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IL PROBLEMA EBRAICO SECONDO SAN PAOLO Terza parte di Don Curzio Nitoglia ![]() San Paolo DIO
È STATO MISERICORDIOSO
RIGUARDO AI GIUDEI CONVERTITISI La stragrande maggioranza dei Gentili ha abbracciato la fede d’Abramo, s’è convertita a Cristo, ha rimpiazzato i Giudei increduli e, anche questa terza parte, manifesta la misericordia del Signore. Nella seconda parte di quest’articolo abbiamo spiegato che l’Apostolo dei Gentili (Rom., IX, 30 - 33; X, 1-21), ha mostrato la responsabilità e la colpevolezza dei Giudei increduli, che hanno rifiutato il Messia Gesù di Nazareth, la quale colpa fa risaltare la giustizia di Dio, che li ha riprovati. Infine, durante tutto il capitolo XI (1-36) dell’Epistola ai Romani (che affrontiamo in questa terza parte, solo sino al versetto 24) San Paolo mostra come a) Dio sia stato non solo giusto verso i molti Giudei increduli, ma anche misericordioso verso i pochi Giudei che hanno creduto, e, b) sarà molto misericordioso, prima della fine del mondo, accogliendo la maggior parte d’Israele, una volta pentitasi e convertitasi (vv. 25-32). Infatti, essa tornerà a Cristo, col pentimento del deicidio commesso da essa e con la fede nel Messia Gesù da essa sino allora rifiutato. Dal versetto 1 al versetto 10 dell’XI capitolo l’Apostolo spiega che Dio, nonostante la giustizia usata nella riprovazione dell’incredulità d’Israele, non ha cessato d’essere pure misericordioso verso il popolo una volta eletto, poiché un “piccolo resto” d’Israele s’è convertito a Cristo. Inoltre, questa caduta e riprovazione d’Israele ha permesso - grazie all’infinita misericordia divina - l’entrata dei Gentili nella Chiesa del Nuovo Testamento (vv. 11-24), e infine attorno alla Parusia anche Israele in massa si convertirà (vv. 25-32). MISERICORDIA
DI DIO RIGUARDO AI POCHI GIUDEI CONVERTITISI
DURANTE L’AVVENTO DI CRISTO (ROM., XI, 1-10) Aprendo il capitolo XI, innanzitutto, l’Apostolo (Rom., XI, 1) ci tiene a specificare che Dio non ha rigettato lontano da Sé tutto Israele, senza alcuna eccezione. No! Certamente non si tratta di una riprovazione totale ed eterna; infatti, il Signore ha scelto i Suoi Apostoli tra i Giudei (fra i quali vi è San Paolo medesimo: “Io pure sono Israelita, del seme di Abramo, della tribù di Beniamino”), per cui pochi Israeliti si sono mantenuti fedeli a Dio, ma proprio essi sono stati inviati da Gesù a predicare il Vangelo ai Pagani. Inoltre, Dio non ha rigettato tutto il popolo, che Egli aveva scelto ai tempi di Abramo come sua stirpe prediletta, per la Sua pura misericordia, senza alcun merito precedente da parte di esso. Perciò, non solo San Paolo, ma anche altri Israeliti (12 Apostoli, 120 Discepoli, 5 mila e 3 mila battezzati attorno al dì della Pentecoste …) si son convertiti a Cristo per la pura misericordia di Dio. Dio da tutta l’eternità aveva “pre/visto” coloro, che sarebbero restati fedeli a Lui e che non sarebbero, dunque, stati rigettati. L’Apostolo cita la storia del profeta Elia, per dimostrare scritturisticamente la sua asserzione. Infatti, al tempo di Elia (III Re, XIX, 10-18) sembrava anche allo stesso profeta che tutti avessero apostatato da Jaweh e che egli fosse rimasto solo ad adorarLo, ma Dio gli rivelò che si era riservato un “piccolo numero” di fedeli. Così, deduce l’Apostolo: anche ora (30/67 d. C.), benché sembri che tutto Israele abbia apostatato e sia stato riprovato, alcuni Israeliti (anche se relativamente pochi rispetto ai molti che hanno rinnegato il Messia) saranno salvati. Infatti, il Signore rivelò a Elia: “Mi sono riservato 7 mila Israeliti fedeli al Dio unico, che non hanno adorato Baal”, 7 mila rappresenta un numero pieno e perfetto, che indica una certa quantità piccola per rapporto a coloro che apostatarono, ma che non è disprezzabile in se stessa (v. 4). San Paolo passa, quindi, ad applicare quello che successe ai tempi d’Elia (IX secolo avanti Cristo) alla sua epoca e scrive che come allora “un resto” del popolo rimase fedele a Dio; allo stesso modo anche ora (dal Deicidio alla Parusia), nonostante l’infedeltà della maggior parte d’Israele “quelli che furono riservati o scelti secondo l’elezione della grazia sono stati salvati” (v. 5). Ciò è avvenuto per pura e gratuita misericordia divina, senza meriti precedenti da parte degli uomini, che non possono dunque glorificarsi della loro elezione, come l’Israele antico non avrebbe dovuto gloriarsi d’essere stato scelto da Jaweh e invece s’inorgoglì di se stesso e cadde miseramente. Al versetto 6 l’Apostolo scrive che i Giudei credevano di potersi salvare solo con l’osservanza esteriore della legge, senza convertirsi interiormente e cambiare vita; invece, lo stato di grazia santificante lo si consegue per dono gratuito di Dio al quale bisogna corrispondere liberamente e non mediante i soli sforzi puramente naturali dell’uomo. Quindi, se coloro, che hanno raggiunto la santificazione o giustificazione, l’hanno ottenuta per misericordia e per dono gratuito; allora significa che non vi sono arrivati per i loro meriti e per i loro sforzi naturali, altrimenti la grazia divina non sarebbe più soprannaturalmente gratuita, ma sarebbe dovuta allo sforzo naturale. San Paolo espone qui il principio teologico secondo cui l’elezione e la giustificazione dell’uomo da parte di Dio avviene per grazia; ossia, per Suo dono gratuito e soprannaturale; mentre il merito umano presuppone per giustizia un diritto alla ricompensa. Quindi la grazia non è dovuta alla natura umana, ma è data gratuitamente da Dio a essa: “Coloro, che furono scelti secondo l’elezione della grazia sono stati salvati, e se sono stati salvati per grazia non lo sono per i meriti delle opere naturali umane” (v. 5). Per quanto riguarda Israele come popolo: esso non ha conseguito la giustificazione nella sua grande maggioranza, poiché la cercava tramite i meriti delle opere puramente umane e naturali. Invece, un “piccolo resto” d’Israele, per grazia di Dio, ha ottenuto la santificazione mediante la fede nel Messia Gesù di Nazareth, che l’Israele infedele aveva ripudiato, essendosi accecato da sé; ossia, avendo chiuso volontariamente gli occhi per non vedere e ammettere i miracoli di Cristo, che dimostravano la Sua Divinità e Messianicità (v. 7). Quest’accecamento, non è stato prodotto da Dio ma, è stato voluto dall’Israele incredulo, che si fidava delle sue sole iniziative naturali e umane, al quale Dio ha rifiutato la grazia in séguito alla sua colpa orgogliosamente volontaria e libera. L’accecamento d’Israele era già stato predetto dalla Santa Scrittura (Deut., XXIX, 4; Isaia, XXIX, 10): “In castigo della sua volontaria incredulità, Dio gli ha sottratto il suo aiuto e permise che cadesse in uno spirito di stordimento”. Quindi, l’Apostolo spiega che l’Israele o i Giudei, di cui parlavano Mosè (1300 a. C. c.ca) e Isaia (600 a. C. c.ca), erano la figura dei Giudei infedeli del tempo del Messia Gesù di Nazareth (v. 8). L’Apostolo, poi, cita David (Sal., LXVIII, 23-24), il quale - mille anni prima di Cristo - annunziava, divinamente ispirato, che “i beni i quali erano stati dati da Dio a vantaggio d’Israele, sarebbero stati utilizzati da esso per la sua rovina”. Infatti, la legge e la Scrittura divennero per gli Israeliti una trappola o un laccio, quando le utilizzarono malamente per rigettare il Messia (v. 9). MISERICORDIA
DIVINA PER I MOLTI PAGANI
CONVERTITI DAGLI APOSTOLI (XI, 11-24) Dal versetto 11 al 15 San Paolo passa a dimostrare che la riprovazione d’Israele non solo non è totale, ma non è che temporanea. Tuttavia, se Dio non ha rigettato totalmente il popolo che si era scelto; cosa si dovrà dire riguardo a quelli che ha riprovato a causa della loro incredulità? Certamente Jaweh, permettendo che Israele nella sua maggioranza inciampasse nella “Pietra d’angolo” (che è Gesù Cristo), non volle far cadere tutti i Giudei senza dar loro nessuna speranza di conversione futura. Infatti, la loro colpa d’incredulità nei confronti del Messia è stata occasione della conversione e della salvezza dei Gentili, poiché il Vangelo doveva essere predicato prima ai Giudei (Mt., XXI, 43) e questi per primi (cronologicamente e non ontologicamente) avrebbero dovuto entrare nella Chiesa di Cristo e poi nel Regno dei