Razionali?


di don Jean-Michel Gleize, FSSPX



Pubblicato sul mensile Courrier de Rome

n° 682 del gennaio 2025

Ripreso sul sito francese della Fraternità
 La Porte latine




Il cardinale Alfredo Ottaviani e il cardinale Antonio Bacci


1.
Nell’omelia pronunciata per il giubileo dei suoi sessant’anni di sacerdozio, vicino a Parigi, a Bourget, davanti a quasi 23.000 fedeli, Mons. Lefebvre ricordò «la preghiera di oblazione dell’Ostia che il sacerdote recita tutti giorni sul santo Altare».
Bella preghiera, di cui egli ha sottolineato tutta l’importanza, poiché essa indica la natura esatta del Santo Sacrificio della Messa e anche la natura esatta del sacerdozio, in ragione del quale chi è consacrato sacerdote è interamente votato alla celebrazione di questo Sacrificio.

«Accetta, Padre santo, Onnipotente Eterno Iddio, questa Ostia immacolata, che io, indegno servo Tuo, offro a Te Dio mio vivo e vero, per gli innumerevoli peccati, offese e negligenze mie, e per tutti i circostanti, come pure per tutti i fedeli cristiani vivi e defunti, affinché a me ed a loro torni di salvezza per la vita eterna. Amen».


2. La Messa è un sacrificio propiziatorio, cioè l’offerta del Corpo e del Sangue di Gesù Cristo, immolato per il riscatto delle anime dei fedeli vivi e morti, immolazione di una vittima offerta a Dio per soddisfare sia il peccato originale di tutto il genere umano, sia i peccati personali di tutti gli uomini.
Come ogni sacramento, la Messa è prima di tutto un segno: essa causa ciò che significa, nella misura esatta che essa significa.
Ora, questa profonda natura della Messa, che è il sacramento dell’unico Sacrificio Redentore compiuto dal Verbo Incarnato è molto più significata dalle preghiere dell’Offertorio e dalle parole della Consacrazione, ed è per questo che si è potuto dire che «nelle sue caratteristiche specifiche, l’Offertorio della Messa di San Pio V è stato sempre uno dei principali elementi che distinguono la Messa cattolica dalle cena protestante» (1).


3. Ribadiamo queste evidenze (2).
E’ proprio per il fatto che è esplicitamente chiamata l’offerta dell’immolazione di Cristo fatta alla Santa Trinità, che la Messa si presenta per quella che è, cioè sia per quello che significa, sia per ciò che essa causa, essendo riferite alle stesse oblazione e immolazione di Cristo. Le parole della doppia Consacrazione esprimono certo l’immolazione che Gesù Cristo fa di Sé stesso.
Questo si realizza in maniera misteriosa, che è la maniera propria del sacramento.
Le parole della forma significano ciò che esse causano e causano ciò che significano, cioè la reale presenza sacramentale del Corpo e del Sangue di Cristo.
L’immolazione è realizzata anch’essa secondo questo modo sacramentale, per il fatto che la Consacrazione è doppia e che il pane è transustanziato nel Corpo di Cristo separatamente dalla transustanziazione del vino nel Sangue di Cristo. Questo è, in realtà, nella misura in cui è significata.
Infine, Cristo immolato così sacramentalmente, con la separazione sacramentale del Suo Corpo e del Suo Sangue, è offerto alla Santa Trinità come vittima di propiziazione. Tuttavia, questa offerta non è espressa in questo momento dal rito, che è quello del pronunciamento della parole della Consacrazione.
Ecco perché è necessario che un’altra parte del rito sia dedicata ad esprimere ciò che non lo è al momento della Consacrazione, cioè l’offerta di Cristo immolato.
Ed è precisamente il ruolo dell’Offertorio quello di dare questa distinta espressione. Con questo il segno sacramentale acquista tutta la sua integrità: le parole della Consacrazione ottengono il loro valore significante e sacramentale in dipendenza dalle preghiere dell’Offertorio, come di tutto il resto del rito.

