![]() |
![]() |
IL PROBLEMA EBRAICO SECONDO SAN PAOLO Seconda parte di Don Curzio Nitoglia ![]() San Paolo DIO
È STATO GIUSTO NEL RIPROVAREQUELLA PARTE
DEL GIUDAISMO CHE NON HA VOLUTO CREDERE IN GESÙ Come vediamo in questa seconda parte dell’articolo, l’Apostolo dei Gentili (Rom., gli ultimi tre versetti del capitolo IX, dal v. 30 al v. 33; e tutto il capitolo X, vv. 1-21), mostra la responsabilità e la colpevolezza dei Giudei increduli, che hanno rifiutato il Messia Gesù di Nazareth, la quale fa risaltare la giustizia di Dio. Purtroppo, i Giudei infedeli, per loro colpa, non cercarono la salvezza là dove Dio l’aveva riposta: nel Messia sofferente Gesù, nato nella grotta di Betlemme e morto sulla croce del Calvario, ma in un falso “Messia” immaginario, politico militante e trionfante. Che cosa bisogna, dunque, pensare della riprovazione dei Giudei increduli, della conversione dei Pagani e della perseveranza dei Giudei fedeli? San Paolo ci spiega che le Genti, ossia i Pagani, che non si sforzavano per il passato di arrivare alla santità, mediante l’unione con Dio tramite la grazia santificante, per la morte di Cristo e per la predicazione degli Apostoli conseguirono la conversione, la grazia e la salvezza (Rom., IX, 30). Tutto ciò ci potrebbe sembrare un paradosso; però, San Paolo rivela che la salvezza soprannaturale ed eterna non è frutto delle opere e degli sforzi naturali dell’uomo, ma è un dono gratuito di Dio, che viene dato a chi Lui vuole e, se viene accolto dall’uomo, lo porta alla fede e alla carità soprannaturale. Invece, i Giudei increduli verso Gesù, che nel Vecchio Patto seguivano i precetti esterni della legge mosaica, cercarono la santità ma non la trovarono, poiché si fermarono alla lettera della legge (pratica puramente esteriore) e non giunsero al suo spirito, contentandosi di un’apparenza farisaica di santità del tutto esteriore e non perseguendo la santificazione interiore (pratica interiore e spirituale) della loro volontà (Rom., IX, 31). Quale fu la ragione profonda del fatto che Israele non riuscì a trovare la santità pur cercandola? Perché la cercò non nella grazia soprannaturale di Dio, ma nell’agire umano e naturale pensando di poter raggiungere il suo fine (Regno d’Israele) con le sue sole forze naturali (Messia militante). Perciò i Giudei, rifiutando la fede in Cristo, non hanno trovato la salvezza eterna, mentre i Pagani abbracciando la fede hanno trovato la salvezza in Cristo Gesù. Il motivo per cui non cercarono la salvezza mediante la fede in Gesù fu la Sua vita umile, il Suo ideale spirituale d’un Regno dei Cieli nell’aldilà per tutti gli uomini di tutte le razze e non d’un Regno temporale d’Israele per i soli Giudei sul mondo intero (cfr. I Cor., I, 23; Gal., V, 11). Quindi, Gesù divenne per i Giudei increduli una “Pietra d’inciampo”, in cui urtarono rovinosamente (Rom., IX, 32). “Se qualcuno cadrà su questa pietra (Gesù), si sfracellerà, mentre colui sul quale essa cadrà, sarà stritolato” (Lc., XX, 18). Romani, X, 1-21
