Il Filioque è una questione marginale?


di Gaetano Masciullo







La Santissima Trinità



Durante il suo Pontificato, Papa Leone XIV ha recitato il Credo diverse volte nella versione precedente l’aggiunta del Filioque. L’ultima occasione è stata durante il suo primo viaggio apostolico-ecumenico in Turchia e in Libano, e più seriamente lo ha ribadito nella sua Lettera Apostolica In unitate Fidei.

La sua prospettiva è chiara: l’unità dei cristiani può essere realizzata solo tornando ai cosiddetti “fondamenti della fede”, partendo da ciò che unisce piuttosto che da ciò che divide, nella convinzione che l’elemento unificante sia sempre più forte delle differenze.

Purtroppo, questo approccio deriva dagli errori logici e teologici diffusi durante la crisi post-conciliare, in particolare dall’irenismo, che pone la pace interreligiosa come valore supremo, e dall’ecumenismo moderno, che tende a privilegiare il dialogo e il compromesso piuttosto che la vera conversione alla fede cattolica.

L’omissione del Filioque è davvero necessaria per riunire le Chiese separate? Oppure la vera unità nasce da una fede una, chiara, che non accetta compromessi, ma solo conversione e accettazione totale?

Cerchiamo di capire perché il Filioque non è secondario o trascurabile, ma necessario per la professione dell’unica vera fede cristiana.


Cosa credono i cristiani?

I cristiani credono che Dio è Uno e Trino. Affermare che Dio è Trinità significa affermare che Dio è Tre Persone, ma quando usiamo il termine “persona” in riferimento a Dio, non lo usiamo nello stesso modo quando ci riferiamo agli esseri umani. Infatti, in quest’ultimo caso le diverse persone sono istanze in cui la stessa natura – la natura umana – si concretizza in entità distinte attraverso una differente distribuzione della materia.

Nel caso delle Persone divine, tuttavia, esse sono del tutto identiche nella sostanza, negli attributi, nella volontà e nelle operazioni, e completamente prive di materia; il che ci aiuta a comprendere perché Dio è Uno pur essendo Trino.

Le Tre Persone non sono tre dei, come erroneamente intendono i musulmani, ma un Unico Dio.
«Io e il Padre, - dice Gesù nel Vangelo, siamo una cosa sola» (Gv. 10, 30), dicendo questo, Cristo afferma la divina unità nella sostanza.
Eppure, al tempo stesso, Gesù dice: «Io non sono solo, ma io e il Padre che mi ha mandato» (Gv. 8, 16).

Quando si parla della Trinità, si parla del mistero più profondo, ben oltre la nostra comprensione e quindi è molto facile cadere in errore oppure in vere e proprie eresie.
Non bisogna pensare alle Tre Persone come a tre distinte deità, come fanno i Mormoni, né come a tre parti di Dio o a tre modi di essere o di agire da parte di Dio, perché altrimenti si cadrebbe nell’eresia del modalismo.

Nella Trinità, il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo sono distinti solo per la loro “relazione di origine”: Il Padre genera il Figlio e da entrambi procede lo Spirito Santo. Questa relazione è chiamata processione.

Non è vero che il Padre diventa il Figlio nel momento dell’Incarnazione o diventa lo Spirito Santo quando dimora in un’anima (come pensava Sabellio); né che il Padre causi il Figlio, come una cosa ne produce un’altra, come un falegname produce una sedia (come pensava Ario, e oggi i Testimoni di Geova).

La teologia cattolica classica insegna che le Tre Persone sono precisamente queste tre relazioni: parliamo di tre relazioni sussistenti.
E anche se parliamo di “relazioni”, Dio non è composto di parti e quindi Dio rimane semplice, perché tutto quello che si può dire di Dio coincide con la Sua stessa essenza. Pertanto, Dio rimane assolutamente Uno in essenza e supremamente semplice, pur essendo Trinità.


Come pensare alle Persone della Trinità

Per comprendere bene le relazioni trinitarie, l’approccio privilegiato è contemplare la razionalità umana. Infatti, la Scrittura afferma che l’uomo è stato fatto “a immagine di Dio”, cioè a imitazione della Sua natura divina.
Questa divina immagine in noi è la parte razionale della nostra anima. Quindi, meditando sulla nostra natura razionale, possiamo comprendere come le Persone divine differiscano pur rimanendo identiche nell’essenza.
 
In noi, c’è davvero una impronta della Trinità. Proprio come studiando una impronta nel terreno si può ricostruire la struttura della zampa che l’ha lasciata; così, studiando la nostra razionalità possiamo cogliere con maggiore precisione il mistero trinitario.  

Ora, noi vediamo che nel nostro intelletto noi compiamo due operazioni principali: la prima è la concezione e la seconda è la volizione.
Quando cogliamo l’essenza di qualcosa si genera in noi un concetto, eppure il nostro intelletto non subisce alcuna alterazione; non cresce, né diminuisce: l’intelletto e il concetto sono una sola cosa. La sola differenza è la relazione di origine.

