Sinodalità:

Rapporto parziale dei gruppi di lavoro

Seconda parte



di Fraternità San Pio X


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Seconda parte


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Dicastero per i Testi Legislativi,
responsabile della Commissione sinodale canonica



I gruppi di lavoro o di studio sono stati istituiti da Papa Francesco in concomitanza col Sinodo sulla sinodalità. Essi sono incaricati di temi specifici che devono affrontare col «metodo sinodale» per promuovere il funzionamento «sinodale» di questo o di quel settore dell’attività della Chiesa.

Nel primo articolo abbiamo commentato il rapporto parziale dei dieci gruppi, resta adesso da considerare quello delle due Commissioni ad essi collegati: una Commissione canonica e un’altra sulla poligamia.


La Commissione canonica

Si tratta senza dubbio del rapporto più pericoloso di tutti.
Ecco cosa prevede o propone.

Rendere obbligatorii i Consigli pastorali (diocesani e parrocchiali).

Il Consiglio pastorale diocesano è un organo consultivo composto da membri laici e membri del clero; il suo compito è di «aiutare il vescovo a discernere i bisogni pastorali della sua diocesi e ad attuare le azioni pastorali appropriate».

Il Consiglio pastorale parrocchiale svolge un compito analogo nei confronti della parrocchia.

Una proposta successiva sottolinea «il dovere del parroco di chiedere al Consiglio delle indicazioni, degli orientamenti, delle osservazioni, dei controlli, dei suggerimenti, ecc., ma vi è anche il corrispondente diritto-dovere di ogni membro dell’organismo di esprimere il suo parere su quanto è portato alla sua attenzione e discernimento».

In altre parole, la democrazia obbligatoria.

La proposta seguente aggiunge che «per sottolineare l’importanza della consultazione nei principali processi decisionali, si ritiene opportuno che il termine tantum (unicamente) sia soppresso da tutte le norme che contengono questo termine».
Si tratta di una delle proposte del Sinodo.

Questo significa che questi Consigli non sono «unicamente» consultivi.

Noi abbiamo già commentato questa richiesta del documento finale del Sinodo: «La formula del Codice di Diritto Canonico che parla di voto “meramente consultivo” deve essere riesaminata. Sembra opportuna una revisione delle norme canoniche» per chiarire la distinzione e l’articolazione tra consultivo e deliberativo».

In altre parole, non vi sarà più alcun «consultivo», tutto sarà «deliberativo».
E questo deve essere fatto rapidamente: «Senza cambiamenti concreti a breve termine, la visione di una Chiesa sinodale non sarà credibile e questo alienerà i membri del Popolo di Dio che hanno tratto forza e speranza dal cammino sinodale»: avverte il n° 94.

Ci arriveremo presto.

La proposta seguente chiede di «prevedere una regola che garantisca che la maggioranza dei membri dei Consigli pastorali siano laici con una adeguata presenza di donne, di giovani e di persone che vivono in condizione di povertà o sperimentano altre forme di emarginazione».

La proposta che segue chiede di considerare «secondo modalità da determinare (per esempio come invitati) che coloro che vivono in situazioni personali e/o coniugali complesse possano anch’essi partecipare a questi organismi», mentre il vigente Diritto Canonico lo proibisce.

Le due proposte seguenti chiedono «di identificare le questioni specifiche sulle quali la richiesta del parere di questo Consiglio è resa obbligatoria, stabilendo l’obbligo di consultare l’organismo»; «che venga stabilito un numero minimo adeguato di riunioni annuali per garantire il suo efficiente funzionamento e la sua fecondità pastorale».

Infine, l’ultimo prescrive «la necessità di rafforzare ulteriormente questa “cultura della trasparenza e della responsabilità”», che implica «di “rendere conto” all’uno o all’altro Consiglio da parte dell’autorità ecclesiastica competente (vescovo, parroco) delle decisioni pastorali da prendere e da assumere; il che significa che il Consiglio può chiedere di rendere conto di certe scelte e l’autorità di riferire su di esse».

