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La liturgia della nuova Chiesa Seconda parte Articolo della Fraternità San Pio X Pubblicato sul sito francese della Fraternità La Porte Latine Fonte: Lettera ai nostri fratelli preti n° 104 - https://laportelatine.org/wp-content/uploads/2025/01/LNFP-104.pdf ![]() Riflessioni sulla riforma liturgica estratte dalla Lettera ai nostri fratelli preti n° 104, dicembre 2024 Come abbiamo già detto, per queste riflessioni abbiamo utilizzato le riflessioni e le considerazioni dei migliori specialisti liturgici che hanno scritto dopo il Vaticano II. Questi testi sono stati pubblicati tra il 1065 e il 1985 e quindi non c’è da stupirsi che siano stati redatti al presente o al futuro, invece che al passato. La Chiesa significativa Uno dei punti di questa nuova ecclesiologia proclamata dal Vaticano II è la nozione di Chiesa come «segno di salvezza per il mondo». Noi ci proponiamo di evidenziare, tramite alcuni testi, alcuni aspetti di questa nozione e i suoi legami con la liturgia. La Chiesa è di per sé segno di salvezza. Ma evidentemente è necessario che questo segno sia facilmente percepito dagli uomini. «E’ necessario che il segno sia il più significativo possibile e che generazioni di uomini possano facilmente comprenderlo» (1). E’ in particolare nella sua liturgia che la Chiesa manifesta il senso della salvezza. Ora, il mondo al quale essa si rivolge è evoluto al punto tale che certi riti hanno perduto il loro significato o la loro adeguatezza. E’ dunque urgente rinnovare la liturgia perché essa, lungi dall’essere un ostacolo alla comprensione, sia invece immediatamente accessibile. Così che «la Chiesa, per restare significativa nel mondo, deve provocare l’evoluzione dei riti sacramentali, così da assicurare l’omogeneità della totalità del suo segno» (2). «In ragione stessa del loro significato, è importante “significare” i sacramenti in modo tale che siano compresi dall’uomo contemporaneo: si tratta di fare emergere, all’interno di una vita e di una civiltà dinamiche, la realtà e la posta spirituale degli atti privilegiati di Cristo. Si tratta anche di nutrire con l’antropologia contemporanea (debitamente purificata) i riti sacramentali che, senza perdere niente della loro sostanza, mostrino più chiaramente che sono proprio i riti salvifici dell’uomo totale» (3). Non bisogna dimenticare, infatti, che «il sacramento è radicato nell’uomo, nella fede umana, nelle culture, nelle civiltà, nelle aspirazioni degli uomini» (4). Ma, «dire che i sacramenti sono radicati nella vita degli uomini, significa affermare che i gesti più sacri devono raggiungere l’uomo in ciò che ha di più umano» (5). Tuttavia, un tale progetto di rinnovamento del significato stesso del corpo sacramentale incontra delle difficoltà. Infatti, oggi «La stessa Chiesa si trova in pieno cambiamento. Essa ignora la forma che prenderanno le comunità di domani; essa ignora anche il tipo di ministri che vi eserciteranno delle responsabilità. (…) Si sa che i sacramenti avranno sempre il loro posto, ma che non li si potrà celebrare “come prima”. In altri termini, i sacramenti – per quanto siano rispettabili – sono sempre inclusi nella pastorale generale della Chiesa. Quando il volto della Chiesa evolve, sorge una domanda: quale politica abbiamo in materia di sacramenti?» (6). La riforma di tutto ciò che è visibile Tuttavia, non è possibile accontentarsi di «riformette» una tantum e poco significanti. Poiché «ogni riforma liturgica rischia di essere vana, se non è espressione di una riforma più profonda: la riforma di tutto ciò che è visibile nella