PORTA APERTA A TUTTI, MA STRETTA


di Don Francesco Cupello
   





Il nuovo Prefetto per la Congregazione della Dottrina della Fede, comincia a fare quei danni facilmente prevedibili da parte di una persona cui il Papa, nel collocarlo a quel delicato posto di responsabilità (e forse proprio per le sue idee), dice senza mezzi termini di porre rimedio a una Chiesa che in passato ha avuto gravi comportamenti immorali (sic!).
E’ inaudito, incredibile, assurdo che un Papa possa parlare così della Chiesa. E il nuovo Prefetto, fedele al mandato ricevuto, emette un Documento ufficiale della Congregazione da lui presieduta, controfirmato dal Papa, circa il trattamento delle persone lgbtqa+, sulla base dell’idea personale di Bergoglio che la porta della Chiesa è aperta a tutti, a tutti.

Porta aperta a tutti? Papa Francesco dimentica che occorre prima impegnarsi seriamente per poter passare attraverso quella porta, che Gesù definisce una porta stretta (Mt 7,13-14; Lc 13, 24-25). Occorre sforzo, ascesi, per riuscire ad attraversarla: «Sforzatevi di entrare per la porta stretta», dice Gesù (Lc 13,24). Se la porta è stretta e occorre impegnarsi per riuscire ad attraversarla, vuol dire che è, sì, una porta aperta a tutti, ma non incondizionatamente, tant’è che Gesù dice: «Molti cercheranno di entrare, ma non ci riusciranno»; e non ci riusciranno perché quella porta, per chi ne avrà preferita una più larga e comoda, un giorno sarà chiusa. Il largheggiare nell’aprire la porta della Chiesa a tutti di Papa Francesco, corrisponde a quella porta larga e a quella via spaziosa, che conduce alla perdizione (Mt 7,13).

Certo che la porta della Chiesa è aperta a tutti (ci mancherebbe altro), ma è stretta e tale non nel senso che è poco larga e ci si può passare quindi solo pochi per volta, ma nel senso che ci si può passare solo uno alla volta, cioè solo a determinate condizioni. E queste condizioni sono la fede, l’adesione piena alla Parola di Dio, la dottrina e la morale della Chiesa, la fedeltà alla Tradizione e l’accettazione della Croce per potersi dire fedeli seguaci di Cristo. Il rifiuto di queste condizioni corrisponde alla scelta di percorrere la spaziosa via e passare per la porta larga che porta alla perdizione.
Chi è pieno di sé, gonfio di sé, ingrossato dalla superbia e dall’egoismo, appesantito dai peccati non più considerati tali, ma che costituiscono un grosso ingombro, nonché  dalla pretesa di fare a meno della Legge di Dio, non riuscirà mai a passare attraverso la porta stretta. E quando essa sarà chiusa (Lc 13,25), sarà inutile bussare e accampare diritti per entrare, perché da dentro la risposta a quel bussare sarà inesorabilmente una sola: «Non so di dove siete» (Lc 13, 25-27).

Ammettere quindi ai sacramenti e a responsabilità nella Chiesa persone transgender, omosessuali, lgbtqa+, come vuole Papa Francesco, è dare a queste persone la possibilità di accampare il diritto che venga loro aperta la porta stretta una volta che questa sia stata definitivamente chiusa: non servirà nemmeno (per essere stati ammessi ai sacramenti) dire al padrone di casa: «Abbiamo mangiato e bevuto in tua presenza (cioè abbiamo fatto comunione con te [ecco i sacramenti ai quali furono ammessi])… tu hai insegnato nelle nostre piazze» (cioè abbiamo seguito l’insegnamento del Papa), perché la risposta sarà sempre la stessa: «Non so di dove siete» (cfr Lc 13,35-27).

E non va nemmeno dimenticato che Gesù identifica se stesso con quel padrone di casa che chiude la porta, anzi si identifica con la porta stessa: «Io sono la porta: se uno entra attraverso di me, sarà salvato» (Gv 10,9). Chi stoltamente sceglie non la porta stretta, che è Cristo, ma la porta larga e la via spaziosa del proprio tornaconto terreno, si comporta come le vergini stolte della parabola evangelica, le quali si sentono dire da dietro la porta chiusa della sala delle nozze: «In verità vi dico: non vi conosco» (Mt 25,12).

Perciò può essere anche un Papa a pensare di poter dispensare dalle condizioni necessarie per poter attraversare la porta stretta della salvezza, ma ciò non conferisce a nessuno il diritto di rivendicare l’apertura di quella porta, una volta chiusa. Il Papa deve essere il portavoce di Cristo, non può quindi usare (o abusare) del suo ufficio, per promuovere le sue idee personali. Queste se le tenga pure per sé.
A noi interessa ciò che sta scritto (cfr Lc 4,4-9), ciò che la Chiesa ha sempre insegnato da due millenni, ciò che la Tradizione ha trasmesso ininterrottamente e incorruttibilmente dal giorno di Pentecoste nel Cenacolo lungo tutto il corso della sua storia, ciò che hanno insegnato i Padri e i Dottori della Chiesa, ciò che da sempre ha costituito i fondamenti dell’antropologia cristiana, ciò che sempre hanno insegnato i Papi e ciò che hanno eroicamente testimoniato tanti Santi di tutte le età, ceti e condizioni.

Il dovuto rispetto per il Papa non può impedire che gli si possa dire che ha torto, quando evidentemente torto ha, così come fece Paolo, che non ebbe timore di dare dell’ipocrita a Pietro e dirgli che aveva evidentemente torto nella questione del rapporto con i non circoncisi (cfr. Gal 2,11-14). Non ho perciò timore di dire a Papa Bergoglio che è un abuso di potere quello di esprimere opinioni personali su questioni molto serie sia in campo dottrinale che morale non nelle opportune sedi e nelle dovute formalità, ma in interviste informali o in volo su qualche aereo. Se il Papa vuole esprimere una dottrina deve sedersi in cattedra e con tutte le modalità richieste, altrimenti quel che dice lui vale tanto quanto quel che può dire chicchessia.








novembre 2023

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