LE RIORDINAZIONI:
il problema e la sua attualità

di Augustinus



L'articolo è stato pubblicato dal quindicinale

SISINONO - anno XXXX, n. 10, 31 maggio 2014
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Premessa

Nel precedente articolo sulla validità dei Sacramenti quanto alla loro essenza (materia/ forma/ intenzione) abbiamo visto che alcuni confondono i Riti accidentali con la sostanza dei Sacramenti e perciò reputano invalidi tutti i Sacramenti, che nel corso della storia recente della Chiesa (1968-2014) hanno subìto modifiche accidentali quanto al Rito oppure anche quanto al Sacramento, ma lasciandone intatta l’essenza e quindi la validità. Tali innovazioni non possono essere reputate invalidanti, anche se sono oggettivamente illecite (per esempio, l’olio non di olivo come materia della cresima e dell’estrema unzione; la sostituzione nella forma di consacrazione del vino del “per tutti” al posto di “per molti” e “mistero della fede” spostato dal cuore della forma consacratoria alla sua fine).

Nel presente articolo esamineremo l’errore di coloro che reputano invalidi tutti i Sacramenti (e non solo il matrimonio e la confessione) conferiti senza avere la giurisdizione da parte della gerarchia ecclesiastica. In particolare tratteremo del problema delle “riordinazioni”.

Un problema che riaffiora in epoche di particolare decadenza, ma definito infallibilmente dal Concilio di Trento

«“Riordinazione” – così riassume la questione mons. Piolanti  – è un termine moderno, con cui si indica l’uso invalso in alcuni periodi, e soltanto in alcuni ambienti, di ripetere l’Ordinazione ritenuta invalida perché compiuta da Ministri eretici, scismatici, deposti o scomunicati. […]. Nei secoli di particolare decadenza teologica e morale qua e là affiorarono l’errore e la pratica conseguente della Riordinazione già in uso presso i donatisti. […]. Le Ordinazioni fatte da papa Formoso (†896) furono ritenute invalide da papa Sergio III (†911) e in parte ripetute […]. Le ragioni accampate per le Riordinazioni è che lo Spirito Santo non può essere conferito da chi non lo ha e i Ministri eretici, scismatici, deposti o scomunicati non hanno la grazia santificante quindi non possono darla agli altri. Queste opinioni, già confutate da S. Agostino quanto al Donatismo, riapparvero nel Medioevo e si fusero con altre, che in momenti di particolare anarchia ritornarono e furono applicate poco ponderatamente. Si insistette soprattutto sulla subordinazione alla Chiesa (alla gerarchia legittimamente stabilita) e si formulò il principio che per l’Ordinazione fosse necessaria non soltanto la potestas Ordinis, ma anche la licentia Ordinis exequendi (v. Ugo di Amiens, Rolando Bandinelli, Rufino), con un parallelo troppo stretto tra il potere di assolvere i peccati e quello di ordinare; si argomentava che come il sacerdote sprovvisto di giurisdizione assolve invalidamente, così il vescovo deposto, scomunicato, scismatico o eretico, essendo separato dalla Chiesa, non possiede l’officium seu mandatum exequendi Ordinis e l’opera sua è invalida. Tali dottrine hanno trovato anche in tempi recenti fautori (cfr. C. Baisi, Il Ministro straordinario degli Ordini sacri, Roma, 1935). Questa concezione, che potrebbe dirsi marginale, anche se accolta in pratica da qualche Papa, non ne compromise l’infallibilità, poiché non volle portare un giudizio definitorio sul caso concreto; contro di essa si affermò invece la dottrina comune, già enunciata nel secolo III da papa Stefano, poi da S. Agostino, da S. Gregorio Magno, da Rabano Mauro, da S. Pier Damiani, finché trionfò con S. Raimondo da Peñafort, Alessandro di Hales e soprattutto con S. Tommaso d’Aquino (S. Th., III, qq. 60-90; Suppl., q. 38, a. 2 e tutta la sacramentaria tomista). Il Concilio di Trento ha definito infallibilmente (sess. VII, De Baptismo, can. 4; DB 860) la validità del Battesimo conferito dagli eretici, ma si è astenuto dal dichiarare valide le Ordinazioni conferite da Ministri eretici, non perché su questo punto potesse sussistere dubbio, ma per non porre la dottrina di alcuni autori cattolici (tra cui S. Cipriano e Umberto di Selva Candida, Ugo di Amiens, Alessandro Bandinelli poi papa Alessandro III e Rufino) in opposizione con una verità oramai di fede»
 (A. Piolanti, Dizionario di teologia dommatica, Roma, Studium, V ed., 1957, pp. 354-356, voce “Riordinazioni”).