Chiesa, che manifesta al mondo la salvezza in Gesù Cristo» (7). Bisogna capirlo bene: «La riforma liturgica non consiste nel sostituire il latino col francese, col castigliano o col cinese. Se fosse così, non si capirebbe perché un concilio vi abbia dedicato tanta cura. In effetti, la riforma ha lo scopo di rinnovare i riti, che permettano di esprimere più realmente, per gli uomini di oggi, la vita della Chiesa, Popolo di Dio. Sulla questione, bisogna leggere e rileggere il primo capitolo della Costituzione sulla liturgia, che espone i principii generali della riforma. Come fa notare con insistenza Mons. Jenny, vescovo ausiliare di Cambrai e membro del Consiglio postconciliare: “se si confronta questo capitolo con la Costituzione sulla Chiesa, ci si accorge che si tratta dello sviluppo della stessa dottrina e che certe parole chiave sono presenti nei due testi. Siamo qui nel cuore della visione teologica del Vaticano II, che ci fa passare da un cristianesimo astratto e accademico ad un cristianesimo vivente e concreto, centrato sulla persona di Cristo”» (8). E’ dunque come «segno di salvezza» che la Chiesa deve manifestarsi con facilità agli uomini. E’ come segno che la Chiesa deve rivolgersi al mondo, al mondo di oggi, per mostrargli la salvezza. Ecco perché era imperativo realizzare questa riforma liturgica generale. «Tutto il lavoro del Vaticano II è permeato dall’idea che la Chiesa deve adattarsi alle condizioni del mondo di questo tempo» (9). Nella riforma liturgica «non si tratta tanto di riscoprire una antica tradizione o anche di farsi comprendere meglio dagli uomini di oggi, si tratta di costituire il segno della Chiesa per il mondo» (10). I rapporti fra la Chiesa e il mondo L’esatta percezione dei rapporti fra la Chiesa e il mondo è dunque essenziale per l’apprezzamento della riforma liturgica. «Il problema liturgico, in fondo, è solo un aspetto del problema più generale della posizione e della funzione della Chiesa nel mondo moderno» (11), ed esso è fondamentalmente in accordo con il compito complessivo che il Concilio si è assegnato, cioè rendere palpabile la Chiesa al mondo e rinnovarla» (12). Poiché «il terzo progetto fondamentale del Concilio è il nuovo rapporto fa la Chiesa e il mondo» (13). Questo rapporto fra la Chiesa e il mondo è sempre stato un rapporto difficile: oscillante tra una condanna radicale del mondo e una diluizione della specificità cristiana. Per esempio «io ho sentito formulare più volte una domanda fondamentale: “Se, come ha affermato il Vaticano II, Cristo è dappertutto presente e operante nel mondo, che bisogno abbiamo di una Chiesa? Se l’umanità è in cammino verso la salvezza per mezzo di Gesù Cristo, mediante la promozione e l’assunzione dei valori umani, essa ha ancora bisogno della liturgia?”» (14). Questi interrogativi, queste difficoltà e questi percorsi di ricerca spiegano in definitiva che «il dialogo fra la Chiesa e il mondo, come l’intende la Costituzione pastorale Gaudium et spes del Vaticano II, avrà sempre più ripercussioni sulla pastorale liturgica» (15). I riti della nuova ecclesiologia ecclesiologia La riforma ecclesiologica del Vaticano II è stata poco percepita dai nostri contemporanei: sono state piuttosto le sue espressioni pratiche che li hanno toccati. Tra queste, vi è in primo luogo la riforma liturgica. «Il rinnovamento liturgico si è espresso in maniera più palpabile nel rinnovamento della Messa e dei sacramenti, e attraverso questo rinnovamento è stato scoperto dal popolo cristiano un nuovo viso della Chiesa, e questo vale anche per coloro che non appartenevano alla Chiesa. Per molti