Giustamente il Rabkin vede in Israele un pericolo per l’intera umanità, che potrebbe portare a una ‘catastrofe’ di proporzioni mondiali.
 


NOTE

1 -  ID., Y. M. RABKIN, Israele una minaccia interna, Verona, Ombre Rosse, 2005, pp. 210-211.
2 - ID., pp. 213-215.
Per quanto riguarda la questione suesposta GIORGIO ISRAEL su Il Giornale (29 gennaio 2010, p. 1) scrive: «È l’Iran il vero erede dei nazisti» asserisce che Alì Khamenei, Alì Larjiani e Mamohud Ahmadinejead vogliono la distruzione di Israele e degli Ebrei come Hitler. Invece il professore di “Studi iraniani” alla Sorbonne Nouvelle di Parigi, YANN RICHARD (espulso dall’Iran in quanto antikhomeinista) nel suo ultimo libro L’Iran de 1800 à nos jours, (Parigi, Flammarion, 2009) spiega, con dovizia di riferimenti, che lo Scià di Persia defenestrato nel 1978-79 da Khomeini era un monarca manipolato da interessi stranieri e soprattutto anglo-americani, in funzione petrolifera e anti sovietica/pan-araba. Quindi quella di Khomeini († 1989) fu una vera rivoluzione che instaurò una repubblica islamica al posto di una monarchia corrotta e asservita agli stranieri. Proprio per questo gli Usa finanziarono Saddam Hussein nella guerra contro l’Iran (1980-1988). Certamente l’islam è il valore dominante della repubblica iraniana, ma si tratta di un islam moderno, progressista, aperto alle forme parlamentari, antimperialista e filo-palestinese. Uno dei nemici dell’Iran è l’Afghanistan dei Talebani islamici wahabiti e ferocemente anti-sciiti. In Afghanistan sono stati massacrati circa quindici diplomatici iraniani sciiti dai Talebani wahabiti a Mazar-i-Sharif, nel nord del Paese. Il professor Richard spiega che il vero radicalismo islamico non è quello sunnita dell’Iraq di Saddam, né quello sciita dell’Iran di Ahamdihejead ma, quello wahabita afgano. L’Iran si è schiarato per primo tra i Paesi musulmani con il Presidente anti-talebano Hamid Karzai in Afghanistan. Ha lottato contro Saddam anche nel 2003, mentre ha sostenuto gli sciiti libanesi di Hezbollah e i Palestinesi di Hamas. Addirittura l’antigiudaismo non ha nessun peso in Iran, dove gli Ebrei continuano a vivere con diritto di cittadinanza. I discorsi contro lo Stato d’Israele di Ahmadinejead sono antisionisti e non antisemiti o antiebraici. Essi sono amplificati dai media occidentali. La minaccia nucleare iraniana è più un deterrente che il Paese potrebbe sviluppare in caso di un nuovo conflitto, stile quello del 1980-1988 e non un’arma offensiva pronta a essere utilizzata eventualmente contro Israele. Certamente, sin dall’inizio della rivoluzione khomeinista il potere in Iran è oscillato tra “democrazia” (rispetto alla vecchia monarchia dello Scià) e legge islamica, il problema è stato risolto con una specie di compromesso tra “Repubblica” e “islamica”, che è l’attuale denominazione dell’Iran. I religiosi hanno la guida del Paese, ma hanno accettato le regole parlamentari. Essi si fanno paladini della lotta contro il comunismo, l’imperialismo super-capitalista occidentale (anglo-americano) e dell’appoggio al nazionalismo arabo. Contro Ahmadinejad è in atto una specie di “rivoluzione vellutata” condotta da Moussavi, Karroubi e Khatami come quelle suscitate dagli Usa in Georgia e Ucraina contro Putin.
«Anche alcuni intellettuali laici si chiedono se lo Stato d’Israele non stia andando diritto verso il suicidio collettivo» come successe a Masada il 15 aprile del 73 (RABIKIN, cit., p. 228). «Il tema del pericolo apocalittico che lo Stato d’Israele rappresenta per il mondo intero torna regolarmente nei discorsi antisionisti: la diffusione del terrorismo suicida del Medio Oriente ai quattro angoli della Terra  […]. Alcuni rabbini haredim si sono preoccupati per il pericolo universale costituito dallo Stato d’Israele per l’intera umanità […], la creazione di Israele […] porterebbe a una ‘catastrofe’ [in ebraico “shoah”] di proporzioni mondiali» (p. 229).















 
novembre 2024
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