La sorprendente attualità della

“Lettera a un amico ebreo”

di Sergio Romano

(1997)

Terza parte


di Don Curzio Nitoglia


Prima parte
Seconda parte
Terza parte
Quarta parte

Gli articoli dell'Autore sono reperibili sul suo sito
https://doncurzionitoglia.wordpress.com/










Il professor Israel Shahak, nel suo libro: Le racisme de l’Etat d’Israel, (Guy Authier, Paris, 1975), riporta una serie di fatti che denotano la concezione razzista sulla quale si basa lo Stato israeliano (1).

«Nello Stato ebraico - scrive lo Shahak - solo gli Ebrei sono considerati come esseri umani, i non-ebrei hanno uno statuto che è riservato agli animali» (2) e continua: «Nello Stato ebraico, solo i cimiteri ebrei sono sufficientemente rispettabili perché non li si distrugga. Gli altri cimiteri sono distrutti senza esitazione (cfr. Libano, ottobre 2024) se ve ne è bisogno. L’Hotel Hilton a Tel Aviv, per esempio, è stato costruito sull’antico cimitero di Jaffa ... nella maggior parte dei villaggi palestinesi che furono distrutti nel 1948, i cimiteri furono rasi al suolo» (3).

Inoltre - continua - «Vi sono degli ebrei che non sono ebrei, sembra uno scherzo ma è realtà. Vi sono delle persone, la cui nonna non è ebrea. Secondo la legge ebraica, una persona è ebrea se sua madre e sua nonna sono ebree ... Se si scopre ... che la nonna di un israeliano non era ebrea, si cerca di confiscargli la carta d’identità per cambiare la denominazione da ebreo a non-ebreo» (4).

Per quanto riguarda le prigioni israeliane, lo Shahak c’insegna che il condannato a morte «1°) E' incatenato in permanenza per le gambe ... 2°) La sua cella misura 2,5 metri di lunghezza, e 1,5 di larghezza ... 3°) La cella non ha finestre, ma la luce elettrica è accesa 24 ore su 24» (5).

I carcerati comuni invece «Sono spogliati ... e, certe volte, privati di cibo», nella striscia di Gaza «1°) I prigionieri sono malmenati abitualmente ...; 2°) Hanno diritto a una passeggiata di 15 minuti ogni 2-3 giorni; 3°) Il silenzio assoluto è imposto loro. Certe volte si versa acqua fredda sui vestiti dei prigionieri, la sera, e li si lascia così tutta la notte» (6).

ILo Shahak parla inoltre delle persecuzioni contro i cristiani: «La persecuzione dei cristiani, e specialmente delle famiglie miste, aumenta in Israele. Pressioni sociali e governative sono messe in atto per convertirle al giudaismo o per separarle del tutto. Inoltre, la polizia israeliana, in questi ultimi mesi [del 1975] s’è costantemente rifiutata di proteggerli contro gli attacchi del popolo. (...) Un esempio di tali persecuzioni è dato dal giornale Yediot (26 marzo 1973): una famiglia di 5 persone, con un padre ebreo e una madre non-ebrea, 2 figli e 1a figlia è arrivata dalla Polonia in Israele, presso un kibbutz. Quando si è saputo che la donna era goy, i membri del kibbutz cominciarono a insultarla e “suggerirono” al marito di divorziare. Siccome rifiutava, li obbligarono a lasciare il kibbutz, poi qualcuno attentò alla vita del padre sparandogli di notte. La famiglia si rifugiò nella città di Beth-Shemesh. Ma, lì le persecuzioni s’aggravarono. Non potevano uscire da casa senz’essere malmenati e lapidati, la gente si affacciava alle finestre e gridava: “Dovete essere sterminati! Siete goyim! La polizia si rifiutò di proteggerli ...» (7).

Per quanto riguarda i territori occupati, lo Shahak scrive: «A mio avviso, il regime israeliano d’occupazione nei territori occupati è uno dei più crudeli e dei più repressivi che abbia conosciuto la storia moderna; la prima cura delle autorità d’occupazione è stata quella di organizzare l’espulsione in massa dei palestinesi dalla loro patria, che è durata sino all’agosto del 1968» (8).

Lo Shahak accusa lo Stato d’Israele di violare sistematicamente la Convenzione di Ginevra: «Prendiamo l’esempio della distruzione delle case quando le autorità d’occupazione arrestano un sospetto, prima ancora che sia giudicato, si dà l’ordine di distruggere la casa ove abita. Certe volte appartiene alla famiglia, ma non sempre. Non s’insiste mai troppo sulla barbarie di un tal comportamento. Delle persone che, secondo le autorità israeliane stesse, sono innocenti, si ritrovano così spodestate. Dei bambini, dei vecchi, donne, malati sono messi in mezzo alla strada, senza considerare le condizioni metereologiche, questo è un esempio di punizioni collettive che sono formalmente proibite dalla convenzione di Ginevra» (9).