A sua volta padre E. Amann ricorda  nel Dictionnaire de Théologie Catholique (diretto da p. Vacant) d’ora in poi DTC (Parigi, 1903-1951, vol. XIII, coll. 2385-2431) riprende le conclusioni del libro di L. Saltet, Les Réordinations. Etude sur le Sacrement de l’Ordre (Parigi, 1907), le riassume, le commenta e vi apporta delle sue considerazioni teologiche.
L. Saltet e E. Amann ricordano che il Concilio di Trento ha definito infallibilmente che la validità di un Sacramento (e non solo del Battesimo) non dipende dalla dignità interiore del ministro e neppure dalla rettitudine della sua fede (sess. XXIII, can. 12, DB 855), ma dal fatto che il ministro pone gli atti essenziali del Sacramento (materia e forma) con l’intenzione (almeno implicita e generica) di fare ciò che fa la Chiesa (can. 11, DB 854). A partire da questa definizione dogmatica e infallibile si può concludere quanto all’Ordine che un vescovo, anche se eretico, scismatico, moralmente indegno, consacra e ordina validamente a condizione che ponga la materia e la forma del sacramento più l’intenzione di fare ciò che fa la Chiesa, anche se non ci crede o reputa che la Chiesa erri. Secondo p. Amann tale dottrina è di fede definita o perlomeno prossima alla fede (DTC, col. 2385). “Perciò la Chiesa dopo il Concilio di Trento proibisce assolutamente ogni Riordinazione” (DTC, col. 2386) a condizione che il Ministro eretico abbia conferito il Sacramento salva ejus substantia.

Tra i due studi, cui ci rifaremo, vi è una sola differenza accidentale: mentre per Piolanti il Concilio di Trento ha implicitamente definite valide le Ordinazioni fatte dai ministri eretici purché essi abbiano conferito il Sacramento salva ejus substantia (materia, forma, intenzione), per Saltet e Amman lo ha definito esplicitamente.


La “dottrina africana” e la “dottrina romana”

L’errore dei “Ri-ordinanti” e “Ri-battezzanti” nasce con il Montanismo, una deviazione inizialmente ascetica rigorista sorta nel 170 circa in Turchia occidentale (allora Frigia) ad opera del presbitero Montano, che viene condannato da papa Zefirino (†217). Tertulliano nel 213 cade nel Montanismo e nell’errore di “Ri-ordinare” e “Ri-battezzare” è seguito da S. Cipriano, Vescovo di Cartagine (†258). Da questi due autori cartaginesi nasce in Africa l’eresia donatista che prende il nome da Donato, Vescovo titolare di Cartagine dal 317 al 347, morto nel 355, il quale sosteneva, tra l’altro, che il Battesimo e i Sacramenti conferiti da Ministri eretici sono invalidi, poiché nessuno dà quel che non ha.

S. Cipriano sostenne l’invalidità del Battesimo conferito dagli eretici (e solo conseguentemente quella dell’Ordinazione) contro il papa  S. Stefano. S. Cipriano asseriva che solo la Chiesa di Cristo può santificare le anime e quindi i ministri, che hanno abbandonato la Chiesa o ne sono stati espulsi con la scomunica, non possono santificare; mentre papa Stefano asseriva che il sacramento ha valore di per sé e quindi quando il ministro, anche se eretico, pone la materia, la forma ed ha l’intenzione di fare ciò che fa la Chiesa, anche se non ci crede o se reputa che la Chiesa si sbagli, amministra il Sacramento validamente (DTC, col. 2387).