credenti, il messaggio del Vaticano II è passato attraverso le nuove forme della Messa e dei sacramenti del battesimo e del matrimonio; e dei funerali» (16). «Per la maggior parte dei cristiani, la principale conseguenza del Vaticano II è stata la riforma liturgica e le sue conseguenze, volute o no. Una modifica dei riti è avvertita dalla sensibilità di tutti, mentre un cambiamento teologico – anche se ha delle conseguenze liturgiche - tocca solo l’intelligenza di alcuni» (17). E’ per questo che la riforma liturgica è stata il principale campo di confronto tra due ecclesiologie: l’antica e la nuova sostenuta dal Vaticano II. «E’ attraverso la pratica del sacro che si è manifestata la crisi postconciliare, con più evidenza e più ripercussioni. La liturgia è stata la prima questione, il primo cerchio intorno al quale si sono organizzati e stratificati tutte le opposizioni al rinnovamento pastorale. Come nei secoli passati, in cui ogni ricerca teologica aveva come passaggio obbligato una riformulazione della sacralità e delle sue pratiche, la Chiesa cattolica non ha potuto evitare una crisi interna che continua ad affliggerla» (18). E’ facile condurre uno studio di ciascun sacramento, di ciascuna cerimonia, nella formulazione che ha dato loro la riforma liturgica, per vedere che in esse si esprime la nuova ecclesiologia. Noi abbiamo scelto di limitarci a tre di esse, in cui le basi ecclesiologiche sono particolarmente evidenti: il sacramento dell’Ordine, la Messa, la professione religiosa. Con questi tre esempi avremo un’idea del tutto sufficiente delle trasformazioni pratiche subite dai riti per metterli in sintonia con la nuova visione ecclesiologica. L’Ordine Esiste un «evidente rapporto tra la liturgia e l’esistenza sacerdotale» (19), come tra il sacerdozio e la Chiesa. Ora, questo rapporto «è stato rinnovato da tutto il lavoro conciliare del Vaticano II. Così facendo, il Concilio, non solo ha raccolto i frutti dei decenni precedenti, ma ha anche aperto un strada nuova» (20). In questa ottica, fu decisa una revisione del rito dell’Ordine. Ora, «un rapido esame di alcune recenti pubblicazioni teologiche francesi sui nuovi diaconi permetterà di comprendere che la vera posta in gioco in questa questione, in apparenza periferica, è in realtà la revisione della maniera in cui sono concepiti e vissuti nella Chiesa delle realtà fondamentali come la relazione fra la Chiesa e il mondo, la coppia sacerdozio-laicato, il culto, la teoria e la pratica del sacerdozio ministeriale. La progressiva sparizione del diaconato svolge un ruolo rivelatore. Essa invita ad una rilettura ecclesiologica della storia, in cui ci si rende conto, con Yves Congar, che le nozioni di Chiesa, ministero e culto sono strettamente articolate tra loro» (21). I responsabili della Commissione incaricata della riforma del sacramento dell’Ordine, Dom Bernard Botte e Padre Joseph Lécuyer, si sono spiegati a lungo sui principii che hanno seguito e sulle soluzioni che hanno adottato. Padre Lécuyer ci dice: «La revisione dei riti sacramentali contenuti nel Pontificale romano presenta dei problemi gravi e delicati, non solo dal punto di vista rituale, ma soprattutto a causa delle conseguenze teologiche. Il rito, infatti, nella sua struttura e nei suoi elementi particolari, deve avere un ruolo didattico, ricordato dal concilio Vaticano II; deve dunque presentarsi in maniera chiara e con una successione di gesti e di parole che siano espressione di una dottrina certa» (22). E’ per questo che i responsabili hanno scelto di “tenere conto di tutto l’arricchimento dottrinale apportato su questo punto