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I PAGANI RIMPIAZZERANNO ISRAELE? Parte seconda ![]() “SODOMA SARÀ
TRATTATA MEGLIO DI BETSAIDA!”
(Matteo XI, 16-24; Luca X, 12-16) “Scuotere
la polvere dai calzari” simile a “lavarsi le mani”
Gesù ha ordinato ai Suoi Discepoli e Apostoli di “scuotere la polvere dai loro calzari” (Mt., X, 15; Lc., X, 10), davanti al rifiuto ostinato del Vangelo da parte di alcune città della Galilea, in cui Egli aveva operato numerosissimi miracoli e insegnato la Sua Dottrina. Ora vediamo il parallelismo che esiste nella S. Scrittura tra: a) il gesto simbolico dello “scuotersi la polvere dai calzari” (Mt., X, 15; Lc., X, 10) o “dalle vesti” (Atti degli Apostoli, XVIII, 5) e b) quello altrettanto simbolico di “lavarsi le mani” della morte di Gesù (Mt., XXVII, 24), che fece Ponzio Pilato il Venerdì Santo, c) con quello di augurare che il “Sangue dell’innocente, condannato ingiustamente, ricada sul capo del colpevole” (Mt., XXVII, 25). Il Vangelo recita: «In qualunque città, in cui non accolgono il vostro messaggio, andate nella pubblica piazza e dite: “Abbiamo scosso contro di voi persino la polvere della vostra città che si era attaccata alle nostre calzature”» (Lc., X, 10). Insomma, gli Apostoli - scuotendosi la polvere dai calzari - devono dare un segno di disapprovazione della condotta riprovevole del Giudaismo incredulo; proprio come fece Pilato quando il Sinedrio volle far condannare Gesù, dicendo che egli si sarebbe lavato le mani del Sangue di Gesù che era innocente, e, facendosi inoltre portare un catino d’acqua per simboleggiare che lui non era responsabile della Sua uccisione, la quale era ascrivibile solo o almeno in massima parte al Sinedrio (Mt., XXVII, 24). Allorché, l’unico slogan che la folla sapeva gridare riguardo al Messia Gesù di Nazareth era: “Crucifige/Sia crocifisso!” (Mt., XXVII, 22); la risposta di Pilato fu inequivocabile: “Sono innocente del Sangue di questo giusto” (Mt., XXV, 24). Ossia “la responsabilità della Sua morte è tutta vostra” (F. SPADAFORA, Pilato, Rovigo, Istituto Padano di Arti Grafiche, 1973, p. 128). Il gesto di lavarsi le mani non va inteso come un non curarsi di ciò che stava per accadere. Infatti, in Giudea ci si lavava le mani, se ci s’imbatteva in un cadavere per significare di non essere colpevole della sua uccisione (cfr. Deut., XXI, 6). Il
Primo Viaggio Apostolico di San Paolo
ad Antiochia di Pisidia (anno 45/49) “Paolo Scuote la polvere dai piedi” Negli Atti degli Apostoli (XIII, 51) leggiamo che San Paolo, accompagnato da Barnaba, già nel suo primo viaggio missionario ad Antiochia di Pisidia, che durò circa quattro anni dal 45 al 49; tenne un discorso nella sinagoga della città, in cui spiegò e riassunse tutta la storia d’Israele da Abramo sino a Giovanni Battista (Atti, XIII, 16-25); poi, dimostrò che Gesù, in cui si erano compiute tutte le Profezie del Vecchio Testamento, nonostante fosse stato rigettato dai Capi dei Giudei, fosse il Messia d’Israele (XIII, 26-37); infine, provò come fosse necessario credere in Gesù per salvarsi eternamente (XIII, 38-41). Terminato questo discorso Paolo e Barnaba uscirono dalla sinagoga di Antiochia della Pisidia. Tuttavia, le parole dell’Apostolo delle Genti avevano impressionato fortemente il pubblico che lo aveva ascoltato; quindi, i Giudei e i Pagani devoti e anche i proseliti della porta che lo avevano seguìto nel suo discorso lo invitarono di nuovo a parlare il sabato prossimo (Atti, XIII, 42); cosicché la settimana successiva quasi tutta la città si era riversata nella sinagoga per ascoltare Paolo (XIII, 44). Però, i Capi dei Giudei “visto tutto quel concorso di folla, si riempirono di gelosia, e bestemmiando contraddicevano quel che diceva Paolo” (XIII, 