Il grande Dottore che ha confutato in maniera magistrale e apodittica l’errore di S. Cipriano e dei donatisti è stato S. Agostino d’Ippona (†430) insegnando che i sacramenti ricevono la loro efficacia e validità non dal ministro secondario, ma da Cristo, e quindi sono santi e validi per sé (“ex opere operato”), non per i meriti degli uomini che li conferiscono (“ex opere operantis”) (cfr. A. Piolanti, Dizionario di teologia dommatica, Roma, Studium, V ed., 1957, pp. 128-130, voce “Donatismo”).
S. Agostino e successivamente la scolastica con S. Tommaso d’ Aquino hanno ripreso e approfondito la dottrina già sostenuta da papa Stefano e il Concilio di Trento l’ha definita dogmaticamente e l’ha resa obbligatoria. Ma prima di arrivare alla definizione dogmatica, obbligante e infallibile le due dottrine (quella detta “africana” di S. Cipriano da Cartagine e quella detta “romana” di papa S. Stefano) si sono affrontate teologicamente anche con veemenza.

Chiesa di rito latino e Chiesa di rito greco

La teologia “romana” si impose abbastanza presto in occidente. Il Concilio di Arles (314) fece sua la teologia “romana” e i vescovi africani pian piano abbandonarono la pratica di riconferire i Sacramenti (DTC, col. 2389). L’Oriente cristiano, invece, continuò a sostenere assolutamente e a praticare strettamente la dottrina di S. Cipriano di Cartagine ossia la teologia “africana” sull’invalidità e la reiterazione dei sacramenti conferiti fuori della Chiesa.
Tuttavia quando scoppiano le grandi controversie trinitarie e cristologiche (IV-V secolo), la situazione nella Chiesa di rito greco si fa abbastanza pesante e i Vescovi greci alle prese con nuove separazioni dalla Chiesa cattolica cominciano ad attenuare lo stretto rigore con cui reiteravano i sacramenti conferiti da eretici o scismatici, prima quanto al solo Battesimo e poi anche quanto all’Ordine (DTC, col. 2392).
Verso la fine del V secolo i Nestoriani formarono delle vere e proprie “chiese” dissidenti, eretiche e scismatiche, basate sull’errore monofisita (in Cristo vi è una sola natura, quella divina e non quella umana) e, privi di preparazione teologica ed emotivamente esacerbati, ricorsero “visceralmente” a soluzioni estreme, ritornando alla teologia “africana” col negare ogni validità ai sacramenti conferiti dai ministri che non appartenevano alla loro “chiesa” o meglio setta (DTC, col. 2395).
La Chiesa cattolica di rito greco nel secolo VII, di fronte a tali eccessi dei settari monofisiti, iniziò ad abbandonare la teoria e la pratica delle riordinazioni, tuttavia non senza un qualche ritorno alla teologia “africana” (DTC, col. 2396).

Nella Chiesa di rito latino (Felice di Aptonga e Optato di Milevi), invece, si rafforza viepiù la teologia “romana” ostile alle riordinazioni, che oramai erano divenute una specie di ossessione (“ri-ordinazionismo”). Tuttavia persino nella Curia romana non mancarono esitazioni di molti teologi e canonisti.
Papa Innocenzo I (402-417) in una lettera (cfr. Jaffé, Regesta Pontif. Rom., n. 303, PL, t. XX, coll. 526-537) usa termini forti sull’impossibilità di dare ciò che non si ha (“is qui honorem amisit, honorem dare non potest”) applicata ad un ministro eretico, che, essendo fuori della Chiesa, non può dare la grazia agli altri quando lui stesso ne è privo.
Papa S. Leone Magno (440-461) riprende la teoria di Innocenzo I, mentre papa Atanasio II (496-498) è per la validità dei sacramenti conferiti da ministri eretici. Con papa Pelagio I (556-561), però, si ritorna alla tesi di S. Cipriano.
Le prese di posizione di questi Papi, scrive p. Amann, sono dovute al fatto che durante il loro Pontificato si verificarono episodi poco edificanti di ministri sacri passati all’eresia e che avevano consacrato altri ministri. Quindi nelle loro epistole i Papi suddetti usarono espressioni forti per esprimere il loro pensiero personale come dottori privati e non come Pastori supremi della Chiesa universale (DTC, col. 2399).
Per avere un parere teologico obiettivo e spassionato occorre attendere papa S. Gregorio Magno (590-604), il quale scrisse a Giovanni di Ravenna: “come il battezzato non deve essere ribattezzato, così l’ordinato o il consacrato non deve essere riordinato o riconsacrato” (Ep. 1, II, n. 46, PL, t. 77, col. 585). Come si vede, è la pura dottrina di S. Agostino (†430), che trionferà con S. Tommaso d’Aquino (†1274) e sarà definita infallibilmente e irreformabilmente dal Concilio di Trento (1545-1563).