dal concilio Vaticano II, in particolare nella Costituzione sulla Chiesa, nella presentazione dell’episcopato e del sacerdozio in generale. Ricchezza dottrinale che la liturgia, in questo tempo di rinnovamento, non può non accogliere nelle sue formule destinate, non solo all’amministrazione dei sacramenti, ma anche, attraverso il rito, all’istruzione dei fedeli» (23). Per quanto riguarda l’episcopato, ci dice Dom botte, «io ho chiesto al professore Lengelin di comporre una allocuzione [del consacratore al futuro vescovo] che si ispirasse agli insegnamenti del Vaticano II. Egli lo ha fatto con molta cura: era un eccellente sintesi della dottrina del concilio» (24), «una sintesi della dottrina del Vaticano II sull’episcopato» (25). «Per il sacerdozio e il diaconato», ci dice sempre Dom botte, «noi abbiamo le allocuzioni redatte da Durand de Mende (nel XIII secolo]. Ne abbiamo conservate alcune formule particolarmente riuscite, ma prima di tutto ci è sembrato necessario appoggiarci anche alla dottrina del vaticano II» (26). Così, «il loro substrato (dei discorsi del vescovo ai futuri diaconi] è principalmente biblico, ma esse portano l’impronta del Concilio, non solo per le numerose citazioni letterali di Lumen gentium e del Decreto Presbyterorum ordinis, ma perché riflettono l’ecclesiologia conciliare» (27). E’ dunque evidente che «prima ancora che un attuazione della Costituzione conciliare sulla liturgia, il nuovo Ordo [delle ordinazioni] è l’espressione liturgica del capitolo III della Costituzione Lumen gentium, come stabilisce con chiarezza la Costituzione apostolica Pontificalis romani recognitio del 18 giugno 1968, con la quale il Papa Paolo VI ha promulgato il nuovo rito. A questo titolo, questa costituisce un frutto importante del Vaticano II» (28). La Messa Ancor più che il rito dell’ordinazione, la Messa costituisce nella Chiesa cattolica, da sempre, il punto di passaggio obbligato di tutta l’ecclesiologia. Questo è ovviamente il caso di questa riforma liturgica. «Il nuovo Ordo Missae si distingue dall’antico molto più per la sua mentalità teologica e pastorale che per le novità che esso introduce, d’altronde per lo più modeste» (29). Noi abbiamo sottolineato l’apporto della nuova ecclesiologia per ciò che riguarda la Chiesa segno di salvezza per l’uomo odierno attraverso i suoi riti. Poiché «occorre che i riti, secondo la legge costitutiva di ogni sacramento, significhino ciò che essi realizzano visibilmente e che, di conseguenza, sia manifestata in maniera sensibile, nella struttura stessa della liturgia della Messa, la presenza del mondo di oggi in cui andrà ad esercitarsi la potenza della salvezza. Questo è il senso dell’uso, riscoperto e favorito dalla Chiesa, delle lingue vive nell’atto liturgico. E’ la ragione per la quale, a più riprese nel corso della sua storia, la Chiesa ha modificato i riti della Messa: divenuti esoterici, compresi dai soli iniziati, essi non erano più agli occhi degli uomini di un tempo, di un paese, di una cultura, i segni della salvezza che devono raggiungerli nella loro realtà viva, segnata dal loro tempo, dal loro paese, dalla loro cultura» (30). Tra le maggiori novità della riforma vi è la concelebrazione. Essa ha, evidentemente, una portata ecclesiologica di primo piano. «Le teologia della concelebrazione si inserisce dunque in un insieme di riflessioni e di attitudini spirituali che vanno dalla concezione della Chiesa, delle sue strutture e delle sue intime ricchezze, dall’idea teologica del sacerdozio istituzionale, ministeriale e del sacerdozio comune del Popolo di Dio, alle prospettive ecumeniche