San Paolo passa a parlare ora (durante tutto il capitolo X) del falso zelo dei Giudei increduli: solerzia fanatica e farisaica, che aveva animato Saulo stesso quando perseguitava i Cristiani. Infatti, i Giudei cercavano l’onore e la gloria di Dio, ma in maniera puramente esteriore, senza cambiare vita interiormente e convertirsi a Dio. Quindi, la loro ignoranza fu volontaria e colpevole e li portò non solo a rifiutare Cristo ma, persino a crocifiggerlo (Rom., X, 1-2). I Giudei increduli, non volendo per loro colpa conoscere la giustificazione operata da Dio nelle anime, mediante la grazia gratuita, alla quale poi bisogna corrispondere, e volendo difendere come vera la loro concezione della giustificazione, mediante gli sforzi naturali umani e puramente esteriori, hanno rifiutato il dono gratuito di Dio, durante l’Avvento del Messia Gesù, rinnegando la fede in Lui (Rom., X, 3). San Paolo spiega come il tentativo dei Giudei increduli di stabilire una via di giustificazione, indipendentemente dalla fede in Gesù non avrebbe potuto non essere vano. Infatti, Cristo è il fine e lo scopo della legge, la quale senza di Lui non avrebbe ragion d’essere. Tutta la legge era ordinata a rappresentare Gesù e a preparare gli uomini alla sua venuta. Perciò, se la legge è un mezzo che conduce a Cristo come a suo fine, non ha motivo d’essere se non per Lui. Invece, i Giudei increduli, avrebbero voluto essere giustificati senza Cristo, mediante una pratica puramente esteriore della Legge, svuotata dal suo fine, il che è impossibile. Inoltre, se la legge era una figura di Cristo, essa è cessata con l’Avvento di Gesù, in questo senso il Messia è anche la fine o il termine della Legge e della Vecchia Alleanza. Egli è il compimento e la perfezione della Legge, che ha stabilito una Nuova ed Eterna Alleanza, la quale ha rimpiazzato e completato la Vecchia (Rom., X, 4). Dopo la morte di Cristo i Giudei non possono più salvarsi se non mediante Cristo. Infatti, nella Vecchia Alleanza l’uomo era giustificato dall’osservanza della legge mosaica e specialmente dei 10 Comandamenti, compendiati nell’Amor di Dio e del prossimo. Ora, non è possibile alla sola natura umana, ferita dal peccato originale, senza l’aiuto della grazia divina, osservare per lungo tempo tutti e 10 i Comandamenti di Dio. Perciò, i Giudei - nella Vecchia Alleanza - ricevevano la forza d’osservare i Comandamenti dalla grazia divina, concessa loro in virtù dei meriti del Messia venturo. Quindi, i giusti dell’Antico Testamento si salvarono per la conoscenza della Legge ma, poterono praticarla e osservarla solo per la grazia divina, data in vista della morte futura di Cristo. Dopo la morte di Cristo, la Legge Antica ha cessato di preparare gli uomini al Messia, poiché era già venuto; dunque, ha perso tutto il suo valore. Quindi, asserire che i Giudei si salvano senza Cristo e solo mediante l’osservanza esteriore della Legge (“l’Antica Alleanza mai revocata”, Giovanni Paolo II, Magonza, 17 novembre 1980) non solo è falso, ma pone i Giudei in uno stato di privazione dell’aiuto di Dio, senza il quale non possono far nulla di soprannaturalmente meritorio e salvifico (Rom., X, 5). Predicare questa falsa teoria, significa non praticare la vera carità verso il popolo ebraico al quale, va detta la verità che Gesù è venuto a rivelarci. Il Comandamento o la Parola del Signore non è lontano dall’uomo, ma gli è molto vicino, si trova, infatti, nel suo spirito affinché possa eseguirlo, se è aiutato dalla grazia divina; ora, Comandamento o Parola in senso spirituale, secondo molti esegeti, stanno a significare Gesù Cristo, il Verbo Incarnato. San Paolo vuol mostrare che, come nel Vecchio Testamento era possibile conoscere la Legge; così nel Nuovo Testamento è possibile essere giustificati per la fede in Cristo, se aiutati dalla grazia di Dio. Gesù è già venuto e ci ha redenti e come non era necessario nell’Antico Patto salire in cielo per conoscerlo; così non è necessario - nel Nuovo Patto - salire in cielo per trovare Gesù, il quale ci offre la Sua grazia e desidera soltanto che corrispondiamo a essa. Inoltre, la legge evangelica del Nuovo Testamento, ossia le verità soprannaturali rivelate da Cristo e predicate dagli Apostoli, è alla portata di tutti, Giudei e Pagani. A partire dal versetto 9 del capitolo X dell’Epistola ai Romani, San Paolo spiega dettagliatamente ciò che è necessario fare per salvarsi. Innanzitutto, bisogna confessare con la bocca la divinità e messianicità di Gesù Cristo, ma prima della confessione esterna e pubblica della fede occorre aderire internamente alla divina Rivelazione. Alla fede vivificata dalla carità, corrisponde la giustificazione dell’uomo, con la quale iniziamo il cammino che ci conduce alla salvezza ma, per arrivare al compimento della giustificazione bisogna perseverare sino alla morte. San Paolo cita il profeta Isaia (XXVIII, 16): “Chiunque crede in Lui non sarà confuso”, ossia dannato. Il profeta parla della “Pietra angolare”, cioè del Messia venturo. Quindi, per salvarsi e non “essere confusi” è necessario credere nel Messia Gesù (Rom., X, 11). Ora, l’Apostolo ribadisce l’universalità della salvezza, che è offerta a tutti gli uomini nel Messia Gesù di Nazareth: “Non v’è distinzione di Giudeo o Greco, dacché lo stesso è il Signore di tutti, ricco per tutti coloro che lo invocano” (Rom., X, 12). In breve, per salvarsi non è necessario essere Ebrei di nascita ma, basta - anche per i Pagani - di credere in Cristo e di osservare i suoi Comandamenti. Tuttavia, pure i Giudei non sono esclusi dalla salvezza, se si convertono e credono nel Messia Gesù. A partire dal versetto 14 l’Apostolo mostra quanto Dio ha fatto per condurre i Giudei alla fede monoteistica e per far loro accettare il Messia. Dio ha offerto loro tutti i mezzi per conoscere il Vangelo, ha confermato con i miracoli la missione divina di Gesù, per cui se non credono sono colpevoli e responsabili della loro incredulità. Tuttavia, per poter pregare Gesù, bisogna prima credere in Lui e per credere occorre averne sentito parlare da parte di coloro, che sono stati inviati da Dio come Apostoli a diffondere il Vangelo. Infatti, i veri Apostoli sono quelli che hanno ricevuto una legittima missione, che li distingue dai falsi-apostoli e dai falsi-profeti. Però, “Non tutti obbediscono al Vangelo” (Rom., X, 16); ossia, il Vangelo non solo deve essere ascoltato, ma anche messo in pratica e vissuto, la fede deve essere vivificata dalla carità. Qui l’Apostolo non si riferisce in modo speciale ai cattivi Cristiani, ma ai Giudei che hanno rifiutato Gesù. Infatti, cita Isaia (LIII, 1), il quale all’inizio d’una bellissima profezia, in cui descrive in maniera impressionante le umiliazioni, le sofferenze e la Passione del Messia venturo, si domanda sgomento: “Chi crederà a quello che io annunzio?”. La risposta è implicita: “Nessuno o molto pochi”. Così, continua l’Apostolo, gli Apostoli hanno predicato ai Giudei, ma la maggior parte di essi è rimasta incredula, per la cattiva volontà di non accettare un Messia umile e spirituale, che desse il Regno dei Cieli a tutti gli uomini, Gentili e Giudei, i quali avrebbero abbracciato la fede in Cristo. Infine, San Paolo cita alcuni passi del Vecchio Testamento (Deut., XXII, 21), dai quali si evince che era stato predetto sin dal tempo di Mosè che i Gentili, pur essendo religiosamente meno preparati dei Giudei e non avendo ricevuto la Rivelazione nella Vecchia Alleanza, si