4. Tutto questo è di estrema importanza, e peraltro è stato chiaramente riconosciuto dai protestanti, come si può si può vedere riferendosi all’opera del pastore luterano Luther D. Reed, pubblicata nel 1959 e intitolata The Lutheran Liturgy.
Luther D. Reed ha insegnato liturgia per trentaquattro anni al seminario luterano di Filadelfia. Egli fu uno dei promotori del movimento che tenta di uniformizzare la liturgia luterana negli Stati Uniti (3). Egli scrive senza remore che «la preghiera centrale dell’Offertorio, Suscipe sancte Pater, è una perfetta esposizione della dottrina cattolica romana sul Sacrificio della Messa». E aggiunge: «Tutti i riformatori rigettano l’offertorio romano e la sua idea di una offerta per i peccati commessi dal sacerdote, invece di una offerta di riconoscenza fatta dal popolo. Lutero […] chiamava l’offertorio romano un abominio in cui si intende e si sente dappertutto l’oblazione».

5. Ecco perché la soppressione di queste preghiere dell’Offertorio, nel Novus Ordo di Papa Paolo VI, è carica di conseguenze. Senza queste preghiere dell’Offertorio, le parole della Consacrazione non sono più le stesse, poiché il loro profondo significato non è più sufficientemente esplicitato dal rito. Senza l’Offertorio dell’Ordo Missae di San Pio V, o con il nuovo offertorio del Novus Ordo Missae di Paolo VI, il rito della Messa non significa più ciò che E’ il Sacrificio della Croce offerto dalla Chiesa; il nuovo rito di Paolo VI appare quindi tanto più facilmente come un semplice memoriale, memoria di un sacrificio e non più il Sacrificio offerto attualmente.

6. Questa soppressione dell’Offertorio è una delle numerose ragioni evidenziate ed addotte dal Breve esame critico del Novus Ordo Missae, per concludere che il nuovo rito «si allontana in maniera impressionante, nell’insieme come nei particolari, dalla teologia cattolica della Santa Messa quale fu formulata nella Sessione XXII del Concilio di Trento, il quale, fissando definitivamente i canoni del rito, eresse una barriera invalicabile contro qualunque eresia che intaccasse l’integrità del Mistero» (4).

7. Il rifiuto per principio del Novus Ordo Missae di Paolo VI si impone logicamente in seguito a questa costatazione e vale quanto valgono le ragioni addotte dallo studio sottoposto al Papa dai due cardinali Ottaviani e Bacci.
Coloro che vorrebbero, in un modo o in un altro, rifiutare categoricamente alla Fraternità San Pio X il diritto o il legittimo dovere di un tale rifiuto, dovrebbero di conseguenza cominciare ad argomentare per stabilire altrettanto categoricamente che le ragioni addotte dal Breve esame critico non bastano a motivare la conclusione segnalata.
Coloro che hanno la pretesa di denunciare come irragionevole e indebito il rifiuto della Fraternità dovrebbero provare che il Novus Ordo Missae non si allontana «in maniera impressionante, nell’insieme come nei particolari, dalla teologia cattolica della Santa Messa» o almeno stabilire in maniera convincente che questo allontanamento non è provato in maniera decisiva dal Breve esame critico.
In altre parole, sarebbe necessario da parte loro confutare scientificamente il valore dimostrativo dello studio presentato al Papa Paolo VI e sul quale si basa la Fraternità per rifiutare la riforma liturgica del Novus Ordo Missae.

