La liturgia della nuova Chiesa

Prima parte




Articolo della Fraternità San Pio X


Pubblicato sul sito francese della Fraternità

La Porte Latine

Fonte: Lettera ai nostri fratelli preti n° 103  - https://laportelatine.org/wp-content/uploads/2024/10/LNFP-103.pdf









Riflessioni sulla riforma liturgica estratte dalla Lettera ai nostri fratelli preti n° 103, ottobre 2024

Proseguiamo le nostre riflessioni sulla riforma della liturgia seguita al concilio Vaticano II, riflessioni iniziate col n° 101 della Lettera ai nostri fratelli preti del marzo 2024 (La Chiesa della nuova liturgia).

Qui proponiamo la prima parte di uno studio sull’ecclesiologia su cui si è basata la riforma liturgica.

Come abbiamo già detto, per queste riflessioni abbiamo utilizzato le riflessioni e le considerazioni dei migliori specialisti liturgici che hanno scritto dopo il Vaticano II. Questi testi sono stati pubblicati tra il 1065 e il 1985 e quindi non c’è da stupirsi che siano stati redatti al presente o al futuro, invece che al passato.


Liturgia e Chiesa

Ci si immagina che una riforma liturgica sia come una disputa tra sagrestani, un prurito di chierici alla ricerca di qualche novità. Così facendo «non sempre si è ben coscienti della teologia e dell’ecclesiologia che sottendono ai nostri modi di agire» (1).
In realtà, ogni riforma liturgica è l’espressione tangibile di una mutazione teologica.

«Perché, nella Chiesa, e soprattutto nella liturgia della Chiesa, ogni pratica è ispirata da una visione teologica» (2). E questa teologia è più particolarmente una visione della Chiesa, un’ecclesiologia. «Tutta la teologia della liturgia è sorretta da una ecclesiologia implicita, e le due sono profondamente correlate» (3).

In effetti, lungi dall’essere una attività accessoria della fede, «la liturgia è la confluenza di teologia, rinnovamento biblico e patristico, missiologia, ecumenismo» (4).
«In quanto atto dell’uomo in preghiera, la liturgia presuppone un’antropologia; in quanto culto rivolto a Dio, essa esprime una teologia; in quanto culto cristiano, essa dipende da una cristologia e da una ecclesiologia» (5). La liturgia è definita tradizionalmente come «preghiera della Chiesa».
Ora, se una tale nozione «mette in discussione le nozioni di “liturgia” e di “liturgico”, di dottrina del sacerdozio comune e del sacerdozio ministeriale» (6), «in definitiva e più profondamente essa pone un problema di ecclesiologia. Bisogna dunque confrontarla con l’insegnamento del magistero attuale dato dal Vaticano II» (7). L’autore aggiunge a riguardo, nella nota 33 di pagina 15: «E’ necessario collocarla nella prospettiva di una rinnovata ecclesiologia».

Così, «coscientemente o no, ogni celebrazione concreta implica, più o meno chiaramente, una certa concezione teorica e pratica della Chiesa e della comunità cristiana, della liturgia e della pratica del culto, dell’evangelizzazione e della pastorale, del rapporto tra vita, liturgia, Chiesa e mondo. E’ a questo livello, pensiamo, che devono intervenire il discernimento e la critica, perché è qui che sta il vero – e serio – problema della liturgia» [8].


Antica liturgia e antica ecclesiologia

Una tale percezione dello stretto legame tra liturgia ed ecclesiologia suscita immediatamente un interrogativo sulla antica liturgia. Infatti, «i formulari liturgici [antichi] sono l’espressione orante di una fede, di una spiritualità, di una teologia.
La nostra fede, la nostra spiritualità e la nostra teologia si situano a livelli molto diversi e molto nuovi» (9).

«Infatti, molti affermano apertamente che la nostra liturgia è in sintonia con una antropologia, con una concezione dell’uomo assolutamente superata: essa rifletterebbe una visione dell’uomo anteriore al mondo moderno. La liturgia, si dice, sperimentava la natura come una realtà “numinosa” nella quale si rifletteva la gloria di Dio; certo, essa aveva sviluppato le capacità ricettive dell’uomo nei confronti di Dio e lo definiva come chiamato alla contemplazione, ma non aveva ancora preso in considerazione le sue capacità di costruzione del mondo. Per contro, essa sarebbe totalmente inadatta all’immagine moderna dell’uomo e del mondo, in cui la natura è una semplice materia a partire dalla quale l’uomo crea il proprio universo. La nostra liturgia, quindi, non risponderebbe alle esigenze degli uomini che intendono costruire un mondo nuovo e che sono polarizzati dal loro progetto per il futuro» (10).