che oggi svolgono un consistente ruolo di fermento e di vita nel seno della stessa Chiesa cattolica» (31). La percezione delle modalità della presenza di Cristo durante la Messa svolge anche un ruolo maggiore in ogni ecclesiologia, poiché essa condiziona i comportamenti fondamentali del popolo e dei ministri. E questo perché «vi è un legame intrinseco tra ecclesiologia, teologia eucaristica e cristologia riguardo alle diverse modalità della presenza di Cristo e in definitiva alle strutture concrete della liturgia della Messa» (32). Infine l’lnstitutio generalis o Presentazione generale, cioè il documento preliminare al Novus Ordo Missae che ne esplicita gli orientamenti dottrinali, manifesta chiaramente il rinnovamento ecclesiologico di cui la Messa è teatro. «Il che ci porta» dice un autore: «ad esaminare rapidamente l’ecclesiologia che emerge dalla Presentazione generale del Messale. Noi non abbandoniamo la nostra linea direttrice, perché questa ecclesiologia è anch’essa significata dai nuovi riti» (33). Così, «è dall’ecclesiologia che la teologia dell’assemblea ha ricevuto una nuova luce» (34). La professione religiosa Infine, possiamo gettare un rapido colpo d’occhio su un rito che non è sacramentale, ma in cui si manifesta chiaramente la visione che la Chiesa ha di sé stessa nel mondo. Si tratta dell’impegno religioso. «Ogni Istituto [religioso] ci presenta un commento ufficiale; prima di inserire nell’Ordo professionis i suoi elementi deve effettuare una revisione critica di questi elementi, cioè deve verificare se essi sono in sintonia con i principii generali del rinnovamento liturgico (Costituzione Sacrosanctum concilium), della vita religiosa (Costituzione Lumen gentium, Decreto Perfectae caritatis), dei rapporti col mondo contemporaneo (Costituzione Gaudium et spes). In effetti, alcuni concetti che ricorrono spesso nei cerimoniali sono difficilmente compatibili con la teologia della vita religiosa esposta nei maggiori documenti del Concilio» (35). In particolare «riguardo alla formula della consegna dell’abito, si devono evitare alcune espressioni che ricorrono spesso nei cerimoniali e che oggi appaiono superate, eccessive o utilizzano la Santa Scrittura in maniera errata» (36). Tuttavia, è evidente che solo gravi imperativi teologici possono giustificare tali cambiamenti, poiché «modificare i riti di ingresso significa toccare qualcosa di estremamente profondo nella spiritualità di una famiglia religiosa» (37). Possiamo quindi essere certi che: è solo perché tutti i nuovi riti devono essere l’espressione della nuova ecclesiologia che hanno dovuto essere apportati le più importanti modifiche. Conclusione Per riassumere la nostra ricerca, diremo che doveva esserci necessariamente una riforma liturgica in profondità dal momento in cui c’è stato un cambiamento ecclesiologico di una certa ampiezza. Va invece notato che l’insieme dei cambiamenti apportati alla liturgia a partire dal Vaticano II si spiegano e si coordinano unicamente in riferimento a questa nuova ecclesiologia. Pertanto, la liturgia uscita dal Vaticano II è la liturgia di una nuova Chiesa, nel senso di una nuova concezione della Chiesa. Come ha fatto notare un autore: «si è detto troppo spesso che la questione della celebrazione eucaristica non era il problema essenziale. Questo è vero ed è falso. (…) La liturgia è l’azione decisiva in cui il popolo cristiano afferma e riceve la sua vera identità. Le liturgia è un linguaggio, un messaggio, per la sua forma ancor più che per il suo contenuto. Essa dice chi è il nostro Dio. Essa dice che noi siamo il Suo popolo: lex orandi, lex