Allo stesso modo, in Dio vi è una processione chiamata generazione.
Tuttavia tra il generante e il generato non c’è somiglianza o relazione causale; essi sono una sola e medesima cosa. Eppure, come il concetto non è l’intelletto, così il generato non è il generante.
Per questo motivo, il generato è anche chiamato Verbum, “la Parola”, che significa appunto concetto.

Gli scismatici orientali applicano la tesi teologica del solipatrismo, secondo cui il Figlio e lo Spirito Santo procederebbero direttamente dall’unica Persona divina del Padre, formando così idealmente un triangolo.
La dottrina cattolica, invece, ritiene che le tre Persone procedano l’una dall’altra: il Figlio procede dal solo Padre, e lo Spirito Santo procede dal Padre e dal Figlio.

Gesù Cristo è chiamato Figlio perché procede dal Padre ed è della stessa natura divina. Ma a differenza delle idee umane – i “concetti” – che esistono solo nella nostra mente, il Figlio esiste e vive di per sé. Il Padre e il Figlio non sono due parti separate: in Dio non ci sono pezzi o aggiunte.
Le relazioni che li distinguono sono reali e, allo stesso tempo, costituiscono l’unica sostanza divina.

I nomi Padre e Figlio sono per noi i più comodi per riferirci al divino generante e generato, poiché, nel mondo sensibile, vediamo in padre e figlio la relazione generativa più stretta.
Sono anche i più appropriati quando il Figlio è unito ipostaticamente a un essere umano, Gesù di Nazareth.


La Trinità: Una Catena o un Triangolo?

L’intelletto umano compie anche una seconda operazione principale, ovvero la volizione (la chiamo principale perché il giudizio e il ragionamento sono altre due importanti operazioni intellettuali. Poiché derivano e sono legati alla concezione, non sono di nostro interesse immediato qui).
L’uomo desidera ciò che l’intelletto ha inizialmente riconosciuto come bene. Possiamo già vedere un’impronta del Filioque nella nostra natura razionale. Proprio come la volizione procede dall’intelletto e dalla concezione, così analogamente lo Spirito Santo procede dal Padre e dal Figlio.

Facciamo un esempio. Supponiamo che da qualche parte nell’universo esista qualcosa che non possiamo concepire perché non l’abbiamo mai incontrata. Nessuno desidererà questo qualcosa finché non la avrà conosciuta, cioè finché non ne avrà un concetto e non la conoscerà come bene. Solo dopo aver conosciuto un oggetto come bene, l’uomo può volerlo.
Ora, atto volitivo e intelletto sono una cosa sola in noi: quando l’uomo vuole il bene, il suo intelletto non cresce né diminuisce. Cambia solo la relazione di origine.

Nella Trinità, esiste dunque questa seconda relazione chiamata spirazione.
Respirare (in latino, spirare) è l’atto vitale per eccellenza, e tutto ciò che vive è tale perché desidera, vuole unirsi a qualcosa di buono.
Lo Spirito Santo è anche chiamato Amore di Dio, perché l’amore, nell’anima sensitiva, è l’emozione che muove verso l’oggetto buono.

Similmente al Figlio, lo Spirito Santo – a differenza dell’atto volitivo nell’uomo – è sussistente, cioè esiste realmente e per Sé, e quindi è Persona, pur essendo consustanziale al Padre e al Figlio.

Questo spiega perché è corretto concepire lo Spirito Santo come procedente dal Padre e dal Figlio.
La Trinità, tuttavia, come è noto, è concepita dai cattolici e dagli scismatici orientali in due modi diversi, a seconda di come concepiscono le relazioni tra il Figlio e lo Spirito Santo.
I primi concepiscono la Trinità come una Catena, i secondi come un Triangolo.

Gli scismatici orientali applicano la tesi teologica del solipatrismo, secondo cui il Figlio e lo Spirito Santo procederebbero direttamente dall’unica Persona divina del Padre, formando così idealmente un triangolo.
La dottrina cattolica, invece, ritiene che le tre Persone procedano l’una dall’altra: il Figlio procede dal solo Padre, e lo Spirito Santo procede dal Padre e dal Figlio.


Sottigliezze teologiche ?

San Tommaso d’Aquino risponde a quanti affermano che «l’insegnamento divino sulla conoscenza della Trinità è inutile», così come sarebbe «inutile insegnare all’uomo ciò che non può essere conosciuto dalla ragione umana» (cfr Summa Theologica I, q. 31, a. 1, ad 3).

Egli insegna che «la conoscenza delle Persone divine era necessaria per noi per due motivi. In primo luogo, affinché potessimo avere giudizi corretti sulla creazione. In secondo luogo, e più importante, affinché potessimo avere giudizi corretti sulla salvezza del genere umano, compiuta attraverso il Figlio incarnato e attraverso il dono dello Spirito Santo».