Così, parlando del Rituale romano preconciliare, un autore nota che «questo Rituale è superato, non solo a causa dei nuovi testi promulgati dopo il Vaticano II, ma anche perché il suo tono contrasta con la nostra concezione del rapporto fra Dio e il mondo» (11). E alcune pagine dopo sottolinea: «Abbiamo fatto allusione ad un certo divario tra la teologia contemporanea e il contenuto del Rituale romano. Abbiamo detto che questo era poco in armonia con la nostra lettura del rapporto fra il Creatore e la creazione» (12). In effetti, «da alcuni anni noi guardiamo le realtà della creazione in modo diverso da quello dei secoli precedenti. Abbiamo preso coscienza di una certa autonomia del creato, con Dio stesso che rispetta le leggi dell’universo e le lascia evolvere secondo le loro proprie dinamiche. Piogge e raccolti, tempeste e cataclismi non ci appaiono più “nelle mani della provvidenza” come una volta» (13).

Così, «tra i Rituali anteriori e quelli posteriori al Concilio vi è più che una semplice riforma liturgica, con essa si intendono delle modifiche e degli aggiustamenti di ordine solo rituale. Si tratta in realtà di un profondo riadattamento dell’agire sacramentale della Chiesa che, allo stesso tempo e molto normalmente, presenta un altro volto rispetto a quello a cui avevamo finito con l’abituarci (14). In questo senso, coloro che, per diverse ragioni, sono rimasti all’antica immagine, non si sbagliano del tutto quando parlano di un’“altra” religione, cioè di un’altra maniera di considerare la relazione dell’uomo con Dio, dai sacramenti alla vita. Ed è ancora più comprensibile che i rifiuti liturgici di alcuni siano l’occasione o l’espressione di un rifiuto della Chiesa la cui liturgia esprime e manifesta il volto, la natura» (15).


La disputa liturgica è una disputa ecclesiologica

Il rifiuto di cambiare la propria visione ecclesiologica implica necessariamente il rifiuto della riforma liturgica, e reciprocamente. Questo perché «la disputa liturgica è solo un aspetto della resistenza di alcuni gruppi integralisti ad una rinnovata visione della Chiesa» (16). «Per alcune persone dalla mentalità ristretta, le riforme liturgiche sembrano l’occasione, tanto attesa, per esprimere la loro preoccupazione per una evoluzione che rovescia la Chiesa. Non è sorprendente vedere che tutti i logori argomenti invocati contro la riforma liturgica sono identici a quelli che le autorità ecclesiastiche utilizzavano nel passato per giustificare la situazione della liturgia, oggi riconosciuta bisognosa di un rinnovamento» (17).

In effetti, tutti hanno sentito parlare di ciò che si chiama «contestazione integralista». «Questa questione ha sufficientemente occupato gli organi di stampa perché io mi soffermi su di essa. Voglio solo sottolineare che: se la disputa si è concentrata per buona parte sulla liturgia non è per puro caso. Se c’è una lezione da trarre da questa vicenda è almeno questa: il registro del simbolico (che è per eccellenza quello della liturgia) non ha niente di secondario, come alcuni sono portati a credere. Non è secondario che la liturgia prende questa o quella forma, non è secondario che ci sia una liturgia» (18).

Quindi, «la feroce resistenza di alcuni ambienti alla riforma liturgica non dovrebbe metterci in guardia e interrogarci? In altre parole, in questa riforma detta superficiale, non è forse più della liturgia ad essere in questione? Non è il cristianesimo nel suo modo di esprimersi? Non è un certo rapporto della Chiesa col mondo?» (19).

«Se questo non fosse già stato molto chiaro, il caso di Saint-Nicolas ha dimostrato che la liturgia è il fulcro dell’appartenenza alla Chiesa. E’ questo che, nella maggior parte dei casi, porta un cristiano a restare legato alla Chiesa visibile o ad abbandonarla. E’ questo che spinge il cristiano a scegliere la Chiesa del Vaticano II o, al contrario, a rivolgersi all’integralismo» (20).