credendi. La liturgia dà forma alla nostra fede. I sacramenti configurano la Chiesa» (38). Per questo, «la liturgia è ormai espressione e conseguenza di una teologia piena di risorse, di una vera ecclesiologia e di una pastorale illuminata» (39). Noi l’abbiamo sottolineato all’inizio: è stato il Papa Paolo VI che ha affermato più chiaramente il legame tra il rinnovamento ecclesiologico del Vaticano II e la riforma liturgica che ne è seguita. Anche se, nota un autore, «per un paradosso inaspettato ma prevedibile, il Vaticano II, concilio del rinnovamento ecclesiale, ha portato ad una crisi spirituale di rara intensità, praticamente diffusa in tutto il popolo di Dio» (40). Dunque, il 13 gennaio 1965, il Sommo Pontefice diede la spiegazione definitiva del suo modo di vedere, con alcune parole di una rara intensità. Per noi questa sarà una conclusione senza appello, poiché pensiamo che nel corso di questo nostro studio abbiamo giustificato il significato e la portata di questo testo. Il Papa ha dichiarato: «La nuova pedagogia religiosa che vuole instaurare il presente rinnovamento liturgico si inserisce, quasi per prendere il posto di motore centrale, nel grande movimento sancito dai principii costituzionali della Chiesa di Dio, e reso più facile e più avvincente dal progresso della cultura umana» (41). NOTE 1 - Adrien Nocent, L’avenir de la liturgie, Éditions universitaires, 1961, p. 10. 2 - Henri Denis, «Les sacrements dans la vie de l’Église », La Maison Dieu 93, 1° trimestre 1968, p. 50. 3 - Ibid., p. 52. Una liturgia per un mondo frammentato: Ma il mondo moderno è un mondo che si frammenta, si diversifica, nello stesso tempo che si universalizza e si apre a culture diverse. Essendo segno di salvezza per tutti gli uomini, «la Chiesa deve essere veramente cattolica, che significa che deve incarnarsi nelle culture diverse le une dalle altre. Le conseguenze di ciò sono molto chiare per quanto riguarda l’espressione liturgica: poiché non esiste alcuna unità di cultura, non può aversi alcuna espressione liturgica uniforme. (…) Si deve cercare di ricercare, senza stancarsi, dei segni e dei simboli adatti, senza i quali non esiste liturgia. (…) Questo significa ricercare costantemente una espressione della liturgia per ogni cultura e, all’interno di ogni cultura per ogni comunità in preghiera» (Rembert Weakland, «Le renouveau liturgique : perspectives d’avenir», Communautés et Liturgies 1, gennaio-febbraio 1975, pp. 85, 86 e 87. 4 - Henri Denis, Des sacrements pour notre temps, Service de pastorale sacramentelle de Lyon, 2° ed., 1975, p. 13. 5 - Ibid., p. 14 6 - Ibid., p. 4 7 - Robert Coffy, Eglise signe de salut au milieu des hommes, Centurion, 1972, p. 56. 8 - «Le peuple participe. De l’Angleterre au Japon : la réforme liturgique », Informations catholiques internationales 231, 1 gennaio 1965, p. 17. 9 - Dominique Lebrun, « L’adaptation en liturgie du second concile du Vatican au rituel de Paul VI », La Maison Dieu 183–184, 3° e 4° trimestre 1990, p. 25. 10 - Thierry Maertens in La liturgie dans les documents de Vatican II, Biblica, 1966, p. 8. 11 - Padre Schmidt, La Croix, 27 ottobre 1962, p. 4. 12 - Herman Volk, Pour une liturgie renouvelée, Desclée, 1965, p. 24. 13 - Stefan Moysa, «L’œuvre du concile est-elle encore actuelle ? », Esprit et Vie. L’Ami du clergé 20, 19 marzo 1983, p. 295. 14 - Marie-Joseph Le Guillou, « La sacramentalité de l’Église », La Maison Dieu 93, ler trimestre. 