I dibattiti tra governo e pseudo-liberali riguarda unicamente se il fatto sia utile o no allo Stato israeliano. «Non c’è, in Israele, il diritto, di dire che il fatto d’infliggere a un bambino innocente un castigo crudele è un atto barbaro e abominevole, una tale asserzione sarebbe considerata come una calunnia, poiché si tratta di Palestinesi, di non-ebrei, che son considerati come esseri non-umani» (10).

Quanto alle espulsioni individuali l’Autore scrive: «Le espulsioni individuali son continuate anche dopo il 1968. In questi casi succede così: i rappresentanti delle autorità israeliane entrano nella casa di un uomo, nel cuore della notte. Gli si dà una mezz’ora o un’ora per prendere gli oggetti personali, poi questi uomini sono riuniti in gruppo nella valle del Giordano. Là, li si obbliga, malmenandoli e minacciandoli di sparare loro, di traversare il Giordano ben inteso non sono ufficialmente accusati di nulla di preciso, di modo che non possono difendersi ...» (11).

Per quanto riguarda l’installazione di colonie ebraiche nei territori occupati, lo Shahak spiega che si tratta ancora una volta di una violazione della convenzione di Ginevra. «Le terre confiscate divengono luoghi ove solo gli Ebrei hanno diritto di vivere» (12).

Lo Shahak parla anche del terrorismo ebraico e cita il caso Meir Har-Zion «il quale ha rivelato lui stesso, in numerose interviste alla stampa israeliana, che tipo di assassino fosse, e con quale piacere... uccidesse. Quanto gli piacesse uccidere un arabo, soprattutto con il coltello (Ha’ aretz, Supplemento, 9 novembre 1965) racconta come domandò al suo comandante il permesso di uccidere, con il suo coltello, un pastore arabo disarmato, e descrive con una gioia sadica come il suo compagno tenesse fermo il povero arabo, mentre lui stesso gli infilzava il pugnale alle spalle, e come sgorgasse il sangue. Ora quest’uomo è considerato dalla maggior parte degli israeliani come un eroe nazionale. E’ stato lodato, e proposto come un modello alla gioventù dal ministro della Difesa e dal generale comandante la regione sud (Moshe Dayan e Arik Sharon)» (13).

In un articolo pubblicato sul Sunday Times del 15 novembre 1998, Uzi Mahnaim e Marie Colvin scrivono: «Israele sta lavorando su un’arma biologica in grado di colpire gli Arabi, ma non gli Ebrei (...).

Nello sviluppo della loro ‘bomba etnica’, gli scienziati israeliani stanno cercando di sfruttare i progressi della medicina per identificare i geni distintivi di alcuni arabi (...).

Il dottor Daan Goosen, direttore di un impianto sudafricano per la guerra chimica e biologica, ha detto che negli anni Ottanta la sua squadra aveva ricevuto l’ordine di sviluppare un’arma a ‘pigmentazione’, capace di colpire soltanto persone di pelle nera. (...).

Foreign Report, una pubblicazione che segue da vicino le questioni di sicurezza e di difesa, cita fonti sudafricane imprecisate, secondo le quali gli scienziati israeliani avrebbero usato in parte le ricerche sudafricane per cercare di sviluppare una ‘pallottola etnica’ contro gli arabi. (...)

Port Down, la sede della struttura britannica di difesa, ha affermato la settimana scorsa, che tali armi erano teoricamente possibili» (14).

Il rabbino Ginzburgh in un’intervista a The Jewish Week, diceva: «Se ogni cellula del corpo di noi ebrei contiene la divinità, è una parte di Dio; allora, anche le sequenze del nostro DNA sono una parte di Dio. Per questo c’è qualcosa di speciale nel DNA di noi ebrei. La vita ebraica ha un valore infinito. C’è qualcosa in essa infinitamente più sacro e unico di quanto non vi sia nella vita dei non-ebrei» (15).