«Se non me ne vado, non verrà a voi il Consolatore; ma quando me ne sarò andato, ve lo manderò» (Gv. 16, 7).
Gesù stesso promette di inviare lo Spirito, rafforzando l’idea che anche lo Spirito procede dal Figlio.
E ancora, in un altro brano, il Cristo Risorto, apparendo ai Dodici, «alitò su di loro e disse: Ricevete lo Spirito Santo» (Gv 20, 22).
Questo atto di respirazione è letteralmente l’atto di spirazione da cui deriva la parola «Spirito».

Le conseguenze di come si concepisce la Trinità e le sue relazioni si estendono alla concezione dell’uomo, della società, dell’economia, della politica e della Chiesa.
Per quanto riguarda la natura umana, ne abbiamo già visto le ragioni. Se la Trinità sta alla creatura come lo stampo sta all’argilla, allora la relazione d’origine tra volizione, intelletto e concezione è analoga alla relazione d’origine tra lo Spirito Santo, il Padre e il Figlio.

Analogie simili si possono, in verità, riscontrare anche nel mondo naturale inferiore, cioè non razionale, sia in noi stessi (tutto ciò che riguarda la nostra natura inconscia e preconscia, cioè emozionale e vegetativa) sia nel mondo animale e vegetale, tanto che, sebbene sia vero che senza la Rivelazione non si può conoscere la Trinità, molti saggi antichi e pagani – come Pitagora, Platone, Aristotele – avevano già percepito nel numero “tre” qualcosa di ricorrente nelle relazioni matematiche presenti nel mondo naturale e gli avevano attribuito un significato divino.

Per quanto riguarda la salvezza umana, accettare o rifiutare il Filioque non è indifferente.
Se lo Spirito Santo e il Figlio procedono entrambi dal Padre come due relazioni di origine indipendenti, allora – analogamente – la santificazione potrebbe avvenire senza Cristo. Infatti, a livello ecclesiologico e soteriologico, il Figlio sta allo Spirito Santo come la Redenzione alla santificazione, o come la Chiesa ai Sacramenti.
Tuttavia, se lo Spirito Santo può procedere dal Padre – origine e fine della vita consacrata – senza la mediazione del Figlio, allora anche nella vita spirituale l’opera di santificazione potrebbe procedere ed essere efficace senza la Redenzione operata da Cristo e senza la mediazione della Chiesa.

Ciò, tuttavia, è esplicitamente negato e condannato dalla Scrittura, dove leggiamo: «Chiunque nega il Figlio, non ha neppure il Padre» (1 Gv 2,23).
Non si può raggiungere il Padre se si nega il Figlio, ma per raggiungere il Padre bisogna diventare Suoi figli e coeredi con il Figlio nel Figlio, cioè in Cristo: «E perché siete figli, Dio ha mandato nei nostri cuori lo Spirito del Suo Figlio, che grida: Abbà! Padre!»» (Gal 4,6).
Come potrebbe lo Spirito del Padre essere anche Spirito del Figlio se non procede dal Padre e dal Figlio?

Nel Vangelo secondo San Giovanni, la processione dello Spirito Santo dal Padre e dal Figlio è ancora più chiara – sia nell’originale greco che nella Vulgata latina – dove si dice: «Quando verrà il Consolatore che io vi manderò dal Padre, lo Spirito di verità che procede dal Padre, egli mi renderà testimonianza» (Gv 15, 26).
Qui il Signore ci dice due cose: lo Spirito Santo «procede» dal Padre (ἐκπορεύεται) e il Figlio «manda» (πέμψω) lo Spirito Santo.

Etimologicamente, queste due parole rappresentano due punti distinti: lo Spirito Santo ha la sua prima origine dal Padre (ἐκ-πορεύομαι = “uscire da”) ed è inviato dal Figlio, perché “passa” da Lui. Tuttavia, questi due punti diversi formano un’unica relazione sussistente in Dio, che si chiama Spirito Santo, per le ragioni sopra spiegate.

«Se non me ne vado, non verrà a voi il Consolatore; ma quando me ne sarò andato, ve lo manderò» (Gv. 16, 7).
Gesù stesso promette di inviare lo Spirito, rafforzando l’idea che anche lo Spirito procede dal Figlio.
E ancora, in un altro brano, il Cristo Risorto, apparendo ai Dodici, «alitò su di loro e disse: Ricevete lo Spirito Santo» (Gv 20, 22).
Questo atto di respirazione è letteralmente l’atto di spirazione da cui deriva la parola «Spirito».

Dunque, la relazione divina della spirazione procede passando attraverso il Figlio: è Gesù che “soffia” e dice agli Apostoli di ricevere lo Spirito Santo, cioè Colui che è stato “soffiato” da Cristo. Il verbo greco qui usato è estremamente raro nella Bibbia: ἐνεφύσησεν, letteralmente “soffiare dentro”, a ricordare l’atto creativo di Dio che “soffiò” in Adamo per dargli la vita (cfr Gen 2, 7).







dicembre  2025
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