8. Ora, almeno a nostra conoscenza, questa confutazione non appare quasi mai negli scritti e nelle dichiarazioni di tutti coloro che contestano alla Fraternità San Pio X (e talvolta con una estrema severità) la fondatezza della sua attitudine. Tale confutazione viene motivata in maniera praticamente esclusiva col ricorso all’argomento dell’autorità, di cui si può ragionevolmente negare, almeno in gran parte, la pertinenza.
Certo, l’autorità suprema nella Chiesa, che beneficia delle promesse di Cristo e dell’assistenza dello Spirito Santo, non potrebbe imporre ai suoi fedeli con una promulgazione giuridica un rito intrinsecamente cattivo, in quanto si allontana in maniera impressionante dalla definizione cattolica della Messa, che comporta una grave diminuzione, o una perdita generalizzata della fede.
Ma vi è un principio di ordine generale, che deve verificarsi in mezzo a circostanze variabili.
Lo si può applicare nel contesto delle riforme intraprese nel corso del concilio Vaticano II e dopo? Si può ritenere (anche riconoscendo a questo Papa l’intera legittimità) che Paolo VI abbia realmente imposto il Novus Ordo Missae con una promulgazione giuridica valida e legittima?
In altre parole, una tale riforma liturgica così carente può costituire l’oggetto e la materia di un atto di autorità?
Devono porsi tante domande – e sono già state poste (5) – se si vogliono considerare onestamente le difficoltà sollevate dalla riforma liturgica di Paolo VI. Viene quindi ridimenzionato il ricorso all’argomento dell’autorità, che si basa essenzialmente sulla indefettibilità della Chiesa (6).

9. Quello che ci si aspetterebbe, da parte di coloro che intendono rifiutare alla Fraternità San Pio X la legittimità della sua posizione, è uno studio accurato del Breve esame critico, studio che riprendesse ad uno ad uno, per valutarli e negarli, tutti gli argomenti addotti in appoggio alla conclusione presentata al Papa Paolo VI, nella loro presentazione, dai cardinali Ottaviani e Bacci.
L’obbedienza ad una riforma liturgica deve essere regolata dalla fede retta e confortata dalla grazia, non essendo un assenso cieco, ma una adesione intellettuale della retta ragione, ragione che è retta quando è motivata.
Si tratta di verificare in primo luogo se la critica del Novus Ordo Missae è razionale o no. Il rifiuto o la negligenza di questa verifica rende irrazionale o quanto meno priva di credibilità ogni argomentazione volta a denunciare l’attitudine di Mons. Lefebvre e della Fraternità da lui fondata.



NOTE

1 - Arnaldo Xavier Da Silveira, La Nouvelle Messe de Paul VI, qu’en penser ? Editions de Chiré, Diffusion de la Pensée Française, 1975, chapitre III, § B, p. 64. (In italiano http://www.unavox.it/doc85.htm)

2 - Si veda sull’argomento il numero di settembre 2021 del Courrier de Rome, in particolare l’articolo intitolato «La Nouvelle Messe de Paul VI est-elle un sacrifice (II) ? » [La nuova Messa di Paolo VI è un sacrificio?]

3 – Arnaldo Xavier Da Silveira, La Nouvelle Messe de Paul VI, qu’en penser ? Editions de Chiré, Diffusion de la Pensée Française, 1975, capitolo V, soprattutto il § C, p. 141 e ss (In italiano http://www.unavox.it/doc85.htm).

4 – Cardinali Ottaviani et Bacci, «Presentazione al Papa Paolo VI» in Breve esame critico del Novus ordo missae, Iris, p. 6 (http://www.unavox.it/doc14.htm). Su questo punto si vedano anche gli articoli pubblicati nel numero di settembre 2021 del Courrier de Rome.

5 – Ne parla, tra gli altri, il libro di Louis Salleron, La Nouvelle Messe, pubblicato dalle Nouvelles Editions Latines nel 1970; e gli studi riuniti sotto il titolo La Nouvelle Messe, cinquante ans après. Chronique de l’après-Concile, [La nuova Messa, cinquant’anni dopo. Cronaca del dopo Concilio],  Dominique Martin Morin, 2020. Si veda anche il libro di Don Claude Barthe, La Messe de Vatican II. Dossier historique, Via Romana, 2018.

6 - Si veda l’articolo intitolato «L’Eglise est indéfectible» [La chiesa è indeffettibile] nel numero di settembre 2024 del Courrier de Rome.
 








Don Jean-Michel Gleize è professore di apologetica, di ecclesiologia e di dogma al Seminario San Pio X di Ecône. E’ il principale redattore del Courrier de Rome. Ha partecipato alle discussioni dottrinali fra Roma e la Fraternità San Pio X tra il 2009 e il 2011.




 
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