45). Costoro, come spiega padre Marco Sales, siccome S. Paolo nel suo discorso aveva concesso ai Pagani di “poter entrare nel Regno messianico senza prima aver ricevuto la circoncisione ed essersi sottomessi alla Legge cerimoniale mosaica, si riempirono d’invidia e gelosia e arsero di sdegno contro di lui. Infatti, i Giudei, nella loro superbia, credevano di essere superiori a tutti gli altri popoli e di avere solo essi il diritto alla salvezza portata dal Messia; quindi, non potevano tollerare che i Gentili venissero loro eguagliati, e contraddicevano Paolo, non volendo ammettere un Messia che toglieva loro quei privilegi che credevano di avere solo loro; perciò, bestemmiavano Cristo, reputandolo un falso Messia” (M. SALES, Commento agli Atti degli Apostoli, Proceno – Viterbo, Effedieffe, II ed., 2016, p. 85, nota n. 45). L’Abate Giuseppe Ricciotti spiega che queste bestemmie “erano indirizzate certamente all’eretico Paolo; ma, indirettamente anche all’oggetto dell’eresia, a Gesù” (Paolo Apostolo, Roma, Coletti, 1946, p. 296). A questo punto «Paolo e Barnaba dissero con fermezza: “A voi Israeliti, in primo luogo, doveva essere predicata la parola di Dio, ma poiché voi la rigettate; ecco che ci rivolgiamo alle Genti”» (Atti, XIII, 46). I Pagani di Antiochia - proseliti del Giudaismo - nel sentire queste parole “si rallegravano e tutti quelli che erano preordinati alla vita eterna credettero. E la parola di Dio si diffondeva per tutto quel Paese” (Atti, XIII, 46). Fu allora che i Giudei misero su contro Paolo e Barnaba “le Matrone timorate e ragguardevoli” (Atti, XIII, 47); ossia, i Capi dei Giudei, per ostacolare l’apostolato di Paolo ricorsero a quelle pie donne Pagane, non ancora proseliti, ma solo timorate e, soprattutto, socialmente influenti per mettere su, i Prìncipi della città, contro gli Apostoli (1). In effetti, come ci spiega anche lo storico ebreo Giuseppe Flavio (Guerra Giudaica, II, 20, 2), molte donne pagane e socialmente ragguardevoli abbracciarono il Giudaismo dopo la morte di Gesù. Fu così che i Capi dei Giudei, tramite l’influenza sociale delle matrone Pagane, riuscirono a “suscitare un’aspra persecuzione contro Paolo e Barnaba e li scacciarono dal loro territorio” (Atti, XIII, 50). L’Abate Ricciotti commenta: «Questa volta, dunque, non agì tanto il solo denaro, com’era successo a Damasco (Atti, IX, 20-25), quanto soprattutto l’influenza sociale. Le donne pagane affiliate al Giudaismo della Diaspora furono sempre numerose, non solo nella classe inferiore dei “devoti” o “timorati”, ma anche in quella superiore dei “proseliti”, poiché non esisteva per esse il grave inconveniente della circoncisione che ritraeva, quasi sempre, gli uomini da questa classe superiore; a Damasco tutte le donne non/giudee, salvo alcune poche, erano affiliate al Giudaismo. In Antiochia di Pisidia si ricorse al credito sociale delle “devote” insigni, agendo per mezzo di esse sui loro mariti e parenti che avevano in mano l’amministrazione della città, affinché lo scandalo cessasse. Pretesti legali per raggiungere lo scopo erano facili da trovarsi, data la posizione di privilegio di cui godevano i Giudei nell’Impero. […]. Certo è che alla fine una “spontanea” sollevazione popolare, minuziosamente preparata nella sua “spontaneità” dagli istigatori interessati, espulse dal territorio di Antiochia i due Apostoli» (Paolo Apostolo, cit., p. 298) (2); le cosiddette “Rivoluzioni colorate” non hanno inventato nulla di nuovo: modalità e burattinai sono sempre i medesimi. Ammonio di Alessandria (3) scrive: “Si tratta di donne piamente vicine al Giudaismo, di alto rango sociale, ma non credenti e praticanti il Giudaismo in senso stretto. Ora, i Giudei, essendo increduli nel Messia e pieni di odio