Risposta ai lettori sulla validità dei “nuovi sacramenti” di Paolo VI

di Augustinus



L'articolo è stato pubblicato dal quindicinale
SISINONO - anno XXXX, n. 11, 15 giugno 2014
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Vari lettori ci hanno posto numerosi quesiti sugli articoli pubblicati da SISI NONO riguardo alla validità dei “nuovi sacramenti” postconciliari. Riassumiamo brevemente la questione e rispondiamo il più concisamente e chiaramente possibile onde eliminare ogni equivoco.
Ricordiamo, prima di entrare in argomento, che “per fare un Sacramento si richiedono la materia, la forma e il ministro, il quale abbia l’intenzione di fare ciò che fa la Chiesa” (Catechismo Maggiore di San Pio X, n. 522). Qui sta l’essenza o sostanza di ogni Sacramento, la quale non va confusa con i riti accidentali che la circondano.

L’Ordine Sacro

Materia e forma

«Il rito dell’ordinazione presbiteriale da principio era molto semplice: imposizione delle mani e invocazione dello Spirito Santo; poi si andò gradualmente arricchendo di nuovi elementi sotto l’influsso anglicano» (A. Piolanti, I Sacramenti, Roma Coletti, 1959, p. 270). Perciò «Il rito essenziale dell’ordinazione sacramentale è la sola imposizione delle mani (materia) con l’invocazione dello Spirito Santo (forma) che specifica l’applicazione della materia. La Costituzione Sacramentum Ordinis di Pio XII precisa che l’unica materia è l’imposizione delle mani e l’unica forma sono le parole che significano il fine del sacramento, ossia il potere dell’ordine e la grazia dello Spirito Santo» (A. Piolanti, I Sacramenti, Roma Coletti, 1959, p. 684).
Ne consegue che «Il rito essenziale del conferimento degli ordini sacri consiste nell’imposizione delle mani unita a una preghiera (At. VI, 5; Ivi XIII, 13: II Tim. I, 6). La consegna degli strumenti e tutti gli altri riti sono delle venerande cerimonie complementari introdotte lentamente dagli usi delle varie Chiese e finalmente incorporate nel Pontificale Romano» (Dizionario di teologia dommatica, Roma, Studium, IV ed. 1957, p. 294, voce “Ordine”, a cura di A. Piolanti).
Ciò è attestato dalla Sacra Scrittura e dalla Tradizione Apostolica, che sono le fonti della Rivelazione, nonché dal Magistero pontificio, che ne è l’interprete autorevole.
San Paolo, quanto alla materia, parla solo dell’imposizione delle mani. Gli Atti degli Apostoli (VI, 6; XIII, 3) non precisano le parole della forma del sacramento. La forma dell’Ordine Sacro (diaconato, sacerdozio ed episcopato) in uso nella liturgia latina è, però, riportata nella Traditio Apostolica di Sant’Ippolito (inizio III secolo), ritenuta il più antico Rituale Romano.
Per i Vescovi: «Dà, o Padre, a questo tuo servo che hai eletto all’episcopato, di pascere il tuo santo gregge e di avere la potestà del primato del sacerdozio nello Spirito».
Per i sacerdoti: «O Dio, rivolgi lo sguardo sopra questo giusto e donagli lo Spirito di grazia e di consiglio del sacerdozio».

La liturgia greca per i Vescovi usa una formula sostanzialmente equivalente: «Signore, fortifica con la venuta del tuo Santo Spirito questo eletto» e per i sacerdoti: «O Signore, guarda questo eletto che ti è piaciuto promuovere, fa che possa ricevere anche questa grande grazia del tuo Santo Spirito».

La forma romana è stata precisata dogmaticamente da Pio XII nella Costituzione Apostolica Sacramentum Ordinis (30 novembre 1947): «Da quaesumus in hunc famulum tuum presbyterii dignitatem / Dà, o Signore, a questo tuo servo la dignità del sacerdozio», per l’ordinazione sacerdotale, e per la consacrazione episcopale: «Comple in sacerdotibus tuis ministerii tui summam /  Compi nei tuoi sacerdoti la perfezione del tuo ministero».