In particolare, «non è significativo che le prese di posizione tradizionali in materia di morale sessuale vengono spesso da persone che hanno conservato una forte nostalgia per la liturgia preconciliare? Non è chiaro che la profonda ristrutturazione dei riti della Chiesa cattolica a cui assistiamo da alcuni decenni è accompagnata da un riassetto talvolta radicale dei costumi e da un desiderio di modificare un certo numero di regole etiche secolarmente ammesse? Così, anche agli occhi di un osservatore non specialista, appare, per parlare in maniera concisa, che si abbia quasi sempre la morale della propria liturgia e la liturgia della propria morale» (21).


Il rinnovamento liturgico presuppone una nuova ecclesiologia

Bisogna ricordare chiaramente che «Le disposizioni apparentemente più materiali richieste dalla pastorale liturgica presuppongono sempre una dottrina e, se si può dirlo, una teologia. Chi decide di adottare tali disposizioni senza avervi profondamente riflettuto, rimanendo più o meno coscientemente fedele ad una dottrina molto diversa, si espone a dover soffrire un profondo disagio» (22).

Tuttavia, «molti sacerdoti continuano ad agire in funzione di una teologia eucaristica preconciliare» (23). Questo comporta delle importanti conseguenze. Per esempio «un timido passo verso l’indianizzazione della liturgia era stato disposto da Roma lo scorso anno e sperimentato in primavera. La sua attuale applicazione solleva le proteste di coloro che hanno paura che il cristianesimo perda la sua autenticità “indianizzandosi” (…) In effetti, al fondo di tutte le obiezioni vi è, da parte di molti, il rifiuto di riconoscere che l’induismo, che è la radice di tutta la cultura indiana, possiede dei valori spirituali e religiosi in grado di arricchire il cristianesimo» (24).

Questo perché «nella Costituzione sulla liturgia, i Padri del Concilio affermano con insistenza che il rinnovamento liturgico è molto di più di una questione di nuove rubriche. In questo campo, i migliori cambiamenti materiali, come un più ampio uso della lingua volgare e un più ampio impiego della Scrittura, non avrebbero alcun senso se non fossero accompagnati dal cambiamento dello spirito col quale dobbiamo celebrare la liturgia» (25).


Una transizione e una preparazione: il movimento liturgico

Come si è arrivati alla situazione attuale a partire da questa antica liturgia e da questa antica ecclesiologia?
Per comprenderlo occorre collocarsi in una prospettiva storica che ci farà vedere perché «la liturgia cristiana è stata fortemente scossa dalla riforma scaturita dal Vaticano II» (26).
In effetti, «il rinnovamento non è nato per generazione spontanea, esso è stato preparato dal movimento liturgico dei decenni anteriori al Concilio» (27). Ora, questo movimento liturgico fu «uno dei più grandi fenomeni della storia contemporanea della Chiesa» (28).

Nel momento in cui stava per essere votata la Costituzione conciliare sulla liturgia, gli osservatori notano che «il movimento liturgico aveva appena ottenuto una vittoria che sarà l’occasione per un autentico rinnovamento per la Chiesa» (29). Perché «se la Costituzione sulla liturgia è maturata prima delle altre, probabilmente è perché essa era il punto d’arrivo di un vasto movimento di idee, di azioni e di studi che andavano avanti da più di mezzo secolo» (30), «il punto d’arrivo di sessant’anni di studi» (31).

Ma non vi fu interruzione tra questa vittoria del movimento liturgico e gli sviluppi ecclesiologici ulteriori del Concilio. Nella Costituzione liturgica «troviamo un insieme di preoccupazioni pari a quelle relative ad altre Costituzioni che per molti aspetti si potrebbe credere che siano dello stesso autore. Il che dimostra la concordanza del movimento portato avanti nella Chiesa. Molte cose erano mature, più di quanto si pensasse» (32).

«Come abbiamo indicato, molti lavori preparatori avevano preparato il terreno. Negli anni Trenta, gli artefici tedeschi, Belgi e francesi del movimento liturgico avevano sperimentato “illegalmente” delle innovazioni, sia pure timide. Schillebeeckx ha ragione quando nota che la recente riforma “ha avallato principalmente la pratica liturgica illegale che era sorta ben prima del Concilio” (Charles Wackeinheim, Entre la routine et la magie, la messe, [Tra consuetudine e magia, la Messa], Centurion, 1982, p. 26–27)).


