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Dal compromesso alla compromissione: la logica del ricongiungimento di Don Benoît Storez (sacerdote della Frternità San Pio X) ![]() Articolo pubblicato il 3
settembre 2014 sul n° 30 di Le Belvedere,
bollettino del Priorato Saint Nicolas - Nancy - Francia , della Fraternità San Pio X e da noi ripreso ripreso dal sito della Fraternità La Porte Latine «Sono le idee che muovono il mondo»,
dice l’adagio, e a ragione. Un principio non rimane puramente teorico,
ma porta sempre con sé delle applicazioni pratiche.
<>Così il principio del ricongiungimento [con Roma] porta con sé la compromissione: l’attualità ce ne fornisce un esempio eclatante. Talvolta si sente dire che tutte le comunità più o meno “tradizionali” dovrebbero unirsi in una battaglia comune per la difesa della Tradizione della Chiesa. In questa ottica, sono nati anche dei movimenti, come il famoso “Groupe de Réflexion Entre Catholiques” [GREC], allo scopo di favorire un avvicinamento: sarebbe così bello se tutti i tradizionalisti del mondo potessero darsi la mano! A sentire queste voci simili a quelle delle sirene di Ulisse, si ha l’impressione che non ci siano delle differenze importanti tra queste diverse tendenze, tutt’al più una differenza di sensibilità. Tuttavia, il punto che ci divide è fondamentale: nella crisi attuale che patisce la Chiesa, è possibile difendere la fede ponendosi sotto l’autorità di coloro che l’attaccano, insegnando una nuova dottrina? A questa domanda, si constata in pratica che i “ricollegati” rispondono in coro “Sì”, e in tutte le loro iniziative si impongono di avere l’avallo dei vescovi; a questo noi rispondiamo “No”, continuando il nostro ministero anche contro il parere dei vescovi e del Papa. Piuttosto che un lungo dibattito su questo argomento – oh quanto scottante! – esaminiamo i fatti. Quando apparve il decreto Ecclesia
Dei Adflicta, quelli che vollero beneficiarne dichiararono
che questo non avrebbe cambiato nulla nella loro battaglia.
Lungi da me voler giudicare
chicchessia, né mettere in dubbio la buona fede di queste
dichiarazioni o lo zelo di questi sacerdoti, tuttavia si è
obbligati a constatare che la loro libertà di parola è
stata considerevolmente intaccata.
Così, recentemente, in occasione della canonizzazione di Giovanni Paolo II, non una sola di queste congregazioni ricollegate ha protestato. E tuttavia si tratta di uno scandalo considerevole: si offre come esempio un papa che ha messo in pratica l’ecumenismo di ogni tipo con una gran quantità di gesti scandalosi, come il bacio del Corano o la riunione di Assisi. Che ne sarà dei fedeli che cercheranno di imitare il suo esempio? Ora, di fronte a questo scandalo, non una parola, non un sussurro! E certuni si sentono perfino obbligati ad enfatizzare questa canonizzazione e a rallegrarsene come fosse un avvenimento felice. Ecco infatti cosa scrive Don Ribeton, Superiore del Distretto di Francia della Fraternità San Pietro: «Due papi sono stati canonizzati. La nostra
Fraternità, posta sotto il patronato di San Pietro, si rallegra
per il riconoscimento della santità di due dei suoi successori.
(…) Venuto da un paese dove la fede era perseguitata, Giovanni Paolo II
ha insegnato ai cattolici del mondo intero a non avere paura di
proclamare la fede. (…) Colui di cui la Chiesa proclama la
santità non cessa di essere il Vegliante e di mostrarci il
cammino che conduce alla contemplazione dello splendore della
verità» (Don Ribeton, Editoriale della Lettera agli Amici e Benefattori
n° 75 del giugno 2014).