Il cardinale Pietro Palazzini ne conclude: «La S. Scrittura (II Tim. I, 6) parla solo di imposizioni delle mani per la materia della consacrazione episcopale. Per quanto riguarda la forma la S. Scrittura enumera solo l’invocazione dello Spirito Santo: “Orantes, imponentesque eis manus” (At. XIII). Infine, secondo la Costituzione Apostolica Sacramentum Ordinis di Pio XII del 30 novembre 1947, le parole essenziali della forma di consacrazione episcopale sono: “Accipe Spiritum Sanctum”» (Dictionarium morale et canonicum, Roma, Officium Libri Catholici, 1965, II vol, p. 270 e 271).

La nuova forma del sacramento dell’Ordine di Paolo VI

Paolo VI, il 18 giugno 1968 ha promulgato una nuova versione del Pontificale Romano, che per la consacrazione dei vescovi recita: «Effondi sopra questo eletto la potenza che viene da Te, o Padre, il tuo Spirito che regge e guida», e per il sacerdote: «Dona, Padre Onnipotente, a questi tuoi figli la dignità del Presbiterato. Rinnova in loro la effusione del tuo Spirito di santità».
Dunque, nel nuovo Pontificale Romano di Paolo VI la sostanza del sacramento dell’Ordine sacro è rimasta quanto alla materia e alla forma (parleremo poi dell’intenzione).

La Cresima – Materia e forma

Per la materia della Cresima «Gli Atti degli Apostoli (VIII, 4-17) (1) nei testi che si riferiscono alla Cresima, parlano solo della imposizione delle mani da parte degli Apostoli. Da ac¬curati studi critici sembra che gli Apostoli nella amministrazione della cresima non usavano l'unzione. Es¬sa s’introduce in Occidente nel sec. III e poi si diffonde anche in Oriente. Ma all'inizio non c’era. Le testimo¬nianze più antiche della chiesa d’Africa, Tertulliano, Cipriano e più tardi S. Agostino parlano solo dell’imposizione delle mani.
Concludiamo: non essendo l’unzione una cerimonia primitiva, non essen¬do stata sempre in uso nella Chiesa, non fa parte degli elementi essenzia¬li costitutivi del sacramento della cresima. L’unzione non deve omet¬tersi oggi, perché prescritta dalla Chiesa alla quale Gesù ha deman¬dato lo stabilire come il sacramento debba essere amministrato, ma non consta che l’unzione appartenga al¬la sostanza del sacramento» (A. Piolanti, 1959, cit., p. 424).
Per quanto riguarda la forma « i Libri liturgici [dei diversi riti] non sono uniformi in tutti i particolari. Il vescovo di rito latino nel dare la cresima dice: “ti segno col segno della croce e ti confermo col crisma della salute, nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo”. Nella chiesa greca si dice più semplicemente: “segno [o sigillo] del dono dello Spirito Santo”» senza far menzione della Santissima Trinità (A. Piolanti, 1959, cit., p. 426). Questa forma è stata dichiarata valida dal Magistero pontificio (v. Benedetto XIV, Enciclica Ex quo prima, 1 marzo 1756).
Altri riti cattolici sono: quello siro-maronita: «Crisma del dono dello Spirito Santo», il rito caldaico: «Sii perfetto nel nome del Padre e del Fi¬glio e dello Spirito Santo», il rito copto-etiopico: «Unzione della grazia dello Spirito Santo».
In tutte queste forme, malgrado la diversità, viene espresso il duplice effetto della Cresima, cioè il carattere e la grazia, e pertanto esse sono tutte valide.

La nuova forma della Cresima promulgata da Paolo VI

Paolo VI, il 15 agosto 1971, con la Costituzione Apostolica Divinae consortium naturae ha stabilito per la Cresima la seguente forma: «Accipe Signaculum doni Spiritus Sancti / Ricevi il Sigillo dello Spirito Santo che ti è dato in dono». Essa unifica la forma greca e latina ed esprime il duplice effetto del sacramento della Cresima: carattere indelebile, grazia santificante e pone l’accento sul dono dello Spirito Santo.
Quindi anche la forma della cre¬sima contenuta nel nuovo Rituale di Paolo VI del 1971 non è cambiata sostanzialmente ed è oggettivamen¬te valida.