Lo Shahak stesso racconta: «Avevo visto con i miei occhi, a Gerusalemme, un ebreo ultra-ortodosso, rifiutare che si utilizzasse il suo telefono, di sabato, per chiamare un’autoambulanza, per soccorrere il suo vicino di casa non-ebreo, colpito da un grave malore. (...) Ho domandato un’udienza al tribunale rabbinico di Gerusalemme, che è composto da rabbini nominati dallo stesso Stato d’Israele. Ho chiesto loro se questo modo di fare si accordasse con la loro interpretazione della religione ebraica. Mi hanno risposto che l’ebreo in questione si era comportato correttamente, e anche piamente, e mi hanno rinviato a un certo versetto di un compendio delle leggi talmudiche compilato nel nostro secolo: (...) “Un ebreo non deve violare il sabato, per salvare la vita ad un non-ebreo”» (16).

Il fondamentalismo - spiega lo Shahak - ha una notevole importanza politica in Israele e, quindi, nel Medio Oriente e negli USA.

Inoltre, Israel Shahak scrive che «Il “Fondamentalismo ebraico” può essere definito come certezza che gli insegnamenti contenuti nel Talmùd e nella letteratura halachica, sono ancora validi e lo resteranno per l’eternità. I fondamentalisti ebrei credono che la Bibbia considerata in se stessa non abbia alcuna autorità, invece se è interpretata secondo gli insegnamenti talmudici, allora soltanto, acquista una certa autorità (...). Il fondamentalismo israeliano ha molte sfaccettature. Per esempio, molti fondamentalisti vogliono ricostruire il Tempio sul luogo ove ora stanno le Moschee del Monte del Tempio a Gerusalemme».

Per capire appieno la realtà dello Stato israeliano e il ruolo che gioca su di esso il fondamentalismo, occorre dividere Israele in due partiti: il primo può esser chiamato Israele “A”, che sarebbe la sinistra politica, rappresentata dai Laburisti; il secondo è Israele “B”, che è la destra politica, rappresentata dal Likud e dai vari partiti religiosi.

«Quasi tutti gli Ebrei d’Israele “A” e la grande maggioranza d’Israele “B” aderiscono all’ideologia sionista, la quale sostiene che tutti gli Ebrei o la maggior parte di essi debbono immigrare in Palestina, che in quanto terra d’Israele appartiene a tutti gli Ebrei e deve diventare uno Stato ebraico. Mentre i fondamentalisti o ultra-ortodossi non accettano questo punto di vista.

Esiste una grande animosità tra le due parti (“A” e “B”) d’Israele, la ragione principale di tale ostilità va ricercata nel fatto che Israele “B” simpatizza per il fondamentalismo ebraico, mentre Israele “A” no».
«Ma, prosegue l’Autore, occorre suddividere gli ebrei religiosi in due gruppi assai diversi: a) gli Haredim, più estremisti, che costituiscono circa il 13% dell’ebraismo israeliano; b) gli ebrei Nazional-religiosi, organizzatisi nel Partito Nazional Religioso (NRP), più “moderati”(rispetto agli Haredim) che costituiscono l’11% degli ebrei israeliani».

Ora, ci si chiede come facciano gli Haredim, che sono un piccolo partito, a imporre la loro volontà al resto della società. La risposta è che vi è una particolare affinità tra tutti i partiti religiosi e fondamentalisti con il Likud e con la destra in genere; hanno tutti la stessa visione del mondo e pensano che il trionfo d’Israele sui non-ebrei sarà certo. Tuttavia vi sono delle differenze: l’NRP crede che la redenzione sia già iniziata e che presto si compirà con la venuta del Messia, mentre gli Haredim non condividono tale opinione. Inoltre «Per la maggior parte dei sostenitori del Likud, il “sangue ebraico” distingue nettamente ebrei e non-ebrei. Mentre per gli ebrei religiosi ortodossi il sangue dei non-ebrei non ha nessun valore intrinseco, per gli ebrei del Likud esso ha un certo valore anche se limitato».

Anche la questione della normalità divide la destra dalla sinistra, che aspira alla normalità, vuole cioè che Israele sia una Nazione come le altre. Invece, la destra intera disprezza tale normalità, (poiché gli Ebrei sono esseri eccezionali, diversi dagli altri), venera il passato e crede che Dio abbia reso gli Ebrei “unici al mondo” diversi da tutti, e che essi siano predestinati ad esserlo.

«Altro motivo d’affinità tra destra politica ed ebrei fondamentalisti, consiste nel fatto che i religiosi sono in grado di fornire argomenti convincenti sulla necessità che gli Ebrei regnino sulla Palestina in perpetuo, e sul fatto che bisogna negare certi diritti ai Palestinesi a causa dei diritti conferiti agli Ebrei da Dio su quella terra. Mentre i politici o gli intellettuali laici del Likud, spesse volte, sono estranei al passato storico ebraico e non sanno parlarne con competenza, quindi solo i religiosi sanno fornire una base ideologica alla politica del Likud, basata sul fatto di reputarsi ancor oggi il “popolo eletto” da Dio... Tutto ciò offre una spiegazione delle concessioni fatte ai religiosi».