Si è tentati di chiedere di quale Verità si tratti, poiché gli Apostoli e Giovanni Paolo II mostrano chiaramente che non si trovano sullo stesso cammino. Eppure nel 1986, i sacerdoti fondatori della Fraternità San Pietro, ancora tutti membri della Fraternità San Pio X, approvarono la protesta di Mons. Lefebvre contro Assisi. E oggi questi stessi sacerdoti accettano che il Papa di Assisi venga proclamato santo. La verità è che le congregazioni e gli istituti dipendenti dalla Commissione Ecclesia Dei, da questa ricevono solo poco margine di manovra. La loro sopravvivenza è interamente nelle mani delle attuali autorità della Chiesa, quelle autorità che utilizzano il loro potere a servizio dell’ecumenismo, della collegialità, della libertà religiosa e di tute le teorie insegnate dal Vaticano II. Una protesta veemente contro questo o quello scandalo li esporrebbe sicuramente alla perdita delle preziose autorizzazioni laboriosamente ottenute. Tante volte, nel passato, si sono visti i vescovi ritirare le autorizzazioni concesse o togliere dei luoghi di culto per darli ad altri. In definitiva, il posto della Tradizione nella Chiesa conciliare è simile ad una riserva indiana: un’autorizzazione alla sopravvivenza, con dei limiti che non devono essere valicati. Allora, per sopravvivere occorre pagare il prezzo del silenzio, e cioè dare segni di buona volontà lodando i santi conciliari. E questo presuppone di operare con discrezione una cernita, poiché, a dispetto delle dichiarazioni di lode di Don Ribeton che invita i fedeli a seguire l’esempio di Giovanni Paolo II, io non penso che egli arrivi fino a baciare lui stesso il Corano o a ricevere il marchio di Shiva. Decisamente, in materia dottrinale non è possibile alcun compromesso senza cadere presto o tardi nella compromissione. Porsi sotto un’autorità ancora modernista significa accettarne l’orientamento, almeno per grandi linee. Una prima concessione ne comporta altre, e solo dopo anni ci si rende conto quanto sia stato lungo il cammino percorso a partire dalle posizioni iniziali. Tiriamo adesso le conclusioni, poiché, ben inteso, è qui che volevo arrivare. Innanzi tutto, diffidiamo del miraggio del ricollegamento. L’esclusione che noi subiamo è anormale e violenta, quindi noi vorremmo uscirne perché essa è durata troppo. Ma fino a quando perdurerà la situazione attuale, un tale ritorno non sarà possibile, a meno di sacrificare la confessione della fede, com’è tristemente confermato dall’esempio di tutte le comunità ricollegate. Per perseverare in questa confessione pubblica della fede, bandire l’errore e protestare contro gli scandali, non bisogna mettersi nelle mani di coloro che sono esattamente gli autori di tali scandali. Da questa opposizione di
principio deriva una conseguenza importante circa la scelta dei luoghi
di Messa. È chiaramente falso mettere sullo stesso piano i
diversi movimenti favorevoli alla Tradizione, e tuttavia non è
raro vedere dei fedeli andare a dritta e a manca, secondo le
opportunità e la comodità. Questo sarebbe comprensibile
se vi fossero solo delle differenze di sensibilità, ma quando vi
è una divergenza di fondo su una questione dottrinale
fondamentale, questo non è coerente. Infatti, non si va in una
parrocchia come ad un rivenditore di pane fresco.
Quando si assiste ad una Messa ci si associa al rito e si manifesta esteriormente una unione. E da questo che viene peraltro il nome di “comunione” dato alla Santa Eucarestia. Ora, è evidente che non
si può essere uniti a delle posizioni dottrinali incompatibili
in un punto che attiene alla fede. Su una questione di tale importanza
occorre vegliare e non farsi guidare da criterii affettivi, occorre
esaminare la questione sul piano dottrinale. L’accettazione di un
principio richiede il coraggio di trarne le conseguenze. Se si
rifiutano le conseguenze si rifiuterà presto il principio,
secondo quanto detto da Sant’Agostino: «A forza di non vivere
come si pensa, si finisce col pensare come si vive.»
<>Certo, sarebbe di gran
lunga
preferibile potere andare a Messa, come in passato, nella chiesa
più vicina, in una di quelle chiese costruite dai nostri padri
per servire al culto cattolico; non possiamo essere soddisfatti della
situazione attuale, ma dobbiamo sopportarla in attesa che la luce torni
a brillare a Roma.
Quel giorno verrà, ne siamo certi, poiché le porte dell’Inferno non prevarranno. Che la
Vergine fedele doni a tutti coraggio e perseveranza.
(torna
su)
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