contro di Lui, ossia perfidi e imitatori del diavolo, principe del male, nemico di Dio e trasgressore, cercano di sbarrare ai fedeli di Antiochia la via della salvezza per mezzo delle donne influenti della città; proprio come il serpente aveva chiuso il paradiso terrestre ad Adamo per mezzo dell’influenza di sua moglie Eva” (Catena sugli Atti degli Apostoli, XIII, 50). Fu proprio allora che Paolo e Barnaba “scossa la polvere dai loro piedi contro di loro, andarono a Iconio (4)” (Atti, XIII, 51). L’Abate Ricciotti chiosa: «Quando, contusi e ammaccati (per le percosse, ndr), furono fuori della città, i due, “avendo scosso dai loro piedi la polvere contro di quelli”, come Gesù aveva insegnato a fare (Mt., X, 14; Lc., X, 10), “andarono a Iconio” e chiuso un campo d’azione ne aprirono immediatamente un altro altrove» (G. RICCIOTTI, Polo Apostolo, cit., p. 298). Far ricadere il sangue di un condannato su
di sé
L’atto di Pilato di lavarsi le mani, voleva significare esplicitamente ai Giudei: “Io sono innocente della morte di Gesù” (Mt., XXVII, 24). E loro capirono benissimo e risposero: “Che il Suo Sangue ricada su di noi e sui nostri figli” (XXVII, 25), cioè essi presero su di sé come popolo la responsabilità della condanna a morte di Gesù; ossia, noi Giudei, in quanto popolo eletto nel Vecchio Testamento, che rifiuta la divinità e messianicità di Gesù di Nazareth, siamo responsabili della Sua condanna a morte in quanto blasfemo, che da uomo si è fatto Dio. Allora, Pilato lasciò Gesù nelle loro mani, non volle condannarlo, ma permise che essi stessi Lo condannassero e Lo uccidessero (cfr. F. SPADAFORA, cit., p. 131). Gesù stesso, scagiona Pilato, dicendogli: “Chi mi ha consegnato a te è colpevole di un peccato gravissimo. Tu non avresti nessun potere su di me se non ti fosse stato dato dall’alto” (Jo., XIX, 11). Gli esegeti interpretano questo versetto nel senso del peccato del Sinedrio come più grave di quello di Pilato, per il fatto che i sinedriti avrebbero fatto ricorso a Tiberio dal quale Pilato aveva ricevuto il potere. Pilato, è solo un delegato dell’Imperatore e il Sinedrio che ha consegnato Gesù a Pilato lo costringe a condannarlo sotto minaccia di ricorrere all’Imperatore del quale Pilato è solo il soggetto o il delegato (cfr. M. DE TUYA, Biblia Comentada, Evangelios, vol. V, Madrid, 1964, p. 1289). Monsignor Francesco Spadafora commenta: “Praticamente, Gesù esprime comprensione e compassione per Pilato: tu che dici di aver il potere di liberarmi o di uccidermi, in realtà sei in balìa di questi lestofanti; essi ti costringono a fare quello che essi han deciso di ottenere, e proprio abusando della tua posizione di dipendente da Tiberio” (cit., p. 139) (5). Insomma, tornando al Vangelo di San Luca (X, 10) che stiamo commentando ora - sulla condanna delle città galilee di Cafarnao, Betsaida e Corazìn - gli Apostoli e i Discepoli (i Vescovi, i Preti e i Diaconi) devono dimostrare (con scarso senso del pan/ecumenismo) anche con gesti profetici e simbolici, posti in atto in pubblica piazza, che non vogliono avere più nulla a che fare con coloro che hanno rifiutato il Messia Gesù di Nazareth, dopo aver ascoltato la sua Dottrina divina e visto i miracoli strepitosi che la confermavano come proveniente dal Cielo. Con questo gesto simbolico i Discepoli avrebbero significato chiaramente che essi non sarebbero stati responsabili, poiché pubblicamente dissociatisi, dell’esclusione dei Galilei dal Regno dei Cieli, in quanto essi avevano fatto tutto il possibile per predicare loro il Vangelo, ma avendone ricevuto un ennesimo rifiuto e avendolo riprovato pubblicamente e chiarissimamente, col gesto di scuotersi la polvere dalle scarpe, non ne sarebbero stati correi e corresponsabili di fronte