Cieli; però, siccome la maggior parte dei Giudei non volle ascoltare la predicazione del Vangelo e anzi vi s’oppose; allora, gli Apostoli lo predicarono ai Pagani, i quali si convertirono in massa, rimpiazzando gli Ebrei increduli. Tuttavia, il Signore ebbe pure un altro scopo nel permettere la caduta d’Israele e la conversione dei Pagani: volle, cioè, provocare a gelosia i Giudei increduli e spingerli ad accogliere il Messia Gesù Cristo, vedendo che le promesse fatte ai Patriarchi erano state sottratte a essi e trasferite ai Gentili (v. 11). Al versetto 12 l’Apostolo dimostra - con una breve anticipazione di ciò che tratterà dal versetto 25 sino al 32 - che la futura conversione dei Giudei a Cristo apporterà al mondo molte benedizioni; infatti, se il loro peccato d’incredulità - con la conseguente riprovazione da parte di Dio - fu occasione della conversione dei Pagani, quanto maggiore vantaggio porterà al mondo intero la loro conversione in massa, che avverrà attorno alla Parusia? Quindi, non bisogna disperare quanto alla sorte d’Israele. Benché, San Paolo sia l’Apostolo delle Genti, egli si occupa anche dei Giudei, ossia di quei pochi non-ebrei che hanno accettato Cristo, dei molti Giudei che Lo hanno rifiutato e sono stati abbandonati da Dio e infine di quelli che si convertiranno alla fine del mondo. San Paolo, ancora durante il suo apostolato, ha cercato di convertire i Giudei alla fede, anche se era stato inviato alle Genti e qui si cimenta nel dare consigli ai Pagani affinché non impediscano, col loro comportamento, la conversione degli Ebrei (v. 13). Infatti, San Paolo, con la sua predicazione, fece entrare molti Pagani nella Chiesa di Cristo, ma non rinunciò a un altro suo grande scopo, che era quello di lavorare anche alla conversione dei Giudei, provocandoli a emulare i Pagani convertiti, nella speranza che alcuni di loro si salvassero, non essendo ancora venuto il tempo della loro conversione in massa attorno alla fine del mondo, di cui parlerà esplicitamente dal versetto 25 al 32 (v. 14). Per cui, se la loro riprovazione o esclusione dal Regno di Dio, a causa della loro incredulità, è stata occasione della riconciliazione dei Pagni con Dio; allora, la loro ventura conversione apporterà tanti beni e tanti doni, come se fosse una risurrezione dalla morte alla vita (v. 15). A partire da quest’ultima frase, alcuni Padri hanno dedotto che la conversione in massa d’Israele sarà il segno dell’avvicinarsi della “risurrezione dei morti e del giudizio finale”, ossia della fine del mondo. Ci si può domandare su cosa San Paolo s’appoggi per avere questa ferma speranza sulla conversione dei Giudei. Innanzitutto, sull’ispirazione divina, che ha rivelato all’Apostolo quest’arcano. In secondo luogo, egli si basa sull’insegnamento della S. Scrittura. Infatti, i Giudei hanno una relazione tutta particolare con i Patriarchi, con i quali Dio strinse la Vecchia Alleanza. Ora, se le primizie (i Patriarchi) sono sante e i Patriarchi lo furono; allora, i rami che derivano (anche se solo carnalmente) da queste primizie partecipano in un certo qual modo della natura delle radici e del tronco; ma la santità dei Giudei figli carnali di Abramo, Isacco e Giacobbe era soltanto esterna e legale, il che non li giustificava soprannaturalmente, però essa può essere una certa disposizione alla futura conversione ottenuta soprattutto per la grazia divina (v. 16). Eccoci giunti ai consigli che San Paolo dà ai Pagani, affinché non intralcino la conversione dei Giudei a Cristo: “Se tu, o Pagano, che sei un olivastro selvatico, sei stato innestato al posto di alcuni rami svelti (Giudei infedeli) dal tronco dell’olivo fruttifero (Patriarchi) e sei stato fatto partecipe della sua radice e della sua linfa (Patriarchi); non voler vantarti contro quei rami svelti (Giudei increduli). Infatti, non sei tu a portare la radice (Patriarchi), ma è la radice che ora porta te” (vv. 17-18). San Paolo ha appena insegnato che anche i Giudei, in ragione della loro discendenza dai Patriarchi, possono ancora essere chiamati a entrare nel regno di Dio, se accettano la fede in Cristo e si convertono. Ora, esorta i Pagani a non inorgoglirsi della loro chiamata e a non disprezzare i Giudei che son caduti: “Chi pensa di stare in piedi, faccia attenzione a non cadere!”