L’intenzione del ministro sacro

Monsignor Antonio Piolanti (I Sacramenti, cit., [1956] 1990, p. 237) spiega che «per la validità del sacramento è sufficiente l'intenzione implicita e indistinta di fare ciò che fa la Chiesa; intenzione che potrebbe trovarsi anche in un pagano che si proponesse, sebbene sprovvisto di nozioni sulla Chiesa, di compiere il rito secondo l’intenzione di chi domanda il Battesimo. […]. Inoltre per fare ciò che fa la Chiesa si richiede l’intenzione di fare ciò che fa e non ciò che crede o che intende la Chiesa. Perché il sacramento sia valido si richiede che il ministro intenda solo di fare ciò che fa la Chiesa e non di conferire la grazia. Infine si dice la Chiesa. Volutamente non si dice la Chiesa cattolica, in quanto il ministro desidera fare ciò che Cristo ha istituito (S. Roberto Bellarmino, De Sacramentis, lib. I, cap. 27)».

Giuseppe Rambaldi aggiunge: «Sant’Agostino diceva: “Se battezza Pietro è Cristo che battezza, se battezza Giuda è sempre Cristo che battezza” (In Jo., tr. VI, n. 7; PL 35, 1482). San Tommaso d’Aquino insegna: “colui che battezza è solo uno strumento in mano a Gesù Cristo“ (In IV Sent., dist. 5, q. 2, a. 2, sol. 2). Ciò che i testi citati affermano esplicitamente del Battesimo e dell’Eucarestia si verifica in ogni sacramento. Infatti Cristo è l’Autore di tutti i sacramenti. […] non è necessario che il Ministro intenda o voglia il fine del sacramento, ma deve volere fare ciò che fa la Chiesa, invece se ha l’intenzione di non fare ciò che fa la Chiesa il sacramento è invalido (2). (DB 1318)» (Enciclopedia Cattolica, Città del Vaticano, 1951, voI. VII, coll. 70-73, voce “Intenzione nel Ministro dei Sacramenti”).

L’intenzione quanto alla Cresima e all’Ordine, nel nuovo rito di Paolo VI

La Cresima
«Con il sacramento della Confermazione, coloro che sono rinati nel Battesimo, ricevono il dono ineffabile, lo Spirito Santo stesso, per il quale sono arricchiti di una forza speciale» (Paolo VI, Costituzione Apostolica sulla Confermazione, Divinae consortium naturae, 15 agosto 1971, in “I praenotanda dei nuovi Libri Liturgici”, Milano, Áncora, III ed., 1985, p. 85).

L’Ordine sacro
«I presbiteri pur non possedendo l’apice del sacerdozio e dipendendo dai Vescovi nell’esercizio della loro potestà, sono tuttavia a loro con¬giunti per l’onere sacerdotale e in virtù del sacramento dell’Ordine, a immagine di Cristo, sommo ed eter¬no sacerdote, sono ordinati a […] ce¬lebrare il culto divino, quali veri sa¬cerdoti del Nuovo Testamento» (Paolo VI, Pontificale Romanum, 18 giugno del 1968, in “I praenotanda…”, cit., p. 440).
«Con l’ordinazione episcopale viene conferita la pienezza del sacramento dell’ordine sacro» (Paolo VI, Pontificale Romanum, 18 giugno 1968, in "1praenotanda ... ", cit., p. 439).
È chiaro che l’intenzione espressa da Paolo VI nel rito della Cresima (Costituzione Apostolica Divinae consortium naturae, 15 agosto 1971) e dell’Ordine sacro (Pontificale Romanum, 18 giugno 1968) è oggettivamente quella della Chiesa, per cui non si può dubitare della loro validità.
Perciò anche i sacri ministri postconciliari e persino modernisti, se applicano le rubriche date loro da Paolo VI - nonostante il suo modernismo dogmatico, morale e liturgico, la sua smania di “in sano archeologismo” (Pio XII, Mediator Dei, 1947) e di ritoccare ogni rito senza reale necessità, solo per rifarsi alla Liturgia orientale - ordinano i sacerdoti, consacrano i vescovi e amministrano la Cresima validamente. Infatti è a partire dalla conformità materiale e oggettiva del ministro con le rubriche ecclesiastiche che si evince la sua intenzione di fare ciò che fa la Chiesa, anche se non crede o se pensa che la Chiesa sbagli.
Perciò la Cresima e l’Ordine sacro (diaconato, sacerdozio ed episcopato) conferiti dopo il 18 giugno del 1968 secondo il Pontificale Romano di Paolo VI e la sua Costituzione Apostolica Divinae consortium naturae (del 15 agosto 1971) sono oggettivamente validi (3).