a Dio e agli uomini. Comunque, gli Apostoli devono mettersi l’animo in pace poiché, nonostante il rifiuto del Vangelo da parte della maggior parte degli uomini, il Regno di Dio sulla terra (la Chiesa militante) e nell’aldilà (il Regno dei Cieli o la Chiesa trionfante) verrà egualmente, per la glorificazione dei relativamente pochi che avranno creduto, sperato e amato soprannaturalmente e per la confusione e il castigo eterno dei relativamente molti che avranno rifiutato per incredulità, sfiducia e odio. Ecco la terribile sentenza che Gesù annunzia formalmente: “In verità vi dico che in quel giorno (il dì del Giudizio) la condizione di Sodoma, sarà meno dura di quella delle città della Galilea” (v. 12). Questa profezia si è avverata alla lettera, poiché di Sodoma e delle altre città a lei vicine: Gomorra, Asdmah, Seboìm e Belah (Gen., XVIII, 16-19) non ne è restata che la cenere e la viscosità funerea della regione del Mar Morto sulle cui rive si adagiava la Pentapoli. Gesù continua: “Guai a te! o Coroazìn; guai a te! o Betsaida: perché se in Tiro e in Sidone [città pagane e corrotte, ndr] fossero stati fatti i miracoli che sono stati fatti in voi, esse avrebbero già fatto penitenza. Perciò, Tiro e Sidone saranno trattate con minor severità di voi nel giorno del giudizio” (vv. 13-15). La conclusione pratica dell’invio dei 12 Apostoli e dei 72 Discepoli da parte di Gesù è, perciò, la seguente logica e lampante sentenza lapidaria: “Chi ascolta voi (Apostoli, Discepoli, ossia Vescovi, Sacerdoti e Diaconi) ascolta Me! Chi disprezza voi, disprezza Me. Chi disprezza Me, disprezza anche Colui che mi ha mandato” (v. 16). Infatti, il Padre e il Figlio e lo Spirito Santo hanno inviato il Verbo a incarnarsi, divenendo così Gesù Cristo; ora, chi rifiuta Gesù respinge anche il Padre e il Figlio e lo Spirito Santo. Inoltre, Gesù ha inviato i Suoi Apostoli e i Discepoli; perciò, chi respinge i Vescovi e i Sacerdoti in quanto tali, respinge anche Gesù Cristo che li ha mandati. Padre Marco Sales commenta: «Ecco perché alle città, che rifiutano la predicazione degli inviati di Gesù sarà inflitto sì terribile castigo. I Discepoli, come gli Apostoli, sono “Inviati” o “Missi” da Dio, nel nome del quale parlano» (M. SALES, Commento agli Atti degli Apostoli, Proceno – Viterbo, Effedieffe, II ed., 2016, p. 76, nota n. 16). Secondo viaggio apostolico di San Paolo a
Corinto
(anno 51/54) Paolo “Scuote Le Vesti”
e “fa ricadere il sangue degli increduli
sul loro stesso capo” Come abbiamo brevemente già intravisto sopra, San Paolo - circa 20 anni dopo la morte di Gesù - aveva detto agli Ebrei di Corinto: “Che il vostro sangue ricada sulla vostra testa. Io ne sono innocente e, d’ora innanzi, me ne andrò dai Gentili” (Atti, XVIII, 6).“Che il vostro sangue ricada sulla vostra testa. Io Ammonio di Alessandria nel suo commento agli Atti degli Apostoli spiega: «Chi si rifiuta di credere in Cristo, che è “la Via, la Verità e la Vita” (Giov., XIV, 6), è come se uccidesse se stesso, passando dalla vita soprannaturale alla morte e versando spiritualmente il proprio sangue attraverso una morte autoinflitta. Inoltre, quando uccidi spiritualmente te stesso con l’incredulità, ricevi la punizione per l’assassinio o il suicidio. Infatti, colui che uccide volontariamente e liberamente se stesso è punito da Dio come un assassino» (Catena sugli Atti degli Apostoli, XVIII, 6). Infatti, San Paolo, a Corinto, nella sua seconda missione durata circa tre anni dal 51 al 54, “andava a disputare in sinagoga ogni sabato per convertire i Giudei e i Greci a Cristo” (Atti, XVIIII, 4). Tuttavia, difronte all’ostinazione degli Ebrei di Corinto che non volevano accettare il Vangelo, l’Apostolo mette in pratica quel che Gesù aveva raccomandato