. Egli, per far capire meglio questo mistero, disegna un magnifico quadro, in cui paragona la Chiesa di Dio del Vecchio e del Nuovo Testamento a un albero d’ulivo fruttifero, il cui seme fu gettato durante la promessa del Redentore fatta da Dio ad Adamo dopo il peccato originale; le radici furono i Santi Patriarchi; i Giudei: il tronco e i rami. I Pagani sono rappresentati dai rami d’un ulivo selvatico, che di per sé non è fruttifero. Tuttavia, alcuni rami furono staccati dall’ulivo fruttifero: i Giudei increduli, che per la loro infedeltà furono riprovati da Dio e separati dalla promessa fatta ai loro antenati; ossia, i Patriarchi. Ora, il Pagano, che è come un olivastro non fruttifero o selvatico, è stato innestato da Dio nella radice dell’ulivo fruttifero, ossia nella fede d’Abramo nel Messia venturo, al posto dei rami recisi (Giudei increduli), ma senza alcun proprio merito precedente e per sola misericordia divina; allora, tu Pagano, non volerti vantare contro i Giudei increduli, ossia i rami svelti. Infatti, prima tu, o Pagano, eri fuori dell’Alleanza stretta da Dio con i Patriarchi. Quindi, non hai nessun motivo d’inorgoglirti contro i rami naturali, che sono stati svelti per loro disgrazia, poiché tu non eri stato chiamato all’Antica Alleanza con Dio, mentre i Giudei sì. Tu sei stato innestato sulla radice dei Patriarchi e partecipi della loro stessa vita (v. 18). Perciò, non voler gloriarti, dicendo: “Dio ha permesso la colpa dei Giudei, affinché i Gentili fossero innestati al posto loro sul vero olivo fruttifero e ciò prova che ora Dio ama più i Gentili che i Giudei” (v. 19). San Paolo risponde che in parte ciò è vero; infatti, è la pura costatazione di un fatto: Dio ha permesso la caduta dei Giudei ed essa è stata l’occasione dell’entrata dei Pagani nella Nuova Alleanza con Dio, ma - d’altra parte - i Giudei furono divelti dall’ulivo fruttifero a causa della loro incredulità nel Messia. Invece i Pagani, che erano un olivastro selvatico, sono stati innestati sull’olivo fruttifero perché hanno creduto al Vangelo, che è stato loro predicato dagli Apostoli, ossia il “piccolo resto” dell’Israele fedele. Siccome, la fede è un dono puramente gratuito e soprannaturale di Dio e si può perdere - com’è successo ai Giudei increduli - per mancanza d’umiltà, se ci si glorifica di se stessi, i Gentili devono far attenzione a non insuperbirsi per non cadere anch’essi nell’infedeltà, ma devono temere di poter venir meno come tutti gli uomini (v. 20). Infatti (v. 21), è più facile strappare dalla radice dell’albero (Patriarchi) i rami che sono stati innestati (Pagani) che non quelli i quali erano naturalmente uniti a esso (Giudei). Perciò, se i Pagani non sentono umilmente di sé, potrebbero essere svelti anche loro. Per raccomandare sempre maggiormente l’umiltà e la diffidenza di sé, l’Apostolo, invita ora i Gentili a considerare profondamente i due aspetti della condotta di Dio verso i Giudei e i Pagani. Il Signore ha mostrato 1°) la Sua bontà e misericordia verso i Pagani, avendoli chiamati senza alcun loro precedente merito alla grazia e alla fede; 2°) la Sua giustizia e severità verso i Giudei, i quali urtarono contro la “Pietra d’inciampo”, che è Gesù e non vollero accettarLo come Messia. Perciò, se i Pagani continueranno a perseverare nell’umile professione della fede, che è un dono gratuito di Dio, allora Dio continuerà a essere misericordioso verso di loro; altrimenti, se non resteranno umili, anch’essi saranno svelti e rigettati, proprio com’è successo ai Giudei increduli (v. 22). Al contrario, come se i Pagani saranno infedeli alla grazia, saranno recisi; così i Giudei, se non resteranno nell’incredulità, saranno di nuovo innestati sull’albero fruttifero (v. 23). Se Dio ha innestato i Gentili sul tronco dei Patriarchi d’Israele, col quale non avevano nessuna affinità, non essendo figli loro, molto più facilmente potrà innestarvi di nuovo anche i Giudei, che per natura sono figli dei Patriarchi (v. 24). |