L’estrema Unzione

La questione posta dalla materia dell’Estrema Unzione

Per quanto riguarda l’Estrema Unzione, sin dall’inizio, secondo la S. Scrittura (Giac., V, 14), la materia sacramentale è l’imposizione delle mani assieme all’unzione con olio in genere (“ungentes oleo”) (4) e ciò anche secondo la Tradizione apostolico/patristica (5). Secondo il Concilio di Firenze, invece, (Decreto pro Armenis del 1439) (6) con solo olio di ulivo poiché esso è il prototipo dell'olio estratto da piante vegetali, ma il Magistero del Concilio di Firenze non definisce che è stato così (con “olio di olivo”) sin dall’inizio per volontà di Cristo sotto pena di invalidità (cfr. P. Bernard, Dictionnaire de Théologie Catholique, voI. III, col. 2395-2414, voce “Chrême saint”).

Per quanto riguarda il permesso, concesso da Paolo VI con la Costituzione Apostolica sul sacramento dell’Estrema Unzione (del 30 novembre 1972, in “I praenotanda dei nuovi Libri Liturgici”, Milano, Áncora, III ed., 1985, p. 401 (7)) di utilizzare come materia dell’Estrema Unzione oltre l’olio di olivo anche altri oli: “oleis ex olivis aut aliis ex plantis expressis” (ripreso dal CIC del 1983, can. 847, § 1) occorre sapere che “l’olio d'olivo è sempre da preferirsi” (L. Chiappetta, Il Codice di Diritto Canonico. Commento giuridico¬pastorale, Napoli, Ed. Dehoniane, 1988, II voI., p. 126, n. 3403).
Quest’innovazione è grave soprattutto per l’Estrema Unzione poiché comunemente i Teologi controriformistici e soprattutto papa Eugenio IV nel Concilio di Firenze, Bolla Exultate Deo, del 22 novembre 1439 (DS 1324: “Quintum sacramentum est extrema unctio, cujus materia est oleum olivae per episcopum benedictum”) hanno insegnato che l’olio del sacramento dell’Estrema Unzione deve essere olio di ulivo. Non è specificato, però, dal Magistero (neppure dal Concilio di Firenze, che è l’unico Documento magisteriale a parlare di “olio di olivo” (8)) che esso è necessario per istituzione divina e non ecclesiastica ad validitatem sacramenti, per la validità del Sacramento.
Quindi non si può ritenere che il rito della Estrema Unzione (e anche della cresima) a partire dal 30 novembre 1972 è invalido.

Nel rito bizantino “l’olio d’ulivo talvolta è mischiato con un poco di vino" dal sacerdote (A. Raes, in Enciclopedia Cattolica, Città del Vaticano, voI. V, 1950, col. 660, voce “Estrema Unzione/ Liturgia”) (9) invece nel rito latino è mischiato al balsamo dal vescovo. Ma ciò non può invalidare il sacramento, essendo il rito bizantino di Tradizione apostolica.

P. Bernard nel Dictionnaire de Théologie Catholique – d’ora in poi “DTC” - (voI. III, col. 2395-2414, voce “Chreme saint”) scrive che “la materia dell’Estrema Unzione è il crisma, ossia ogni materia atta ad ungere, cioè olio, unguento o essenza profumata” (col. 2395) e non parla affatto di olio d’olivo. Nei primi secoli dell’era cristiana, infatti, i Padri apostolici e apologisti (colI. 2396-2397) usano il termine crisma in senso largo o estensivo come unguento o olio in generale senza specificare di olivo (S. Giustino, Dial. cum Trif., PG, t. VI, n. 681; S. Ireneo da Lione, Contro haer., I, 21, 3; S. Clemente d’Alessandria, Stromata, II, 9; Tertulliano, Adv. Marcionem, I, 14); poi (colI. 2398) anche i Padri ecclesiastici parlano di olio in genere (S. Agostino, De civ. Dei, XVII, l0; S. Leone Magno, Serm. IV in nativitate Domini; S. Massimo di Torino, Serm. IV de Baptismo).
Occorre attendere la Scolastica (Pietro Lombardo, Sent., lib. IV, dist. 7, a. 23; Alessandro di Hales, Summa, p. IV, q. IX, n. I; S. Bonaventura, In IVum Sent., dist. VII, a. 1, q. 2 e nel Breviloquium, VI, 3; S. Tommaso, S. Th., III, q. 72, a. 4) per avere teorie più dettagliate (col. 2399), ma non unanimi. Infatti solo S. Tommaso asserisce che il crisma di olivo è di origine divino/apostolica, mentre gli altri o si astengono dal pronunciarsi oppure lo reputano di istituzione ecclesiastica: nessuno asserisce essere l’olio di olivo di necessità per la validità del sacramento tranne l’Angelico, seguìto dalla maggior parte degli altri scolastici (Duns Scoto, In IVum Sent., dist. VII, q. 1, n. 2).