1968, p. 13. «Celebrare nel mondo di questo tempo implica per la Chiesa tenere conto dell’uomo contemporaneo che ha perduto i suoi riferimenti culturali e vaga alla ricerca della sua anima. Può dunque esserci un uomo nuovo con la grazia del battesimo e degli altri sacramenti là dove vi è un uomo morto o quantomeno privo di apertura allo spirituale? Di fronte ad una domanda del genere. La liturgia non può più reagire solo in termini di adattamento. Cosa significherebbe per la liturgia adattarsi ad un uomo privo di desiderio spirituale, se non cadere nell’insignificanza? Cosa significherebbe adattarsi ad una società divisa, se non mettere in pericolo l’unità di cui è responsabile? Interrogativi profondi, ma anche un compito: per la liturgia si tratta di dare conto della sua capacità, nella potenza dello spirito, di fondare sia l’uomo nuovo sia la nuova comunità» (Jean-Claude Crivelli, « Missel de saint Pie V, un libéralisme en forme de porte étroite », Vie [bollettino delle parrocchie cattoliche francofone della Svizzera] dicembre 1984, p. 14. 15 - « Liminaire », Paroisse et Liturgie 5, 1 luglio 1966, p. 489. 16 - Pierre Jounel, « La liturgie des heures dans le renouveau liturgique de Vatican II », Notitiæ 98, ottobre 1974, p. 334. 17 - Alain de Penanster, Un papiste contre les Papes, Table Ronde-Edijac, 1988, p. 29. 18 - Franck Lafage, Du refus au schisme – Le traditionalisme catholique, Seuil, 1989, p. 49–50. 19 - Henri Denis, « Existence sacerdotale et liturgie » in La liturgie dans les documents de Vatican II, Biblica, 1966, p. 47. 20 - Ibid., p. 47. 21 - Matthieu Cnudde, « Bulletin de théologie du diaconat », La Maison Dieu 96, 4° trimestre. 1968, p. 106–107. 22 - Joseph Lécuyer, « Commentarium », Notitiœ 41, luglio-agosto 1968, p. 213. 23 - Ibid., p. 213- 214. 24 - Bernard Botte, Le mouvement liturgique – Témoignage et souvenirs, Desclée, 1973, p. 169. 25 - Bernard Botte, « L’ordination de l’évêque », La Maison Dieu 98, 2° trimestre. 1969, p. 116. 26 - Bernard Botte, Le mouvement liturgique Témoignage et souvenirs, Desclée, 1973, p. 169. 27 - Aimon-Marie Roguet, « Les nouveaux rituels d’ordination », La Maison Dieu 94, 2° trimestre 1968, p. 181. 28 - Pierre Jounel, « Le nouveau rituel d’ordination », La Maison Dieu 98, 2° trimestre 1969, p. 63. 29 - Adrien Nocent, « L’acte pénitentiel du nouvel Ordo missæ », Nouvelle Revue Théologique 9, novembre 1969, p. 956. 30 - Pierre Bellégo, « Éveiller les vigilances » in Le défi intégriste. Saint- Nicolas occupé, Centurion, 1977, p. 202–203. 31 - Vittorino Joannes, « Aspects théologiques de la concélébration », in Théologie et pratique de la concélébration, Marne, 1967, p. 56. 32 - « Un nouveau manuel pour la liturgie de l’eucharistie », Notitiæ 160, novembre 1979, p. 662–663. 33 - Roger Béraudy, « Les rites de préparation à la communion », La Maison Dieu 100, 4° trimestre 1969, p. 85. 34 - Casiano Floristan, « L’assemblée et ses implications pastorales », Concilium 12, febbraio 1966, p. 36. 35 - « Indications pour l’adaptation de l’Ordo professionis religiosæ » [documento della Congregazione per il Culto Divino], Notitiœ 57, settembre 1970, p. 320. 36 - Ibid., p. 321. 37 - Pierre Raffin, « Liturgie de l’engagement religieux : le nouveau rituel de la profession religieuse », La Maison Dieu 104, 4° trimestre 1970, p. 166. 38 - Joseph Thomas, « Le schisme de Marcel Lefebvre », Etudes, settembre 1988, p. 258- 259. 39 -D. S. Amalor Pavades, « Le mouvement liturgique en Inde », Paroisse et Liturgie 8, 1963, p. 785. 40 - Marie-Joseph Le Guillou, « La sacramentalité de l’Eglise », La Maison Dieu 93, 1° trimestre 1968, p. 10. 41 - Paolo VI, Udienza generale del 13 gennaio 1965, Les enseignements pontificaux et conciliaires. La liturgie. Tome II, Desclée, 1968, numero 577. |