Il movimento liturgico mancava di una ecclesiologia adattata

Tuttavia, in partenza «nessuno poteva supporre che il movimento liturgico avrebbe avuto una tale espansione, non solo nel cattolicesimo, ma anche nel protestantesimo, né che avrebbe avuto una influenza così profonda sulla vita della Chiesa. Esso contribuirà a far progredire la teologia della Chiesa e sfocerà nell’ecumenismo» (33). Ma oggi, «le ultime riforme conciliari non sono comprensibili al di fuori del loro legame con tutto il movimento liturgico» (34).

Se talvolta si fraintende su questa grande corrente, è perché «non si rende giustizia al movimento liturgico, giudicandolo esclusivamente sulla base dei dettagli della riforma liturgica. Esso è stato fin dalle origini un movimento di idee ispirato da una certa visione del mistero della Chiesa, ed ha esercitato una grande influenza sula teologia, anche al di fuori del cattolicesimo. Non è un caso che il suo fondatore, Dom Beaudin, è diventato uno dei più ardenti artefici del movimento ecumenico» (35).
Così, «attraverso Dom Lambert Beaudin e Taizé, per fare solo due esempi, il rinnovamento ecumenico è sfociato in movimento liturgico» (36).

Tuttavia, il movimento liturgico da solo non è realmente giunto a compimento: occorreva un concilio. Un osservatore ha fornito il motivo principale: «Secondo me, uno dei problemi attuali, appena percepito, del magnifico movimento liturgico è che esso è lungi dall’avere in modo completo la sua corrispondente ecclesiologia» (37).


Il lavoro del Vaticano II

Il Vaticano II è stato dunque necessario per dotare il movimento liturgico di una ecclesiologia veramente rinnovata. Infatti, dalla Costituzione sulla liturgia «inizia una ecclesiologia della liturgia che si svilupperà nella Costituzione dogmatica Lumen gentium» (38).

«Il concilio Vaticano II ha iniziato i suoi lavori con lo studio della liturgia. Dalla maggioranza dei Padri, essa era considerata la materia più facile da affrontare, per “abituarsi”. Essi la giudicavano come piuttosto secondaria e molto estrinseca rispetto a ciò che intendevano attuare nel corso dei loro lavori. In effetti, apparve subito evidente che questo primo studio apriva la porta a dei problemi singolarmente vitali per la Chiesa» (39).

Ma se «il Concilio ha avviato un vero rinnovamento della nostra conoscenza della Chiesa e della nostra fede nella Chiesa» (40), tuttavia «la riforma liturgica è anteriore, nel suo principio, alle Costituzioni Lumen gentium e Gaudium et spes. Così non ha potuto beneficiare del modo nuovo con cui la Chiesa si colloca oggi in rapporto al mondo. Infatti, il mondo è già salvato nella speranza e la Chiesa è presente in seno ad esso come serva del suo destino divino e come sacramento di Gesù Cristo» (41).

Così, «la differenza tra l’attuazione attuale della Liturgia delle Ore e la concezione che ne avevano i Padri al momento del Concilio, si spiega innanzi tutto con la dinamica del rinnovamento liturgico successivo al Vaticano II, che ha messo in evidenza le esigenze fondamentali della celebrazione del culto, ma si spiega anche col fatto che lo schema liturgico è stato discusso fin dall’apertura del Concilio, rinviando gli altri schemi in commissione per essere  riformulati. Senza dubbio, il documento conteneva tutto l’essenziale dell’ecclesiologia di Lumen gentium, ma la sua stesura finale sarebbe stata ancora migliore se fosse stato discusso dopo la promulgazione delle due Costituzioni sulla Chiesa» (42).

Ecco perché, scrive un autore nel 1968, «già l’applicazione della Costituzione liturgica ha fatto apparire i bisogni che non erano percepibili ai primi stadi della riforma liturgica. La promulgazione degli altri testi conciliari – e in particolare la Costituzione Gaudium et spes – ha collocato la riforma liturgica in una visione nuova dei rapporti fra la Chiesa e il mondo. E noi assistiamo peraltro ad una rapida evoluzione della società» (René Boudon, «Au service du renouveau liturgique. Principes d’action», Notes de pastorale liturgique 77, dicembre 1968, p. 1).