Il Magistero con il Concilio di Firenze (del 1438-1445, DB 392) e con il Tridentino (1545-1563, DB 908) non definisce se l’Estrema Unzione sia stata stabilita in tutte le sue particolarità da Cristo o lasciata alla specificazione degli Apostoli (“DTC”, col. 2400). È certo che S. Giacomo parla di “olio” e che Cristo ha istituito il sacramento mediante la materia oleosa o crismale, ma secondo P. Bemard (“DTC”, col. 2400) non è di fede che Cristo abbia decretato l’uso dell’olio d’oliva e che questo sia perciò necessario per la validità del sacramento neppure dopo Eugenio IV il quale nel Concilio di Firenze (Decreto pro Armenis, DB 392), è l’unico a parlare di “olio di oliva” mentre il Tridentino parla solo di olio.
La teologia dogmatica e morale, quindi, ha insegnato comunemente a partire dal Tridentino (1545-1563) che l’olio d’olivo è necessario per la validità dell’Estrema Unzione (e conseguentemente per la Cresima in quanto l’olio – per l’Estrema Unzione, per la Cresima, per il Battesimo e per l’Ordine sacro – è consacrato il Giovedì Santo dal vescovo durante la S. Messa crismale (10)) pur non essendo definito di fede (“DTC”, col 2401) (11).

La forma stabilita da Paolo VI nel 1972 è: “Per questa santa unzione e per la sua piissima misericordia il Signore ti aiuti con la grazia dello Spirito Santo. Amen”. La forma antica, ma che “compare solo dopo il Mille” (12), recitava: “Per questa santa unzione e per la sua piissima misericordia ti perdoni il Signore tutto ciò che di male hai fatto. Amen / indulgeat tibi Dominus quidquid deliquisti”. La forma greca recita: “O Padre Santo, medico delle anime e dei corpi, che mandasti il Figlio a curare ogni malattia e a liberarci dalla morte, sana anche il tuo servo N. N. da tutte le infermità che lo affliggono, e riempilo di vita con la grazia del tuo Cristo. Amen”. Come si vede, il significato del sacramento sostanzialmente resta espresso anche dalla nuova forma latina del 1972.

Conclusione

Non si può dubitare fondatamente della validità della Cresima, dell’Estrema Unzione e dell’Ordine sacro dopo il 1968-1972, sia quanto alla materia, sia quanto alla forma e all’intenzione.
Naturalmente restano in piedi tutte le obiezioni sulla ortodossia della Nuova Messa di Paolo VI (13), sui Documenti del Concilio Vaticano I (14), sulla opportunità delle riforme dei riti sacramentali dopo il 1968, ma queste riforme non si può negare che non toccano la validità dei Sacramenti.

Certamente i riti che accompagnano le Cresime postconciliari sono confusionari e poco edificanti, quelli dell’Estrema Unzione sono ridotti al minimo (15), quelli dell’Ordinazione e della Consacrazione mantengono una certa serietà, anche se si trovano applicati all’interno del nuovo Rito della Messa del 1969 della cui eterodossia già abbiamo trattato. Tuttavia, poiché ciò nulla toglie alla sostanza dei Sacramenti, si può parlare di sconvenienza dei riti, ma non d’invalidità dei Sacramenti.
 