Tra il VII e il IX secolo nella Chiesa latina vi fu una certa decadenza dei ministri, che fece regredire anche il livello teologico e canonico dell’epoca. La dottrina agostiniana viene abbandonata e si assiste alla pratica generalizzata delle riordinazioni senza “se” e senza “ma”. Poi vi fu il triste caso di papa Costantino II (767-769), eletto irregolarmente ma validamente (DTC, col. 2401), che fu dichiarato usurpatore, deposto e rimpiazzato da papa Stefano III.
Ora papa Costantino aveva consacrato 8 vescovi, ordinato 8 preti e 4 diaconi e, siccome queste consacrazioni e ordinazioni erano state fatte fuori dei tempi liturgici in cui si suole conferire l’Ordine, ci si appigliò a questa circostanza del tutto contingente per dichiarare invalide le sue ordinazioni durante un Sinodo romano non dogmatico, presieduto da papa Stefano III. La teologia cattolica odierna, invece, le considera assolutamente valide (DTC, col. 2402).

Nel secolo IX vi fu un fatto ancora più increscioso: quello di papa Formoso (891-896), che dopo la sua morte fu riesumato e il suo cadavere venne giudicato nell’897 dal Sinodo romano detto “cadaverico” presieduto da papa Stefano VI e poi confermato da papa Sergio III. Inoltre il Sinodo si pronunciò sull’invalidità di tutti gli atti e le Ordinazioni di papa  Formoso. In quest’epoca la teologia conobbe non solo una grave decadenza, ma una vera e propria “eclissi” (DTC, col. 2410). Questo stato di decadenza durò per tutto il secolo X. Vi furono dei buoni Pastori, che, provvisti di zelo forse eccessivo, mancavano però di buona formazione teologica e di ponderazione e che quindi nella reazione alla decadenza oltrepassarono i limiti più per eccesso di zelo, imprudenza e ignoranza che per malizia.

Contraddizioni nella stessa Curia romana

Nell’XI secolo vi fu la disputa sulla simonia sotto il Pontificato di S. Leone IX, che non riuscì a farsi un’opinione sulla validità degli Ordini dati a o da un simoniaco. Nello stesso periodo, però, S. Pier Damiani sviluppò la dottrina, poi divenuta comune, della validità di queste Ordinazioni. Ma Leone IX, che al Sinodo di Vercelli (1050) aveva affermato la validità di queste Ordinazioni, tornato a Roma, sotto l’influsso del cardinal Humbert, reiterò le Consacrazioni date da o a simoniaci. Quindi Amann e Saltet parlano di “due teologie contraddittorie nel seno della medesima Curia romana” (DTC, col. 2414): quella di S. Pier Damiani (Liber gratissimus, PL, t. 145, coll. 96-156) e quella del cardinal Humbert (Adversus simoniacos, PL, t. 143, coll. 1005-1212), alle quali il papa S. Leone IX si rifaceva di volta in volta senza decidersi per una sola.
L’ultima parola sulla questione la ebbe S. Pier Damiani, che nel Sinodo romano del 1160, presieduto da papa Nicola II, pur dimostrandosi giustamente severo nei confronti dei simoniaci, non considerò tuttavia invalide le loro Ordinazioni (DTC, col. 2415).