Per quanto riguarda il mondo degli Haredim, il professor Shahak ci insegna che: «Il mondo Haredi è “giudeo-centrico”. L’essenza della filosofia Haredi è che un abisso insormontabile separa gli Ebrei da tutti i non-ebrei».

Gli Haredim pongono un’obiezione al sionismo: essa si fonda sulla contraddizione esistente tra il giudaismo classico, del quale gli Haredim, sono i continuatori, e il sionismo, «in un passo del Talmud del Trattato Ketubot, si dice che Dio ha imposto agli Ebrei dei giuramenti, alcuni dei quali sono in aperto contrasto con il sionismo, per esempio: gli Ebrei, non possono immigrare in Palestina, come gruppo, in massa, prima della venuta del Messia... I rabbini del NRP affermano, invece, che i suddetti giuramenti, non si applicano durante il tempo messianico e che, sebbene il Messia non sia ancora apparso, il tempo messianico è già iniziato e che con l’inizio della redenzione non si deve dare nessuna parte di terra d’Israele ai non-ebrei».

Una parte della realpolitik di Israele, si spiega facilmente alla luce degli insegnamenti dei rabbini Joseph e Shahak, secondo i quali non appena gli Ebrei fossero diventati abbastanza potenti, avrebbero avuto l’obbligo religioso d’espellere da Israele tutti i non-ebrei e di distruggere tutte le chiese cristiane poiché sono idolatre in quanto adorano Gesù vero in quanto Dio. Tuttavia, per Rabbi Joseph il tempo messianico della redenzione non è ancora giunto; quindi, ci si deve ritirare dai territori occupati, poiché Dio non sarebbe obbligato a salvare delle vite ebree in una guerra di conquista sino a che gli Ebrei non diventeranno più forti, e solo allora potranno applicare l’obbligo religioso di cui sopra. Il punto di vista dei due rabbini, fa parte del cuore della filosofia politica dei falchi, in Israele.

Il ragionamento dei due rabbini è questo: «Gli Ebrei di fatto non sono ancora più potenti dei non-ebrei, non sono in grado di cacciare i non-ebrei, anzi li temono perciò il comandamento divino non è ancora valido. Persino i non-ebrei idolatri [i cristiani che adorano Gesù come Dio, mentre i musulmani non sono idolatri per l’ebraismo ortodosso, in quanto non adorano Maometto ma lo venerano come un profeta, ndr] vivono tra noi senza che vi sia possibilità di espellerli. Il governo israeliano è obbligato da una legge internazionale a mantenere la chiese cristiane [idolatre] in Israele. La situazione è questa, malgrado che la nostra legge religiosa ci ordini di distruggere ogni idolatria e i suoi seguaci sino ad estirparli dalla faccia della terra».

I pacifisti e parte della sinistra israeliana lodavano i due rabbini, ma ritenevano una sola parte del loro pensiero: l’abbandono dei territori occupati; mentre nascondevano l’altra: non appena saremo più forti, distruggeremo gli idolatri, i loro templi e cacceremo i non-ebrei [musulmani] dalla terra di Palestina.

«Le opinioni dei due rabbini sono chiaramente simili a una gran parte della politica estera dello Stato d’Israele... Gli Ebrei hanno il dovere religioso d’espellere i cristiani dallo Sato d’Israele soltanto se, così facendo, non mettono in pericolo vite ebree».



NOTE

1 - Di Israel Shahak si può leggere anche, con gran profitto, Storia ebraica e giudaismo. Il peso di tre millenni, Centro Librario Sodalitium, Verrua Savoia (TO), 1997.
2 -  I. Shahak, op. cit., p. 58. 
3 - Cfr. T. G. FRASER, Il conflitto arabo-israeliano, Bologna, Il Mulino, 2004, p. 44.
4 - Ibid., p. 79.
5 - Ibid., p. 119.
6 - Ibid., p. 120-121.
7 - Ibid., p. 184-185.
8 - Ibid., p. 258.
9 - Ibid., p. 261. .
10 - Ibid., p. 261.
11 - Ibid, p. 261.
12 - Ibid., p. 262.
13Ibid., p. 265.
14 - Citato da Orion, n.°170, p. 15-16.
15 - Cit. in I. Shahak, Storia ebraica e giudaismo..., p. 246.
16 - I. Shahak, op. cit., p. 9-10.














 
novembre 2024
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