E’ così che ci siamo presto resi conto «che, come la Costituzione [sulla liturgia], con i principii che enuncia, porta ad andare oltre le riforme che essa decreta come per una esigenza interna, così lo studio delle sue applicazioni porterà ad andare oltre certi principii che essa afferma: è proprio dello Spirito Santo preservare la chiesa da ogni clerosi» (43).


La riforma liturgica è legata a tutto il Concilio

Non si tratta di aggrapparsi alla Costituzione sulla liturgia e alle riforme che propone, ignorando il resto dell’insegnamento conciliare. «Non si può separare la Costituzione sulla liturgia dall'intero lavoro del Concilio. (…) Per quanto riguarda in particolare la partecipazione attiva e l’orientamento ecclesiologico della liturgia, nonché la funzione delle conferenze episcopali, la Costituzione è ampliata e approfondita dagli altri documenti conciliari, con i quali costituisce un tutt’uno” (44). «Non si può dissociare [la riforma liturgica] dal lavoro dottrinale del Concilio, perché la liturgia deve essere l’espressione nel culto della fede della Chiesa. Durante il Concilio i Padri del Vaticano II hanno riflettuto sul problema della Chiesa, perché è il problema teologico del XX secolo non solo nel cattolicesimo, ma in tutte le confessioni cristiane. (…) Questa fede rinnovata nella Chiesa, il Concilio ha voluto che si esprimesse nella liturgia, per farla penetrare in tutta la vita delle persone e delle comunità» (45).

Così «il lavoro del Vaticano II costituisce un tutt’uno: ogni documento deve ricevere ulteriore luce dalle altre parti di questo monumento dottrinale e pastorale straordinario e senza dubbio senza precedenti nella storia dei concili. E se è così, è della massima urgenza interpretare la Costituzione sulla liturgia, tenendo conto certamente degli orientamenti dottrinali della Lumen gentium, ma ancor più degli orientamenti pastorali della Gaudium et spes. In quest’ultimo documento si scopre il pensiero della Chiesa sulla sua missione nel mondo, e più particolarmente nel mondo del nostro tempo. Anche questo mondo deve pregare, così come i secoli passati hanno pregato secondo il proprio genio. La Costituzione sulla liturgia, illuminata dalla Gaudium et spes, è portatrice di una delle speranze degli uomini di oggi» (46).

«In fondo, nella liturgia è in causa tutta la teologia della Chiesa. Non è quindi sorprendente che si ritrovino al livello del culto i grandi problemi ai quali hanno voluto dare risposta la Costituzione Lumen gentium e tutto il lavoro del Vaticano II» (47). Per esempio, «riconoscendo l’estensione universale della nozione di culto, il Concilio rispondeva ad una delle principali richieste dell’antropologia cristiana contemporanea; e peraltro esso invita a cogliere meglio la realtà liturgica in una prospettiva ecclesiologica complessiva, che mette in luce l’intimo legame tra liturgia e missione» (48). Del pari «la liturgia non può essere concepita e attuata correttamente se non situa questa particolare attività delle comunità cristiane secondo la missione complessiva della Chiesa e in relazione ad essa» (49).

Quindi, non bisogna mai dimenticare quello che abbiamo sottolineato all’inizio: «La liturgia è la manifestazione della Chiesa e comporta una ecclesiologia. (…) Ecco uno dei messaggi essenziali della Sacrosanctum concilium» (50). Ecco perché la Sacrosanctum concilium non è solo un programma di riforme liturgiche: che sono anch’esse la manifestazione di una ecclesiologia, che i riti presuppongono e che del resto è chiaramente espressa» (51).

Nella Costituzione sulla liturgia «è chiaro che la presentazione di questi principi di restaurazione non prescinde da importanti affermazioni teologiche sulla natura e sul posto della liturgia. In più, il documento conciliare nel suo insieme e la restaurazione che esso vuole realizzare e promuovere implicano un orientamento teologico di fondo molto fermo, che si manifesta chiaramente in più di un passaggio» (52).

Abbiamo dunque assistito e assisteremo ogni giorno che passa ad «un rinnovamento che mette effettivamente in opera l’ecclesiologia che ha cominciato a delinearsi nei documenti del Vaticano II e di cui siamo lungi dall’aver tratto tutte le conseguenze» (53).