NOTE

1 – Lo stesso insegna la Tradizione. Infatti i Padri iniziano a parlare della Cresima all’inizio del III secolo con Sant’Ireneo (Adv. Haeres., IV, 38, 2): “coloro ai quali gli Apostoli imponevano le mani ricevevano lo Spirito Santo”. Lo stesso insegna Tertulliano (De Bapt., VII ss.; De resurr. Carnis, VIII; De praescr. Haer., XXXVI); poi San Cipriano (Ep., LXXIII, 9). D’Alès,, nel Dict. Apol. De la Foi Cath. (tomo II, coll 789-823), scrive che in Africa, in Asia Minore, in Spagna e in Gallia la Tradizione apostolica ha come rito della Cresima solo l’imposizione delle mani, mentre l’unzione è attestata a Roma e in Oriente.
2 - Alcuni reputano che i “Ministri postconciliari” non abbiano l’intenzione di fare ciò che fa la Chiesa cattolica essendo membri della “Chiesa conciliare”.
Ora:
l°) per l’intenzione “si dice solo che bisogna avere l’intenzione di fare ciò che fa la Chiesa senza specificare ‘cattolica’. Volutamente non si dice la Chiesa cattolica, in quanto il ministro desidera fare ciò che Cristo ha istituito” (Antonio Piolanti, I Sacramenti, Città del Vaticano, LEV, [1956] 1990, p. 237);
2°) la Chiesa romana ha definito che il Luteranesimo è una setta o chiesuola fuori della Chiesa di Cristo, mentre non vi è nessuna definizione dogmatica che riguarda la “chiesa conciliare", termine usato dal card. Benelli in un’intervista, che può essere ripreso nella disputa polemica, ma non nel linguaggio teologico in senso stretto;
3°) non si può parlare in maniera strettamente teologica (anche se è consentito farlo nella polemica) di una “Chiesa conciliare” (né di Ministri della Chiesa conciliare come se fossero extra Ecclesiam Christi) formalmente distinta da quella cattolica, poiché la Chiesa deve sussistere semper eadem sino alla fine del mondo; perciò il soggetto Chiesa (Papa/Vescovi, successori di Pietro/degli Apostoli) è semper idem, sempre la stessa sia prima che dopo il Concilio Vaticano II, mentre l’oggetto o dottrina può essere insegnata con modalità diverse: dogmaticamente e infallibilmente, oppure pastoralmente e non infallibilmente. Quindi nell’oggetto o nella dottrina insegnata pastoralmente e non infallibilmente dal Vaticano II si possono trovare delle novità (nova non nove) in rottura con la Tradizione della Chiesa, senza che il soggetto Chiesa sia per questo venuto meno o abbia perso la sua indefettibilità o continuità apostolica da San Pietro sino all’ultimo Papa regnante, canonicamente eletto ed accettato dalla Chiesa universale. (Cfr. B. Gherardini, Divinitas, n. 2/2011). Il dubbio positivo e fondato non sussiste oggettivamente, anche perché, ammesso e non concesso che i Vescovi consacrati dopo il 1965 siano “extra Ecclesiam”, fuori della Chiesa, il Concilio di Trento ha infallibilmente definito che i Sacramenti conferiti dagli eretici, salva eorum substantia, salva la loro sostanza, sono conferiti validamente.
3 - Non bisogna farsi prendere dal dubbio metodico che porta allo scrupolo. Ad esempio, se un sacerdote inizia a dubitare (senza elementi positivi) che colui che lo ha battezzato non aveva la volontà di fare ciò che fa la Chiesa imbocca la strada che lo porta alla perdita della lucidità. Così alcuni «dubitanti» pensano che lo stesso mons. Marcel Lefebvre, siccome fu consacrato dal card. Liénart che era massone e quindi non voleva fare ciò che fa la Chiesa, non era vescovo e tutti i sacerdoti ordinati da lui non sono sacerdoti. Ma questo è un «deliramento», non un ragionamento.
4 - A. Piolanti: “il passo di S. Giacomo (V, 14-15) è nel suo nucleo centrale così determinato da lasciare intravedere gli elementi essenziali di un sacramento: l’istituzione divina, la materia, la forma e il soggetto; ma anche così vago nei particolari: non dice infatti quale olio bisogna utilizzare, quante unzioni si debbano praticare, quali parole pronunziare” (Dizionario di teologia dommatica, Roma, Studium, IV ed., 1957, p. 148, voce "Estrema Unzione”).