ai Discepoli (Lc., X, 10) e, così, “scuote le sue vesti” (Atti, XVIII, 5). Con questo gesto simbolico di scuotere la polvere che si fosse attaccata al suo abito (come pure ai calzari), egli manifesta pubblicamente che non voleva avere più nulla in comune con essi lasciando totalmente su di loro la responsabilità del rifiuto del Vangelo che aveva predicato loro. Perciò, dopo aver scosso le vesti, San Paolo esclamò: “Il vostro sangue, ossia la vostra rovina temporale, spirituale e la vostra dannazione eterna, sarà imputabile esclusivamente a voi, poiché voi con ostinazione rifiutate la grazia di salvezza che vi è offerta. Insomma, io non ho nessuna colpa della vostra rovina; perché ho fatto quel che ho potuto per la vostra conversione” (M. SALES, Commento agli Atti degli Apostoli, Proceno – Viterbo, Effedieffe, II ed., 2016, p. 108-109, nota n. 3-6). Don Giuseppe Ricciotti spiega: “La scena non c’è nuova, perché già ne vedemmo la prima edizione ad Antiochia di Pisidia, con la sola differenza che là Paolo scosse la polvere dei piedi e qui invece scuote le vesti: ma il significato morale, e tutto il resto, è lo stesso” (Paolo Apostolo, Roma, Coletti, 1946, p. 372). Si noterà come il parallelismo con l’auto/maledizione dei Giudei, che, il Venerdì Santo, invocavano su di sé la responsabilità del Sangue e della condanna a morte del Redentore (Mt., XXVII, 25), sia fortissima; infatti, San Paolo qui (Atti, XVIII, 6) fa ricadere sul capo dei Giudei increduli di Corinto il loro medesimo sangue, ossia la responsabilità del castigo temporale e spirituale cui essi stessi andranno incontro. Le città galilee incredule saranno
castigate
come pure la Gerusalemme deicida Vi è un altro parallelismo tra la sorte toccata e predetta alle città della Galilea che avevano rifiutato il Vangelo (Lc., X, 10-16) e la sorte che sarebbe toccata a Gerusalemme in pena del Deicidio (Lc., XXI, 24). San Luca ci tramanda questa predizione di Gesù: “Gerusalemme sarà calpestata dai Pagani, finché i tempi dei Pagani non siano compiuti” (Lc., XXI, 24). Calpestare Gerusalemme, secondo il testo di Luca, significa calpestare il suolo del Tempio; ed è singolare come, fino ad ora, per più di millenovecento anni, la profezia appaia esattamente compiuta. San Luca, inoltre, spiega che quando Gesù fu vicino alla città di Gerusalemme, la guardò e pianse su di lei, dicendo: «O se conoscessi anche tu e proprio in questo giorno, quel che giova alla tua pace! Invece, ora queste sono verità rimaste nascoste ai tuoi occhi. Poiché verranno per te giorni, nei quali i tuoi nemici ti costruiranno attorno delle trincee, ti circonderanno e distruggeranno te e i tuoi figlioli che sono in te, e non lasceranno in te pietra su pietra, perché non hai riconosciuto il momento nel quale sei stata visitata» (Lc., XIX, 41-43).San Luca, inoltre, spiega che quando Gesù fu vicino alla città di Gerusalemme, la guardò e pianse su di lei, dicendo: «O se conoscessi anche tu e proprio in questo giorno, quel che giova alla tua pace! Invece, ora queste sono verità rimaste nascoste ai tuoi occhi. Poiché verranno per te giorni, nei quali i tuoi nemici ti costruiranno attorno delle trincee, ti circonderanno e distruggeranno te e i tuoi figlioli che sono in te, e non lasceranno in te pietra su pietra, perché non hai riconosciuto il momento nel quale sei stata visitata» (Lc., XIX, 41-43). Gesù, ai Farisei che lo invitavano a rimproverare i discepoli quando – la Domenica delle Palme – alla sua entrata in Gerusalemme fu osannato dalla folla al grido di “Benedetto Colui, che viene nel nome del Signore”, esclamò: “Vi dico che, se questi taceranno, grideranno le pietre” (Lc., XIX, 37-40). Le pietre che avrebbero gridato sono quelle del Tempio: lo testimoniano le