Con il Pontificato di Urbano II (1088-1099) la Curia romana cercò di arrivare ad una certa unità  di teoria e pratica sacramentaria quanto alle Riordinazioni. Urbano II rispondendo a Anselmo da Milano cita i Padri che affermano la validità dei sacramenti conferiti da ministri fuori la Chiesa (cfr. Jaffé, cit., n. 5387, PL, t. 151, col. 298). Dall’altra parte sussisteva, però, ancora l’influenza della teologia “africana” di S. Cipriano da Cartagine, seguìto da Bernoldo di Costanza, che affermava la necessità di ribattezzare o riordinare coloro che lo erano stati extra Ecclesiam (Epist., 109, PL., t. 44, col. 1139). Però nella pratica anche Urbano II contraddisse la sua dottrina perché Popone di Trevi, che era stato ordinato  diacono simoniacamente, quando venne eletto arcivescovo di Metz  fu riordinato prima diacono e poi consacrato vescovo dallo stesso Urbano II (DTC, col. 2419) e lo stesso avvenne con Daiberto, ordinato diacono simoniacamente da Vezilone di Magonza, quando venne nominato vescovo di Pisa (ivi).

La scuola di Bologna e la scuola di Parigi

Nel XII secolo, nell’Università di Bologna, si scontrano due scuole. La prima riteneva invalidi i Sacramenti conferiti extra Ecclesiam e ad essa apparteneva il celebre canonista Rolando Bandinelli, il futuro papa Alessandro III (†1181), autore del Liber sententiarum e della Summa Decreti (cfr. L. Saltet, cit., pp. 298-307).
Un suo discepolo, Rufino da Bologna, scrisse la Summa Decretorum tra il 1157 e il 1159, in cui riprese e sistematizzò le tesi di Rolando Bandinelli. Il papa Lucio III (1181-1185) si atterrà a queste teorie praticando le Riordinazioni, come narra Uguccio da Pisa nella sua Summa Decreti (DTC, col. 2423).

La seconda scuola, invece, riteneva validi i Sacramenti conferiti da ministri eretici. Ognibene, anche lui professore di diritto a Bologna e Vescovo di Verona nel 1157, si distanzia dal suo maestro Rolando Bandinelli, seguìto da Gandolfo di Bologna, ed Uguccio da Pisa nella sua Summa Decreti confuta la tesi della prima scuola e sostiene la validità degli Ordini conferiti extra Ecclesiam. La dottrina di Uguccio si impone poco a poco nell’Università di Bologna finché con S. Raimondo da Peñafort si arriva alla sconfitta della tesi africana.

A Parigi si assiste alla stessa evoluzione subìta dalla scuola di Bologna. Si parte con alcuni teologi “invalidisti” e si giunge all’affermazione della validità dei sacramenti extra Ecclesiam.
Pietro Lombardo nelle sue Sentenze (lib. IV, dist. 13 e 25) si pone la questione dell’invalidità dei Sacramenti conferiti dagli eretici, opera le dovute distinzioni, ma non osa concludere con certezza e lascia l’arduo compito ai suoi successori (DTC, col. 2427). Tra la fine del XII e il XIII secolo i canonisti insegnano l’invalidità. Stefano, Vescovo di Tournai, nella sua Summa Decreti segue tale tesi. Invece Prevostino da Cremona si rifà alla dottrina agostiniana (cfr. L. Saltet, cit., p. 351) e insegnano la validità anche Roberto di Flamesbury e Roberto di Courçon (DTC, col. 2429).