Una nuova ecclesiologia

Riassumendo, ogni pratica liturgica è l’espressione di una ecclesiologia. La liturgia antica era, per forza di cose, l’espressione dell’ecclesiologia dominante. Il movimento liturgico ha incominciato a trasformare la pratica liturgica, ma gli mancava una visione ecclesiologia sufficientemente sviluppata. Tale ecclesiologia gliel’ha fornita  il concilio Vaticano II, aprendo le porte ad una riforma liturgica in profondità, espressione di una ecclesiologia rinnovata.

In effetti, il concilio Vaticano II ha stabilito una rottura con l’ecclesiologia precedente, espressa dalla liturgia antica. E’ per questo che «con la sua volontà di riformare la liturgia, il Vaticano II appariva come un concilio riformatore di prim’ordine. Perché il culto reso a Dio dalla Chiesa è, oltre alla sua principale attività, la profonda realizzazione del suo essere. Di conseguenza, riformare la liturgia significa anche riformare la Chiesa» (54).

«Il Concilio Vaticano II ci ha restituito ad un’ecclesiologia più conforme alla Rivelazione di quella dei secoli immediatamente precedenti» (55). In particolare, «in numerosi testi, il Vaticano II ha indicato la Chiesa come “sacramento universale di salvezza”. Questa singolare formula esprime il mistero della Chiesa in modo nuovo, in apparente rottura con la teologia dei secoli precedenti, ma in profonda continuità con la Tradizione nella sua linfa primaria. (…) Sembra che ci sia qui una delle chiavi, anzi la chiave, del rinnovamento liturgico. Trascurandolo ridurremmo questo rinnovamento a una riforma cerimoniale, mentre invece mette in discussione la nozione stessa di celebrazione» (56).

Così «il Vaticano II ha permesso il recupero di questa ecclesiologia giuridica. La Chiesa è stata ridefinita come popolo di Dio nel mondo (missione), in cammino verso la consumazione della sua definitiva unione con Dio (escatologia), sotto il movimento attuale di Cristo che agisce mediante il Suo Spirito (signoria di Cristo). L’ecclesiologia è ormai pensata non più in due, ma in tre termini: il popolo, strutturato dai ministeri che gli sono interni, e operato da Cristo. All’ontologia della grazia viene riconosciuto il suo ruolo primario. In senso inverso all’evoluzione storica, questa rigenerazione della Chiesa deve estendersi ai ministeri, ripensati secondo la missione e sanamente relativizzati alla luce dell’attuale signoria di Cristo. Attraverso di essi essa deve raggiungere anche il culto, che deve essere riscoperto come culto del Nuovo Testamento” (57).

E’ dunque chiaro «che il Vaticano II, facendo sorgere una ecclesiologia più centrata sul popolo di Dio piuttosto che sul Corpo Mistico e dando la priorità alla Chiesa-popolo in rapporto alla gerarchia, fa necessariamente progredire la riflessione liturgica» (58).
E ancora: «Se si paragona la teologia della liturgia del Vaticano II e le riforme che sono state realizzate in seguito, si dovrà dire che le richieste di Lutero sono, in maniera assolutamente sorprendente, presentate nella Chiesa cattolica» (59). Così, «una celebrazione liturgica ricca di significato ha tutto da guadagnare dalle vedute fondamentali della teologia rinnovata» (60).