La vera domanda che si pone è: quale giovane oggi vorrebbe impegnarsi per diventare «un gestore responsabile» di una parrocchia insieme ai fedeli, invece di esserne il zelate Pastore?
E quale sacerdote potrebbe accettare di diventare vescovo solo per dover rendere conto ai Consigli delle sue decisioni, di cui è prima di tutto responsabile davanti a Dio e al Papa.

Si immagini per un istante il Santo Curato d’Ars obbligato a rispondere delle sue decisioni davanti ad un Consiglio parrocchiale…

Un’altra serie di proposte contiene degli elementi più o meno pericolosi e notoriamente infondati: è chiesto di rendere obbligatoria «una frequente coordinazione tra i vescovi, nonché l’adesione volontaria alle direttive approvate insieme, anche se non espressamente obbligatorie».

Questa richiesta viola un principio costituzionale della Chiesa: il vescovo è l’unico giudice nella sua diocesi, e non è tenuto ad attenersi a delle direttive se giudica diversamente. Vi è qui la volontà di allineare i vescovi alla loro Conferenza Episcopale.

Sorge allora «l’ipotesi di una istituzione funzionale a “due fasi”: un organo deliberante  episcopale superiore (composto solo da ecclesiastici) e un organo consultivo misto (Consigli pastorali diocesani o interdiocesani), istituzionalmente separati e che così creano un sistema un po’ simile al dualismo orientale del Sinodo episcopale e dell’Assemblea patriarcale».

Si tratterebbe di «una vera innovazione istituzionale nel contesto latino, ma comprovata  dal diritto orientale come compatibile con la struttura gerarchica della Chiesa, (…) e basata su un’ampia richiesta dei fedeli latini che desiderano garanzie giuridiche per una attività sinodale periodica mista anche a livello locale».

Infine, «in un tale sistema “a due fasi”, la presenza dei laici sarebbe, non solo obbligatoria, ma anche la loro proporzione e la loro partecipazione sarebbero molto più significative».
Il problema è che, in Oriente, il Sinodo episcopale e l’Assemblea patriarcale sono strettamente ecclesiastici, come ha ricordato al Sinodo un vescovo greco-cattolico.  L’esempio è quindi errato.

Infine, un’ultima proposta chiede che «la legislazione sul riconoscimento e la conferma romane delle disposizioni consiliari dovrebbe essere ragionevolmente flessibile, affinché tale intervento superiore possa realmente giovare alla sinodalità locale e non diventare un ostacolo».
In altre parole, bisognerebbe dare ai concilii regionali una maggiore autorità.

Tutte queste proposte non faranno altro che abbassare sempre più l’autorità del clero, a cominciare da quella dei vescovi e poi di quella dei sacerdoti.
La Chiesa diventerà ingovernabile e gli scismi saranno inevitabili.

Infine, la proposta di Consigli pastorali interdiocesani che includano anche i laici è un riconoscimento del Consiglio sinodale nazionale chiesto dal Cammino sinodale tedesco, che è criticato e finora vietato da Roma. Da cui si evidenzia che il Sinodo sulla sinodalità e il cammino sinodale sono di fatto allineati. I vescovi tedeschi possono andare avanti tranquillamente.


Commissione sulla poligamia

Questa Commissione, affidata al Simposio delle Conferenze Episcopali dell’Africa e del Madagascar (SECAM), ha il compito di elaborare una pastorale per i poligami, «sia per le persone già impegnate in unioni poligame prima della loro adesione alla fede, sia per le persone che dopo il loro Battesimo scelgono di entrare in tale situazione».

L’istituzione di una tale Commissione, che pone l’accento su «vicinanza, ascolto, sostegno, e cerca di offrire una guida, senza giudizio» per «fornire una analisi approfondita e sfumata della poligamia», è sintomatica.
Purtroppo, essa dimostra i limiti degli episcopati dell’Africa nera, inflessibili sulla questione dell’omosessualità, ma flessibili su quella della poligamia.




 

 
agosto 2025
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