Il trionfo della dottrina “romana”/il Vaticano I

Ci si avvia verso il trionfo della dottrina agostiniana e “romana” con Guglielmo d’Auxerre (†1231) nella sua Summa aurea in IV libros Sententiarum (folio 284 v) e poi con Rolando da Cremona, il primo domenicano che ottenne la licenza d’insegnare alla Sorbona. Il trionfo definitivo è raggiunto con S. Tommaso che dimostra la validità dei Sacramenti conferiti dagli eretici salva eorum substantia (In IVum Sent., dist. 25; S. Th., III, q. 82, aa. 7-8; Suppl., q. 38, a. 2).
Dopo di che questa diventa “dottrina comune” dei teologi finché il Concilio di Trento definisce infallibilmente la dottrina agostiniana e rigetta quella di S. Cipriano di Cartagine.
Durante il Vaticano I gli anti-infallibilisti cercheranno di confutare l’infallibilità del Papa appellandosi alle controversie sui sacramenti conferiti extra Ecclesiam nelle quali alcuni Papi in vari Sinodi avevano detto il contrario di quanto poi era stato definito dal Tridentino oppure si erano contraddetti insegnando una dottrina e praticando una tesi opposta (DTC, col. 2431). Ma «questa concezione [che riteneva invalide le Ordinazioni dei ministri eretici], anche se accolta in pratica da qualche Papa, non ne compromise l’infallibilità, poiché non volle portare un giudizio definitorio sul caso concreto» (A. Piolanti, Dizionario di teologia dommatica, Roma, Studium, V ed., 1957, p. 355, voce “Riordinazioni”).
I Papi che seguirono o applicarono la tesi erronea delle “Riordinazioni”, infatti, o avevano espresso un’opinione personale come dottori privati oppure l’ avevano insegnata magisterialmente in alcuni Sinodi, ma non l’avevano definita obbligatoriamente, e quindi infallibilmente, come Pastori della Chiesa universale.

La lezione per i nostri tempi

Quale lezione possiamo tirare da tutto ciò per i giorni nostri?

1°) Durante i periodi di decadenza morale e dottrinale negli uomini di Chiesa e di conseguente anarchia anche tra i fedeli nasce facilmente la tentazione delle Riordinazioni;

2°) nel basso medioevo anche alcuni autori seri arrivarono a sostenere che le Ordinazioni sono valide solo se conferite da Ministri aventi la giurisdizione, non distinguendo la validità dalla liceità e il potere d’Ordine dal potere di Giurisdizione, equiparando così alla confessione gli altri sacramenti;

3°) l’errore dei Ri-ordinanti fu accolto, prima di essere condannato formalmente dal Magistero del Concilio di Trento, anche da Santi Vescovi (S. Cipriano), da Santi Papi (S. Leone Magno) e teologi o canonisti di fama; abbiamo seguìto sopra l’iter tormentato attraverso il quale la vera dottrina, già affermata fin dall’inizio dal papa S. Stefano e difesa da S. Agostino, è giunta al trionfo definitivo.
È evidente, dunque, che durante i periodi di oscurità e di crisi facilmente ci si smarrisce e quindi nel periodo che stiamo vivendo (1959-2014) non bisogna scandalizzarsi se regna la divergenza e la confusione su alcuni punti persino nell’ambiente cattolico che intende restare fedele alla Tradizione;

4°) il fatto che alcuni Papi storicamente e oggettivamente si son pronunciati tramite il magistero, senza voler definire e obbligare in vari Sinodi (di Roma nel 770, 897 e 1160; di Vercelli nel 1050) a favore della tesi erronea già negata da S. Stefano e confutata da S. Agostino d’Ippona (†430), ma non ancora definita infallibilmente dal Concilio di Trento (1545-1563) comprova che il Papa può essere infallibile, sia nel magistero straordinario che ordinario, solo se definisce e obbliga a credere, ma non è sempre infallibile.

Con i Pontificati recenti a partire da Giovanni XXIII e specialmente con l’attuale pontificato di Francesco I è comprensibile una sorta di dubbio spontaneo, istintivo e irriflesso sulla validità del Papa attuale (sedevacantismo viscerale e non teologico) nel semplice fedele, che si limita a porsi la domanda: “come può essere Papa costui?”.
Attenzione, però, a non farne un atto di fede e a trarne tutte le conclusioni teologiche, canoniche e liturgiche. Professare, infatti, dottrinalmente e giuridicamente che la vacanza della S. Sede a partire da Giovanni XXIII, la nullità delle Ordinazioni e Consacrazioni a partire dal 1968, la invalidità della Messa e di tutti gli altri sacramenti, significa annientare la Chiesa, privandola di Sacerdozio, Episcopato e Sommo Pontificato, di Sacramenti e Sacrificio, che sono gli elementi essenziali della Religione fondata da Nostro Signore Gesù Cristo.


luglio 2014

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