sarebbero convertiti a Cristo. Da ciò, ne consegue che i Giudei non sono scusati per la loro incredulità, la quale è volontaria e colpevole. Infatti, se un popolo che ignorava l’Antica Rivelazione ha capito la Nuova Rivelazione del Vangelo, come mai Israele non l’ha compresa? Non per ignoranza invincibile ma, per cattiva volontà. Il Signore predice che, disprezzato dagli Israeliti, si rivolgerà a tutte le Genti, che Lo ascolteranno e si convertiranno, provocando perciò una certa “invidia” verso i Gentili, nei Giudei increduli (tranne il “piccolo resto” fedele), per essere stati rimpiazzati dai Pagani nella Nuova ed Eterna Alleanza. Tutto ciò s’è avverato col Deicidio, quando si scisse il velo della Sancta Sanctorum del Tempio di Gerusalemme per significare che Dio aveva rotto il Vecchio Patto con i Giudei increduli e lo avrebbe stretto con tutti gli uomini sia Ebrei che Pagani, purché avessero la fede in Cristo. San Paolo conclude il capitolo X dell’Epistola ai Romani (v. 20) con una citazione d’Isaia (LV, 1): “Mi hanno trovato coloro che non mi cercavano, Mi son fatto vedere a coloro che non domandavano di Me”; ossia, i Pagani che erano immersi nelle tenebre del politeismo idolatrico, tramite la predicazione degli Apostoli perseguitati dai Giudei increduli, hanno trovato Dio; quindi, a maggior ragione, Lo avrebbero dovuto accogliere anche i Giudei che avevano ricevuto la Rivelazione e la vera fede in Jaweh. Perciò, la loro colpa è inescusabile. Al versetto 21, che chiude il capitolo X, l’Apostolo continua con la citazione d’Isaia: “Tutto il giorno stesi le mani a un popolo incredulo e contraddittore”, vale a dire: il motivo dell’infedeltà dei Giudei è la loro antica, ostinata e continua infedeltà a Dio, che cominciò già nel Vecchio Patto ed è sfociata nel Deicidio; il Signore, infatti, aveva desiderato e cercato d’abbracciare, stendendo le mani, il Suo popolo come un padre pieno di amore cerca di stringere a sé i suoi figliuoli. Invece, Israele s’è continuamente ribellato con pertinacia a Dio e soprattutto ha colmato la misura, quando ha rifiutato Cristo e poi anche i Suoi Apostoli, i quali hanno, così, iniziato a predicare il Vangelo ai Gentili. Perciò, Israele non deve essere geloso dei Pagani, ma deve incolpare solo se stesso della sua esclusione dal Regno di Dio nella Nuova Alleanza. Come si vede, quanto rivelato in San Paolo, è in totale e radicale contrapposizione con l’insegnamento giudaizzante iniziato con Nostra aetate (1965), proseguito con “l’Antica Alleanza mai revocata” (1980), con “gli Ebrei fratelli maggiori dei Cristiani …” (13 aprile 1986), “… nella fede di Abramo” (31 dicembre 1986). La Vecchia Alleanza è stata revocata, i Giudei increduli sono colpevoli e inescusabili, hanno crocefisso il Verbo Incarnato macchiandosi di Deicidio, hanno perseguitato gli Apostoli e sono stati rimpiazzati dai Gentili, i quali si son convertiti al Vangelo. Nella Prima Epistola ai Tessalonicesi (II, 15-16) San Paolo specifica ancor meglio: “I quali [Giudei] hanno perfino messo a morte il Signore-Gesù [“Dominum occiderunt Jesum”] e i Profeti e hanno perseguitato anche noi; essi non piacciono a Dio [“Deo non placent”] e sono nemici di tutti gli uomini [“omnibus hominibus adversantur”], impedendo a noi di predicare ai Pagani perché possano essere salvati. In tal modo, essi colmano la misura dei loro peccati! Tuttavia, oramai l’ira di Dio sopra di loro è arrivata al colmo [“pervenit enim ira Dei super illos uque in finem”]”. |