5 - Cfr. J. Dauvillier, Extreme-onction dans les Eglises orientales, DDC, n. 5, 1953, pp. 725-789.
6 - Papa Eugenio IV nel Concilio di Firenze, Decreto per gli Armeni, Bolla Exultate Deo sull’Estrema Unzione, del 22 novembre 1439, DS 1324: “cujus materia est oleum olivae”.
7 - Dato che l'olio di oliva […] in alcune regioni manca del tutto o può essere difficile procurarselo, abbiamo stabilito, su richiesta di numerosi vescovi, che possa essere usato in futuro, anche un olio di un altro tipo, che tuttavia sia stato ricavato da piante, in quanto più somigliante all’olio di oliva”. Tuttavia già San Tommaso d’Aquino nel XIII secolo notava: «l’olio di oliva, benché non sia prodotto dappertutto, può essere facilmente importato» (S. Th., Suppl., q. 29, a. 4, ad 3um. Cfr. anche S. Th., III, q. 72, a. 2, ad 3um; ivi, Suppl., q. 29, a. 4, in corpore).
8 - Il primo documento del Magistero ec¬clesiastico a pronunciarsi sull’Estrema Unzione è la Epistola di papa Innocenzo I a Decenzo vescovo di Gubbio, scritta nel 416 (DB 99) in cui si parla solo di “olio confezionato dal vescovo”. Invece la disciplina della Chiesa orientale ammette che l’olio sia benedetto da un sacerdote e non forzatamente dal vescovo. Essa è stata approvata da papa Clemente VIII (Istruzione Presbyteri Graeci, del 30 agosto 1595, DS 1990), Benedetto XIV (Costituzione Etsi pastoralis, del 26 maggio 1742, DS 2522-2524) e dal CIC del 1917 (can. 945).
9 - Cfr. M. J. Rouet de Journel, Le rite de l’Extreme-Onction dans l’Eglise gréco¬russe, in “Rev. Or. Chrét.”, n. 21, 198-1919, pp. 40-72 ; P. de Meester, Studi sui Sacramenti amministrati secondo il rito bizantino, Roma, 1947, pp. 189¬-240.
10 -Tuttavia l’olio è materia soltanto del sacramento della Cresima e dell’Estrema Unzione, mentre per il Battesimo e l’Ordine è utilizzato nel corso di una cerimonia accidentale al sacramento.
11 - Cfr. anche P. Bernard, La bénédictions des saintes huiles à la messe pontificale du jeudi-saint, Parigi, 1900; J. Kern, De sacramento Extremae Unctionis, Ratisbona, 1907; D. Jorio, La sacra unzione degli infermi, Roma, 1934; C. Ruch - J. Godefroy, “DTC”, voI. V, coll. 1897-2022, voce “Extreme-onction”, molto esaustivo.
12 - A. Piolanti, I Sacramenti, (Firenze, 1956), Città del Vaticano, LEV, 1990, p. 456.
13 – “Breve Esame Critico del Novus Ordo Missae” presentato nella festa del Corpus Domini del 1969 dai cardinali Alfredo Ottaviani e Antonio Bacci a Paolo VI; Arnaldo Vidigal Xavier Da Silveira, La nouvelle Messe de Paul VI. Q'en penser?, Chiré-en-Montreuil, DPF, 1975.
14 - Brunero Gherardini, Concilio Ecumenico Vaticano II. Un discorso da fare, Frigento, Casa Mariana Editrice, 2009; Id., Concilio Vaticano II. Un discorso mancato, Torino, Lindau, 2011.
15 - Si noti bene che, mentre nella Chiesa latina sino al 1968 si dava otto volte l’unzione sugli occhi, sulle orecchie, sulla bocca, sulle narici, sulla bocca, sulle mani, sui piedi e sui reni (queste ultime due potevano essere omesse per una ragione proporzionatamente grave), nella Chiesa di rito greco si ungeva e si unge ancora quattro volte soltanto la fronte, il mento, le guance e le mani. Ma queste molteplici unzioni, secondo il parere comune dei teologi e di papa Benedetto XIV (Costituzione Etsi pastoralis, 26 maggio 1742, DS 2524), sono di diritto ecclesiastico e non divino. Quindi in caso di necessità, dal Tridentino al 1968 si poteva ungere solo la fronte e dopo il 1968 si è ridotta l’unzione solo alla fronte. Ciò non invalida il sacramento poiché è una disposizione di diritto ecclesiastico che la Chiesa può mutare, anche se, facendo così, si è cambiata una usanza umano/ecclesiastica di antichissima data (cfr. A. Piolanti, Dizionario di teologia dommatica, cit., p. 150, voce “Estrema Unzione”).






agosto 2014

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