lacrime di Gesù che, sùbito dopo, piange sulla sorte terribile che incombe su Gerusalemme e ritorna col pensiero alle “pietre”: “Abbatteranno te e i tuoi figli dentro di te e non lasceranno in te pietra su pietra, perché non hai conosciuto il tempo in cui sei stata visitata” (Lc., XIX, 44). Tutto ciò conferma mirabilmente la profezia di Gesù Cristo, secondo la quale “fino alla fine dei tempi solo i non/ebrei calpesteranno il suolo del Tempio”. Nel Vangelo di San Matteo si legge che Gesù disse: “Gerusalemme, Gerusalemme che uccidi i profeti e lapidi quelli che ti sono inviati, quante volte ho voluto raccogliere i tuoi figli, come una gallina raccoglie i pulcini sotto le ali, e voi non avete voluto. Ecco la vostra casa vi sarà lasciata deserta. Vi dico, infatti, che non mi vedrete più finché non direte: Benedetto Colui, che viene nel nome del Signore” (Mt., XXXVII, 9). C’è, dunque, un legame assai stretto tra il disconoscimento della messianicità di Gesù e quelle pietre del Tempio gerosolomitano distrutto, come pure tra la distruzione di Cafarnao e l’incredulità o la perfidia dei Galilei! NOTE 1 - Il “proselite della porta” o “della giustizia”, secondo il Giudaismo postbiblico, è un non/ebreo di etnia, ma che si avvicina alla “religiosità” ebraica. L’avvicinarsi dei non/ebrei, detti Goyim al Giudaismo non rende Giudei né di etnia né di religione, ma solo “vicini di casa”; inoltre vi sono diversi gradini di “vicinanza” verso il Giudaismo di un Pagano; essi sono: a) i “timorati” o i “pii”, è il gradino più basso e indica un Pagano che accetta solo i comandamenti noachidi - di non praticare l’idolatria, l’omicidio e le carni soffocate - per avere buone relazioni con i Giudei; b) poi vengono i “proseliti della porta”; ossia, coloro che hanno fatto qualche passo avanti, avendo accettato non solo la religiosità ebraica, ma anche alcuni dei suoi rituali, come ad esempio la circoncisione. 2 - Nihil sub sole novi, si noti il ripetersi della storia; oggi come ieri il potere del denaro e dell’influsso sociale è notevole e serve a piegare l’Autorità politica ai voleri occulti di coloro che grazie all’oro e alla carica della classe sociale cui appartengono riescono a muovere ogni governo. Inoltre, non può sfuggire la “spontaneità” delle “rivoluzioni” di ieri (a Corinto o Antiochia di Pisidia) e di oggi (si vedano le famose “primavere colorate, che dal 2010 hanno cambiato la faccia della terra) che “spontaneamente” fanno fare ai governanti quello che i banchieri vogliono che essi facciano; si veda anche il caso Trump (2024/25), che un giorno dice una cosa abbastanza giusta e il giorno dopo deve fare il contrario di quello che aveva detto, dovendo obbedire ai bankster, che lo muovono come fa un puparo con il pupo. 3 - Uno scrittore cristiano del V secolo dell’antica Grecia e Presbitero della chiesa alessandrina, che ha lasciato numerosi commenti alla Santa Scrittura di cui uno sugli Atti degli Apostoli, della cui vita tuttavia poco si sa. 4 - Iconio sarebbe l’odierna Konieh a 100 km circa a sud/est di Antiochia di Pisidia. 5 - Non si può non pensare a ciò che abbiamo visto recentemente con la Superpotenza di oggi, Gli Usa, ove il suo Presidente (Trump) - durante il suo primo mandato - è stato zittito, oscurato dai social in cui lecitamente scriveva ed espulso dalla banca in cui aveva depositato un notevole capitale, per essersi messo di traverso e non aver fatto ad nutum ciò che il potere occulto della Banca e della Loggia avrebbero voluto che egli facesse. Tuttavia, al secondo mandato presidenziale, egli - avendo capito la lezione - ha immediatamente invertito rotta e cambiato opinione da un giorno all’altro, obbedendo alla “voce del padrone” … questo non è “complottismo” è storia sacra e umana … |