NOTE

1 - «Liminaire », Communautés et Liturgies 2, marzo-aprile 1977, p. 97.
2 - Guy Oury, «Liturgie. Un culte digne de la sainte eucharistie», Esprit et VieL’Ami du clergé 18, 7 mai 1981, p. 265
3 - Jean-Pierre Jossua, « La Constitution Sacrosanctum concilium dans l’ensemble de l’œuvre conciliaire », in La liturgie après Vatican II, Cerf, 1967, p. 128.
4 - Émile Marcus, «Le concile et la liturgie», Paroisse et Liturgie 7, 1 ottobre 1963, p. 676.
5 - François Morlot, «Une condition préalable à toute formation liturgique : un changement de mentalité» [Una condizione preliminare ad ogni formazione liturgica: un cambiamento di mentalità], La Maison Dieu 95, 2° trim. 1964, p. 20.
6 - Robert Gantoy, «Problématique de l’office hier et aujourd’hui» [Problematica dell’Ufficio ieri e oggi], La Maison Dieu 95, 3° trim. 1968, p. 12.
7 - Robert Gantoy, ibidem, p. 12.
8 - Robert Gantoy, «Discerner les théologies implicites des célébrations dominicales» [Discernere le teologie implicite delle celebrazioni domenicali], Paroisse et Liturgie 6, novembre-dicembre 1974, p. 498.
9 - Luis Maldonado, «La réforme liturgique à venir» [La riforma liturgica futura], Concilium 32, febbraio 1968, p. 78.
10 - Marie-Joseph Le Guillou, «La sacramentalité de l’Église» [La sacramentalità della Chiesa], La Maison Dieu 93, 1° trim. 1968, pp. 10–11. Il termine «numinoso» viene dalla parola latina numen, che significa «la divinità».Una realtà è numinosa quando e piena del divino.
11 - Jean-Marie R. Tillard, « Bénédiction, sacramentalité, épiclèse », Concilium 198, marzo 1985, p. 122.
12 - Jean-Marie R. Tillard, ibid., p. 132.
13 - Jean-Marie R. Tillard, ibid., p. 133.
14 - Cfr. CSL 2.
15 - Robert Gantoy, «Célébrations des sacrements et communautés de foi» [Celebrazione dei sacramenti e comunità di fede], Communautés et Liturgies 6, novembre-dicembre 1977, p. 475.
16 - Jean-Claude Crivelli, «Missel de saint Pie V, un libéralisme en forme de porte étroite» [Messale di San Pio V, un liberalismo in forma di porta stretta], Vie – bulletin des paroisses catholiques romandes de Suisse, dicembre 1984, p. 14.
17 - Heinrich Rennings, «La réalisation de la réforme liturgique en Europe» [La realizzazione della riforma liturgica in Europa], Concilium 12, febbraio 1966, p. 151.
18 - Robert Comte, «L’Église, les rites et les hommes» [La Chiesa, i riti e gli uomini], Communautés et Liturgies 4, luglio-agosto 1978, p. 296.
19 - Henri Denis, «Liturgie et sacrement», La Maison Dieu 104, 4° trim. 1970, p. 7.
20 - Claude Duchesneau, «Saint-Nicolas occupé nous préoccupe» [La chiesa di Saint-Nicolas du Chardennet, Parigi, occupata, ci preoccupa] in Le défi intégriste – Saint-Nicolas occupé, Centurion, 1977, p. 192.
21 - Xavier Thévenot, «Liturgie et morale », Études, giugno 1982, p. 829.
22 - Aimon-Marie Roguet, «Pastorale et doctrine », Notes de pastorale liturgique 10, gennaio-febbraio 1958, p. 2.
23 - Kevin Seasoltz, «Célébrations eucharistiques contemporaines. Motivations et significations mêlées» [Celebrazioni eucaristiche contemporanee. Motivazioni e significati contrastanti], Concilium 172, febbraio 1982, p. 59.
24 - « Inde: controverse sur une liturgie “indienne”» [India: controversia su una liturgia “indiana”], Informations catholiques internationales 354, 15 febbraio 1970, p. 21.
25 - Louis Bouyer, Architecture et liturgie, Cerf, 1967, p. 9.
26 - J. B., « Demain la liturgie par Joseph Gélineau» [Domani la liturgia di Joseph Gélineau], Informations catholiques internationales 504, 15 luglio 1976, p. 51.
27 - J. B., ibid., p. 51.
28 - Guy Oury, «Aux origines du mouvement liturgique. Les Institutions liturgiques de dom Guéranger» [Alle origini del movimento liturgico. Le Institutions liturgiques di dom Guéranger], Esprit et Vie – L’Ami du clergé 11, 11 marzo 1976, p. 160.
29 - Philippe Delhaye, «Perspectives conciliaires pour une réforme liturgique» [Prospettive conciliari per una riforma liturgica], L’Ami du clergé 47, 21 novembre 1963, p. 691.
30 - Jacques Leclercq, Vatican II : un concile pastoral, éditions Vie Ouvrière, 1966, p. 70.
31 - François Houang et Roger Mouton, Les réalités de Vatican II et les désirs de Mgr Lefebvre [Le realtà del Vaticano II e i desideri di Mons. Lefebvre], Fayard, 1978, p. 89.
32 - Jacques Leclercq, Vatican II : un concile pastoral, éditions Vie Ouvrière, 1966, p. 70.
33 - Bernard Botte, Le mouvement liturgique. Témoignage et souvenirs, [Il movimento liturgico. Testimonianze e ricordi] Desclée, 1973, p. 37.
34 - Augustin Kerkvoorde, « Bibliographie », Paroisse et Liturgie 2, 15 febbraio 1966.
35 - Bernard Botte, Le mouvement liturgique. Témoignage et souvenirs, Desclée, 1973, p. 200.
36 - André Aubry, Le temps de la liturgie est-il passé?, [Il tempo della liturgia è passato?] Cerf, 1968, p. 189.
37 - Yves Congar, Un concile pour notre temps, Cerf, 1961, p. 249.
38 - André Haquin, «La réforme liturgique de Vatican II», Nouvelle Revue Théologique 4, luglio-agosto 1985, p. 484.
39 - Adrien Nocent, «Les grandes rénovations de la célébration eucharistique» [I grandi rinnovamenti della celebrazione eucaristica], Les quatre fleuves 21–22, 1985, p. 47.
40 - Gérard Huyghe, «Des prières eucharistiques pour l’Église d’aujourd’hui» [Preghiere eucaristiche per la Chiesa di oggi], La Maison Dieu 94, 2° trim. 1968, p. 128.
41 - Gérard Huyghe, ibid., p. 128.
42 - Pierre Jounel, «La liturgie des Heures dans le renouveau liturgique de Vatican II» [La Liturgia delle Ore nel rinnovamento liturgico del Vaticano II], Notitiæ 97, settembre 1974, p. 311.
43 - François Morlot, « Bibliographie », La Maison Dieu 95, 3° trim. 1968, p. 142.
44 - Pierre-Marie Gy, «Les grandes orientations de la Constitution De sacra liturgia» [I grandi orientamenti della Costituzione De sacra liturgia], Notitiæ 88, dicembre 1973, p. 401.
45 - Bernard Botte, Le mouvement liturgique. Témoignage et souvenirs, Desclée, 1973, p. 205.
46 - François Vandenbroucke, «Sur la théologie de la liturgie» [Sulla teologia della liturgia], Nouvelle Revue Théologique 2, febbraio 1970, p. 158.
47 - Aimé-Georges Martimort, «Bilan de la réforme liturgique» [Bilancio della riforma liturgica], L’Osservatore Romano – edizione settimanale in lingua francese, 22 dicembre 1972, p. 11.
48 - Jean Frisque, «Composantes du culte chrétien selon Vatican II» [Componenti del culto cristiano secondo il Vaticano II], in La liturgie dans les documents de Vatican II, Biblica, 1966, p. 15.
49 - «Liminaire», Communautés et Liturgies 2, marzo-aprile 1977, p. 97.
50 - Aimé-Georges Martimort, Mirabile laudis canticum, Edizioni Liturgiche, 1991, p. 269.
51 - Aimé-Georges Martimort, ibid., p. 260.
52 - Jean-Philippe Revel, «La Constitution conciliaire sur la liturgie. Son esprit et ses grands actes» [La Costituzione conciliare sulla liturgia. Il suo spirito e i suoi grandi atti], Lumière et Vie 81, gennaio-aprile 1967, p. 3.
53 - Irénée-Henri Dalmais, « Comptes rendus », La Maison Dieu 124, 4° trim. 1975, p. 124.
54 - Herman Volk, Pour une liturgie renouvelée, [Per una liturgia rinnovata] Desclée, 1965, p. 20.
55 - Robert Coffy, «La confirmation aujourd’hui» [La Cresima oggi], La Maison Dieu 142, 2°trim. 1980, p. 20–21-
56 - « Sommaire », La Maison Dieu 93, 1° trim. 1968, p. 3–4.
57 - Matthieu Cnudde, «Bulletin de théologie du diaconat», La Maison Dieu 96, 4° trim. 1968, p. 108-
58 - François Morlot, « Bibliographie », La Maison Dieu 95, 3° trim. 1968, p. 147.
59 - Johannes Brosseder, «La réception catholique de Luther» [La ricezione cattolica di Lutero], Concilium 118, ottobre 1976, p. 105.
60 - Ambroos-Rémi Van de Walle, «Rencontre du Christ et communauté liturgique. Principes préliminaires dogmatiques» [Incontro di Cristo e comunità liturgica. Principii dogmatici preliminari], Concilium 12, febbraio 1966, p. 23.








 
novembre 2024
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